La riforma delle misure di prevenzione

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

La riforma delle misure di prevenzione

Francesco Menditto

Negli ultimi anni gli interventi diretti a contrastare le organizzazioni criminali si sono spesso concentrati sul potenziamento degli strumenti di “aggressione” ai patrimoni illecitamente accumulati, in particolare attraverso le misure di prevenzione. Il contributo che segue, aggiornato alle modifiche introdotte dalla l. n. 172/2012 e dal d.lgs. n. 218/2012, delinea la riforma delle misure di prevenzione, personali e patrimoniali, confluita nel d.lgs. n. 159/2011 ove sono state raccolte e coordinate disposizioni prima disperse in diversi testi e sono state introdotte numerose modifiche in materia di amministrazione dei beni sequestrati e di tutela dei terzi. La riflessione, oltre a sottoporre a verifica l’attualità dei principi elaborati nel vigore della precedente disciplina, offre una panoramica del sistema delle misure di prevenzione, spesso ritenuto “diritto di serie B”, ponendo in rilievo la costante necessità di coniugare la spinta derivante da ragioni di politica criminale con le imprescindibili garanzie previste dalla Costituzione e dalla CEDU.

La ricognizione

Le misure di prevenzione sono da tempo ritenute “diritto di serie B” per molteplici ragioni: la recente giurisdizionalizzazione; la disorganicità degli interventi legislativi, spesso fondati sull’emergenza; lo sforzo della giurisprudenza, ancora in corso, diretto ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali e della CEDU; la trasformazione da generica prevenzione del reato a prevenzione della criminalità mafiosa, anche con la confisca dei beni illecitamente acquisiti.

Un’organica sistemazione, diretta a coniugare l’efficienza con le garanzie, è agevolata dall’esame dell’attuale normativa, contenuta nel d.lgs. 6.9.2011, n. 159, che s’inserisce in una complessa evoluzione particolarmente intensa negli ultimi anni.

1.1 L’evoluzione delle misure di prevenzione

La funzione preventiva e il mancato previo accertamento della commissione di un reato costituiscono le caratteristiche delle misure di prevenzione, relegate per lungo tempo in un ambito esclusivamente amministrativo che consentiva, senza “l’appesantimento” delle garanzie del processo penale, il controllo di fenomeni di disagio sociale (oziosi, vagabondi, ecc.), di fenomeni ritenuti eversivi (lotte contadine e operaie), di soggetti solo sospettati di reato; il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1926 farà ampio uso di queste misure per “reprimere” il dissenso politico.

La Corte costituzionale, con la sentenza 14.6.1956, n. 2, fissa alcuni principi ancora oggi attuali per le misure di prevenzione: la necessità di provvedimenti fondati su fatti (non sospetti); l’obbligo di motivazione; l’operatività del diritto di difesa; la distinzione tra misure limitative della libertà personale, applicabili nei casi previsti dalla legge solo dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 13 Cost., e limitative della libertà di circolazione, adottabili dall’autorità amministrativa, se previste dalla legge, nei casi di cui all’art. 16 Cost., tra cui sono comprese le esigenze di pubblica sicurezza.

La l. 27.12.1956, n. 1423 rappresenta un timido tentativo di adeguamento ai principi costituzionali. Sono descritte le categorie di persone cui può essere applicata la misura (cd. pericolosità semplice), si attribuisce rilievo ai soli “elementi di fatto”, si giurisdizionalizza il procedimento attribuendo al Tribunale la competenza ad applicare le misure limitative della libertà personale, si riconoscono alcune garanzie difensive.

La l. 31.5.1965, n. 575 (cd. legge antimafia) estende le finalità preventive, dalle tradizionali categorie del disagio sociale o della condotta derivante da traffici o profitti delittuosi, alle persone indiziate di appartenenza ad associazioni mafiose per le quali la pericolosità (cd. qualificata) deriva dal grado di attribuibilità della partecipazione a un’associazione criminale, utilizzando anche i medesimi elementi raccolti in sede penale e indipendentemente dall’esito lì raggiunto.

La l. 22.5.1975, n. 152 estende le norme della legge antimafia a nuove categorie di persone per prevenire fenomeni sovversivi ritenuti particolarmente allarmanti.

La l. 13.9.1982, n. 646 (cd. legge Rognoni-La Torre) inserisce nel testo della l. n. 575/1965 norme che consentono il sequestro dei beni nella disponibilità del destinatario della misura personale (cd. principio di accessorietà), anche se intestati a prestanome, e, all’esito di un contraddittorio “semplificato”, la confisca. I nuovi istituti presentano, secondo l’opinione preferibile, carattere “preventivo”, da un lato perché l’illiceità del bene deriva dalla pericolosità della persona che l’ha acquisito, dall’altro perché la disponibilità dello stesso bene accentua l’ulteriore manifestazione di pericolosità della persona. L’intervento sul patrimonio, che influisce solo sul diritto di proprietà (e d’impresa), consente minori garanzie, nel rispetto dei principi costituzionali (artt. 41, co. 2 e 42, co. 2, Cost.), e della CEDU (art. 1, protocollo n. 1 addizionale)1.

Plurimi interventi, originati anche da ragioni di politica criminale, rimodulano le misure (l. 3.8.1988, n. 327, l. 19.3.1990, n. 55, d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. dalla l. 7.8.1992, n. 356). La l. 7.3.1996, n. 109, sollecitata da un disegno di legge d’iniziativa popolare promosso da Libera, nomi e numeri contro le mafie, disciplina la gestione dei beni sequestrati e prevede la “restituzione” alla collettività dei beni immobili attraverso il riutilizzo per fini sociali.

Nei primi anni novanta una consistente legislazione penale antimafia si affianca alla disciplina delle misure di prevenzione, anche con una nuova forma di (sequestro e) confisca per numerosi gravi delitti adottata sulla base di presupposti simili a quelli delineati per la confisca di prevenzione (art. 12 sexies l. n. 356/1992).

1.2 Le fasi iniziali della “riforma”

La maggiore consapevolezza per l’efficacia del contrasto patrimoniale ha consentito negli ultimi anni numerosi interventi che hanno profondamente “riformato” le misure di prevenzione.

Il d.l. 23.5.2008, n. 92, conv. dalla l. 24.7.2008, n. 125 estende le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, della l. n. 575/65 agli indiziati dei reati di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. e alle principali categorie previste dalla l. n. 1423/1956 (persone dedite a traffici delittuosi e che vivono col provento di delitti); s’introduce, inoltre, il principio di applicazione disgiunta delle misure patrimoniali, svincolandole da una “ingombrante” applicazione della misura personale, consentendo la confisca, ad esempio, nel caso di morte della persona pericolosa.

