La riforma della filiazione

Libro dell'anno del Diritto 2014

La riforma della filiazione

Gilda Ferrando

La riforma del 1975 aveva “quasi” parificato i figli nati nel e fuori del matrimonio, ma non completamente. La l. 10.12.2012, n. 219 unifica la condizione giuridica dei figli, a prescindere dal fatto che i genitori siano oppure no coniugati. A partire dal 2 gennaio 2013 tutti i figli hanno lo stesso status: non ci sono più figli legittimi e naturali ma solo figli. La legge, tuttavia, ha previsto solo alcune delle modifiche necessarie per realizzare lo scopo. Per il resto ha disposto un’ampia delega al Governo. Il 12 luglio 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato uno «Schema di decreto legislativo», attualmente in attesa del parere delle competenti commissioni parlamentari. La riforma tocca tutti i principali aspetti della filiazione, sia per quel che riguarda il rapporto con i genitori ed i parenti (nozione di parentela, responsabilità dei genitori, successioni), sia per quel che attiene l’accertamento dello status e le relative azioni. Il commento ne illustra i tratti salienti.

La ricognizione

La legge n. 219/2012 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, G.U. 17.12.2012, n. 293) unifica la condizione giuridica dei figli, a prescindere dal fatto che i genitori siano oppure no coniugati. A partire dal 2 gennaio 2013 tutti i figli hanno lo stesso status: non ci sono più figli legittimi e naturali ma solo figli. Questo principio è stabilito in modo chiaro dal nuovo art. 315 c.c., intitolato allo stato giuridico dei figli, secondo il quale «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» (art. 1, co. 7). Conseguentemente viene affermata la rilevanza della parentela in ogni ordine e grado a prescindere dal matrimonio dei genitori (art. 1, co. 3 e 4). Viene abrogata la legittimazione (art. 1, co. 10). Vengono disciplinati in modo unitario diritti e doveri tra genitori e figli (nuovo art. 315 bis, c.c.) (art. 1, co. 8) e viene definita una nuova nozione di responsabilità genitoriale (art. 2, lett. h).

La legge, tuttavia, promette più di quanto al momento sia in grado di mantenere in quanto ha previsto solo alcune delle modifiche necessarie per realizzare lo scopo ed ha affidato il completamento dell’opera al Governo, delegato a rivedere nel suo complesso la vigente disciplina della filiazione e delle successioni, oltre che la legislazione speciale.

Il 12 luglio 2013, il Consiglio dei ministri ha approvato “in via preliminare” lo Schema di decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione ai sensi dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, che è stato trasmesso alla Presidenza del Senato il 9 agosto 2013 per essere sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari, e che entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

La legge era certamente necessaria e attesa da tempo. La riforma del 1975 aveva “quasi” parificato i figli naturali a quelli legittimi, ma non completamente. Se negli anni ’70 del secolo scorso quel “quasi” poteva bastare, nel raffronto tra la disciplina riformata e quanto riservato ai figli “illegittimi” dal codice civile del 1942, con il passare del tempo le differenze di trattamento ancora esistenti avevano finito per apparire intollerabili1. L’immobilismo della situazione italiana spiccava in un contesto europeo dove, anche su iniziativa della Corte di Strasburgo, l’unicità dello status di figlio era una conquista raggiunta da anni2.

La nostra Corte costituzionale aveva rimosso residue disparità di trattamento presenti nel codice o nella legislazione speciale3, aveva ampliato le possibilità di accertare la filiazione naturale4, e riscritto la disciplina della prova nel disconoscimento di paternità5.

Su alcune questioni è stata tuttavia irremovibile. Il rapporto tra parenti naturali è stato ancora di recente riguardato come mera relazione fattuale di consanguineità e non come vincolo giuridico di parentela6. Il diritto di commutazione (art. 537 c.c.) è stato ritenuto legittimo in relazione al terzo comma dell’art. 307. È stata confermata l’imprescrittibilità dell’impugnazione del riconoscimento (art. 263 c.c.), a fronte del termine di prescrizione annuale previsto dall’art. 244 c.c. per il disconoscimento di paternità8. In questi ambiti la Corte ha riconosciuto al legislatore spazi di discrezionalità sulle cui modalità di esercizio non ha ritenuto di poter esercitare controlli.

Era dunque necessario l’intervento del legislatore.

La focalizzazione

Conviene ora esaminare le principali innovazioni contenute nella l. n. 219/2012 che riguardano il principio informatore dell’intera disciplina, le regole mediante le quali viene attuato, la disciplina del riconoscimento e della dichiarazione giudiziale, alcuni profili processuali.

Il principio della unicità dello status

L’unificazione dello status di figlio segna una svolta epocale nel diritto della filiazione, in quanto a distanza di quasi quarant’anni dalla riforma del 1975 si realizza quella separazione tra filiazione e matrimonio in forza della quale la condizione giuridica del figlio è tutelata in ogni ordine di rapporti come valore autonomo e indipendente dal vincolo eventualmente esistente tra i genitori.

Tale principio si colloca certamente nella linea indicata dalla nostra Costituzione e dai principi europei, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte europea di Strasburgo. In tal modo non si intende svalutare il matrimonio, ma considerare il rapporto di filiazione come valore originale e non dipendente, si intende attuare pienamente il principio di eguaglianza di tutti i figli, senza distinzione di nascita (art. 21, Carta di Nizza, art. 3 Cost.), dare tutela al preminente interesse del minore, realizzare il principio di responsabilità per la procreazione (art. 30, co.1, Cost.).

Il legislatore, nell’esercizio della discrezionalità che la Corte costituzionale ancora di recente gli ha riconosciuto9, manifesta che il limite di compatibilità tra diritti dei figli naturali e diritti dei membri della famiglia legittima, previsto dall’art. 30 Cost. come meramente eventuale, non giustifica più, nel contesto attuale, alcuna residua disparità di trattamento ed il precetto costituzionale di eguaglianza può dispiegarsi pienamente non solo nella relazione verticale tra genitori e figli, ma anche in quella orizzontale con i parenti.

