La regolazione subprimaria nel nuovo codice degli appalti

Il Libro dell Anno del diritto 2017

La regolazione subprimaria nel nuovo codice degli appalti

Claudio Contessa

Il nuovo codice degli appalti e dei contratti di concessione (d.lgs. 18.4.2016, n. 50) apporta novità di notevole rilievo sistematico sul tema della regolazione subprimaria incidente sulle materie disciplinate. Ispirandosi all’ormai diffusa tendenza alla ‘fuga dal regolamento’, il nuovo codice postula il superamento del regolamento unico (che aveva accomunato la ‘legge Merloni’ del 1994 e il ‘codice de Lise’ del 2006) e vi sostituisce un nuovo sistema regolatorio fondato essenzialmente – ma non esclusivamente – sul modello delle linee guida dell’Autorità di settore, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). L’innovativo modello in tal modo introdotto (che, pure, presenta aspetti di grande interesse concettuale) pone agli operatori problematiche di particolare rilievo per quanto concerne la moltiplicazione dei modelli disciplinari, la difficoltà di individuare la concreta regula iuris disciplinante il singolo caso, nonché l’effettiva distinzione fra precetti vincolanti e indicazioni di pura e semplice moral suasion.

La ricognizione

La l. 28.1.2016, n. 11 (la quale, come è noto, ha delegato il Governo a recepire nell’ordinamento interno il cd. ‘pacchetto appalti/concessioni’ del 2014)1 ha tracciato una linea di indirizzo piuttosto netta per ciò che riguarda la disciplina subprimaria nelle cruciali materie degli appalti pubblici e dei contratti di concessione: il Legislatore della delega ha prefigurato un modello disciplinare fondato – almeno nelle intenzioni – su una normativa primaria snella, auto esecutiva e ‘per princìpi’ e, per quanto riguarda la disciplina sub-primaria, sul superamento del modello regolamentare che aveva caratterizzato sia l’attuazione della legge Merloni del 1994 (in tal senso il d.P.R. 21.12.1999, n. 554) sia quella del codice de Lise del 2006 (in tal senso il d.P.R. 5.10.2010, n. 207).

Si è altrove avuto modo di osservare che l’approccio in questione si fondava sul diffuso movimento di opinione che aveva stigmatizzato l’eccessiva lunghezza del corpus disciplinare costituito dal previgente codice e dal relativo regolamento di attuazione (il quale constava di un totale di oltre seicento articoli) e dalla farraginosità di un modello disciplinare la cui lunghezza e complessità veniva da più parti individuata come una delle principali cause dell’opacità che ha sinora caratterizzato il sistema nazionale degli appalti e delle concessioni e la sua attitudine a favorire fenomeni di corruttela2.

Secondo tale movimento di opinione, lo stesso modello regolamentare costituiva parte essenziale di un desueto sistema di regolazione il quale, fondandosi sulla dicotomia di stampo liberale ‘legge/regolamento’, aveva introdotto nel sistema elementi di farraginosità non più tollerabili in una fase storica – come quella attuale – in cui i modelli regolatori devono necessariamente ispirarsi alle esigenze di snellezza imposte dall’evoluzione dei mercati3.

Non a caso, nel rendere il proprio parere sullo schema di nuovo codice, il Consiglio di Stato ha affermato che la scelta di superare il pregresso modello regolamentare costituisse «una moderna e condivisibile scelta politica e culturale di ‘flessibilità’ rispetto a un precedente modello di ‘iper-regolazione’ di dettaglio»4.

La legge delega, quindi (in piena coerenza con le istanze che l’hanno in parte qua ispirata), ha inteso conformare il nuovo modello di regolazione sub-primaria al sistema della soft regulation demandata all’Autorità di settore si tratta di una formula definitoria che evoca contenuti non del tutto chiari, generalmente poco compresi e perciò stesso, purtroppo, universalmente accettati).

Del resto, la l.n.11/2016 ha espressamente inteso attribuire all’ANAC «più ampie funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche… nonché di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante…» (art. 1,co.1,lett. t).

È qui appena il caso di osservare che la disposizione da ultimo richiamata ha ascritto il modello delle linee guida al genus degli atti di indirizzo, in tal modo palesando una voluntas legis (non è dato sapere quanto consapevole) volta a riferire il modello in parola all’attività (amministrativa) di indirizzo e non anche a quella (normativa) di integrazione e completamento dei precetti giuridici. Il che, a benvedere, risulta coerente con un sistema disciplinare che mira ad istituire un corpus normativo breve e tendenzialmente autoesecutivo.

La stessa legge di delega, poi, all’art.1,co.5, ha individuato il modello – per cosi dire – ‘paradigmatico’ della nuova regolazione sub-primaria nella nuova figura delle linee guida di carattere generale proposte dall’ANAC e approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.

La l.11/2015, tuttavia, non ha chiarito i rapporti sistematici che intercorrono fra le due richiamate disposizioni e non ha introdotto meccanismi volti a prevenire l’inevitabile antinomia insista in un modello che sembra associare alla medesima locuzione (quella di ‘linee guida’) significati propri dell’esercizio dell’alta amministrazione e connotazioni proprie della potestà normativa in senso stretto.

