La responsabilità patrimoniale. Sovraindebitamento dei debitori

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

La responsabilita patrimoniale. Sovraindebitamento dei debitori

Francesco Macario

La responsabilità patrimoniale
Sovraindebitamento dei debitori “non fallibili”

Anche nel nostro ordinamento è stata finalmente introdotta una disciplina che vorrebbe permettere al debitore comune (il destinatario è il debitore “non fallibile”) di conseguire l’effetto esdebitatorio, con una normativa che può certamente definirsi di sistema e che offre, in tal modo, a tutti i debitori (e non soltanto, come in passato, al solo imprenditore soggetto alla legge fallimentare) di “ripartire”, usufruendo di una nuova possibilità, ossia di un fresh start, secondo l’espressione invalsa nel gergo anglosassone, senza rimanere incatenati a una situazione debitoria divenuta ingestibile con il solo ausilio dei tradizionali strumenti dell’autonomia privata, già peraltro ampliati e rafforzati dalla riforma del diritto fallimentare.

La ricognizione

Intitolata «Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento» e dichiaratamente indotta dall’emergenza creata dalla crisi economica, in congiunzione con il secondo fattore d’ordine pratico e contingente, riconducibile all’inusuale attivismo governativo, la l. 27.1.2012, n. 3 ha introdotto il capo II specificamente dedicato al «procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento».

Può dirsi, in prima approssimazione, che la genesi della normativa – certamente individuabile nella proposta cd. “Centaro”, di qualche anno fa, – sia rinvenibile nell’incisiva novella (maturata a tappe e idealmente completata proprio da questo ultimo intervento legislativo) relativa alle procedure concorsuali, nel solco della quale l’attuale legge deve essere quindi compresa e analizzata, piuttosto che poter contare su un vero e proprio dibattito scientifico, rivelatosi in questa materia soltanto episodico, ancorché piuttosto risalente1: una proposta di legge, dapprima, e una legge (sia pure ancora incompleta) poi, che avrebbero voluto e dovuto rispondere alla diffusa insoddisfazione per non avere disciplinato il legislatore della riforma anche l’insolvenza del cd. “debitore civile”2. La proposta “Centaro” aveva suscitato peraltro qualche reazione (a ben vedere, prevalentemente critica) tra gli studiosi della materia concorsuale3, ed era stata riesumata da un decreto legge di fine dicembre, recuperato poi dalla legge nei suoi contenuti sostanziali4, mentre si attende un testo (auspicabilmente definitivo) arricchito da un successivo – ancora in itinere, al momento delle presenti notazioni – intervento volto a conferire autonoma rilevanza, sul piano sostanziale e procedurale, alla figura del “consumatore”5.

1.1 La nuova disciplina nel sistema del diritto dell’insolvenza

Si diceva della rilevanza della riforma della legge fallimentare e del diritto concorsuale più in generale, per la comprensione della disciplina sul sovraindebitamento e della relativa procedura (o procedure, se e quando maturerà l’integrazione con le norme per il consumatore) per realizzare l’esdebitazione, ancorché sul punto siano state subito sollevate perplessità (in quanto il risultato non sarebbe “endoprocedurale”, ma dipendente dall’adempimento delle obbligazioni assunte con l’accordo)6. Non casuale era stata perciò la scelta del mezzo tecnico ritenuto più adeguato a permettere il raggiungimento dell’ambizioso risultato – in tempi di crisi economico-finanziaria ancor più complesso, s’è appena detto, ove affidato soltanto all’autonomia, e al tempo stesso improcrastinabile – ossia l’accordo di ristrutturazione, introdotto con la riforma del diritto fallimentare attraverso l’art. 182 bis l. fall. e oramai piuttosto collaudato nella prassi, così come nella giurisprudenza dei tribunali fallimentari, mentre il legislatore continua, per parte sua, ad apportare innovazioni alla disciplina degli accordi stessi, così come del concordato preventivo7.

In sede di prime valutazioni, ancora quasi “a caldo”, si può dire che opportunamente il legislatore abbia ritenuto di valorizzare l’accordo per la ristrutturazione dei debiti quale espressione di una moderna concezione dell’autonomia privata, la quale si trova, in un campo così delicato come quello della crisi d’impresa – si potrebbe dire, per certi versi, anche poco battuto in passato dall’autonomia privata, essendo sempre prevalse concezioni che possono oggi considerarsi superate: quella sanzionatoria dell’insolvenza commerciale e quella dirigistica delle procedure necessarie alla gestione dei suoi effetti8 – ad essere “assistita” da un procedimento giurisdizionale, che fa capo (e, in un certo senso, si limita) alla decisione sull’omologazione, piuttosto che svolgersi all’interno di un percorso interamente disciplinato dalle regole procedurali. In tal modo, sarebbe contenuta al minimo la presenza del momento di controllo giurisdizionale con un’incisione lato sensu pubblicistica dell’atto di autonomia che, compiendosi ex ante sul programma di “risanamento” della sovraesposizione debitoria, può valere a neutralizzare i rischi derivanti da quella sorta di spada di Damocle costituita dall’azione revocatoria fallimentare (anch’essa ineliminabile nel sistema della responsabilità patrimoniale, benché depotenziabile, ed effettivamente ammorbidita e quasi vanificata dalla riforma, già dal suo “primo atto” del 2005), oltre che dall’imputazione di concorso in bancarotta preferenziale.

Nella medesima logica riformistica del diritto fallimentare, l’intervento inteso a completare l’attuale normativa con le regole relative al sovraindebitamento del consumatore fa capo (anziché all’accordo, che varrà per tutti i “non consumatori”) al “piano” di risanamento, riecheggiando così la fattispecie di cui all’art. 67, lett. d), l. fall., coniata dal legislatore con finalità evidenti, comprensibili dalla stessa collocazione della previsione all’interno della disciplina sulla revocatoria fallimentare. Il piano attestato, di cui all’art. 67 l. fall., non può prescindere – nei suoi aspetti funzionali, evidentemente – dal consenso dei creditori (ancorché se ne sia talvolta enfatizzata la sua natura di atto unilaterale, come se avesse un qualche senso sganciare il piano dall’intero contesto del “risanamento” in cui il piano dovrebbe operare), ma rappresenta uno stadio precedente e, se si vuole, più espressivo dell’autonomia privata pura, ma è evidente che nel nuovo sistema dell’esdebitazione, con una sorta di corsia preferenziale per il consumatore, esso sia interamente inserito nella procedura9.

