La Grecia tra crisi economica e marginalizzazione politica

Atlante Geopolitico 2014 (2014)

di Vittorio Da Rold

Il 23 luglio 1974 cadde ad Atene, grazie anche al precedente sacrificio di sangue di 24 giovani studenti del Politecnico, la giunta militare dei colonnelli che aveva governato con il pugno di ferro il paese dal 1967. Da quel momento fino alle elezioni politiche del 4 ottobre 2009 è iniziato un periodo politico di alternanza democratica tra i socialisti del PASOK, guidati da Andreas Papandreou, e i conservatori di Nea Dimokratia di Costas Karamanlis: periodo di circa 4 decenni che ha portato la Grecia prima a toccare grandi miglioramenti economici e sociali con l’ingresso nella EEC nel 1981, e in seguito nell’euro, e poi però alla marginalizzazione politica a causa della più grave crisi economica dal dopoguerra, che ha significato la richiesta di aiuti per 240 miliardi di euro e l’arrivo della troika, composta da ECB, EU e IMF, in rappresentanza dei creditori internazionali che hanno imposto dure misure di rientro.

Dopo 40 anni di trucchi contabili e tatticismi nei conti statali, clientelismo e spese pubbliche senza freni come nel caso delle Olimpiadi del 2004, con le elezioni del 4 ottobre 2009, vinte da George Papandreou, figlio di Andreas, arriva l’ora della verità con un debito di 367 miliardi di euro, cinque volte quello che mandò in default l’Argentina del 2001, paese con il doppio della popolazione ellenica.

Da quel momento i greci hanno dovuto fronteggiare le conseguenze di 40 anni di politiche al di sopra dei propri mezzi, che confondevano il credito con il reddito. Così dopo strappi in avanti e rapide retromarce è venuto il momento della verità per il mondo politico greco. Il primo ministro George Papandreou il 3 novembre 2011, al rientro dal vertice di Cannes del G20, ha dovuto scoprire le carte, ritirando la proposta di un referendum sul piano di austerità (e quindi sull’euro), mentre il leader dell’opposizione di centro-destra, Antonis Samaras, è uscito allo scoperto dicendosi disposto a votare il piano concordato con la EU. Nessuno dei due politici poteva continuare a tenere una nazione in bilico per così lungo tempo. La Grecia aveva un piede fuori dall’euro ed era a un passo da un default disordinato, il primo di un paese dell’eurozona. A quel punto si decise di varare un governo di emergenza nazionale guidato da un tecnico di indiscussa fama come Lucas Papademos, ex vicepresidente della ECB, un premier di un governo di unità nazionale con prestigio internazionale che potesse concludere i difficili negoziati per disinnescare la bomba del debito. Successivamente, a causa delle forti opposizioni popolari alle misure di austerità, mentre il PIL si riduceva del 25%, con le elezioni parlamentari greche del maggio 2012 Nuova democrazia diventa il partito di maggioranza relativa ma senza raggiungere la maggioranza richiesta per governare, per cui si rende necessaria una seconda votazione un mese dopo. Alle elezioni parlamentari greche del giugno 2012, ND ottiene 129 seggi e Samaras riesce a formare un governo con il sostegno di PASOK e DIMAR, che successivamente abbandona la maggioranza in seguito alla traumatica chiusura della tv pubblica EPT.

Non aver capito in un decennio, dal 2001 al 2009, cosa voleva dire entrare nell’euro e godere di tassi bassi simili a quelli tedeschi, e non riuscire a far sì che questa manna finanziaria, questa enorme stabilità macroeconomica, servisse a far crescere il paese con investimenti produttivi invece che a drogarlo di debiti, è stato il peccato originale della classe politica ellenica.

Nel 2004, con il via libera alle spese faraoniche per le Olimpiadi, Atene, dilatando il debito pubblico, ha avuto il momento di massimo fulgore, innescando però la bomba ad orologeria esplosa il 4 ottobre 2009, giorno in cui il socialista George Papandreou vinceva le elezioni politiche contro il conservatore Costas Karamanlis, ma poco dopo scopriva che il deficit pubblico ufficiale del 3,5% era in realtà molto più elevato, pari cioè al 15,7%. Una voragine. Conti truccati, grazie a maquillage contabili profumatamente pagati a banche d’investimento internazionali, che hanno permesso di assumere clientelarmente 150.000 dipendenti pubblici in esubero, secondo stime OECD, di abituare una generazione agli acquisti a rate senza avere il benché minimo pareggio di bilancio, privato e pubblico.

Una classe politica bipartisan che ha consentito un’evasione fiscale di massa, dove l’80% dei lavoratori autonomi dichiarava meno della soglia minima di esenzione, pari allora a 12.000 euro e poi precipitosamente ridotta a 5000 euro dalla troika EU, IMF, ECB. Una situazione di disordine e mancanza di controlli come regola di amministrazione, dove si scoprirono frodi sulle accise dei carburanti ai danni dell’erario pari a 2 miliardi di euro all’anno. Il tempo delle bugie poi è finito, ed è giunto il tempo delle amare verità e delle riforme strutturali per recuperare competitività. Con una difficile rifondazione delle finanze pubbliche e della classe politica greca ancora in corso per salvare il paese dagli estremismi politici e dal caos politico e sociale.