La l. 15.7.2009, n. 94 affronta alcune criticità emerse nella fase dell’amministrazione dei beni sequestrati, in particolare nel caso di aziende; il d.l. 4.2.2010, n. 4, conv. dalla l. 31.3.2010, n. 50, istituisce l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla “criminalità organizzata” con l’obiettivo di migliorare la fase dell’amministrazione e della confisca dei beni.

1.3 Il d.lgs. n. 159/2011 (cd. c. antimafia)

La copiosità della legislazione, le negative conseguenze derivanti dalla sua disorganicità e le interferenze tra i diversi istituti hanno sollecitato la redazione di un codice in cui raccogliere e “potenziare” l’intera normativa, penale (sostanziale e processuale) e delle misure di prevenzione.

Il disegno di legge presentato dal Governo il 9.3.2010 con l’ambizioso obiettivo di giungere alla «redazione di un … codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione» in cui «riordinare e innovare la normativa antimafia, ivi compresa quella già contenuta all’interno del codice penale e di procedura penale, nonché quella relativa alle misure di prevenzione», veniva approvato senza sostanziali modifiche, pur mancando principi e criteri direttivi necessari per un intervento nella materia penale. La l. 13.8.2010, n. 136 all’art. 1 delega il Governo ad adottare, entro un anno, un decreto legislativo che preveda: a) per la materia penale la ricognizione della normativa sul contrasto della criminalità organizzata, ivi compresa quella contenuta nei codici penale e di procedura penale; b) per le misure di prevenzione la ricognizione e il coordinamento della disciplina vigente nonché l’aggiornamento secondo numerosi principi e criteri direttivi.

Lo schema di decreto predisposto dal Governo presentava numerosi limiti, tra cui la presenza “disorganica” solo di dieci norme penali e, per le misure di prevenzione, eccessi di delega, omesse regolamentazioni, mancate armonizzazioni con i principi costituzionali.

Il testo definitivo, che raccoglieva, in parte, i rilievi formulati dal parere delle commissioni parlamentari, denso di osservazioni e condizioni, eliminava le norme penali e modificava alcune disposizioni in materia di misure di prevenzione2.

Il d.lgs. n. 159/2011, entrato in vigore il 13.10.2011, pur se denominato «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione» si limita a disciplinare, nel Libro I (artt. 1-81), le misure di prevenzione ripercorrendo gli istituti vigenti: Titolo I, «Le misure di prevenzione personali, applicate dall’Autorità amministrativa o dall’Autorità giudiziaria» (artt. 1-16); Titolo II, «Le misure di prevenzione patrimoniali» (artt.16-34); Titolo III, «L’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati» (artt. 35-51); Titolo IV, «La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali» (artt. 52-65); Titolo V, «Effetti, sanzioni e disposizioni finali» (artt. 66-81). Per ragioni sistematiche la normativa sull’Agenzia nazionale, è inserita nel Libro III, Titolo II (art. da 110 a 114). Le norme abrogative, transitorie e di coordinamento sono collocate nel Libro IV (artt. 115, 116, 117, co. 1, 120, lett. a-h).

Il cd. Codice antimafia procede principalmente alla ricognizione e alla sistemazione organica della copiosa legislazione previgente. Nella parte innovativa, relativa all’amministrazione dei beni sequestrati, sono spesso recepite prassi preesistenti, ma mancano disposizioni dirette a rendere più utile questa fase; il tentativo di regolamentare la tutela dei diritti dei terzi rivela talvolta, come si vedrà nel dettaglio, una non adeguata conoscenza della materia; è solo parziale l’eliminazione di disposizioni in contrasto con i principi costituzionali così come il riconoscimento d’interpretazioni costituzionalmente e convenzionalmente orientate.

L’opera di ricognizione non è completa. Mancano le disposizioni previste da “leggi speciali”: verso i tossicodipendenti (art. 75 bis d.P.R. 9.10.1990, n. 309); contro la violenza in ambito familiare (art. 8 d.l. 25.2.2009, n. 11, conv. dalla l. 23.4.2009, n. 38); nell’ambito sportivo (l. 13.12.1989, n. 401).

La nuova normativa non si applica ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del decreto (13.10.2011) sia già stata formulata la proposta di applicazione della misura (art. 117, co. 1), momento da individuarsi nel deposito presso la cancelleria del Tribunale.

L’abrogazione delle “leggi fondamentali”, nn. 1423/1956, 575/1965, 152/1975 (artt. da 18 a 24) (art. 120) comporta che i richiami a queste si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del d.lgs. (art. 116). Ad esempio, i presupposti del decreto di espulsione dello straniero, indicati dall’art. 13, co. 2, d.lgs. 4.5.1998, n. 286, nell’appartenenza a una delle categorie indicate nell’art. 1 l. n. 1423/1956, vanno riferiti alle categorie previste dall’art. 1 d.lgs. n. 159/2011.

Per ragioni di carattere pratico nel prosieguo della trattazione le disposizioni del d.lgs. saranno citate senza ulteriori indicazioni del testo normativo.

La focalizzazione

L’esame del d.lgs. n. 159/2011 consente di verificare l’attuale “approdo” delle misure di prevenzione in una fase in cui intervengono i primi contributi3. Si esporranno le modifiche intervenute e il rapporto con principi e orientamenti previgenti, riservando alla parte finale un adeguato approfondimento delle principali questioni “problematiche”.

2.1 Le misure personali applicate dal questore

Gli articoli da 1 a 3 coordinano e in minima parte innovano le norme sulle misure personali irrogate dal questore: foglio di via obbligatorio, avviso orale, divieto di possedere apparati che agevolano la condotta pericolosa.

Le misure sono applicabili nei confronti delle tradizionali categorie di pericolosità “comune”, elencate nell’art. 1: persone dedite a traffici delittuosi (lett. a), che vivono anche in parte col provento dei delitti (lett. b), dedite alla commissione di reati contro i minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (lett. c). Si armonizza la disposizione con i principi costituzionali richiedendo, per l’irrogazione delle misure, indizi, laddove la l. n. 1423/1956 parlava di sospetti.

L’avviso orale non è più propedeutico all’applicazione di misure da parte dell’autorità giudiziaria, come richiesto in precedenza per le persone dedite alla commissione di reati contro minorenni, sanità e tranquillità pubblica (Cass. pen., 7.1.2008, n. 254).