La parentela

Come dicevamo, una delle residue differenze esistenti tra i figli nati nel e fuori del matrimonio derivava dal mancato riconoscimento della parentela naturale. Ora, invece, il legame di parentela sussiste tra le persone che discendono da uno stesso stipite in ogni ipotesi di filiazione nata nel e fuori del matrimonio (art. 74, co. 1, c.c.). E si precisa che «il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso» (art. 258 c.c.).

A ben vedere, solo una lettura “distorta” dell’art. 258, c.c. poteva far escludere la rilevanza della cd. “parentela naturale” che parte della dottrina riteneva già insita nel significato normativo degli artt. 74 e 258 c.c.10 La Corte costituzionale, tuttavia, era ferma nel considerare il rapporto tra parenti naturali come un mero vincolo fattuale di «consanguineità» e non come un «vincolo giuridico di parentela».

Le modifiche introdotte dalla l. n. 219/2012 sono, quindi, non solo opportune ma necessarie, in quanto dissipano ogni dubbio al riguardo, fissando in modo inequivoco la regola che la parentela dipende dalla generazione (o dall’adozione) e non dal matrimonio.

Il fatto che tutti i figli allaccino rapporti di parentela con ascendenti e collaterali ha immediate ripercussioni applicative in quanto è chiaro che quando la legge parla di “parenti” non è più consentito fare distinzioni. Si chiarisce, ad esempio, che i parenti entro il terzo grado che partecipano all’impresa familiare (art. 230 bis c.c.), sono tutti, senza distinzione alcuna.

La successione tra parenti

Il problema maggiore, tuttavia, riguarda i rapporti successori, dato che, fino a ieri, i parenti cd. “naturali” non avevano diritti successori in linea collaterale, tranne i fratelli, e a condizione che non vi fossero altri parenti “legittimi” entro il sesto grado. La l. n. 219/2012 contiene la delega al Governo per l’«adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello status di figlio», con la precisazione che dovrà essere prevista «anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina degli effetti successori che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533 e seguenti del codice civile» (art. 2, lett. l).

Nelle more dell’entrata in vigore dei decreti delegati, sembra tuttavia che, per le successioni aperte successivamente all’entrata in vigore della legge, il figlio già possa far valere diritti successori nei confronti dei collaterali. Va infatti tenuto conto che la cancellazione dell’aggettivazione dei figli come legittimi e naturali nelle norme del codice civile è un effetto immediato della legge (art. 1, co. 11). Così come è già pienamente in vigore il principio per cui la parentela deriva dalla generazione e non dal matrimonio (infra, § 3.5).

L’abrogazione della legittimazione

L’istituto della legittimazione costituiva il segno evidente della differenza che, nel sistema della riforma del 1975, ancora segnava la condizione dei figli “legittimi” e “naturali”. In quella logica esso rappresentava lo strumento per fare conseguire ai secondi la condizione pienamente tutelata riservata ai primi. Stabilita l’unicità dello status, è ovvio che la legittimazione scompaia.

La legge, con norma immediatamente precettiva (art. 1, co. 10) dispone che «è abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile». Inoltre, tra i principi e criteri direttivi della delega relativa alle modifiche del titolo VII del codice civile è sancito anche quello relativo all’abrogazione delle «disposizioni che fanno riferimento alla legittimazione». Si intende da un lato abrogare l’istituto e dall’altro eliminare il rinvio alla legittimazione contenuto in numerose norme del codice civile11.

La responsabilità genitoriale

La riforma interviene anche a proposito dei rapporti tra genitori e figli. Dopo aver stabilito il principio di unicità dello status (art. 315 c.c.) viene coniato un nuovo art. 315 bis c.c., intitolato diritti e doveri del figlio, nel quale vengono inseriti e sviluppati i precetti precedentemente contenuti negli artt. 147 c.c. (doveri verso i figli) e 315 c.c. (doveri del figlio verso i genitori). Più precisamente l’art. 315 bis c.c. dispone che «il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».

Rispetto a quanto precedentemente disposto, i diritti del figlio vengono sviluppati e inseriti in una disposizione di carattere generale che riguarda tutti i figli. Il diritto alla famiglia, il diritto ai rapporti con i parenti, il diritto all’ascolto, fino ad ora contemplati soltanto in norme di settore – nella legge sull’adozione, il primo, in quella sull’affido condiviso, il secondo – vengono ora affermati in termini generali. Viene poi specificato il suo diritto ad essere assistito moralmente dai genitori, esplicitando uno dei profili del dovere di cura della persona già desumibili dal sistema.

In tal modo, tra l’altro, viene data attuazione a impegni assunti in sede internazionale (Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, 1996, attuata con l. 10.3.2003, n. 77, Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata con l. 27.5.1991, n. 176; art. 24 della Carta di Nizza e art. 6 del Trattato di Lisbona, Regolamento dell’Unione europea n. 2201/2003).

Dal punto di vista sistematico, la disciplina del rapporto tra genitori e figli viene collocata nel titolo sulla potestà dei genitori (oggetto di ulteriori modifiche da parte del decreto legislativo: v. § 3.5), successivo rispetto a quello relativo all’accertamento di stato.

La nozione di responsabilità dei genitori vale a tratteggiare meglio la relazione personale tra genitori e figli, che non può essere costretta nello schema angusto del rapporto tra “potestà” e “soggezione”. La nuova figura sembra meglio sottolineare il carattere funzionale dei diritti e doveri che ai primi sono riconosciuti (art. 30 Cost.), il carattere preminente “dell’interesse del minore”, i più ampi spazi di autonomia che ai figli competono man mano che progredisce la loro maturità.

Oltre a disciplinare i rapporti tra genitori e figli il nuovo art. 315 bis c.c. riconosce il diritto dei figli a mantenere rapporti significativi con i parenti. Si intende in tal modo garantire l’interesse dei figli alla relazione con i nonni e gli altri familiari e quindi alla valorizzazione delle relazioni che contribuiscono ad arricchire la sua esperienza esistenziale.