Si è detto più volte che la nuova disciplina di accordi e piani attestati – se non altro, quanto ai loro effetti benefici per il debitore e le sue controparti contrattuali – avrebbe dovuto incentivare, in linea di principio, il ricorso a tali strumenti di gestione della crisi preventivi e alternativi al fallimento, ma il discorso potrebbe valere molto meno per il “debitore civile”, sicché non è mancato chi ha voluto mettere in guardia da facili entusiasmi, in quanto l’effettività dei vantaggi derivanti dalla nuova normativa e del ricorso alla stessa è attesa alla prova dei fatti10. Rimane la considerazione di fondo della “procedimentalizzazione” della conclusione dell’accordo (con la modifica in itinere, anche del piano), sicché lo strumento rinvenuto dal legislatore non può esaurirsi nella manifestazione del consenso, che vale di regola a “concludere” il contratto – mentre nel caso della procedura in esame rileva, forse non a caso, il “raggiungimento” dell’accordo, secondo la terminologia, prima facie anomala nel linguaggio tradizionale del diritto civile, dell’art. 11 – e richiede un articolato iter, scandito per stadi di avanzamento11, del quale è stata denunciata la “a-concorsualità”, non essendovi, almeno allo stato della normativa, la compressione dei diritti dei creditori estranei12.

La focalizzazione

Si analizzano di seguito i requisiti soggettivi ed oggettivi di applicazione della normativa e si passano in rassegna i momenti essenziali della procedura.

2.1 L’ambito soggettivo di applicazione

L’ambito di applicazione della normativa è definito con riferimento alle situazioni (di sovraindebitamento) «non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali» (art. 6, co. 1), ma è evidente che sono (non già le situazioni, bensì) i soggetti, ossia i debitori, ad essere o non essere assoggettati o assoggettabili alle procedure concorsuali, mentre l’intento del legislatore non è equivocabile nel senso di offrire una tutela a tutti i debitori che non potrebbero essere sottoposti ad alcuna procedura concorsuale, con un primo problema relativo agli enti non commerciali, quali associazioni e fondazioni, che di fatto esercitino un’attività d’impresa (talvolta di rilevanti dimensioni, come nella recentissima vicenda dell’Ospedale milanese San Raffaele) e sono pertanto assoggettabili al fallimento e alle altre procedure concorsuali, secondo il consolidato insegnamento di dottrina e giurisprudenza13.

Se un’ulteriore questione avrebbe potuto porsi nei confronti dell’imprenditore agricolo, oramai ammesso alla proposizione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti14, è chiaro che la figura centrale del dibattito sul sovraindebitamento è il debitore civile, in veste di “consumatore”, espressione dell’indebitamento delle famiglie15. Nei dibattiti che si sono succeduti negli ultimi anni, in relazione ad un’eventuale disciplina del sovraindebitamento, il debitore che veniva di norma considerato, come meritevole di una particolare tutela, in funzione delle implicazioni sistemiche – come si è soliti dire – dell’indebitamento diffuso e non gestibile da parte del singolo debitore, era infatti il consumatore. La normativa, in quella che potrebbe essere una “prima versione” (in attesa della riforma) rifiuta di costruire un’ulteriore forma di particolarismo giuridico, che si sarebbe potuto realizzare sul duplice piano, sostanziale e processuale con una sorta di “riserva” a favore del consumatore e si rivolge pertanto al debitore tout court (purché, s’è detto, non soggetto o assoggettabile a fallimento o altra procedura concorsuale). Allo stato, perciò, si può dire che la qualità di consumatore non rilevi in modo specifico, potendosi esimere in tal modo l’interprete dall’interrogarsi sulla specificità della sua tutela anche sul piano processuale16.

L’opzione “generalista” allo stato adottata dal legislatore, con il soggetto avente titolo ad accedere alla procedura definito soltanto in negativo, avrebbe anche potuto essere apprezzata, non ponendosi in tal modo problemi con la definizione del “consumatore”17. Dal novero dei debitori tout court, così, rimangono esclusi soltanto gli imprenditori commerciali che, individualmente o in forma societaria, presentino i caratteri dell’assoggettabilità (in astratto) alla legge fallimentare (verificabile sulla base della documentazione da depositare con la proposta, ex art. 9)18. In concreto, hanno titolo per accedere alla procedura, pertanto: a) le persone fisiche che non esercitino un’attività d’impresa commerciale; b) gli imprenditori commerciali esclusi dal fallimento, in ragione dei requisiti dimensionali, ossia rientranti all’interno delle “soglie di fallibilità” ex art. 1, l. fall.; c) i piccoli imprenditori, ai sensi dell’art. 2083 c.c.; d) gli imprenditori esercenti un’attività agricola, ai sensi dell’art. 2135 c.c.; e) gli enti non commerciali, con la specificazione appena ricordata, relativamente ai soggetti esercenti di fatto un’attività d’impresa; f) i soci di società di persone, assoggettabili al fallimento della società in estensione, ai sensi dell’art. 147 l. fall.19.

All’ampiezza del ventaglio dei soggetti legittimati a promuovere la conclusione del contratto e l’attivazione del procedimento, fa riscontro un solo requisito preclusivo, ossia l’aver già fatto ricorso alla procedura, nei precedenti tre anni, manifestando in tal modo il debitore il suo carattere in un certo senso recidivo (art. 7, co. 2). Si evidenzia, in questo modo, la rilevanza del criterio della “meritevolezza” nel soggetto richiedente l’ammissione alla procedura di esdebitazione, mentre la disciplina del disegno di legge allunga il periodo della recidiva a cinque anni e aggiunge altri requisiti (negativi)20, nel tentativo di trovare il giusto equilibrio tra il necessario incentivo per il debitore ad avvalersi della procedura e la (altrettanto irrinunciabile) funzione deterrente delle norme nei confronti delle utilizzazioni strumentali e reiterate del beneficio, secondo una logica di politica del diritto condivisa un po’ dappertutto, ancorché le modalità e le tecniche operazionali siano diverse.