2.2 Le misure personali applicate dall’Autorità giudiziaria

Il d.lgs. n. 159/2011 procede a una risistemazione organica dei destinatari delle misure di prevenzione personali, elencando le categorie di pericolosità, prima contenute in diversi testi:

• cd. pericolosità comune prevista dall’art. 1, l. n. 1423/1956 (artt. 4, lett. c e 1);

• cd. pericolosità qualificata ex art. 1 l. n. 575/1965, indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa o di commissione dei delitti di cui all’art 51, co. 3-bis, c.p.p. (art. 4, lett. a, b);

• cd. pericolosità relativa a fenomeni sovversivi ex art. 18 l. n. 152/1975 (art. 4, lett. d, e, f, g  ed h);

• cd. pericolosità nell’ambito delle manifestazioni sportive ex art 7 ter l. n. 401/1989 (art. 4, lett. i).

L’espresso richiamo all’applicabilità della misura alle persone «pericolose per la sicurezza pubblica» (art. 4 e 6) consente di rivisitare la giurisprudenza che affermava la presunzione della pericolosità sociale per gli indiziati di mafia, sia con riferimento alla mera pericolosità (Cass. pen.,21.1.2006, n. 1014; Cass. pen., 26.02.2010, n. 7937), sia alla sua attualità (Cass. pen.,15.9.2008, n. 35357; Cass. pen.,9.1.2009, n. 499).

Il sistema delineato opera una sostanziale “omogeneizzazione” dei tre presupposti di applicabilità delle misure di prevenzione individuati dalla giurisprudenza: a) la riconducibilità della persona a una categoria soggettiva delineate dal legislatore (C. cost., 4.3.1964, n. 23); b) la pericolosità (effettiva) della persona per la sicurezza pubblica (C. cost., 27.2.1969, n. 32) che consiste in una valutazione globale della personalità del soggetto, in relazione alla persistenza nel tempo, di un comportamento illecito e antisociale (Cass. pen.,14.6.2002, n. 23041); c) l’attualità della pericolosità sociale della persona che, se mancante, non richiede alcuno specifico controllo e se successivamente cessata comporta la revoca ex nunc della misura (art. 11, co. 2).

L’art. 6 elenca le diverse misure di prevenzione personali, con un’evidente graduazione: sorveglianza speciale semplice, con divieto di soggiorno e con obbligo di soggiorno. Si procede a una sostanziale equiparazione tra pericolosità comune e qualificata, essendo solo impedita per quest’ultima l’irrogazione del divieto di soggiorno; non sono più previsti per gli indiziati di mafia come effetti automatici l’obbligo di soggiorno e la cauzione.

L’art. 8 disciplina il contenuto e gli effetti del provvedimento di applicazione della misura, con un parziale adeguamento ai principi costituzionali. Si sostituisce il «sospetto» di vivere col provento di reati con l’«indizio», non si riproducono le categorie di «oziosi e vagabondi» e si elimina la prescrizione di «non dare ragione di sospetto e di non trattenersi abitualmente nelle osterie o bettole».

La l. 1.10.2012 n. 172, con cui è stata ratificata la «Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007», modificando l’art. 8, co. 5, ha integrato la disposizione che consentiva al tribunale di «imporre tutte quelle prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale». Si prevede oggi che, per i soggetti di cui all’art. 1, lett. c), si possa applicare, in particolare, il «divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente da minori». La prescrizione, che trova applicazione con riferimento alle sole persone dedite a delitti contro i minori, è opportunamente prevista per legge essendo stato in più occasioni rilevato che la facoltà attribuita al Tribunale di imporre prescrizioni non meglio specificate appariva ai “limiti” del rispetto del principio di riserva di legge in materia di limitazione della libertà personale (art. 13 Cost.).

Si aggiornano i presupposti dell’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di soggiorno obbligato, estesi dalla giurisprudenza ai casi di allontanamento derivanti da gravi e comprovati motivi di famiglia o lato sensu affettivi tutelati da prevalenti principi costituzionali (art. 12).

Il d.lgs. in esame apporta limitate modifiche alle norme sul procedimento.

È confermata l’applicabilità, in quanto compatibili, delle disposizioni del più snello rito dell’incidente di esecuzione (art. 7, co. 9) che attribuisce ampi poteri istruttori al giudice.

L’autonomia dell’azione di prevenzione dall’azione penale, desunta dalla giurisprudenza da varie disposizioni, trova oggi conferma nell’art. 29.

Si procede alla ricognizione delle norme sulla competenza ad avanzare la proposta (art. 5) attribuita: a) al procuratore nazionale antimafia, al procuratore della Repubblica distrettuale e al procuratore delle Repubblica circondariale, per quest’ultimo con esclusione delle misure nei confronti di indiziati di appartenenza alla mafia o di commissione di gravi delitti ovvero per la prevenzione dei fenomeni sovversivi; b) al direttore della Direzione investigativa antimafia e al questore che, in ossequio al principio di armonizzazione, non è più il solo titolare del potere di proposta per le persone dedite alla commissione di delitti contro i minori, la salute e la sicurezza.

Non è innovato il criterio di determinazione della competenza dell’autorità proponente, riferito alla dimora della persona, che va individuata nel luogo in cui il proposto ha tenuto comportamenti sintomatici della sua pericolosità. Non sono affrontate le problematiche relative alla pluralità di condotte pericolose realizzate in luoghi diversi o che evidenziano diverse pericolosità e che si riflettono sull’incompetenza dell’organo proponente, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (Cass. pen.,12.7.2011, n. 27086).

L’autonoma previsione (art. 5, co. 4) della competenza del Tribunale capoluogo di provincia, prima desunta da quella dell’organo proponente, consente un ripensamento della sua ritenuta natura funzionale, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (Cass. pen., 19.5.2010, n. 19067), potendo ipotizzarsi, secondo i principi che regolano i procedimenti camerali, la proponibilità dell’eccezione non oltre la conclusione della discussione in primo grado.

L’art. 7, co. 1, riproducendo testualmente l’art. 666, co. 3, c.p.p., prevede che il decreto sia emesso dal presidente del collegio, modificando la precedente competenza del presidente del Tribunale che continua a essere titolare di un “anacronistico” potere di “accompagnamento coattivo” del proposto (art. 7, co. 6).

Le «comunicazioni» possano essere eseguite ai sensi del d.lgs. 7.3.2005, n. 82 (codice dell’amministrazione digitale) art. 7, co. 10, escluse quelle relative al proposto, da equipararsi all’imputato (arg. ex art. 51, co. 1, d.l. 25.6.2008, n. 112, conv. dalla l. 6.8.2008, n. 133).

L’art. 7, co. 7, prevede, sulla scia della precedente giurisprudenza (i cui principi devono ritenersi pienamente applicabili), le nullità per la violazione del comma 2, relativo alla necessità dell’avviso e al termine per la comunicazione.