Restano in ombra i cd. rapporti parentali di fatto specie quelli con il cd. “terzo genitore” (vale a dire il nuovo coniuge o il partner del genitore)12. La relazione con il figlio dell’altro, stabilita dal genitore di fatto, è attualmente irrilevante per il diritto, se non formalizzata con adozione in casi particolari (art. 44, l. adoz.). Essa costituisce, tuttavia, un aspetto di quella vita familiare che l’art. 8 della CEDU e l’art. 7 della Carta di Nizza riconoscono e garantiscono13.

Sempre in tema di rapporti tra genitori e figli si segnala la modifica dell’art. 448 c.c. I figli non sono più tenuti agli alimenti nei confronti del genitore decaduto dalla potestà e «per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all'art. 463, possono escluderlo dalla successione».

Riconoscimento e dichiarazione giudiziale

La disciplina del riconoscimento (art. 250 c.c.) viene innovata sotto alcuni aspetti rilevanti. L’età per compiere il riconoscimento resta fissata a sedici anni. Tuttavia questo limite da rigido diventa elastico, dato che il giudice può autorizzare il riconoscimento, «valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio». La scelta sembra opportuna. Vi sono casi in cui aspettare i sedici anni per il riconoscimento costituisce un’interferenza nella relazione tra genitore e figlio ingiustificata e dannosa per l’uno e per l’altro. Tra le circostanze da valutare dovrebbero essere incluse l’adeguata maturità del genitore, l’esistenza di una rete (familiare o di altro tipo) che sostenga la madre adolescente nello svolgimento dei suoi compiti e nella sua crescita personale.

Viene poi portata da 16 a 14 anni l’età in cui il figlio può dare personalmente l’assenso al riconoscimento compiuto dal genitore, segno della maggiore considerazione per la personalità del minore e per la sua capacità di essere protagonista delle proprie scelte esistenziali.

Nel caso di figlio minore di 14 anni occorre il consenso dell’altro genitore che non può rifiutarlo se risponde all'interesse del figlio. Nel caso di rifiuto, l’altro può ricorrere al giudice competente «che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'art. 315 bis e al suo cognome ai sensi dell'art. 262».

Con la previsione del consenso del genitore e dell'autorizzazione del giudice la legge ha inteso proteggere il figlio contro riconoscimenti tardivi (quando non interessati), tali da pregiudicare la crescita o le relazioni familiari o sociali del minore.

L’interesse del minore costituisce il criterio in base al quale il giudice deve concedere o negare l’autorizzazione. L'indeterminatezza della formula ha dato luogo a contrastanti indirizzi giurisprudenziali. Secondo alcuni la verifica dell'esistenza di un tale interesse dovrebbe essere fatta in concreto, tenuto conto della vicenda particolare di ciascun bambino, della sua situazione familiare ed esistenziale14. Altri, invece, muovendo dall’assunto secondo cui il bambino ha diritto alla propria famiglia, ad intrattenere relazioni con entrambi i genitori (cd. principio della bigenitorialità), e tenuto conto che il riconoscimento costituisce un diritto dei genitori (art. 30, co. 1, Cost.), ritengono che il secondo riconoscimento possa essere negato solo in casi eccezionali, a fronte di una condotta del genitore pregiudizievole al figlio15. La giurisprudenza più recente tende a valorizzare l’importanza della relazione tra genitori e figli16 e di conseguenza a rifiutare l’autorizzazione solo in casi di eccezione17.

Tenuto conto di ciò, si comprende la ratio della riforma del 2012, che è appunto quella di salvaguardare, per quanto possibile, la relazione tra il figlio e il genitore che riconosce per secondo. Da un lato, il termine di trenta giorni che il giudice assegna al genitore che rifiuta il consenso serve a verificare la sua effettiva determinazione di insistere nel rifiuto. Nel caso in cui l’opposizione venga proposta, se è palesemente fondata il giudice la accoglie, altrimenti detta i provvedimenti provvisori e urgenti per recuperare la relazione tra genitore e figlio. Con la decisione finale il giudice accoglie l’opposizione, oppure pronuncia sentenza che tiene luogo del consenso mancante. In questo caso, e si tratta di una novità rilevante, il giudice assume anche i provvedimenti opportuni in ordine all’affidamento, al mantenimento del figlio e al suo cognome. Va infatti tenuto conto del fatto che può essere effettivamente nell’interesse del minore recuperare la relazione anche con il genitore che fino a quel momento si è disinteressato di lui. Questo risultato tuttavia richiede tempo e verifiche caso per caso. Cosicché è importante che il giudice dia i provvedimenti nell’interesse del figlio relativi sia alle relazioni personali sia agli obblighi patrimoniali a carico del genitore, in modo da favorire una crescita graduale della relazione tenuto conto delle specifiche situazioni concrete.

Importanti innovazioni riguardano poi il riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali. Con la riforma l’art. 251 c.c. si intitola Autorizzazione al riconoscimento e prevede che «il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni».

Due sono le principali modifiche rispetto al passato: la buona fede del genitore non è più condizione necessaria per l’autorizzazione al riconoscimento; nel caso di affinità in linea retta non è più richiesta la dichiarazione di nullità del matrimonio da cui l’affinità deriva. È invece sempre richiesta l’autorizzazione del giudice per evitare che dal riconoscimento possa derivare al figlio qualsiasi pregiudizio. Mentre in passato l’autorizzazione era richiesta nel caso di buona fede del genitore, eventualmente per escluderlo, nell’interesse del minore, ora invece è richiesta sempre come condizione di ammissibilità e a prescindere dalla buona o mala fede.

Come è noto, la previgente disciplina aveva dato luogo ad ampio dibattito, sembrando retaggio di una concezione del passato il voler sanzionare il comportamento dei genitori facendo ricadere sui figli le loro colpe. Ancor prima, appariva frutto di una mentalità superata l’idea stessa di “incesto in buona fede”, ipotesi romanzesca, a confronto della triste realtà in cui tali rapporti si consumano, segnata dall’emarginazione, dal degrado, spesso dalla violenza del padre o del fratello sulle giovani donne.