Ma anche a volersi soffermare sulla sola disposizione che demanda all’ANAC il compito di svolgere una funzione – per così dire – integrativa e completiva del precetto normativo (ci si riferisce al richiamato co.5 dell’art.1), il Legislatore delegato non sembra aver declinato in modo del tutto coerente la premessa maggiore desumibile dal precetto legislativo.

Ed infatti, il nuovo codice non ha rispettato in pieno le premesse poste dal legislatore della delega e, pur riprendendo la figura delle ‘linee guida’ ANAC richiamate dall’art.1,co.5, l.11/2016, vi ha affiancato un sistema disciplinare sub-primario estremamente complesso e variegato nel cui ambito è invero difficile individuare un’effettiva ratio giustificatrice (che non sia quella propria di un testo predisposto in un termine troppo breve perché si potesse evitare la proliferazione di errori, lacune e omissioni)5.

In particolare, dall’esame del nuovo testo è possibile individuare almeno quattro diverse tipologie di atti sub-primari,fra cui:

• linee guida approvate con decreto ministeriale ai sensi dell’art.1,co.5 della legge di delega e di cui appare sostanzialmente pacifica la natura di regolamenti ministeriali ai sensi dell’art.17,co.3, della l.23.8.1988, n.4006 (come nel caso dell’art. 111, co.1 del nuovo codice, il quale demanda a un apposito decreto ministeriale l’adozione di linee guida volte a disciplinare nel dettaglio i compiti e gli atti del direttore dei lavori);

• linee guida che lo stesso Legislatore qualifica come vincolanti, ovvero la cui vincolatività si desume dalla previsione espressa di una sorta di riservato dominio disciplinare da parte dello stesso Legislatore delegato (è il caso, ad esempio, dell’art.31, co.5, del nuovo codice che demanda alle linee giuda dell’ANAC – inter alia – la disciplina di dettaglio sui compiti specifici del RUP);

• linee guida di carattere non vincolante (vuoi perché il codice qualifica espressamente gli atti in questione come meramente finalizzati all’orientamento e alla moral suasion, vuoi perché si tratta di linee guida che non rispondono a un’espressa previsione codicistica, ma sono riferibili alla generale previsione abilitante di cui all’art.213,co.2,del codice)7;

• decreti ministeriali di carattere – per così dire – ‘tradizionale’,la cui emanazione è comunque prevista dal nuovo codice in apparente distonia con la previsione apparentemente generalizzante e tipizzante di cui all’art.1,co.5 della legge di delega. Oltretutto, tali decreti ministeriali (che a un osservatore disincantato appaiono piuttosto il frutto di spinte microsettoriali manifestatesi nella fase finale di stesura, che non il risultato di una ponderata scelta normativa)non sono a loro volta riconducibili ad alcun modello unitario8.

Nelle pagine che seguono si procederà dapprima ad enucleare le principali questioni concettuali e fattuali sottese al nuovo modello normativo e, successivamente, si procederà ad individuare i principali aspetti di criticità connessi al modello in tal modo delineato.

La focalizzazione

Qui di seguito si traccerà un quadro di insieme circa le principali questioni sistematiche poste dalla nuova figura delle linee guida dell’ANAC (un modello che, è bene sottolinearlo sin d’ora, non rinviene alcun precedente specifico neppure nell’ambito dell’attività regolamentare che comunque è stata a più riprese riconosciuta nel corso degli anni ad alcune Autorità di settore)9.

Le linee guida ANAC: una nuova fonte del diritto?

All’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice, la dottrina si è interrogata circa la possibilità di ricondurre a un modello unitario la polimorfa figura delle linee guida10 e circa la loro qualificabilità come fonte del diritto di nuovo conio11. Ebbene, quanto al primo aspetto, si è condivisibilmente osservato che è la stessa litera della legge di delega ad indicare all’interprete che la figura in esame sia sostanzialmente refrattaria a una catalogazione generale ed onnicomprensiva, configurandosi piuttosto come una sorta di “etichetta di contenitori diversi”, al cui interno sono individuabili talvolta veri e propri imperativi categorici, talaltra mere indicazioni di obiettivi ed altre volte ancora precetti in senso proprio ovvero mere esortazioni, passando attraverso una vasta gamma di sfumature e variazioni difficilmente riconducibili ad una catalogazioni unitaria12.

Si tratta, quindi, di una figura che (al di là della dicotomia introdotta dallo stesso Legislatore fra linee guida vincolanti e non vincolanti) non si presta ad una effettiva reductio ad unitatem, a meno di non voler perdere di vista elementi che ne caratterizzano l’effettiva complessità e l’innegabile polimorfismo contenutistico.