Per la partecipazione all’udienza del proposto detenuto o internato si riproduce il disposto dell’art. 666 c.p.p., senza neanche sostituire la parola «giudice» con «tribunale» (art. 7, co. 6), ignorando che in assenza di precedente espressa regolamentazione la prevalente giurisprudenza riteneva, in applicazione analogica delle disposizioni sul procedimento di riesame delle misure cautelari, che il proposto detenuto fuori del luogo della circoscrizione del Tribunale avesse il diritto di comparire nei casi in cui chiedeva espressamente di «presenziare» e non solo di essere «sentito» (Cass. pen., 25.7.2008, n. 31334). Tale principio si riflette sull’interpretazione dell’art. 7, co. 5, meramente riproduttivo dell’art. 127, co. 5, c.p.p., suggerendo il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento a comparire del proposto detenuto fuori della circoscrizione del tribunale che abbia manifestato la volontà di essere sentito personalmente (Cass. pen.,12.3.2003, n. 19535; Cass. pen.,13.12.2007, n. 46614).

Si prevede, per superare il diverso orientamento giurisprudenziale (Cass. pen., 20.3.2000, n. 612) e le incertezze ancora presenti dopo le modifiche apportate all’art. 41 bis ord. pen. dalla l. n. 94/2009, che, ove siano disponibili strumenti tecnici idonei, si proceda all’audizione a distanza del proposto (art. 7, co. 4). Anche i testimoni possono essere sentiti a distanza (art. 7, co. 8).

Manca una disposizione che riconosca il legittimo impedimento del difensore del proposto, escluso dall’attuale arresto della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. pen., S.U., 22.9.2006, n. 31461) che pur richiederebbe di essere rivisto per la specificità del procedimento di prevenzione.

All’esito della sentenza della Corte costituzionale 12.3.2010, n. 93, con cui erano stati recepiti plurimi interventi della Corte europea per i diritti dell’uomo (sentenze 13.11.2007, Bocellari e Rizza, 5.1.10, Bongiorno) l’udienza, normalmente svolta in camera di consiglio, è celebrata in forma pubblica su richiesta dell’interessato (art. 7, co. 1).

Si continua a definire “decreto” la decisione del Tribunale pur se, per il carattere giurisdizionale del procedimento, ha natura di sentenza, (Cass. pen., S.U., 8.1.2010, n. 600). Non sono “aggiornate” le norme sulle impugnazioni, riproposte testualmente attraverso l’inutile riferimento al ricorso «per il merito» (artt. 8, co. 8, e 10, co. 1 e 2), così come si continua a omettere ogni riferimento al difensore, certamente destinatario della comunicazione del decreto e del potere di proporre impugnazione.

Limitate le modifiche in materia di esecuzione e violazioni.

Meramente ricognitive sono le norme sull’aggravamento della misura, costituite da un coacervo di disposizioni ampiamente rivisitate dalla giurisprudenza. Continuano, pertanto, a coesistere diverse tipologie di aggravamento: a) proposta “nuova”; b) proposta ex art. 14, co. 2, sostanzialmente desueta, anche a seguito degli interventi della Corte costituzionale (sentenze 9.1.1974, n. 3 e 7.5.1975, n. 113); c) proposta di cui all’art. 11, co. 2, assimilabile all’ipotesi sub a), con l’unica particolarità che è collegata a specifiche violazioni degli obblighi imposti.

Manca l’istituto della revisione, pur se costante l’orientamento che consente nei medesimi casi la revoca ex nunc di cui all’odierno art. 11, co. 2 (Cass., pen, 1.12.2008, n. 44601).

La mera ricognizione delle norme in materia di esecuzione non consente di risolvere univocamente numerose questioni derivanti da una disciplina disorganica e vetusta.

Tra le norme sugli effetti e sulle violazioni delle misure (artt. 66 ss.), che ripercorrono organicamente le disposizioni previgenti, va ricordata quella sul fermo (art. 77), con cui si tenta di aggiornare la disposizione previgente con una disciplina, che non brilla per chiarezza; interpretata in modo costituzionalmente orientato andrebbe riferita alle sole persone nei cui confronti sia stata applicata una misura di prevenzione personale, seppur non definitiva, fermi restando gli ulteriori presupposti previsti dall’art. 384 c.p.p., col solo ampliamento ai reati previsti dall’art. 381 c.p.p.

L’art. 75, riproduttivo dell’art. 9 l. n. 1423/1956 in materia di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, al secondo comma sanziona anche l’allontanamento abusivo dal luogo di soggiorno obbligato imposto agli indiziati di mafia, precedentemente disciplinato con una pena più grave dall’art. 5 l. n. 575/1965 (Cass. pen.,18.6.2010, n. 23689), non riprodotto in violazione di delega.

2.3 Le misure patrimoniali. Sequestro e confisca

Il titolo II del d.lgs. procede a un’organica risistemazione delle disposizioni che regolavano le misure patrimoniali (l. nn. 575/1965, 152/1975 e 55/1990) con alcune modifiche e innovazioni. Non si è intervenuto sulle caratteristiche delle principali misure, sequestro e confisca, cui sono dedicati gli artt. 16-30, con la conseguente generale applicabilità dei principi e degli orientamenti giurisprudenziali previgenti. Le “altre” misure sono disciplinate dagli artt. 31-34.

Ancora oggi per il sequestro e la confisca occorrono presupposti soggettivi e oggettivi. accertati nella fase cautelare sulla base degli elementi offerti dall’organo proponente o acquisiti dal Tribunale, verificati successivamente – nell’udienza camerale – all’esito delle allegazioni difensive.

Il presupposto soggettivo, rappresentato tradizionalmente dall’applicazione della misura personale ovvero dall’essere questa in corso di esecuzione, dopo l’introduzione del principio di applicazione disgiunta (con la l. n. 125/2008, oggi riprodotto all’art. 18), consiste nella riferibilità del bene a un soggetto nei cui confronti sia irrogabile (con mero accertamento incidentale) o sia stata irrogata una misura personale.

Nel passato non vi è stata mai una perfetta coincidenza tra destinatari della misura personale e patrimoniale, progressivamente estese dagli indiziati di mafia alla pericolosità diretta a prevenire fenomeni sovversivi (l. n. 152/1975), a categorie di pericolosità comune in presenza di determinati presupposti (art. 14 l. n. 55/1990), a fenomeni antiviolenza nelle manifestazioni sportive (art. 7 ter l. n. 401/1989), infine alle categorie di pericolosità comune escluse le sole persone dedite alla commissione di reati contro i minorenni, la sanità, la sicurezza pubblica (l. n. 125/2008). L’art. 16 porta a compimento questo percorso prevedendo la sostanziale coincidenza tra destinatari della misura personale e patrimoniale, con l’unica eccezione del comma 2, relativo al terrorismo internazionale.