2.2 L’ambito oggettivo di applicazione

All’individuazione del requisito soggettivo – realizzata, s’è visto, in negativo – fa seguito la previsione dell’elemento oggettivo, ossia il “sovraindebitamento”, che necessita di una definizione da parte del legislatore, non esprimendo il termine un concetto giuridico univoco e comunque sedimentato, come quello che fa capo all’insolvenza e, dopo la riforma della legge fallimentare, alla crisi, che dalla sua matrice prettamente aziendalistica, ove figura in diverse varianti, ha ormai acquisito piena cittadinanza anche nel discorso giuridico21. Anche l’idea di sovraindebitamento non necessità di particolari chiarimenti nell’ambito delle scienze economico-aziendali, così come nell’analisi sociologica della propensione al consumo, e dunque dei comportamenti dei consumatori. La definizione adottata dal legislatore è comprensibilmente basata su una visione “statica”delle condizioni economiche in cui versa il debitore, dovendo riguardare il debitore comune e comunque l’intera classe dei debitori, ad eccezione di quelli fallibili, ossia gli imprenditori commerciali medio-grandi. In tal senso, il presupposto oggettivo per l’accesso alla procedura è dato dal «perdurante squilibrio» tra le obbligazioni e il patrimonio del debitore, con la precisazione che quello da considerare, ai fini della procedura, è il patrimonio “liquidabile”, cioè quella parte di patrimonio che consentirebbe di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni22. Se ogni bene o diritto potrebbe dirsi, almeno in linea di principio, astrattamente liquidabile, è evidente che il rapporto tra esposizione debitoria e patrimonio ha un senso soltanto considerando il patrimonio agevolmente monetizzabile23.

Ci si potrebbe anche interrogare sull’utilità, al di là dell’ormai consueta redazione delle leggi con le definizioni poste in premessa, dell’esplicitazione del concetto di sovra indebitamento, posto che la tendenza dell’ordinamento, manifestata anche con la disciplina in esame, è certamente nel senso di ampliare quanto più possibile il raggio d’azione della normativa, destinata a coprire tutta l’area della crisi e dell’insolvenza che non sia già presidiata dal fallimento, dalla liquidazione coatta ovvero dell’amministrazione straordinaria, come espressione della sempre più radicata fiducia del legislatore nelle procedure negoziate di gestione della crisi. L’ampliamento dell’accesso alla procedura, unitamente al fatto che il motore di quest’ultima è la proposta dello stesso debitore (al contrario di quanto normalmente accade nelle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare) induce a ritenere che, ove il debitore si qualifichi “sovraindebitato”, sia superfluo qualsiasi sforzo ermeneutico volto a interpretare il significato delle espressioni generali adoperate dal legislatore, necessariamente da contestualizzare24. Altro è, infatti, il controllo della sussistenza del presupposto oggettivo per accedere alla procedura quando l’insolvenza è addotta dal creditore (mentre è contestata dal debitore), altro è la stessa verifica quando è il debitore stesso ad accedere alla procedura, dovendo in tal caso soltanto valutare l’eventuale abuso del ricorso alla procedura per l’esdebitazione, in considerazione delle circostanze concretamente sussistenti nel caso specifico.

Che la definizione del presupposto oggettivo non costituisca una necessità può essere comprovato, del resto, dal confronto con altre esperienze giuridiche, come, ad esempio, quella tedesca25, quella spagnola26, ma anche quella inglese, nonché quella nordamericana27, mentre in modo diverso ha ragionato il legislatore francese, che utilizza il termine «surrendettement» proprio per definire la parte del Code de la consommation (artt. L. 330-1 ss.) dedicata alla procedura in esame28. Saranno pertanto i creditori destinatari della proposta, chiamati a decidere se diventare o non parti dell’accordo proposto dal debitore “sovraindebitato”, gli unici a poter (e dover) esprimere la loro valutazione sulla meritevolezza della situazione del debitore, ai fini della conclusione del contratto che prelude all’attivazione della procedura, senza che il Tribunale sia chiamato a svolgere un rigoroso controllo sulla sussistenza dei presupposti – al di là di quello soggettivo, s’intende – rimanendo allo stesso comunque la decisione in sede di omologazione, alla luce degli altri elementi nel frattempo acquisiti (in una valutazione, s’è detto, che non potrà non considerare il carattere eventualmente abusivo e strumentale della procedura nel caso concreto, con le conseguenze previste dalla normativa).

2.3 I momenti essenziali della procedura

La procedura non può essere ripercorsa nei dettagli e ci si limiterà ad alcune riflessioni generali sui punti nodali, a cominciare dalla previsione intitolata «presupposti di ammissibilità», ma che in realtà disciplina i contenuti della proposta, esigendo innanzitutto il legislatore che, con la domanda, sia presentato un “piano” tale da assicurare «il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso, compreso l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati» (art. 7). Il piano «può anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un fiduciario per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori» (art. 7), nonché «una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori estranei», se ricorrono cumulativamente alcune specifiche seguenti condizioni (ossia idoneità ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine, affidamento dell’esecuzione a un liquidatore nominato dal giudice su proposta dell’organismo di composizione della crisi, garanzia del pagamento dei titolari di crediti impignorabili, art. 8). Nel disegno di legge modificativo le modifiche non sono irrilevanti: a) scompaiono i creditori estranei, posto che il raggiungimento dell’accordo (di cui all’art. 11, v. infra) vincolerebbe l’intero ceto creditorio, nella logica concordataria che si tende a far prevalere per risolvere l’attuale ambiguità della disciplina; b) diviene possibile soddisfare non integralmente i creditori privilegiati, pignoratizi e ipotecari applicando i criteri fissati dalla legge fallimentare29; c) è esclusa la falcidia di alcuni debiti tributari, per i quali rimane possibile prevedere soltanto la dilazione del pagamento30.