Si tenga poi conto che la Corte costituzionale aveva reso ammissibile la dichiarazione giudiziale anche nel caso di nascita da parenti stretti18. Ad esito di quella sentenza era apparso paradossale che all’accertamento di status si potesse giungere solo in via giudiziale, quando il genitore si opponeva, e non in via volontaria, quando lui per primo voleva riconoscere. Ora la legge disciplina in modo uniforme i due modi di accertamento mettendo in primo piano non la condotta dei genitori, ma l’interesse del figlio.

Quanto alla dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, viene ampliata la legittimazione passiva. Nel caso in cui manchi il presunto genitore o i suoi eredi il nuovo art. 276 c.c. prevede che la domanda possa essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal tribunale (art. 276 c.c., come modificato dalla l. n. 219/2012), analogamente a quanto già previsto dall’art. 247 c.c. per il disconoscimento di paternità. In tal modo si evita quel che accadeva in passato, vale a dire che, in mancanza di eredi, l’azione non potesse essere proposta mancando i legittimati passivi. La soluzione appariva molto deludente, in quanto in tali casi il diritto del figlio all’identità e allo status risultava definitivamente inattuato19. Molto opportunamente, perciò, la riforma prevede la possibilità di nomina di un curatore speciale nei cui confronti l’azione andrà esercitata, ferma restando la facoltà di eventuali contro interessati di intervenire nel procedimento.

Aspetti processuali. Cenni

L’art. 3 della legge prevede da un lato la modifica – immediatamente operativa ( v. art. 4, co. 1) – dell’art. 38 disp. att. c.c.20 e dall’altro una disciplina uniforme delle garanzie per l’adempimento degli obblighi a contenuto patrimoniale nei confronti dei figli.

Si tratta di due modifiche di grande rilevanza, non solo pratica. Per quanto in questa sede non sia possibile approfondire le molte questioni processuali poste dalla riforma, si deve almeno segnalare che con la modifica dell’art. 38 disp. att. c.c. vengono attribuite alla competenza del Tribunale ordinario le controversie relative all’affidamento dei figli in occasione della separazione delle coppie di fatto, in precedenza attribuite al tribunale minorile21. In tal modo, lo stesso giudice è competente non solo per la separazione ed il divorzio, ma per tutte le cause di affidamento dei figli in occasione della separazione dei genitori.

Tenuto conto, poi, che in seguito a tale riforma restano di competenza del Tribunale per i minorenni i procedimenti di adozione dei minori e quelli de potestate (sempre che non sia in corso tra le parti un giudizio di separazione o divorzio, o una controversia ex art. 316 c.c.), si può forse guardare a questa modifica come ad un primo passo verso l’ attribuzione delle competenze civili in materia di famiglia e minori ad una sezione specializzata del Tribunale ordinario22.

Quanto alle garanzie, si prevede che «il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole, può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi suddetti. Per assicurare che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all'adempimento degli obblighi di cui al periodo precedente, il giudice può disporre il sequestro dei beni dell'obbligato secondo quanto previsto dall'art. 8, settimo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898. Il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall'art. 8, secondo comma e seguenti, della legge 1° dicembre 1970, n. 898. I provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 del codice civile».

La disposizione trova applicazione ogni volta in cui il giudice disponga obblighi di mantenimento a favore dei figli, in costanza di matrimonio o di convivenza, in sede di separazione, in occasione del secondo riconoscimento o della dichiarazione giudiziale e così via. Da un lato appare positivo che si giunga finalmente ad una disciplina unitaria, dall’altro, tuttavia, la nuova disciplina mostra qualche contraddizione. Ad esempio, si consideri la previsione che il giudice possa ordinare a terzi, ai sensi dell’art. 8 della legge div., quando secondo tale articolo, diversamente da quanto previsto dall’art. 156 c.c., la parte interessata provvede direttamente, senza bisogno di intervento del giudice.

I profili problematici

Il principio di unicità dello status costituisce, dunque, il super principio posto dalla nuova legge, che getta luce anche sui modi in cui attuare la delega, il filo rosso da seguire per sciogliere alcuni dei passaggi non sempre limpidi in essa contenuti.

La delega e lo schema di decreto approvato dal Governo

L’art. 2 della legge dispone un’ampia delega al governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, delega che dovrà essere attuata entro il 2013. È prevista quindi la rinominazione dei capi del titolo VII del libro I del codice civile per eliminare il riferimento ai figli legittimi e naturali. Le modifiche dovranno riguardare l’intera disciplina della filiazione, a partire dai modi di accertamento dello status, delle prove, delle azioni di contestazione.

Questa parte della legge, al pari delle disposizioni processuali, presenta non poche ambiguità ed è quindi fonte di problemi ed incertezze.

Il 12 luglio 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato lo «Schema di Decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione ai sensi dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219» attualmente in attesa dei pareri delle Commissioni giustizia delle Camere.

Il d.lgs. ha un contenuto molto ampio: il titolo I (artt. 1-92) contiene «Modifiche al codice civile in materia di filiazione»; il titolo II (artt. 93-95) contiene «Modifiche ai codici penale, di procedura penale e di procedura civile in materia di filiazione»; il titolo III (artt. 96-102) contiene «Modifiche alle leggi speciali in materia di filiazione»; e il titolo IV (artt. 103-107) contiene le «Disposizioni transitorie e finali».

Le principali modifiche al codice civile

Si tratta di un testo complesso che andrà analizzato in dettaglio. Ad una prima lettura, queste sono le principali modifiche apportate al codice civile.

Si deve intanto segnalare la revisione della terminologia. Il riferimento ai figli (o alla filiazione) legittima e naturale è sostituito con il riferimento ai figli (o alla filiazione) senza ulteriori aggettivazioni. La specificazione rimane solo in alcuni articoli in cui si attribuisce rilevanza alla nascita nel o fuori del matrimonio (ad esempio, v. artt. 337, 252, 254, 262, 279, 316, 337 bis, 573, 580, 594, 687, 804 c.c.) e bisognerà valutare se tale specificazione è davvero necessaria nei singoli casi.