Gli artt. 19, 20, 24 e 26 si limitano alla mera ricognizione delle norme previgenti da cui si desumono i presupposti oggettivi: a) disponibilità, diretta o indiretta, dei beni da parte del proposto; b) sufficienti indizi, primo fra tutti la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi dichiarati o l’attività economica svolta, tali da farli ritenere frutto di attività illecita o reimpiego di questa.

Sono, dunque, utilizzabili i principi precedentemente elaborati in materia di:

• «individuazione della disponibilità indiretta», ravvisabile nella qualità di effettivo dominus del proposto (Cass. pen., 12.2.2008, n. 6613), e nella prova di tale disponibilità (Cass. pen., 23.2.2011, n. 6977), pur potendo essere utilizzate presunzioni in materia di trasferimenti e intestazioni, anche a titolo oneroso (art. 26, co. 2), o relative al coniuge, ai figli e a coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto, come ritenuto dalla giurisprudenza attraverso la valorizzazione della disposizione in materia di indagini patrimoniali previste oggi dall’art. 19, co. 3 (Cass. pen., 11.11.2010, n. 39799);

• «accertamento dell’ illecita provenienza dei beni» che, alla luce delle modifiche apportate dalla l. n. 125/2008 (oggi art. 24), ha fatto sorgere alcuni interrogativi sull’idoneità in sede di confisca della sufficienza indiziaria, come riconosciuto dalla previgente giurisprudenza (Cass. pen., 10.1.2007, n. 228), ovvero della prova di tale requisito (Cass. pen., 12.7.2011, n. 27228);

• «questioni in materia di illecita provenienza dei beni»: irrilevanza del nesso causale tra provenienza illecita e attività illecita (Cass. pen. n. 27228/2011), alternatività nella sproporzione tra redditi dichiarati e attività economica (Cass. pen., 26.7.2011, n. 29926), impossibilità di “giustificare” la provenienza legittima con redditi non dichiarati fiscalmente (Cass. pen., 10.7.2012, n. 27037), necessità o meno di connessione temporale tra pericolosità della persona ed epoca di acquisto del bene (in senso positivo Cass. pen., 22.1.2008, n. 3413; negativamente Cass. pen. n. 27228/2011).

Il procedimento patrimoniale è oggi disciplinato dall’art. 23.

Si prevede l’applicabilità, in quanto compatibili, delle disposizioni del procedimento relativo alle misure personali.

Confermata l’autonomia dell’azione di prevenzione patrimoniale (art. 29), desunta nel regime previgente dalla possibilità di disporre il sequestro e la confisca anche in relazione a beni sottoposti a sequestro in un procedimento penale (art. 2 ter, co. 9, l. n. 575/1965), si ribalta la disciplina previgente, prevedendo la prevalenza del sequestro di prevenzione, con sospensione di diritto del sequestro penale sui medesimi beni ed eventuale conferma, in taluni casi, dell’amministratore nominato in quella sede (art. 30). Al fine di neutralizzare eventuali successivi provvedimenti di “revisione” (per quanto ammissibili) o di revocazione (art. 28) si richiede la delibazione sulla confisca in sede penale e di prevenzione, mentre in precedenza si prevedeva l’estinzione degli effetti del sequestro di prevenzione all’esito della confisca penale definitiva.

La competenza ad avanzare la proposta è concentrata in un’unica norma (art. 17), evitando inutili ripetizioni come avveniva in precedenza, ed è confermata ai medesimi organi titolari del potere di proposta personale, ad eccezione del procuratore nazionale antimafia, competente per le sole proposte personali, e del procuratore della Repubblica distrettuale competente anche per le sole proposte patrimoniali per la prevenzione della violenza nelle manifestazioni sportive. È attribuita al direttore della Dia la competenza a richiedere il sequestro anticipato, prima escluso per un difetto di coordinamento delle leggi nn. 125/2008 e 94/2009.

Per il sequestro anticipato sono risolte alcune incertezze sulle norme applicabili per la convalida, oggi individuabili in quelle ordinarie, come si desume dall’art. 23, co. 1, di portata generale, e dall’art. 24, co. 2, che, prevedendo la sospensione del termine di efficacia del sequestro qualora ricorrano le cause previste dall’art. 304 c.p.p., presuppone la celebrazione dell’udienza.

Viene profondamente modificata la disciplina relativa ai destinatari dell’avviso di fissazione dell’udienza (in stretto collegamento con le nuove disposizioni sulla tutela dei terzi in buona fede), che erano individuati nel proposto e nei soli «terzi formali intestatari» cui «appartenevano» i beni (art. 2 ter, co. 5, l. n. 575/1965). Si prevede, oggi, la citazione di un’ampia gamma di soggetti, con un non condivisibile “appesantimento” di un procedimento, già complesso. Da un lato, si conferma la citazione (oltre che del proposto) dei «terzi formali intestatari» dei beni sequestrati (art. 23, co. 2); dall’altro, si dispone la citazione di meri «terzi interessati» per gli effetti che possono derivare ai diritti che vantano sul bene all’esito della confisca definitiva: a) comproprietari del bene (art. 23, co. 2); b) titolari di diritti reali o personali di godimento (art. 23, co. 4); c) parti del giudizio avente a oggetto domande trascritte prima del sequestro, relative al diritto di proprietà ovvero a diritti reali o personali di godimento sul bene sequestrato (artt. 55, co. 3, e 57).

La nuova disciplina non consente di modificare l’orientamento giurisprudenziale che esclude la nullità nel caso di omessa citazione dei terzi intestatari, potendo costoro fare valere gli eventuali diritti con incidente di esecuzione (Cass. pen., 4.5.2010, n. 16896).

Incongruente il termine oggi previsto per la citazione dei terzi, fissato «nei trenta giorni successivi all’esecuzione del sequestro» (art. 23, co. 2).

Il decreto di confisca deve essere emanato entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario (art. 24, co. 2). La disposizione previgente, inserita in un diverso contesto, prevedeva il termine di un anno decorrente, però, dall’esecuzione del sequestro. Il termine è prorogabile, con decreto motivato del Tribunale, per periodi di sei mesi e per non più di due volte nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, laddove la disposizione previgente prevedeva il termine di un anno prorogabile di un altro anno nel solo caso di indagini complesse, oltre che nei casi di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare. Nessuno innovazione si registra con riferimento alle altre cause di sospensione, coincidenti con quelle previste dall’art. 304 c.p.p., in quanto applicabili.