La norma relativa al contenuto dell’accordo (o del piano del consumatore, secondo il disegno di legge in corso di elaborazione) conferma l’opzione del legislatore nel segno dell’atipicità (dei contenuti) della proposta del debitore (già manifestata nella riforma della legge fallimentare, con riferimento alla proposta concordataria), nel momento in cui si affianca alla ristrutturazione dei debiti «la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei redditi futuri», da intendere questi ultimi come crediti futuri (e in tal senso è la correzione prevista dal disegno di legge), che costituiscono spesso, con riferimento tanto all’azienda, quanto al patrimonio del debitore individuale civile l’unico bene o diritto di cui il debitore può concretamente disporre. Sono note la complessità e la frequenza delle controversie in ambito concorsuale fallimentare nel momento in cui vi siano atti di disposizione concernenti crediti futuri, non ancora sorti al momento dell’apertura della procedura, in termini di opponibilità (soprattutto nei casi di cessioni in blocco, spesso poste in essere con una pressoché evanescente determinazione dell’oggetto dell’atto di disposizione, che non ne consente neanche la determinabilità alla stregua degli elementi presenti nell’atto di cessione), ma gli orientamenti giurisprudenziali maturati in materia dovrebbero essere d’ausilio nelle situazioni – in ipotesi, più semplici – in cui sia coinvolto il debitore civile.

Nella stessa previsione “contenutistica” rientra altresì la norma (espressa in una singolare forma di dovere ma anche di auspicio, piuttosto che in forma di premessa e conseguenza) relativa all’intervento del terzo, «nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano», si prevede che la proposta «deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo». A parte l’improprietà del termine «conferimento», sembrerebbe che il terzo possa (e, ovviamente, non debba) impegnarsi come garante in forma tanto personale (quale fideiussore, ad esempio) quanto reale (come terzo datore d’ipoteca), in quest’ultimo caso, eventualmente, anche attraverso un atto di destinazione di un bene (il cui modello normativo sarebbe rinvenibile nell’art. 2645 ter c.c.), non previsto espressamente, ma che, in ipotesi, potrebbe rivelarsi funzionale allo scopo, purché risulti «sufficiente per l’attuabilità dell’accordo» (o del piano del consumatore), e sempre con la precisazione che l’impegno assunto sarà sempre soggetto a una condizione (da ritenersi implicita, qualora non risultasse espressamente nella proposta) di efficacia costituita dall’omologazione (di cui all’art. 12). Potrebbe essere opportuno, in sede di eventuale modifica, consentire che la proposta (o il piano del consumatore) preveda una sorta di moratoria per un tempo congruo (ad esempio, sino a un anno), al fine di rendere concretamente possibile l’attivazione e lo svolgimento della procedura. Della moratoria si occupa, tuttavia, già la normativa vigente nella disposizione successiva.

Depositata la domanda, con la documentazione richiesta per l’esame della complessiva situazione economica (art. 9)31, il tribunale si attiva per dare seguito alla procedura con un’udienza in cui il giudice, se non ravvisa iniziative o atti in frode ai creditori, dispone che, per non oltre centoventi giorni, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore (art. 10), non operando peraltro la sospensione nei confronti dei titolari di crediti impignorabili32.

Nel testo in vigore, del quale è stata denunciata non a torto l’ambiguità (tra accordo e concordato), l’omologazione (dell’accordo) è subordinata all’adesione di creditori rappresentanti almeno il settanta per cento dei crediti (art. 11). Nella prospettiva riformatrice, tuttavia, la logica è quella concordataria, sicché permarrebbe la previsione di una maggioranza qualificata (il sessanta per cento), ma l’accordo così raggiunto sarebbe vincolante per tutti, salvo sempre il pagamento integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca33.

Sul piano degli effetti, una disposizione non condivisibile nella logica dell’accordo – perciò subito criticata34, mentre la valutazione sarebbe diversa se prevalesse (con la riforma in itinere la ratio concordataria) – esenta dagli effetti dell’accordo i coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso (non potendosi ragionare negli stessi termini, per l’accordo in questione e per il concordato preventivo, ove si prevede analoga norma). Si dispone poi che l’accordo non determina la novazione delle obbligazioni (salvo che sia diversamente stabilito) e che lo stesso è «revocato di diritto» – con dizione non soltanto atecnica, ma impropria – «se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie» (art. 11), cui la novella sempre aggiungerebbe gli atti di frode rispetto alle ragioni dei creditori.

Completato il procedimento di omologazione (art. 12), in cui la riforma in corso di elaborazione potrebbe inserire la previsione del cd. “cram down”, mutuata dalla normativa sui concordati presente nella legge fallimentare (di modo che il dettato normativo sia coerente con la logica concordataria, che la riforma vorrebbe imprimere alla vicenda)35, l’accordo deve essere eseguito, eventualmente con l’ausilio di un liquidatore, nominato dal giudice su proposta dell’organismo di composizione della crisi, il quale dispone dei beni pignorati necessari all’esecuzione (art. 13).

Si evidenzia, in particolare in questa fase, il ruolo dell’organismo di composizione della crisi (istituito dal legislatore ad hoc) per la risoluzione delle «eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo», avendo in generale il compito di vigilare «sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità», mentre il giudice interviene sulle contestazioni relative a violazioni di diritti soggettivi e sulla sostituzione del liquidatore (art. 13). L’esecuzione corretta dell’accordo (e del piano, ove la normativa fosse riformata) è presidiata anche dalla sanzione invalidante massima, ossia la nullità, degli atti dispositivi (e il legislatore, per dare enfasi alla disposizione, vi aggiunge anche i pagamenti, che nella logica tradizionale del diritto civile non potrebbero essere, di per sé, nulli) posti in essere in violazione dell’accordo.

Figurano infine, prima della disciplina più specificamente rivolta agli organismi di composizione della crisi, norme sull’annullamento dell’accordo da parte dal tribunale su istanza di ogni creditore, ove risulti «dolosamente aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti» (art. 14). Alla forma di “annullamento” appena ricordata, si pone come alternativa la risoluzione dell’accordo, entro un termine annuale, se il proponente non adempie regolarmente ovvero se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, mentre tanto l’annullamento quanto la risoluzione non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede (art. 14).

La riforma in itinere aggiunge molte regole sostanziali e una procedura ad hoc per il consumatore, il cui esame condurrebbe lontano e in dettagli che in questa sede possono essere rinviati, se non altro in funzione dell’incertezza sull’esito della novellazione.