Per quanto riguarda, poi, la seconda questione (relativa alla configurabilità o meno delle linee guida dell’ANAC come vere e proprie fonti del diritto), si osserverà fra breve che la questione si presenta di non agevole soluzione e che, comunque, impone un approccio diverso a seconda che si tenga prioritariamente presente il modello delle linee guida approvate con decreto ministeriale ai sensi del co. 5 dell’art. 1 della legge di delega ovvero il modello delle linee guida vincolanti.

Ebbene, al fine di sgomberare preliminarmente il campo (e nei limiti del possibile) dai possibili dubbi qualificatori, si premette che non appare dubitabile la natura di regolamenti in senso sostanziale per quanto riguarda le linee guida del primo tipo (le quali possono assumere, a seconda della previsione codicistica, la forma di decreti ministeriali o interministeriali).

Al riguardo (come condivisibilmente osservato dal Consiglio di Stato con il parere sullo schema di nuovo codice) non appare dubitabile che a tali linee guida (rectius: ai decreti approvativi delle linee guida) sia da riconoscere l’idoneità ad innovare l’ordinamento giuridico, la quale si accompagna alla generalità e all’astrattezza delle prescrizioni ivi contenute.

Il parere in questione ha altresì chiarito che alla richiamata qualificazione conseguiranno, a mo’ di corollari:

• l’ascrivibilità al genus dei regolamenti ministeriali ai sensi del co. 3 dell’art. 17 della l. n. 400/1988;

• la resistenza all’abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate e la possibile disapplicabilità (nei limiti di quanto enucleato dalla giurisprudenza amministrativa);

• l’estensibilità a tali decreti delle regole procedimentali di cui al richiamato art. 17;

• la riconducibilità all’ambito della potestà regolamentare statale di cui all’art. 117, V, Cost. (per come chiarita e definita dalla sentenza della C. cost., 23.11.2007, n. 401).

Ben più complessa, evidentemente, è la questione relativa alla qualificabilità come regolamenti (o, più in generale, come fonti del diritto) delle linee guida di carattere vincolante.

Non si tratta di un profilo soltanto sistematico e definitorio, ma di una questione che presenta numerose e rilevanti ricadute pratiche per gli operatori del settore.

Basti pensare al riguardo che nel (solo) caso di linee guida dal contenuto sostanzialmente regolamentare risulteranno applicabili le acquisizioni giurisprudenziali in tema di disapplicazione enucleate per la figura dei cd. regolamenti di volizione preliminare (acquisizioni che non sono viceversa riferibili al caso degli atti amministrativi generali)13.

La questione è stata esaminata in modo piuttosto approfondito nell’ambito del parere reso dal Consiglio di Stato sullo schema di nuovo codice.

Nell’occasione, i Magistrati di Palazzo Spada hanno osservato che, pur dandosi atto dell’orientamento che individua nell’ambito delle linee guida vincolanti una fonte del diritto di nuovo genere, nondimeno tale riconoscimento suscita perplessità, stante l’assenza di un chiaro fondamento normativo a fronte di una così rilevante (possibile) innovazione del sistema nazionale delle fonti.

Il Consiglio di Stato ha invece ritenuto preferibile la diversa (e, in certo senso, più tradizionale) opzione volta a combinare la valenza certamente generale degli atti in questione con la natura e i caratteri dell’Autorità emanante (l’ANAC), la quale presenta i caratteri tipici di un’Autorità amministrativa indipendente, con conseguente riconoscimento alla stessa delle funzioni (anche) di regolazione proprie delle AAI in generale.

Pertanto il Consiglio ha ritenuto maggiormente plausibile la configurazione delle linee guida come tipici atti di regolazione di un’Autorità amministrativa indipendente.

Una siffatta configurazione, secondo il Collegio:

i) non pregiudica, ma anzi riconferma, gli effetti vincolanti erga omnes di tali atti di regolazione; ii) consente di estendere anche a tali atti le garanzie procedimentali e di qualità della regolazione che in generale devono essere assicurate nell’ambito dell’esercizio dell’attività di regolazione delle AAI (si pensi al generale obbligo di far precedere l’adozione di tali atti da una consultazione pubblica); iii) consente di estendere anche a tale tipologia di atti gli obblighi di conoscibilità e preventiva pubblicità che tipicamente devono essere soddisfatti a fronte degli atti di regolazione delle Autorità di settore. Una parte degli osservatori ha invece osservato che l’approccio proposto dal Consiglio di Stato non risulti a propria volta esente da profili di criticità e che si configuri come una vera e propria ‘forzatura ermeneutica’14.

Si è osservato al riguardo che, nonostante l’apprezzabilità dello sforzo profuso dal Consiglio di Stato di negare il carattere regolamentare delle linee guida vincolanti e di ricondurle all’ambito (più tradizionale e in qualche misura rassicurante) della regolazione propria delle AAI, nondimeno sarebbero nel caso in esame carenti le tipiche condizioni che legittimano – secondo l’id quod plerumque accidit – l’esercizio di una siffatta attività di regolazione (come, ad esempio, l’assoluta tecnicalità e settorialità dell’ambito sostanziale oggetto di regolazione e l’esigenza di sottrarre lo stesso ambito di regolazione all’intervento del Governo).