In secondo luogo il riferimento alla «potestà dei genitori» viene soppresso e sostituito con quello alla «responsabilità genitoriale».

Alcune modifiche riguardano la disciplina del matrimonio. Vengono rivisti gli artt. 87 c.c. (relativo all’impedimento al matrimonio derivante da parentela), per coordinarlo con la nuova disciplina della parentela, e 128 c.c. (in tema di cd. matrimonio putativo), per tener conto della nuova disciplina del riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali.

Gli artt. 147 e 148 c.c. relativi ai «doveri verso i figli»ed al «concorso negli oneri» vengono conservati, ma trasformati in mere norme di rinvio alla disciplina generale dei rapporti tra genitori e figli contenuta negli artt. 315 ss. e specificamente agli artt. 315 bis e 316 bis c.c. Anche l’art. 155 c.c., relativo agli effetti della separazione nei confronti dei figli, diventa norma di rinvio ai nuovi artt. da 337 bis a 337 octies che riproducono – con qualche significativa variante (v. infra) – la disciplina contenuta attualmente negli artt. 155-155 sexies c.c. introdotto dalla l. n. 54/2006 in tema di affido condiviso.

Da un punto di vista sistematico, è condivisibile la scelta di disciplinare in modo unitario la responsabilità dei genitori ed i rapporti tra genitori e figli e di far seguire a tale disciplina le regole da applicarsi in caso di separazione dei genitori. Ma allora la conservazione degli artt. 147,148, 155 c.c. come norme di rinvio appare superflua, una sorta di omaggio formale alla tradizione, ormai superata dal nuovo assetto normativo.

L’accertamento di stato e le relative azioni

Le innovazioni più significative riguardano il titolo VII del primo libro del codice civile, ora intitolato «Lo stato di figlio» che viene articolato in distinti capi rinominati «Della Presunzione di paternità» (capo I), «Delle prove della filiazione» (capo II), «Delle azioni di disconoscimento e delle azioni di contestazione e reclamo dello stato di figlio» (capo III), «Del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio» (capo IV), «Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità» (capo V).

Va intanto detto che la riforma non tocca l’accertamento della maternità. In Italia, diversamente da quanto accade nella gran parte dei Paesi europei, dove madre è sempre colei che partorisce, l’accertamento della maternità segue regole diverse nel e fuori del matrimonio. La donna sposata è madre in seguito alla denuncia di nascita, la donna non coniugata lo diventa in seguito al riconoscimento. Anche la Francia, ultima in Europa, a parte noi, ha accolto il metodo automatico, sia pur riservando alla donna (coniugata o no) la possibilità di partorire in anonimato. Fuori dei casi eccezionali in cui la donna intenda avvalersi di tale facoltà, l’accertamento automatico è una garanzia per la donna e per il nato al quale è assicurata la certezza dello status nei confronti della madre fin dalla nascita anche nelle ipotesi minoritarie, ma non marginali, in cui il riconoscimento non sia possibile (si pensi, tra l’altro, al caso di morte della madre durante il parto o di nascita da donna in coma, in morte cerebrale), o presenti dei problemi23.

La riforma, dicevamo, non investe la maternità. Il legislatore, tuttavia, dovrebbe tornare sulla questione in seguito alla condanna riportata a Strasburgo24. La Corte infatti ha ritenuto che l’attuale disciplina del segreto sulla maternità (v. art. 28 l. adoz.) non bilanci adeguatamente i diritti del figlio e della madre25. Potrebbe essere l’occasione per una riflessione approfondita sul tema della maternità alla luce delle convenzioni internazionali e delle esperienze europee. Il principio della unicità dello status di figlio porta nella direzione di una unificazione dei modi di accertamento della maternità a favore di quello che meglio garantisce, nella generalità dei casi, la certezza dello status e l’identità del figlio.

Quanto alla paternità, il nuovo art. 231 c.c. dispone che «il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio». A sua volta il nuovo art. 232, co. 1, c.c. dispone che «Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora decorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio». L’art. 233 c.c. (Nascita del figlio prima dei centottanta giorni) è abrogato (v. art. 106).

La nascita da donna coniugata comporta dunque sempre l’accertamento automatico in capo alla madre ed al marito di lei sulla base della denuncia di nascita. Il fatto che la presunzione di paternità operi per tutti i figli nati (e non più solo per quelli concepiti) nel matrimonio implica un ripensamento della presunzione di concepimento. In definitiva, nella disciplina riformata il marito è padre dei figli nati dopo il matrimonio e non oltre i 300 giorni dal suo venir meno per effetto della separazione (art. 232, co. 2, c.c.), del divorzio, dell’annullamento (art. 232, co. 1, c.c.).

La presunzione di paternità, attualmente, è ridimensionata rispetto al passato. La madre può escludere la paternità del marito: può farlo dichiarando di non voler essere nominata nell’atto di nascita, può farlo dichiarando che il figlio è stato generato fuori del matrimonio. Ci si potrebbe chiedere se la “signoria” oggi riconosciuta alla madre non possa per così dire essere riequilibrata attribuendo al marito un potere in qualche modo speculare, ad esempio, consentendogli di opporsi alla dichiarazione della moglie. Si potrebbe, poi, pensare, in caso di nascita da coniugi separati, ad una dichiarazione (eventualmente congiunta) che attribuisca al marito separato la paternità. Il codice civile francese, ad esempio, ammette in questo caso il riconoscimento del figlio da parte del marito (art. 315). Il codice civile spagnolo (art. 118) prevede che l’iscrizione del figlio nato da genitori separati come “matrimoniale” possa avvenire con il consenso di entrambi i coniugi. La nostra riforma tace su questi aspetti di non trascurabile rilevanza.

Quanto alla prova della filiazione, gli artt. 236 ss. c.c., prima riservati alla filiazione legittima, si applicano ora a tutti i figli cosicché la filiazione viene provata con l’atto di nascita e, in sua mancanza, con il possesso di stato di figlio.