I profili problematici

Non andata immune dall’ormai inevitabile coro di critiche, che si appuntano su tutti i recenti interventi legislativi – a cominciare, nel caso di specie, da un vizio di fondo, individuabile in quella che è stata non a torto definita una «duplice contaminazione»: a) unico contesto normativo, sostanziale e procedurale, per situazioni non omogenee sul piano socio-economico del debitore “civile” in senso stretto e dell’imprenditore “non fallibile”, per un verso, e b) compromesso tra accordo di ristrutturazione e concordato, che non aiuta alla coerenza delle soluzioni, sempre sul duplice piano sostanziale e procedurale36 –, anche la nuova disciplina sul procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento esprime i tratti dell’opera ancora incompiuta37, comunque bisognosa di un’attenta analisi ermeneutica, affinché il procedimento ivi disegnato possa concretamente funzionare38. Ciò indipendentemente – ma, si direbbe, a fortiori in questa fase probabilmente transitoria – dall’eventuale integrazione (e modificazione di punti nodali, come si vedrà) che potrebbe venire dal disegno di legge attualmente in preparazione, ove entrambe le “contaminazioni” dovrebbero trovare una soluzione (con un procedimento, e delle norme sostanziali, ad hoc per il consumatore da un lato, e la svolta verso l’unica logica concordataria in entrambi i casi, del consumatore e del professionista/imprenditore, con la volontà della maggioranza qualificata dei creditori vincolante anche per la minoranza).

Si dovrà ritornare in chiusura sul punto; occorre tuttavia avvertire subito che, se l’accordo con i creditori (per porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento) è sempre stato possibile, la novità va colta nel fatto che l’ordinamento offre ora al debitore non fallibile una vera e propria “procedura di composizione della crisi”, disciplinandola in modo piuttosto analitico. Per delineare questo percorso non mancavano certo modelli collaudati, con riferimento ad altre esperienze giuridiche, solitamente oggetto di analisi comparativa, che da tempo dispongono di una regolamentazione della crisi e dell’insolvenza del “debitore civile”, a cominciare da quelle per ragioni storiche a noi più prossime (da un lato l’esperienza francese, dall’altro quella tedesca)39; il legislatore ha seguito comunque una propria via, caratterizzata, come appena ricordato, dal compromesso tra la sfera (prettamente ed esclusivamente) negoziale dell’autonomia privata e la dimensione giurisdizionale, in cui si svolge una procedura che ha senza dubbio sue peculiarità (è sufficiente pensare all’istituzione degli organismi di composizione della crisi).

La nuova tipizzazione dell’accordo con i creditori vale a conferire allo stesso una sorta di legittimazione in termini generali, per la sua finalità del «porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento», con il riconoscimento della liceità di principio della “causa” – se si volesse ragionare sulla base delle categorie tradizionali – del contratto concluso tra il debitore e i creditori, in quanto funzionale alla realizzazione di un risultato (non soltanto consentito, ma anche) auspicato dall’ordinamento. Il contratto non potrà non essere sottoposto alla disciplina generale, con la conseguenza che alla stregua di tale normativa dovrebbe esserne valutata la validità, l’efficacia, l’esecuzione e lo scioglimento (fatte salve le deroghe espresse dalle disposizioni specifiche contenute nella legge); la disciplina generale dovrebbe valere anche per la soluzione dei problemi relativi agli effetti del contratto, anche e soprattutto nei confronti dei terzi40.

In sede di prime valutazioni della nuova disciplina, il quesito fondamentale è sulla sua effettività, ossia se questa rafforzi o indebolisca il sistema, tanto in termini giuridici quanto – e forse prioritariamente, in questo particolare frangente – in chiave economica generale, evidenziandosi in tal senso l’esigenza di valutare la vicenda dell’esdebitazione del debitore civile anche alla luce dell’analisi economica del diritto (in particolare, della behavioral law & economics) e in considerazione della cd. “democratizzazione” del credito al consumo (di recente riformato in Europa, per opera della direttiva 2008/48/C, recepita in Italia nel 2010), senza dimenticare che si possono – si dovrebbero, in un seria analisi del problema – pure considerare i «paradossi della discharge»41.

Sul piano più propriamente giuridico formale, tramontata definitivamente l’epoca in cui la dottrina più autorevole, così come, su un altro fronte, la Corte costituzionale, ritenevano che il mercato potesse essere concretamente sensibile soltanto all’insolvenza dell’imprenditore commerciale (non piccolo)42, andrebbero considerati, sempre con lo sguardo al problema della tutela del credito nel suo complesso, a fronte dei vantaggi evidenti nelle stesse finalità della normativa espresse in apertura dal legislatore, gli svantaggi derivanti dal rallentamento della tutela esecutiva e dai costi che la il funzionamento della procedura inevitabilmente implica (per lo stesso il debitore, innanzitutto), con il rischio, di carattere generale, che l’opportunità offerta dal legislatore abbia un’utilizzazione soltanto strumentale e defatigatoria da parte dei debitori43.

Ai dubbi sul possibile grado di effettività della nuova disciplina, si aggiungono alcune criticità, di indole più propriamente teorica, come ad esempio quella relativa all’unicità della procedura destinata a debitori “non fallibili” ma molto diversi tra loro, sicché si ritrovano accomunate insolvenze, crisi o ancora “sovraindebitamenti” di diversa indole, ossia civile e commerciale, con innegabili diversità, spesso riassumibili nel carattere statico e patrimoniale delle prima, a fronte della natura dinamica ed essenzialmente finanziaria della seconda, mentre è del tutto evidente che anche il piano intorno a cui ruoterebbe la ristrutturazione dei debiti “civili” (sulla falsariga di quelli commerciali, considerati dalla legge fallimentare) non può assumere le medesime caratteristiche, strutturali e funzionali, in presenza della crisi d’impresa e del sovraindebitamento “civile”, indubbiamente gestibile consensualmente (come la prima, e dunque è corretto il titolo della legge, che si riferisce alla “composizione” della crisi) ma non “ristrutturabile” in senso proprio, ossia nei termini di cui all’art. 182 bis l. fall.44.