Si prevede, innovativamente, che il decreto di confisca del Tribunale perda efficacia se la Corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso (art. 27, co. 6). Si applicano le disposizioni sulle proroghe e le sospensioni previste nel giudizio di primo grado.

Sulle questioni problematiche relative alla natura dei termini per la confisca v. infra, § 3.4.

2.4 L’amministrazione dei beni sequestrati

L’amministrazione dei beni sequestrati è disciplinata sia raccogliendo e coordinando le disposizioni disperse in diverse fonti (l. n. 575/1965, l. n. 50/2010, d.m. 1.2.1991, n. 293, norme sul Fondo unico giustizia), sia in modo innovativo, recependo spesso prassi operative e orientamenti giurisprudenziali. L’art. 21 disciplina l’esecuzione del sequestro, gli artt. 35-39 regolano «L’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati», gli artt. 40-55 disciplinano «La gestione dei beni sequestrati e confiscati», gli artt. 110-113, relativi all’Agenzia nazionale, contengono disposizioni rilevanti in materia di amministrazione.

Nonostante l’ampia regolamentazione rimangono lacune da colmare con le disposizioni di altri rami del diritto – amministrativo, civile, tributario – da coordinare con le norme in materia di misure di prevenzione (Cass. pen., S.U., 9.7.2004, n. 29951).

In linea generale sono confermate le due fasi dell’amministrazione: la prima, dall’esecuzione del sequestro alla confisca di primo grado, in cui si affrontano molteplici questioni, sia di gestione, sia relative al protrarsi del sequestro, ove il ruolo principale è svolto dal giudice delegato coadiuvato dall’amministratore giudiziario, con l’Agenzia nazionale con compiti di mero ausilio; la seconda, che si conclude con la confisca definitiva, in cui è collaudata la gestione dei beni, affidati all’Agenzia nazionale, competente anche per la fase successiva della destinazione e assegnazione.

Ancora oggi il Tribunale è titolare di competenze di carattere generale sull’amministrazione dei beni: nomina del giudice delegato e dell’amministratore giudiziario (art. 35, co. 1), decisione sulla continuità dell’azienda (art. 41), determinazione di acconti e liquidazione delle spese (art. 42).

Il giudice delegato continua a dirigere l’amministratore giudiziario e a interloquire con l’Agenzia nazionale (art. 40), assommando una pluralità di compiti.

L’amministratore giudiziario, come nel passato, provvede alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati, anche al fine di incrementarne, se possibile, la redditività (art. 37); gli viene espressamente attribuita (art. 35, co. 5) la qualità di pubblico ufficiale, già riconosciuta dalla giurisprudenza.

Si procede alla ricognizione organica della disciplina sulla nomina dell’amministratore che va scelto tra gli iscritti nell’Albo nazionale (art. 35, co. 2) e, qualora il sequestro abbia a oggetto aziende, nell’apposita sezione (art. 41, co. 1), pur se l’Albo, disciplinato dal d.lgs. 4.2.2010, n. 14, è ancora privo del regolamento ministeriale che ne consentirà la concreta operatività. Trova, perciò, ancora applicazione l’art. 2 sexies, co. 3, l. n. 575/1965 previgente la l. 94/2009, secondo cui la scelta avviene tra gli iscritti negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e dei ragionieri del distretto ovvero tra persone che abbiano competenza nell’amministrazione di beni.

Sono confermati i compiti dell’amministratore già previsti (artt. 21, 35, 36, 40, 41, 46), cui sono aggiunti quelli relativi alla fase di tutela dei terzi (art. 57 ss., v. infra, § 2.5).

Si prevede innovativamente il reclamo avverso gli atti dell’amministratore giudiziario «compiuti in violazione del decreto» (art. 40, co. 4), ampliando la prassi che consentiva di sollecitare il giudice delegato a esercitare i relativi poteri di vigilanza. Devono ritenersi non impugnabili i provvedimenti esecutivi delle direttive impartite dal giudice delegato (o dal Tribunale) ovvero assunti su autorizzazione di questi. Il reclamo, proposto nel termine perentorio di dieci giorni (decorrente dalla conoscenza dell’atto), è diretto al giudice delegato che provvede nei dieci giorni successivi ai sensi degli artt. 737 ss. c.p.c., con decreto motivato che non sembra sia opponibile (arg. ex art. 739, ult. co., c.p.c.).

È confermata la disciplina sull’Agenzia, cui sono concentrate competenze sui beni sequestrati (inizialmente di mero ausilio, di amministrazione dalla confisca di primo grado) e su quelli confiscati definitivamente (artt. 38, 44 e 110), nonostante l’infelice formulazione dall’art. 44.

Il d.lgs. n. 159/2011 contiene utili spunti per colmare alcune incertezze relative alla individuazione dei beni sequestrabili. Se nel caso di impresa individuale non si dubita che il sequestro riguardi l’azienda nella disponibilità del proposto (e che l’amministratore si sostituisca a questo), per l’impresa collettiva (società), in cui il vincolo riguarda le quote sociali rappresentative della proprietà (cfr. Cass., 27.04.2007, n. 10095), alcune disposizioni avvalorano la tesi secondo cui il sequestro si estende all’intera azienda solo qualora sia sequestrato un numero di quote tali da assicurare le maggioranze che, sulla base delle disposizioni del c.c., consentono di esercitare il controllo sulla società (Trib. Napoli, 25.5.2011, in www.penalecontemporaneo.it); a tali maggioranze fanno riferimento l’art. 36, co. 1, lett. e), che solo in tale caso richiede la relazione sulle concrete possibilità di prosecuzione dell’attività aziendale, e l’art. 41, co. 6, sul potere dell’amministratore di convocare l’assemblea per la sostituzione degli amministratori della società.

L’art. 21 prevede, integrando le disposizioni previgenti, plurime attività nell’esecuzione del sequestro, con l’intervento dell’ufficiale giudiziario: l’esecuzione in senso stretto finalizzata alla pubblicità e opponibilità; l’immissione in possesso che attesta il trasferimento della disponibilità dei beni all’amministratore; l’apprensione materiale con la consegna dei beni all’amministratore e, per gli immobili, lo sgombero degli occupanti senza titolo.

Numerose le innovazioni relative agli adempimenti successivi all’esecuzione del sequestro.

L’art. 36 prevede, recependo le prassi di numerosi Tribunali, il contenuto minimo della prima relazione dell’amministratore, da depositare entro trenta giorni, prorogabili a novanta. Il mancato coordinamento con l’art. 41, co. 1, che prevede per le aziende una relazione contenente ulteriori dati, da depositare entro sei mesi, induce a ritenere che debba essere presentata nei trenta giorni la relazione relativa ai beni eventualmente diversi dalle aziende e gli elementi essenziali di questa e, successivamente (nel termine di sei mesi) quella contenente una più puntuale analisi dei beni aziendali e le prospettive di prosecuzione dell’impresa.