Gli artt. 239 e 240 c.c. contengono poi la nuova disciplina delle azioni di reclamo e di contestazione dello stato di figlio. Il reclamo è ammesso i) in caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato; ii) da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti; iii) per reclamare uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità da chi è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione e da chi fu iscritto in conformità ad altra presunzione di paternità; iv) per reclamare un diverso stato di figlio quando il precedente è stato comunque rimosso (art. 239 c.c.). La contestazione di stato è ammessa in caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato e può inoltre essere esperita da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti (art. 240 c.c.).

Sono previste modifiche all’art. 241c.c. (rinominato Prova in giudizio), prevedendosi che, quando mancano l’atto di nascita ed il possesso di stato, la prova in giudizio può essere data con ogni mezzo. Vengono abrogati gli artt. 242 e 243 c.c.

Un importante banco di prova della effettiva unificazione dello stato di figlio è costituito dalla disciplina delle azioni di impugnazione dello stato. Nella disciplina tradizionale, lo stato di figlio legittimo era infatti dotato di maggiori garanzie di certezza e stabilità dato che era ammesso solo in casi limitati (art. 235 c.c.), ad iniziativa di soggetti chiaramente identificati (il marito, la madre ed il figlio) ed entro i termini definiti dall’art. 244 c.c. L’impugnativa del riconoscimento era invece ammessa ogni volta in cui se ne potesse provare la non veridicità, su iniziativa di «qualunque interessato» e senza limiti di tempo. Una volta unificato lo status, anche la sua contestazione dovrebbe seguire regole uniformi in modo da garantirne eguale certezza e stabilità26. Lo schema di d.lgs. modifica la disciplina, ma conserva differenze discutibili, alla luce dei principi costituzionali e della l. 219/201227.

Quanto al disconoscimento di paternità, la sua riforma era necessaria dopo la sentenza della Corte costituzionale28 e tenuto conto dei conseguenti problemi di decorrenza dei termini29. L’elencazione casistica dell’art. 235 c.c. era ormai anacronistica, dato che le prove scientifiche consentono di accertare direttamente la (non) paternità del marito. Opportunamente, dunque, il d.lgs. abroga l’art. 235 c.c. (art. 106). Il disconoscimento di paternità è ora disciplinato agli artt. 243 bis-245 c.c. L’art. 243 bis prevede che l’azione può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio, o da un curatore speciale nominato dal giudice su istanza del figlio maggiore di 14 anni, del pubblico ministero o dell’altro genitore, quando si tratti di figlio minore di tale età. Non esiste più una limitata serie di “casi” in cui l’azione è ammissibile. Chi esercita l’azione deve provare che non sussiste il rapporto di filiazione tra il presunto padre ed il figlio, mentre la sola dichiarazione della madre (ma era necessario dirlo?) non esclude la paternità. Singolarmente non si fa cenno alle prove genetiche o biologiche che, nella pratica, costituiscono il principale mezzo di prova della paternità. Al riguardo, da tempo si segnala l’opportunità di disciplinare la rilevanza processuale di quelle assunte in via stragiudiziale, tenuto conto dell’esigenza di tutelare il figlio, sovente vittima del conflitto tra i genitori.

Singolarmente, i vecchi “casi” di disconoscimento, scomparsi con l’abrogazione dell’art. 235 c.c., riemergono, tuttavia, nella disciplina dei termini per l’esercizio dell’azione che decorrono i) per la madre sei mesi dalla nascita o dalla scoperta dell’impotenza di generare del marito; ii) per il marito un anno dalla nascita (o da quando ne ha avuto notizia), o dalla scoperta dell’adulterio della moglie o della propria impotenza; iii) l’azione è ora imprescrittibile riguardo al figlio.

Anche l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è stata modificata. Le modifiche riguardano i termini di prescrizione, ma non la legittimazione ad agire, sempre riservata, oltre che all’autore del riconoscimento ed al figlio, anche a qualunque interessato. Quanto ai termini di prescrizione, l’imprescrittibilità rimane solo riguardo al figlio (non diversamente da quanto previsto per il disconoscimento). Per l’autore del riconoscimento, il termine è di un anno che decorre dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. Se poi «l’autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza» (previsione analoga vale per la madre che abbia ignorato l’impotenza del compagno). In ogni caso, tuttavia, l’azione non può essere proposta decorsi 5 anni dal riconoscimento. Per tutti gli altri interessati il termine è di cinque anni dall’annotazione del riconoscimento. Come si può constatare, restano differenze sensibili nella disciplina del disconoscimento e dell’impugnazione del riconoscimento della cui ragionevolezza è dato dubitare. Sorprende, poi, che il d.lgs. taccia sull’impugnazione del riconoscimento per compiacenza30.

Modifiche di mero dettaglio sono state apportate alla disciplina della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità. Andrebbero approfonditi i rapporti di questa azione con quella di reclamo ora non più riservata, come nella disciplina abrogata, ai figli “legittimi”.

La nuova disciplina delle azioni di stato si presta a numerose obiezioni che in questa sede non è possibile discutere, ma che sono rilevanti, dato che, come ripetutamente ha notato la Corte costituzionale, tali azioni costituiscono fondamentali strumenti di tutela dei diritti della persona, della sua identità e status. Tra le cose che più lasciano perplessi, merita di essere segnalato il silenzio sulle questioni poste dalle nuove conoscenze e tecnologie in campo medico e biologico. Già si è fatto cenno al silenzio sulle prove scientifiche della paternità: abrogato l’art. 235, nel codice civile viene meno qualsiasi riferimento. Va poi segnalata la mancata considerazione delle questioni poste dalle nuove tecnologie della riproduzione in relazione all’accertamento della paternità e della maternità. La l. 19.2.2044, n. 40 (art. 9) vieta il disconoscimento (o l’impugnazione del riconoscimento) da parte del padre che abbia dato il consenso alla fecondazione con seme di donatore, ma tace sull’accertamento della maternità (e della paternità) in caso di maternità per sostituzione e donazione di ovociti. In questi casi, la regola secondo cui madre è colei che partorisce, posta dall’art. 269, co. 3, c.c. viene messa a dura prova.