Senza dire, infine, del ruolo del giudice, disegnato nella normativa in esame in modo piuttosto distante da come abbia fatto il legislatore riformatore della legge fallimentare, in tal modo riproponendosi i noti problemi dell’organicità e sistematicità dell’intera disciplina dell’insolvenza e della crisi nel nostro ordinamento45. Ma proprio dopo avere acquisito consapevolezza delle difficoltà oggettivamente derivanti dalla episodicità degli interventi legislativi in una materia che non può rinunciare alla sua coesione, il messaggio chiaro per l’interprete è quello di un impegno serio nel fornire una ricostruzione e, di conseguenza, un’applicazione della nuova disciplina, che si rivelino al tempo stesso sistematicamente corrette e funzionali alle finalità perseguite, trattandosi appunto di una riforma di sistema, che non lascia indifferente l’impianto della responsabilità patrimoniale nel nostro ordinamento.

Note

1 Si veda anche con riferimento al diritto di altri ordinamenti, Presti, G.-Stanghellini, L.-Vella, F., a cura di, L’insolvenza del debitore civile. Dalla prigione alla liberazione, in Age, 2/2004, ove vengono esaminate le discipline vigenti in Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e USA, alcuni dei quali verranno richiamati di seguito.

2 Per la ricostruzione sintetica, da ultimo, Terranova, G., La composizione della crisi da sovra-indebitamento: uno sguardo d’insieme, in Composizione delle crisi da sovraindebitamento, a cura di Macario, F.-Di Marzio, F.-Terranova, G., Milano, 2012, che contiene un primo commento alla normativa.

3 È la proposta approvata al Senato in data 1.4.2009, AC n. 2364, nota con il nome del promotore l’on. Centaro, sui cui si vedano le considerazioni critiche di Di Marzio, F., Sulla composizione negoziale delle crisi da sovraindebitamento, in Riv. dir. fallim., 2010, 659.

4 Si tratta del d.l. 22.12.2011, n. 212, su cui si veda un primissimo intervento, pubblicato a caldo, che ne individua con precisione le più evidenti criticità: Fabiani, M., La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in www.ilcaso.it, sez. II, doc. n. 278/2012.

5 Si tratta del disegno di legge AC 5117 del Governo, che introdurrebbe significative modifiche e integrazioni, alle più rilevanti delle quali si farà rapido cenno nel prosieguo.

6 Terranova, G., La composizione della crisi da sovra-indebitamento, cit., 8.

7 Da ultimo, con il cd. “Decreto sviluppo” del 15.6.2012.

8 Per un’attenta analisi dei molteplici aspetti della nuova disciplina, nel solco tracciato dalla riforma del diritto fallimentare all’insegna della valorizzazione dell’autonomia negoziale, ci si permette di rinviare agli studi nel volume Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio, F.-Macario, F., Milano, 2010.

9 Si prevede, nella parte che integrerebbe l’attuale disposizione iniziale, di cui all’art. 6 (Finalità e definizioni), che «Con le medesime finalità, il consumatore può proporre, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi di cui all’articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’articolo 9, comma 1, un piano fondato sulle previsioni di cui all’articolo 7, comma 1, ed avente il contenuto di cui all’articolo 8».

10 In questi termini, pienamente condivisibili, di estrema cautela, v. Terranova, G., La composizione della crisi da sovra-indebitamento, cit. 8.

11 Cfr. Di Marzio, F., Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in Composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., 12 s.

12 Fabiani, M., Crescita economica, crisi e sovraindebitamento, in Corr. giur., 2012, 451

13 Tra i più rilevanti contributi dottrinali, vanno ricordati: Costi, R., Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ., 1968, I, 26 ss.; Rescigno, P., Fondazione e impresa, in Riv. società, 1967, 812, nonché la voce Fondazione, in Enc. dir., Milano, 1968, XVII, 790, mentre approfondimenti più recenti si rinvengono nei commenti alle sentenze di seguito richiamate. Sul fallimento di un istituto di ricerca, Trib. Milano, 16.7.1998, in Fallimento, 1999, 445; Dir. fallim., 1999, II, 333; Giur. it., 1999, 1678; Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 235; Trib. Milano, 17.6.1994, in Foro it., 1994, I, 3544 (nella vicenda dell’istituto sieroterapico milanese “Serafino Belfanti”, nel quale l’attività di ricerca aveva di fatto perso il suo rilievo caratterizzante in favore dell’attività industriale e commerciale). Più di recente, Cass., 16.3.2004, n. 5305, in Dir. fallim., 2005, II, 843, ove si riporta anche la decisione di secondo grado: App. Milano, 12.12.2000, Trib. Alba, 25.3.2009, in Nuova giur. civ. comm, 2009, I, 1099, e in Fallimento, 2009, 1427, App. Palermo, 7.4.1989, in Giur. comm., 1992, II, 61, secondo cui sono assoggettabili a fallimento gli enti morali che esercitano professionalmente un’attività economica commerciale in modo indiretto, avvalendosi cioè fittiziamente di un soggetto giuridico distinto da essi cui l’impresa fa capo, e costituito in forma di società, della quale l’associazione o fondazione, o fiduciari di essa, ovvero membri dell’associazione sono soci. Sul fallimento dell’associazione non riconosciuta, Trib. Genova, 7.6.2001, in Dir. fallim., 2002, II, 180 e in Vita not., 2002, 683, ove si chiarisce anche che la dichiarazione di fallimento di un’associazione non riconosciuta non comporta il fallimento dei soggetti che hanno agito in nome e per conto di essa. Da ultimo, si ricorderà che il Tribunale di Milano, con decreto 3.5.2012 ha disposto l’omologazione del concordato preventivo proposto dal noto ospedale, in veste di “fondazione”, esercente un’impresa commerciale, ossia la Fondazione Centro San Raffaele Del Monte Tabor, con attività sanitaria, assistenziale e di ricerca scientifica; concordato che, a sua volta, comporta l’estinzione dell’ente, con la liquidazione dei beni e delle attività oggetto di cessione ai creditori soggetta alle norme della legge fallimentare.

14 Comunque esplicitamente ammesso anche a questa procedura dal disegno di legge in corso di elaborazione (art. 7, co. 2-bis).

15 Si ricorderà che l’operazione economica immediatamente connessa al fenomeno del sovraindebitamento era quella corrispondente al “credito al consumo”: cfr. Lobuono, M.-Lorizio, M., a cura di, Credito al consumo e sovraindebitamento del consumatore. Scenari economici e profili giuridici, Torino, 2007.