Ad avviso di chi scrive, non è possibile allo stato risolvere in modo univoco in un senso o nell’altro le questioni relative alla configurabilità delle linee guida dell’ANAC quali regolamenti in senso sostanziale ovvero quali tipici atti di regolazione di un’Autorità amministrativa indipendente.

Si tratta di questione obiettivamente opinabile, foriera di un gran numero di implicazioni e che spetterà alla giurisprudenza dirimere (in modo – si auspica – definitivo).

Ad avviso di chi scrive, comunque, la questione può essere adeguatamente impostata rifuggendo da tentativi di sistematizzazione concettuale di carattere generale ed onnicomprensivo e aderendo – al contrario – a un approccio in base al quale il dubbio qualificatorio deve essere risolto in base alle peculiarità del caso concreto e in relazione alla singola fattispecie.

In tal modo si potrà (rectius: si dovrà) riconoscere valenza regolamentare al contenuto delle linee guida che risultino idonee ad introdurre un comando generale ed astratto nonché evidentemente idoneo ad integrare l’ordinamento giuridico (sulla base di un approccio tanto consolidato da non richiedere qui alcun ulteriore approfondimento). Al contrario, le linee guida vincolanti manterranno i caratteri tipici di un atto amministrativo generale tutte le volte in cui le relative prescrizioni risultino idonee a regolare un novero ampio (ma pur sempre definito) di vicende giuridiche.

Le linee guida vincolanti e il (falso) mito della soft law

La genesi e l’emanazione del nuovo codice sono state precedute da un dibattito ampio ma del tutto peculiare, nel cui ambito la necessità di adottare il nuovo testo è stata supportata da argomenti tanto fortemente sostenuti quanto – a ben vedere – contraddittori fra loro.

È il caso, ad esempio, dell’esigenza di fondare il nuovo sistema di regolazione sul modello della ‘soft legislation’ (un modello che, come si è già anticipato, ha riscosso nel dibattito degli ultimi mesi un successo tanto incontrastato quanto – probabilmente – fondato sulla non esatta comprensione della sua portata effettiva e dei fenomeni ad esso sottostanti)15. Ed infatti, se si fosse svolta sul punto un’indagine alquanto più approfondita, ci si sarebbe avveduti del fatto che il richiamo alla figura della soft legislation, pur se semanticamente rassicurante, risultava tuttavia inidoneo a fornire risposte adeguate al tema della regolazione sub-primaria in tema di appalti e contratti di concessione.

Quanto meno, laddove si fosse svolta un’indagine di tal fatta, ci si sarebbe resi conto del fatto che il richiamo ad un ambito di regolazione (quello proprio della soft law) tipicamente caratterizzato dall’assenza di vincolatività16 risultava del tutto incompatibile con un’opzione di politica legislativa (quale quella espressa dalla l. n. 11/2016) la quale militava pur sempre nel senso di demandare all’Autorità di settore un potere di regolazione connotato, in numerosi ed importanti ipotesi, dal canone della vincolatività.

L’ANAC è ancora un’Autorità indipendente?

Particolare interesse sistematico presenta la previsione del co. 5 dell’art. 1 della legge di delega, la quale individua la figura delle linee guida dell’ANAC “approvate” dal decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti come modello paradigmatico (anche se non unico) del sistema di regolazione sub-primaria delineato dalla medesima legge.

Al riguardo si osserva in primo luogo che la comparazione fra la richiamata previsione della legge di delega e l’effettivo contenuto del decreto delegato palesa una evidente discrasia fra il modello delineato come archetipico in sede di delega e il modello (rectius: i modelli) concretamente evincibile dalle previsioni codicistiche. Ed infatti, scorrendo le – circa cinquanta – disposizioni del nuovo codice che espressamente contemplano l’adozione di atti di regolazione sub-primaria, ci si accorge che ben raramente è stato richiamato il modello che, pure, la legge delega sembrava delineare come sostanzialmente paradigmatico.

In secondo luogo (e si tratta di notazione del tutto centrale ai fini di questa parte dell’indagine) si osserva che la previsione secondo cui la regolazione di settore viene demandata a un atto dell’ANAC “approvato” dal Ministero di settore costituisca di fatto un unicum nell’ambito dell’ordinamento, nonché una circostanza di per sé idonea a suscitare dubbi circa l’effettivo grado di indipendenza che caratterizza l’operato dell’ANAC nel cruciale settore della regolazione di settore.

Si è altrove avuto modo di osservare17 che, sotto tale aspetto, la nuova configurazione dei poteri di regolazione demandati all’ANAC sembra presentare caratteri di assoluta novità rispetto al modello che ha sino ad oggi caratterizzato l’esperienza nazionale in tema di disciplina delle Autorità amministrative indipendenti.

In particolare, la scelta legislativa di assoggettare il principale atto di esercizio dell’attività di regolazione ad un potere di sostanziale co-gestione da parte del Ministero di settore appare ben difficilmente conciliabile con l’effettivo riconoscimento dei tipici caratteri di autonomia e indipendenza che devono necessariamente – e, per così dire, in modo ‘fondante’ – caratterizzare l’attività di un’Autorità indipendente che intenda meritare una tale qualificazione.