La relazione deve contenere il presumibile valore di mercato dei beni, stimato dallo stesso amministratore, che assume rilievo a molteplici effetti, tra cui la determinazione del compenso, il limite per il soddisfacimento dei diritti dei terzi in buona fede (art. 53) e il valore base per la vendita dei beni (art. 60, co. 2). La possibilità di proporre opposizione alla stima presuppone la comunicazione agli interessati, con decorrenza di un termine perentorio di dieci giorni.

Nelle controversie concernenti rapporti relativi ai beni sequestrati, l’amministratore giudiziario può avvalersi dell’Avvocatura dello Stato per l’assistenza legale (art. 39).

L’art. 42 riproduce e riorganizza in modo organico le norme sulla liquidazione delle spese, dei compensi e dei rimborsi, ivi compresi quelli dovuti all’amministratore per i quali il comma 5 richiama le tabelle previste dall’art. 8 d.lgs. n. 14/2010 che, a sua volta, prevede un d.P.R. ancora non emanato; si applicano, pertanto, i criteri di cui all’art. 2 octies, co. 4, l. n. 575/1965: «valore commerciale del patrimonio amministrato, opera prestata, risultati ottenuti, sollecitudine con la quale furono condotte le operazioni di amministrazione, tariffe professionali o locali e degli usi».

L’art. 43 coordina le disposizioni sul conto di gestione, prima presenti nella l. n. 575/1965 e nel d.m. n. 293/1991. Il contenuto delle contestazioni, che non possono «avere ad oggetto i criteri e i risultati di gestione», sembra non confermare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudizio poteva riferirsi oltre che agli errori materiali e ai criteri di conteggio al «controllo della gestione e all’accertamento delle responsabilità per il compimento di atti che abbiano arrecato pregiudizio alla massa o ai diritti dei singoli creditori» (Cass., 28.3.2000, n. 3896).

Imponente il tentativo di regolamentare la fase gestionale dell’amministrazione, in precedenza in larga parte rimessa alle prassi, non sempre uniformi.

L’art. 37 coordina e modifica le disposizioni sulla gestione della contabilità tenuta dell’amministratore contenute nel d.m. n. 293/1991 che continua a disciplinare le parti non regolamentate. Si prevede (co. 3) che rimangano nella disponibilità della procedura le sole somme derivanti dalla gestione di aziende.

Si disciplinano i rapporti pendenti nel momento del sequestro (contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti), per i quali in assenza di regolamentazione il giudice delegato autorizzava di volta in volta la prosecuzione nel rapporto contrattuale, ma senza un’univoca assunzione dei debiti preesistenti al sequestro per i quali non era prevista una specifica tutela. L’art. 56, che contiene disposizioni speculari a quelle dettata per il fallimento dagli artt. 72-83 l. fall., prevede che i rapporti pendenti siano sospesi ipso iure, demandando all’amministratore giudiziario, con l’autorizzazione del giudice delegato, la scelta tra subentrare nel contratto ovvero risolverlo; in quest’ultimo caso, il contraente ha diritto di far valere nel passivo, secondo le disposizioni del titolo IV, il credito conseguente al mancato adempimento. Se dalla sospensione può derivare un danno grave al bene il giudice delegato autorizza, entro trenta giorni dal sequestro, la provvisoria esecuzione dei rapporti pendenti. La norma non tiene conto della natura delle attività imprenditoriali che non consentono alcuna interruzione, pena gravi effetti negativi di carattere economico.

Il contrasto interpretativo tra alcune prassi giurisprudenziali e l’Agenzia delle entrate sulla tassabilità dei redditi delle persone fisiche maturati durante il sequestro sono risolti dall’art. 51 con una disciplina di dettaglio (tassabilità) che comporta inutili appesantimenti.

Per la gestione delle aziende si conferma la normativa previgente e si disciplinano rilevanti aspetti ripercorrendo prassi operative e giurisprudenziali. L’amministratore giudiziario prende in consegna le scritture contabili e i libri sociali (art. 37, co. 2); i rapporti giuridici sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente e altrimenti disposto (art. 41, co. 4), trovando conferma l’orientamento secondo cui non deve farsi confusione tra poteri dell’amministratore giudiziario e del legale rappresentante della società.

2.5 La tutela dei terzi

La tutela dei terzi titolari di diritti sorti prima dell’esecuzione del sequestro non è agevole per la necessità di coordinare le esigenze del procedimento di prevenzione con numerose problematiche relative alla costituzione e alla tutela dei diritti prevista dal codice civile, alla natura dell’acquisto del bene da parte dello Stato, alle possibile precostituzione di situazioni elusive, ecc.

In assenza di espressa regolamentazione la giurisprudenza non riconosceva alcuna facoltà d’intervento nel procedimento, né altra tutela sui beni (sequestrati e) confiscati, ai titolari di meri diritti di credito, anche se in buona fede (Cass. pen.,25.6.2007, n. 24187), trattandosi di questione rimessa alla valutazione del legislatore (C. cost. 26.6.1994, n. 190).

Ai titolari di diritti reali di garanzia (generalmente istituti di credito titolari di ipoteche) le sezioni penali della Cassazione riconoscevano una tutela meramente risarcitoria in considerazione della non espropriabilità del bene, sempre che innanzi al giudice della prevenzione, in funzione di giudice dell’esecuzione, il creditore dimostrasse la costituzione del diritto prima del sequestro unitamente alla buona fede e all’affidamento incolpevole, inteso come mancanza di collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto (Cass. pen., 21.1.2009, n. 2501); agli istituti di credito veniva richiesta una particolare diligenza (Cass. pen.,12.9.2011, n. 33796). Le sezioni civili, dopo avere condiviso l’orientamento ora esposto, hanno riconosciuto al titolare un diritto estinguibile solo per le cause tassative indicate dall’art. 2878 c.c., perciò tutelabile con le forme ordinarie. Per la complessità delle questioni è stato richiesto l’intervento delle Sezioni Unite civili (Cass., ord. 17.2.2012, n. 2339).

Il d.lgs. n. 159/11 delinea una disciplina organica, da un lato prevedendo la citazione in giudizio di alcuni terzi (v. supra, § 2.3), dall’altro disciplinando i presupposti e le modalità della tutela attraverso un procedimento in cui sono risolte tutte le “vicende” che riguardano il bene, acquisito dallo Stato depurato di qualsiasi problematica che potrebbe comportare oneri o spese. Da questa scelta deriva un generalizzato divieto di azioni esecutive, da chiunque intraprese, sui beni oggetto di sequestro (art. 55) laddove nel regime previgente, in mancanza di espresse disposizioni, si confrontavano diverse tesi.