16 In argomento, il punto di riferimento è il volume di Zeno-Zencovich, V.-Paglietti, M.C., Diritto processuale dei consumatori, Milano, 2009.

17 È sufficiente ricordare, ad esempio, il caso ricorrente del concorso, nella stessa persona, della condizione di consumatore e professionista e dei criteri valorizzati, da dottrina e giurisprudenza, per stabilire la prevalenza, ai fini dell’applicabilità della disciplina speciale. Non a caso, nel disegno di legge in itinere la disposizione definitoria è la seguente: «il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni prevalentemente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta», ma sarebbe opportuno, per maggiore chiarezza, sostituire il concetto della prevalenza con quella della esclusività.

18 In argomento, si potrebbero ricordare le questioni e i dibattiti sorti in passato intorno alla ‘delimitazione’ applicativa della disciplina concorsuale (su cui cfr. Apice, U., a cura di, Imprenditori anomali e fallimento, Padova, 1997)

19 In considerazione di una sorta di favor debitoris, mostrato dall’ordinamento, nel momento in cui consente l’accesso alla procedura a qualsiasi debitore “non fallibile”, si deve ritenere che nella prima categoria indicata rientrino anche gli imprenditori individuali che, pur essendo in astratto assoggettati alle procedure concorsuali, intendano proporre un accordo ai creditori “personali”, il cui credito non derivi dall’esercizio dell’attività d’impresa. Per costoro, così come per i soci di società di persone, deve ritenersi che l’eventuale dichiarazione di fallimento travolga l’accordo e la relativa procedura eventualmente in corso, stante il carattere assorbente dell’esecuzione concorsuale, nella quale peraltro è sempre possibile trovare una sorta di accordo, mediante l’attivazione del concordato fallimentare. Analogamente potrebbe ragionarsi nei confronti dell’imprenditore che attiva la procedura, essendo al di sotto delle soglie di fallibilità, ma poi, medio tempore, le supera e viene dichiarato fallito. Per la figura del piccolo imprenditore è noto il dibattito che si è aperto dopo la riforma della legge fallimentare (nel momento in cui è stata affidata esclusivamente ai criteri quantitativi, espressi dalle dette soglie, la valutazione sulla fallibilità), che non vale la pena qui ripercorrere, in quanto si può senz’altro ammettere l’inclusione di tali soggetti tra i destinatari della tutela, fatto salvo il carattere assorbente dell’eventuale fallimento, ove dichiarato. Così può dirsi per l’imprenditore agricolo (cui peraltro era stata estesa con il d.l. 6.7.2011, n. 98 l’accessibilità al procedimento di cui all’art. 182 bis l. fall., non dovendosi peraltro escludere l’applicabilità della nuova disciplina per il suo carattere generale: in tal senso, anche Fabiani, M., La gestione del sovraindebitamento, cit., 4), la cui assoggettabilità al fallimento dipende dall’accertamento in concreto dei caratteri dell’attività d’impresa esercitata: sin tanto che il fallimento non sia dichiarato nessuna ragione osterebbe all’accesso alla procedura in esame.

20 La proposta, si afferma, non è ammissibile quando il debitore: c) ha subito, per cause a lui imputabili, uno dei provvedimenti di cui agli artt. 14 e 14 bis; d) ha fornito documentazione che non consenta di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale.

21 Per l’analisi più approfondita e autorevole di crisi e insolvenza, si vedano i saggi nel volume di Terranova, G., Stato di crisi e stato di insolvenza, Torino, 2007; più di recente, Porreca, P., L’insolvenza civile, in Didone, A., a cura di, La riforma della legge fallimentare, Torino, 2009, II, 2081, spec. 2111; per una ricostruzione storica della distinzione concettuale tra insolvenza civile e commerciale, ci si permette il rinvio a Macario, F., Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale - Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in Riv. società, 2008, 102. Con riferimento alla normativa in esame, cfr. Di Marzio, F., Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, cit., 11.

22 Nel disegno di legge, invece, si ritornerebbe a richiamare la «situazione di definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni», riecheggiando così l’art. 5 l. fall.

23 Ci si avvicina notevolmente, in tal modo, alla valutazione di tipo finanziario dell’incapacità del debitore (di adempiere), mentre il legislatore ritiene opportuno aggiungere comunque, ad evitare formalistiche disquisizioni sulla sussistenza dei requisiti preliminari di accesso, l’insolvenza come incapacità di adempiere con regolarità.

24 Si pensi alle aggettivazioni e qualificazioni di alcuni requisiti come lo squilibrio, che deve essere “perdurante” e perciò non transitorio, ovvero il patrimonio, che deve essere “liquidabile”, con riferimento, s’intende, alle circostanze di tempo e luogo (in tal senso, ritiene assai improbabile che possa essere il giudice, unico astrattamente legittimato, a sollevare l’eccezione dell’assenza del sovraindebitamento, anche Fabiani, M., La gestione del sovraindebitamento, cit., 6).

25 Dove vale, implicitamente, l’insolvenza definita in modo generale, ai fini della dichiarazione di fallimento, dal § 17 della Insolvenzordnung, mentre il presupposto oggettivo è fissato nella prova del vano tentativo del debitore di giungere a un accordo con i creditori, nei sei mesi precedenti.

26 In detto ordinamento l’insolvenza costituisce concetto unitario, valido anche per il “deutor común”, ai sensi dell’art. 1 della Ley Orgánica o Ley Concursual del 2003.

27 Si escludono soglie di indebitamento “minimo” (e dunque lo stesso stato di insolvenza) se la domanda per l’attivazione della procedura di discharge di cui al Chapter 7 del Bankruptcy Code è proposta dal debitore.

28 Ci si riferisce infatti a «l’impossibilité manifeste pour le débiteur de bonne foi de faire face à l’ensemble de ses dettes» (art. L. 330-1), probabilmente più per sottolineare il requisito (tendenzialmente, di ordine soggettivo) della buona fede del debitore (non recidivo, in altri termini) che non quello oggettivo genericamente indicato nell’impossibilità di far fronte all’insieme dei debiti (s’intende, aggiunge il legislatore, «non professionnelles» ovvero da attività commerciale o professionale). Peraltro, la normativa francese, particolarmente sofisticata (come tutta la tutela del consumatore, in quell’ordinamento) prevede, nella stessa disposizione appena ricordata, il caso di una «situation irrémédiablement compromise caractérisée par l’impossibilité manifeste» di attivare la procedura (sicché la Commissione e poi il Tribunale procederanno con diverse modalità, sempre disciplinate dal legislatore).