Ne consegue che il modello regolatorio delineato dal Legislatore del 2016 appare ben difficilmente armonizzabile con il canone stesso di indipendenza dall’esecutivo che tipicamente caratterizza il modello in esame e che fa sorgere interrogativi circa il tendenziale spostamento dell’ANAC dal modello delle Independent Regulatory Agencies di matrice anglosassone verso il diverso (e comunque rilevante) modello delle Agenzie governative di cui agli artt. 8 e ss. del d.lgs. n. 300/199918.

I profili problematici

La repentina entrata in vigore del nuovo codice (per il quale, a causa di una particolare scelta di tecnica normativa, non è stato di fatto previsto alcun periodo di vacatio legis) ha indubbiamente onerato gli operatori di un notevole ‘stress di sistema’19.

In particolare, nel breve volgere di un solo giorno (il 19 aprile 2016) gli operatori di un settore che impiega una parte rilevante del PIL nazionale hanno visto di fatto superati gli esiti della decennale vicenda del codice del 2006.

Ebbene (si parva licet…), problematiche non minori sono state poste dalla scelta del legislatore della delega di imporre (almeno in via di principio) l’immediata ed espressa abrogazione del Regolamento di cui al d.P.R. n. 207/2010 (scelta che, dopo essere stata enunciata con toni enfatici nell’ambito della legge di delega, è stata in seguito solo parzialmente temperata attraverso l’introduzione dell’articolata disciplina transitoria di cui all’art. 216 del nuovo codice).

Ora, il venir meno del punto di riferimento (tutto sommato, sicuro) rappresentato dal Regolamento unico e la sua sostituzione con una pluralità di modelli di regolazione sub-primaria – allo stato di incerta configurazione – hanno introdotto nel sistema elementi di indubbia incertezza i quali stridono in modo piuttosto evidente con gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione che la legge delega ha enunciato con enfasi ed ottimismo illuministico.

Ad avviso di chi scrive, i principali profili problematici connessi al nuovo assetto delle fonti subprimarie operanti nel settore degli appalti e delle concessioni sono almeno cinque.

Il primo ordine di problemi (già anticipato nelle pagine che precedono) è connesso alla vera e propria diaspora dei modelli di regolazione sub-primaria20 che il nuovo codice ha recato con sé21. Il pregresso modello del Regolamento unico è stato criticato aspramente negli ultimi anni della sua vigenza in quanto foriero di incertezze e macchinosità ed è stato sostituito con un modello che, nelle intenzioni dei suoi ideatori, avrebbe dovuto assicurare snellezza, chiarezza e flessibilità.

Tuttavia, i primi mesi di applicazione del nuovo codice (e l’esperienza dell’iter – talvolta decisamente tormentato – di adozione delle nuove linee-guida) inducono ad affermare che, almeno al momento attuale, i richiamati obiettivi non siano stati affatto conseguiti.

Al momento attuale non è neppure ancora chiaro quanti siano i modelli di regolazione introdotti dal nuovo codice e se davvero il modello delle linee-guida dell’ANAC approvate con decreto ministeriale ne costituisca – per così dire – la forma paradigmatica (come, pure, l’art. 1, co. 5 della legge di delega sembrava prefigurare in modo piuttosto assertivo).

È inoltre più che concreto il rischio che, a fronte di disposizioni primarie di pari dignità e livello, le relative regole attuative vengano frammentate secondo un caleidoscopio di modelli disciplinari alcuni dei quali riconducibili al ‘classico’ modello regolamentare (come nel caso dei decreti ministeriali – per così dire – di impostazione ‘tradizionale’), mentre altri risulteranno ascrivibili all’ampio ed indeterminato genus degli atti di indirizzo preordinati alla moral suasion, con ogni conseguente incertezza anche per ciò che attiene l’effettiva giustiziabilità delle posizioni giuridiche riconducibili a tale secondo modello.

Si tenga presente, sotto tale aspetto, che l’art. 213, co. 2 del nuovo codice sembra generalizzare il potere dell’ANAC di emanare linee-guida di carattere non vincolante (con una sorta di previsione pan-tipizzante, la quale prescinde da un puntuale richiamo all’interno del testo). Ciò sta a significare, evidentemente, che le linee-guida non vincolanti che alla fine saranno adottate dall’Autorità di settore potranno essere in numero di gran lunga maggiore rispetto a quello desumibile dalla sola lettura dei – pur numerosi – articoli del nuovo codice.

Il che pone ulteriori problemi in ordine alla prevedibilità e predeterminabilità degli ambiti disciplinari rimessi all’Autorità di settore e, in via mediata, problemi circa l’effettiva compatibilità con il principio della certezza del diritto (anch’esso enunciato con un certa enfasi nell’ambito della legge delega).