Sempre nella prospettiva dell’unificazione dello status di figlio, solleva perplessità la scelta di conservare, sia pur modificati, l’art. 252 c.c., relativo all’inserimento del figlio nato fuori del matrimonio nella famiglia del suo genitore e l’art. 262 c.c. relativo al cognome del figlio nato fuori del matrimonio. Quanto al cognome, da tempo è in discussione una riforma complessiva del cognome da trasmettere ai figli che superi l’attuale regola patriarcale per approdare o alla regola del doppio cognome o a quella della scelta da parte dei genitori.

La responsabilità genitoriale

Altre innovazioni rilevanti riguardano la disciplina della responsabilità genitoriale. Il titolo IX del primo libro del codice civile si intitola «Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio» e si articola in due capi: il primo, «Dei diritti e doveri dei figli», comprende gli artt. 315-337 c.c. ed il secondo, «Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio», i nuovi artt. 337 bis-337octies c.c.

La nozione di responsabilità genitoriale sostituisce completamente quella di potestà, superando il contenuto della legge delega che, all’art. 2, lett. h), in modo forse un po’ confuso, alludeva alla «nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell'esercizio della potestà genitoriale». Il riferimento alla potestà dei genitori scompare lasciando il posto alla nuova nozione. Dopo l’art. 315 c.c. secondo cui «tutti i figli hanno il medesimo status giuridico» e l’art. 315 bis che definisce in modo nuovo i «Diritti e doveri del figlio» (v. supra, § 2.5) trova posto il nuovo articolo 316 c.c. («Responsabilità genitoriale»). Il principio è che la responsabilità genitoriale spetta ad entrambi i genitori che la esercitano di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli. I genitori di comune accordo fissano la residenza abituale del minore. Questo vale tanto nel caso di genitori coniugati, tanto in quello di genitori non coniugati che abbiano entrambi riconosciuto il figlio (art. 316, co. 3, c.c.). In caso di contrasto è dato ricorso al giudice che, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio maggiore di 12 anni ed anche di età inferiore, se dotato di sufficiente discernimento, suggerisce le «determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare». Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione al genitore che, «nel singolo caso, ritiene più idoneo a curare l’interesse del figlio». Nel caso di riconoscimento compiuto da un solo genitore la responsabilità genitoriale spetta a lui in via esclusiva. Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale «vigila sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio» (art. 316, co 4, c.c.). La norma si apprezza per il tentativo di dare una disciplina unitaria della responsabilità parentale sia nel caso di genitori coniugati, sia in quello di genitori non coniugati (dove si registrano le novità maggiori), anche se permane qualche incongruenza che sarà compito dell’interprete stemperare.

Nel nuovo articolo 316 bis è trasfusa la disciplina del concorso negli oneri di mantenimento precedentemente contenuta nell’art. 148 (incluso tra le disposizioni relative ai diritti e doveri nascenti dal matrimonio), e che, secondo dottrina e giurisprudenza unanimi già trovava applicazione nei confronti di tutti i figli, anche se nati da genitori non coniugati.

Il nuovo art. 317 bis c.c. ha riguardo ai «rapporti con gli ascendenti». In esso si afferma il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni e si aggiunge che «l’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore». All’ascendente viene dunque riconosciuto ora un vero e proprio “diritto” alla relazione con i nipoti. Per quanto riguarda gli altri parenti, invece, l’art. 315 bis riconosce soltanto al figlio il diritto di mantenere rapporti significativi con loro.

Per quanto riguarda i cd.procedimenti de potestate si segnala la modifica del secondo comma dell’ art. 336 c.c., dove viene previsto il necessario ascolto del minore, e l’inserimento di un art. 336 bis che contiene la disciplina di tale ascolto, che può essere escluso ove superfluo o in contrasto con l’interesse del minore e che, ove disposto, viene «condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari»(v. anche nuovo art. 38 bis disp. att. c.c.)31.

Negli artt. 337 bis-337 octies c.c. è contenuta la disciplina dei rapporti tra genitori e figli «in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio». Si tratta della disciplina già contenuta negli artt. 155 ss. c.c. Tra le modifiche si segnala la disciplina della responsabilità genitoriale in caso di affidamento esclusivo. La questione, come è noto, era dibattuta32 ed è ora risolta nel senso che «il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Ulteriori modifiche riguardano l’ascolto del minore che può essere talvolta escluso dal giudice: «nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo» (art. 337 octies).

Successioni e donazioni

Di particolare interesse sono poi le disposizioni in tema di successioni e donazioni33. Quanto alle prime, si tratta di una complessiva revisione delle norme sulle successioni necessarie e legittime alla luce del principio dell’unicità dello status di figlio e della nozione di parentela fondata sulla generazione e non sul matrimonio. Nella prospettiva dell’unicità dello status si segnala l’eliminazione del distinto riferimento ai figli legittimi e naturali presente nella disciplina della riforma del 1975, ed inoltre l’abrogazione del diritto di commutazione (art. 537, co 3, c.c.) e delle norme sulla successione dei genitori (e del coniuge) al figlio naturale (art. 578, 579 c.c.).

Per quanto riguarda la successione ex lege, la nuova nozione di parentela ha portato al pieno riconoscimento di diritti successori tra parenti. Va qui ricordato che anche prima della l. 219/2012 i discendenti, anche naturali, potevano succedere all’ascendente per rappresentazione (art. 467 c.c.). Era invece esclusa la successione tra collaterali. Con la riforma del 2012 la successione viene ammessa tra parenti senza più alcuna distinzione.

Vanno poi segnalate, tra le disposizioni transitorie (art. 104 d.lgs.), quelle intese a rendere applicabili le nuove norme sulla successione dei parenti anche alle successioni aperte prima dell’entrata in vigore della riforma, salvi, ovviamente, gli effetti del giudicato.