29 Si ritiene, infatti, «possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi» (art. 7 ddl).

30 È stabilito che “[i]n ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento” (sempre nell’art. 7 ddl).

31 Con riferimento all’eventuale riforma, si ricorderà che il co. 3-bis dovrebbe stabilire che alla proposta di piano del consumatore sia altresì allegata una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi che deve contenere: a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni; b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni; d) l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

32 Con riferimento al consumatore, la riforma prevede: «1. Dalla data dell’omologazione del piano e per un periodo non superiore a tre anni i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Ad iniziativa dei medesimi creditori non possono essere disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano. 2. I creditori con causa o titolo posteriore al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all’articolo 12-bis, comma 3, non possono procedere esecutivamente sui beni e i crediti oggetto del piano. 3. Durante il periodo previsto dal comma 1, le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano. 4. L’omologazione del piano non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso. 5. Gli effetti di cui al comma 1 vengono meno in caso di mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’articolo 7, comma 1, terzo periodo. L’accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto al tribunale e si applica l’articolo 12, comma 4».

33 Il nuovo co. 2 dell’art. 11 potrebbe prevedere: «Ai fini dell’omologazione di cui all’articolo 12, e’ necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60 per cento dei crediti. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta preveda l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto ad esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione».

34 Ivone, G., Il raggiungimento dell’accordo tra debitore e creditori, in Composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., 58 s.

35 La norma dovrebbe disporre: «Quando uno dei creditori che non abbia aderito o che risulti escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione dell’accordo in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda».

36 In tal senso, correttamente, Fabiani, M., Crescita economica, crisi e sovraindebitamento, cit., 450.

37 Si è detto, ad esempio, che il rispetto del ruolo assegnato ormai in termini generali all’autonomia dovrebbe comunque «sintonizzarsi con maggiori poteri ai creditori di minoranza in modo da consentire al giudice di recitare un ruolo decisivo nella risoluzione dei conflitti» (così ancora Fabiani, M., op. loc. cit.).

38 Una delle considerazioni critiche, ad esempio, potrebbe vertere proprio sulla prima disposizione, in ordine alla sua stessa necessità, stando alla intitolazione, ma anche ai suoi contenuti. A parte l’ovvietà, infatti, della finalità perseguita disciplina, non è semplice cogliere il contenuto normativo della disposizione di apertura, al di là dell’eventuale contributo che può venire, in sede applicativa, dalla definizione di “sovraindebitamento” (non immediatamente percepibile, in quanto l’espressione non appartiene al linguaggio giuridico).

39 La prima già nel 1989 disciplinava il surendettement des particuliers, con una normativa più volte aggiornata, sino al più recente intervento riformatore del crédit à la consommation del 2010, e successivamente anche nel 2011, collocandosi in tal modo la disciplina al di fuori della legge dedicata all’impresa in crisi (nella più recente versione della loi de sauvegarde des entreprises del 2005); in Germania, invece, è inclusa nella legge fallimentare generale (la Insolvenzordnung del 1994, su cui cfr. Guglielmucci, G., a cura di, La legge tedesca sull’insolvenza (Insolvenzordnung), Milano, 2000) anche l’insolvenza del “consumatore” e le altre “piccole procedure”, nella parte IX della legge, ai §§ 304 ss., applicabile al debitore persona fisica che non esercita un’autonoma attività economica o esercita un’attività economica di modeste dimensioni, ossia non richiedente una struttura organizzata in forma di azienda commerciale (ricordando che anche nell’ordinamento tedesco l’attività di novellazione è proseguita sino al mese di marzo 2012); in Spagna, per limitarsi agli stati con i quali è più frequente la comparazione su questi temi, il legislatore ha invece modificato la ley concorsual del 2003 n. 22 con un recente intervento legislativo di ottobre 2011, limitato agli enti, ma di prossima estensione alle persone fisiche, in considerazione della crisi che ha colpito pesantemente le famiglie.

40 Ricordando tuttavia come la nuova normativa non abbia previsto forme di tutela per gli atti e i pagamenti posti in essere in esecuzione del contratto (come accade in sede fallimentare, con l’esenzione da revocatoria dei piani attestati di risanamento risultati “idonei” e degli accordi di ristrutturazione omologati, ex art. 67, co. 3, lett. d ed e), di modo che non appare ozioso domandarsi se tale esenzione possa funzionare anche per gli accordi in esame – con riferimento all’azione revocatoria ordinaria, naturalmente – posto che la meritevolezza è fuori discussione, tanto più dopo il fruttuoso esperimento della procedura per l’omologazione.

41 Per una pregevole, e inusuale nella nostra letteratura, analisi in questo senso, con un approfondito confronto tra l’approccio prevalente negli ordinamenti di common law e di civil law, cfr. il recentissimo contributo di Rojas Elgueta, G., L’esdebitazione del debitore civile: una rilettura del rapporto civil law-common law, in Banca borsa, 2012, I, 310.

42 Galgano, F., Commento all’art. 1 legge fallimentare, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1974, 50; nonché C. cost., 16.6.1970, in Foro it., 1970, I, 1857, che assolveva dalla censura di incostituzionalità le norme di cui all’art. 2221 c.c. e 1 l.fall., in quanto le stesse avrebbero considerato «la tutela dei creditori come un altissimo interesse pubblico, lasciando fuori della sua disciplina l’insolvente civile e il piccolo imprenditore, non incidendo tali categorie, per la loro circoscritta attività, sulla collettività, al contrario dell’insolvenza dell’impresa, che arreca sempre danno all’economica collettiva».

43 Per questo genere di corrette considerazioni, Terranova, G., La composizione della crisi da sovra-indebitamento, cit. 9 s.

44 In tal senso, su entrambi i punti, si vedano le condivisibili considerazioni di Di Marzio, F., Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, cit., 15.

45 Di Marzio, F., Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, cit., 16.

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