Il secondo ordine di problemi (evidentemente, collegato in modo stretto a quello appena esaminato) riguarda la qualificabilità o meno come fonti del diritto delle linee guida e delle numerose altre fonti di regolazione sub-primaria richiamate dal nuovo codice (talvolta, senza che sia neppure chiaramente individuabile il relativo fondamento nell’ambito della legge di delega).

La questione non è solo astratta o di carattere meramente speculativo: si tratta di porre gli operatori del diritto (le imprese, le amministrazioni, i Giudici) in condizione di individuare in modo certo ed esatto quale sia la regula iuris idonea a disciplinare ciascuna fattispecie concreta e di comprendere in modo chiaro ed agevole quando la disposizione in parola presenti carattere normativo (con i consueti caratteri della generalità, dell’astrattezza e dell’innovatività) e quando, invece, ci si ponga nel diverso ambito della persuasione morale (la quale, evidentemente, rappresenta un parametro ab initio metagiuridico, potenzialmente foriero di confusione applicativa e, in ultima analisi, di un minor grado di certezza e civiltà giuridica).

Ebbene, mentre può affermarsi con un ragionevole grado di certezza la qualificabilità come regolamenti in senso sostanziale (e quindi come fonti del diritto in senso proprio) dei decreti ministeriali di cui all’art. 1, co. 5 della legge di delega (pur essendo dubbia la loro riconducibilità al modello proprio dell’art. 17 della l. n. 400/1988 sull’attività normativa del Governo), al contrario sorgono dubbi rilevanti sulla qualificabilità delle linee guida dell’ANAC.

Certamente da escludere è il carattere normativo delle linee guida di carattere non vincolante, le quali potranno nondimeno rilevare quali criteri orientatori della discrezionalità rimessa alle amministrazioni.

Inoltre, nonostante il carattere non normativo delle indicazioni ivi rinvenibili, vi è da ritenere che graverà sull’amministrazione che intenderà discostarsi dalle relative previsioni un onere motivazionale particolarmente pregnante.

Ben più complessa è la questione della qualificabilità come fonti del diritto (ovvero come atti amministrativi generali) delle linee guida di carattere vincolante.

Laddove si propendesse per la prima opzione si dovrebbe ritenere che tali linee guida siano idonee ad integrare ed innovare l’ordinamento giuridico con precetti di carattere generale ed astratto. Laddove, invece, si propendesse per la seconda di tali opzioni, le linee guida dell’ANAC sarebbero assimilabili ad atti privi di generalità ed astrattezza e idonei a regolare – senza carattere di innovatività – un numerus clausus di ipotesi.

Nel suo parere allo schema di decreto delegato del 1° aprile 2016 il Consiglio di Stato ha ritenuto che gli atti in questione non possano essere considerati quali atti normativi di carattere atipico, bensì come atti di regolazione del tipo di quelli adottati dalle autorità amministrative indipendenti.

Tale ricostruzione, tuttavia, non appare del tutto persuasiva in primis perché difettano nel caso in esame i presupposti e le condizioni che generalmente legittimano la devoluzione alle ANR di un potere sostanzialmente regolatorio (come, ad esempio l’assoluta indipendenza e terzietà del soggetto regolatore o la sussistenza di puntuali previsioni abilitanti nell’ambito dell’ordinamento eurounitario).

Concludendo sul punto, si può affermare che il tema della qualificabilità delle linee guida dell’ANAC come fonti del diritto di carattere regolamentare presenta, allo stato attuale, aspetti di perdurante incertezza.

Il terzo ordine di problemi, emerso dall’esame delle prime linee-guida adottate dall’ANAC all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice deriva dalla formulazione testuale di tali atti.

Ed infatti, nel predisporre le linee guida (sia di carattere vincolante che non) l’ANAC ha utilizzato in modo sostanzialmente indistinto una tecnica discorsiva, caratterizzata da periodi lunghi, esemplificazioni e, sovente, dalla pura e semplice riproduzione dei testi legislativi di riferimento.

Una siffatta tecnica redazionale (che potrebbe risultare del tutto giustificata laddove ci si trovasse al cospetto di pure e semplici circolari esplicative, essenzialmente prive di valenza integrativa dell’ordinamento) risulta invece foriera di difficoltà in specie laddove si tratti di linee guida di carattere vincolante, in quanto tali deputate ad integrare con valenza erga omnes il precetto primario.

La prima criticità connessa a una così peculiare tecnica redazionale consiste nella difficoltà di desumere il precetto all’interno di un testo caratterizzato da oggettiva eterogeneità di contenuti.

La seconda criticità deriva dal rischio che, attraverso una così peculiare tecnica redazionale, si possa finire per rendere vincolante (rectius: per far apparire vincolante) una parte dell’atto che non sarebbe ordinariamente munita di tale carattere.

La terza criticità (forse non del tutto estranea alla mens dei compilatori) deriva dal fatto che, nel dubbio circa la vincolatività o meno di un singolo passaggio delle linee guida, l’operatore possa essere indotto a rispettarne comunque le indicazioni, in tal modo riconoscendovi un carattere di sostanziale vincolatitivà – per così dire – praeter legem.