Per quanto riguarda le donazioni si segnala la modifica dell’art. 803 c.c., contenente la disciplina della revocazione delle donazioni per sopravvenienza di figli, che viene sostituito dal seguente: «Le donazioni fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l’esistenza di un figlio o discendente del donante. Possono inoltre essere revocate per il riconoscimento di un figlio, salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell’esistenza del figlio.

La revocazione può essere domandata anche se il figlio del donante era già concepito al tempo della donazione».

Nell’ottica dell’unicità dello status di figlio non si comprende la ragione della distinta considerazione dei figli nati nel e fuori del matrimonio.

Lo schema di d.lgs. in esame appare, almeno ad una prima lettura, piuttosto deludente: l’unificazione degli status non è ancora pienamente realizzata, la tecnica legislativa lascia a desiderare, i problemi posti dalla modernità, dalle nuove tecnologie, dalle nuove realtà familiari sono ancora ignorati.

Note

1 Bianca, M.C., La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Dir. fam.,2006, 207 ss.; Ferrando, G., Introduzione, in Il nuovo diritto di famiglia, trattato diretto da G. Ferrando, III, Filiazione e adozione, Bologna, 2007, 3 ss.

2 Sul principio di eguaglianza tra tutti i figli, nella giurisprudenza della C. eur. dir. uomo, tra le altre, cfr. C. eur. dir. uomo, 13.6.1979, Markx c. Belgio, (anche in Foro it., 1979, IV, 342); 18.12.1986, Johnston e altri c. Irlanda; 28.10.1987, Inze c. Austria; 29.11.1991 Vermeire c. Belgio; 1.2.2000, Mazureck c. Francia.

3 C. cost., 3.7.2000, n. 250; C. cost., 20.7.2004, n. 245; C. cost., 26.6.1997, n. 203; C. cost., 24.7.2000, n. 332; C. cost, 11.3.2009, n. 86.

4C. cost., 28.11.2002, n. 494; Cass., 10.2. 2006, n. 50.

5 C. cost., 6.7. 2006, n. 266.

6C. cost., 4.7.1979, n. 55; 24.3.1988, n. 363; 12.4.1990, n. 184; 7.11.1994, n. 377; 23.11.2000, n. 532.

7C. cost., 18.12. 2009, n. 335.

8C. cost., ord. 9.1.2012, n. 7.

9C. cost., n. 335/2009.

10 Bianca, C.M., Diritto civile, II, Famiglia e successioni, Milano, 2002, 20 ss.

11V. circ. Min. interni n. 33/2012.

12Al riguardo, Ferrando, G. Famiglie ricomposte e nuovi genitori, in Auletta, T., a cura di, Bilanci e prospettive del diritto di famiglia a trent’anni dalla riforma, Milano, 2007, 285 ss.; Stanzione, G., Rapporti di filiazione e terzo genitore: le esperienze francese e italiana, in Fam. dir., 2012, 201.

13C. eur. dir. uomo, 27.4.2010, Moretti e Benedetti c. Italia; e 28.6.2007, Wagner c. Lussemburgo.

14Cass., 23.2.1996, n. 1444; Cass. 24.9.1996, n. 8413; Cass. 30.5.1997, n. 4834; Cass. 8.11.1997, n. 11032.

15Cass., 24.5.2000, n. 6784;Cass.11.2.2005, n. 2878; Cass. 3.4.2003, n. 5115.

16Cass., 3.1.2008, n. 4.

17 Cass., 10.10.2008, n. 24931.

18C. cost., 28.11.2002, n. 494.

19 Cass., S.U., 3.11.2005, n. 21287; C. cost., 20.3.2009, n. 80.

20«Art. 38. - Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all'art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 del codice civile...». L'art. 38 è stato ulteriormente modificato dallo schema di d.lgs.

21In precedenza, ripartita tra Tribunale minorile ed ordinario: cfr. Cass. 3.4.2007, n. 8362.; Cass. 18.3.2010 nn. 6641 e 6654.

22D.d.l. n. 3323 (d’iniziativa dei senatori Alberti Casellati, Caliendo e Benedetti Valentini), comunicato alla presidenza del Senato il 29 maggio 2012 – Delega al Governo per l’istituzione presso i tribunali e le corti d’appello delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia.

23Mantovani, M., Questioni in tema di accertamento della maternità e sistema dello stato civile, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 323 ss.; Checchini, B., Una singolare fase della maternità: tra il parto e l’atto di nascita, ibidem, 83 ss.

24V. la sentenza di condanna dell’Italia C. eur. dir. uomo, 25.9.2012, Godelli c. Italia.

25Lenti, L., Adozione e segreto, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 229 ss.

26Ad esempio, l’art. 332 Code civil dispone che: «La paternità può essere contestata provando che il marito o l’autore del riconoscimento non è il padre».

27Lenti, L., La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 201 ss.

28C. cost., 6.7.2006, n. 266, in seguito alla quale la prova genetica della paternità non è più subordinata alla previa prova dell’adulterio.

29Cass., 3.4.2007, n. 8356; 6.6.2008, n. 1508, in Giur. it., 2008, 2435.

30V. Trib. Roma, 10.10.2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 349, con nota di G. Stanzione.

31Sugli aspetti processuali, v. Tommaseo, F., Verso il decreto legislativo sulla filiazione: le norme processuali proposte dalla Commissione ministeriale, in Fam. dir., 2013, 629 ss.; Danovi, F., Nobili intenti e tecniche approssimative nei nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, in Corr. giur., 2013, 537 ss.

32Ferrando, G., L’affidamento dei figli, in La separazione personale dei coniugi, a cura di G. Ferrando e L. Lenti, in Tratt. dir. priv. Alpa Patti,Padova, 2012, 263 ss.

33V. Dossetti, M., L’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione. Aspetti personali, successori e processuali, a cura di M. Rossetti, M. Moretti, e C. Moretti, Bologna, 2013, 117; Delfini, F., Riforma della filiazione e diritto successorio, in Corr. giur., 2013, 545.

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