Ad ogni modo, l’aver utilizzato una tecnica redazionale sostanzialmente indistinta sia per gli atti volti ad integrare l’ordinamento giuridico, sia per quelli destinati a svolgere una mera funzione di indirizzo non aiuta certamente l’interprete ad orientare in modo ottimale e ponderato i propri comportamenti.

Il quarto ordine di problemi (a ben vedere, strettamente connesso a quello appena esaminato) riguarda le ipotesi – allo stato non infrequenti e destinate ad aumentare con il tempo – in cui, nell’ambito delle medesime linee guida siano identificabili sia contenuti vincolanti (in quanto – ad es. – coperti da un’espressa previsione di legge), sia contenuti non vincolanti (in quanto riconducibili alla generale previsione di cui al co. 2 dell’art. 213 del nuovo codice).

Va premesso al riguardo che, secondo un diffuso orientamento, in tutti i casi in cui il Legislatore ha demandato all’ANAC in modo espresso la disciplina completiva di una previsione codicistica, tale statuizione deve essere intesa come introduttiva di una linea giuda vincolante (si pensi, a mo’ di esempio, al co. 5 dell’art. 31 del nuovo codice il quale demanda allo strumento delle linee guida dell’ANAC tre specifici aspetti della complessiva disciplina in tema di RUP).

Ebbene, dall’esame delle prime linee guida emerge con chiarezza che l’Autorità di settore non si sia limitata a disciplinare i soli aspetti individuati ex ante dal Legislatore (e nel cui ambito dovrebbe esaurirsi il carattere della vincolatività), ma abbia regolato ulteriori e diversi aspetti della materia, senza peraltro

indicare in quali punti l’atto presenti un carattere vincolante e in quali si configuri come mero atto di indirizzo.

Ebbene, questa ulteriore peculiarità della tecnica redazionale prescelta dall’Autorità onera l’interprete del complesso (e rischioso) compito di sceverare all’interno del testo le previsioni caratterizzate da diversa efficacia, dissuadendolo di fatto dal discostarsi dal contenuto dell’atto, anche nelle ipotesi in cui sia piuttosto evidente che il suo contenuto esula dai limiti entro i quali il Legislatore ha espressamente abilitato l’emanazione di atti di portata vincolante.

In tali ipotesi (che possono essere ricondotte alla formula delle linee guida ‘a contenuto misto’) sarebbe quanto mai auspicabile che l’ANAC provvedesse ex ante alla selezione e suddivisione dei contenuti dell’atto, al fine di dare conto – in modo trasparente – di quali siano le prescrizioni dotate di effettiva vincolatività e quali si attestino sul diverso – e comunque rilevante – ambito della semplice moral suasion.

Ma, più ancora, intuibili ragioni di chiarezza e trasparenza nell’esercizio della funzione regolatoria richiederebbero di non adottare linee guida di carattere misto, il cui contenuto può certamente indurre nei destinatari l’erroneo convincimento che tutte le previsioni in esse contenute siano dotate del carattere della cogenza.

Il quinto ordine di problemi è connesso alla mancanza di un’effettiva ed organica fase transitoria riferita alla disciplina sub-primaria nella delicata fase di passaggio fra il vecchio e il nuovo codice(con ogni intuibile conseguenza in termini di certezza delle situazioni giuridiche e di continuità dell’azione amministrativa e dell’operatività delle imprese che agiscono nei delicatissimi settori degli appalti e delle concessioni).

Gli estensori della legge delega (probabilmente non del tutto consapevoli delle conseguenze connesse ad orientamenti ispirati a puro massimalismo, anche per ciò che riguarda l’entrata in vigore del decreto delegato) avevano inizialmente delineato un sistema secondo cui l’abrogazione del Regolamento n. 207 era draconianamente connessa in modo diretto ed automatico all’entrata in vigore del ‘decreto di riordino’ (i.e.: del nuovo codice), praticamente in assenza di una fase transitoria.

Tuttavia, in sede di stesura del nuovo codice, è emersa l’insostenibilità di tale posizione ed è stata sancita la sostanziale ultrattività di numerose fra le disposizioni di cui al d.P.R. n. 207 sino all’adozione delle nuove ‘linee giuda’ o degli altri atti di regolazione sub-primaria disciplinanti ex novo la materia (solo a mo’ di esempio si richiamano qui le previsioni in tema di requisiti delle società fra professionisti e di ingegneria – art. 24, co. 2 del nuovo codice – o di definizione dei compiti specifici del RUP – ivi, art. 31, co. 5 –).

Si osserva, tuttavia, che nonostante il prudente (e condivisibile) accorgimento appena richiamato, la complessiva fase transitoria che segnerà il passaggio dal vecchio al nuovo sistema di regolazione sub-primaria risulta caratterizzata da aspetti di incertezza, da un passaggio – per così dire – ‘a singhiozzo’ e dalla vigenza, nelle more, di un sistema disciplinare in cui il nuovo e il vecchio assetto disciplinare si combineranno per un lungo tempo in modo asistematico e disomogeneo.

Note

1 Si tratta, come è noto, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, della n. 2014/23/UE sulle concessioni e della direttiva 2014/25/UE sui cd. ‘settori speciali’ (già ‘settori esclusi’).

2 Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, in www.giustizia-amministrativa.it.

3 Le criticità in parola e l’intento del loro superamento sono richiamate in modo espresso dal parere in data 1° aprile 2016 reso sullo schema di nuovo codice dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, che così ha avuto modo di esprimersi: «la filosofia ispiratrice della presente codificazione, quale si desume dai criteri di delega, è quella di un codice chiaro e sintetico, ancorché completo ed esaustivo sul livello primario, affidando il completamento della disciplina a un sistema attuativo più snello e flessibile rispetto al modello tradizionale del regolamento unico di esecuzione e attuazione, che ha sinora avuto il duplice inconveniente di:

• recare una molteplicità di norme di dettaglio, non sempre necessarie o utili;

• rappresentare una complessità contenutistica e procedimentale che ne ha comportato l’adozione con enorme ritardo rispetto alla legge primaria (il regolamento esecutivo della legge Merloni del 1994 fu varato solo nel 1999; il regolamento di esecuzione e attuazione del codice del 2006 fu varato solo nel 2010).

Il livello di difficoltà procedurale di adozione del regolamento è stato, nella prassi recente, tale da indurre non di rado il legislatore a modificare il regolamento con legge, rivelandosi paradossalmente più veloce il procedimento legislativo di quello regolamentare, e producendosi una non corretta rilegificazione di singole disposizioni di una fonte di rango secondario».

4 Cons. St., comm. spec., 1.4.2016, n. 855, paragrafo II.f).2.

5 Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’, cit., par. 2.

6 Sul punto si rinvia a quanto sarà esposto nel paragrafo che segue.

7 Ai sensi di tale disposizione, infatti, «l’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche».

8 Basti qui citare, solo a mo’ di esempio: a) il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministeri dell’economia e delle finanze, previo parere del CIPE e sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 21, co. 8; b) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti di cui all’art. 22, co. 2); c) il decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di cui all’art. 23, co. 3. E l’elenco, evidentemente, potrebbe continuare.

9 Sul punto – ex multis –: Caretti, P., Introduzione, in Id., (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2003-2004. I poteri normativi delle autorità indipendenti, Torino, 2005, XV; Bilancia, P., Riflessi del potere normativo delle autorità indipendenti sul sistema delle fonti, in Dir. soc., 1999, 261 ss.

10 La dottrina ha di recente dedicato notevole attenzione alla figura sistematica delle linee guida, e ciò anche al di fuori del limitato campo di indagine costituito dall’operatività dell’ANAC. Al riguardo è importane richiamare la recente monografia di Italia, V., Le linee guida e le leggi, Milano, 2016.

11 Morbidelli, G., Le linee guida dell’ANAC: comandi o consigli?, Relazione tenuta al 62° Convegno di studi amministrativi di Varenna (settembre 2016).

12 Morbidelli, G., Le linee guida, cit.

13 Buonauro, C., La disapplicazione degli atti amministrativi fra prassi e dottrina, Napoli, 2004, passim.

14 Deodato, C., Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto?, in www.giustizia-amministrativa.it.

15 Sia nuovamente consentito rinviare a Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’, cit., par. 3.4 ove si è avuto modo di evocare il vero e proprio “mito della soft regulation”.

16 Morettini, S., Il soft law nelle autorità indipendenti: procedure oscure e assenza di garanzie?, in Osservatorio sull’AIR.

17 Contessa, C., Dalla legge delega, cit., par. 3.3.

18 Contessa, C., op. loc. cit.

19 Come è noto, il nuovo codice è stato pubblicato il 19 aprile 2016 ed è entrato in vigore lo stesso giorno. Evidentemente, la scelta di non prevedere alcuna vacatio legis per l’entrata in vigore di un testo di tale importanza e complessità non risulta congrua né realisticamente giustificata dall’esigenza di evitare l’apertura di una procedura di infrazione per il tardivo recepimento del ‘pacchetto appalti-concessioni’ (il cui termine di recepimento, effettivamente, scadeva il 18 aprile 2016).

Ed infatti, quand’anche si fosse atteso l’ordinario termine di quindici giorni per l’entrata in vigore del testo (art. 10, disp. prel. c.c.), non vi sarebbe stato alcun rischio di avvio di una procedura comunitaria di infrazione. La fretta nell’imporre l’immediata entrata in vigore del nuovo codice sembra quindi essere stata dettata da pure ragioni mediatiche.

20 Sul punto sia nuovamente consentito rinviare a Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’, cit., par. 3.4.

21 Giuseppe Morbidelli ha di recente rilevato l’accentuato polimorfismo che caratterizza la vera e propria alluvione di linee guida che di qui a breve travolgerà il sistema regolatorio nazionale (Le linee guida dell’ANAC: comandi o consigli?, cit.).

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