L’articolo 52 fissa le condizioni che consentono la tutela dei diritti di credito dei terzi, con l’obiettivo di assicurare l’effettività della confisca.

Il terzo, deve dimostrare, in primo luogo, l’anteriorità del diritto rispetto al sequestro e la previa escussione del restante patrimonio del proposto e la sua insufficienza al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati.

Va dimostrata, inoltre, la non strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, ovvero l’ignoranza in buona fede di questi elementi; nella valutazione si tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse, del tipo di attività svolta dal creditore, con un evidente riferimento alla particolare diligenza richiesta agli istituti di credito. Si esclude un controllo meramente formale; va accertata l’estraneità del terzo all’attività delittuosa del proprio debitore, evitando il rischio che il proposto possa avvalersi di prestanome che vantino fittiziamente diritti sui beni sequestrati.

Infine, occorre la prova del rapporto fondamentale, nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, ovvero la prova da parte del portatore del titolo di credito del rapporto fondamentale e di quello che ne legittima il possesso.

A garanzia dei diritti dei terzi viene fissato il limite nel 70 per cento del valore dei beni (art. 53), omettendo di inserire nel calcolo di tale percentuale la determinazione delle spese del procedimento (talvolta ingenti), pur in presenza del non equivoco tenore della delega.

I crediti prededucibili, così qualificati da una specifica disposizione o sorti in occasione del procedimento di prevenzione, sono pagati prioritariamente, al di fuori del procedimento ordinario, previa autorizzazione del giudice delegato che opera un accertamento semplificato indicando il soggetto tenuto al pagamento, purchè si tratti di crediti liquidi, esigibili, non contestati e non si pregiudichi la gestione (art. 54).

Gli artt. 57-62 disciplinano il procedimento, svolto sotto la direzione del giudice delegato che si avvale dell’ausilio dell’amministratore giudiziario.

L’amministratore, secondo uno schema modellato sull’art. 89 l. fall., procede alla formazione dell’elenco dei creditori “chirografari” e di coloro che vantano diritti reali, di garanzia o di godimento ovvero diritti personali di godimento sui beni. Ricevuti gli elenchi dei creditori il giudice delegato fissa l’udienza di verifica «anche prima della confisca» (cfr. infra, § 3.6).

L’art. 58 disciplina la presentazione delle domande dei creditori che devono contenere i requisiti per consentire di valutare la fondatezza della richiesta. Come nel procedimento fallimentare sono previste eventuali domande tardive con rigidi requisiti di ammissibilità (artt. 57, co. 3, 58, co. 5, 59, co. 10).

L’udienza di verifica dei crediti presenta accentuati caratteri officiosi, con l’attribuzione al giudice delegato del potere di assumere informazioni (art. 59). Verificate le domande e indicati i crediti ammessi, il giudice delegato forma lo stato passivo che rende esecutivo con decreto. Il regime delle “impugnazioni” è delineato in sostanziale simmetria con gli artt. 98 e 99 l. fall.

Segue il procedimento di liquidazione dei beni, che riproduce in gran parte gli artt. 105 ss. l. fall., ignorando le particolarità del procedimento di prevenzione (v. infra, § 3.6), qualora le somme in sequestro non siano sufficienti a soddisfare i creditori utilmente collocati al passivo (art. 60).

Con una scansione analoga a quanto previsto dagli art. 110 ss. l. fall., nei sessanta giorni successivi alla formazione dello stato passivo (definitivo), ovvero nei dieci giorni che seguono l’ultima vendita, l’amministratore redige il progetto di pagamento dei crediti, opponibile entro dieci giorni dalla comunicazione. Divenuto definitivo il piano, l’amministratore procede ai pagamenti, non ripetibili, salvo l’accoglimento della domanda di revocazione (art. 61).

La revocazione dell’ammissione del credito al passivo è disciplinata dall’art. 62.

Il d.lgs. disciplina anche gli effetti della confisca nei confronti dei “terzi interessati”, citati in giudizio, per i quali sono stati accertati i presupposti del diritto.

I diritti reali di godimento si estinguono e i contratti aventi ad oggetto i diritti personali di godimento si sciolgono (art. 52, co. 4) con attribuzione ai titolari, in prededuzione (art. 54), di un equo indennizzo secondo criteri stabiliti da un decreto ministeriale da emanarsi (art. 52, co. 5).

Per i partecipanti in comunione si procede a divisione se il bene è di tale natura (arg. ex art. 52, co. 7), nel rispetto delle disposizioni del c.c. e del c.p.c.; nel caso di beni indivisibili ai partecipanti è concesso diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata, salvo che sussista la possibilità che il bene possa tornare, anche per interposta persona, nella disponibilità del sottoposto o di appartenenti ad associazioni di tipo mafioso. Se il diritto di prelazione non è esercitato o non si può procedere alla vendita il bene può essere acquisito per intero dallo Stato per soddisfare un concreto interesse pubblico.

2.6 I rapporti con le procedure concorsuali

Gli artt. 63 e 64 recepiscono l’orientamento giurisprudenziale che, in assenza di regolamentazione affermava la prevalenza del sequestro di prevenzione sul fallimento, precedente o successivo, prevalendo comunque l’interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia su quello privatistico della par condicio creditorum. Sono previste, inoltre, disposizioni di dettaglio, a partire dall’attribuzione al pubblico ministero della legittimazione a richiedere il fallimento (art. 63), diversamente da alcune prassi secondo cui l’istanza poteva essere avanzata dall’amministratore, previa autorizzazione del giudice delegato.

Fissato il principio della sottrazione dei beni sottoposti alla prevenzione rispetto alla massa fallimentare, il procedimento di accertamento dei crediti segue due diversi percorsi.

Quando la massa fallimentare è integralmente costituita da beni sottoposti a sequestro, il fallimento viene chiuso con rimessione al giudice della prevenzione dell’accertamento del passivo e della formazione del progetto di riparto tra i creditori che intendono soddisfarsi sui beni oggetto di vincolo di prevenzione.

Nel caso in cui non tutti i beni siano oggetto di sequestro, l’accertamento del passivo è demandato al giudice delegato al fallimento, anche alla luce dei criteri e delle condizioni previste dalle disposizioni in materia di prevenzione a tutela dei terzi di buona fede, come se fosse il giudice delegato alla misura di prevenzione. Questa scelta, però, rischia che si “disperda” la diretta conoscenze degli atti del procedimento funzionale alla confisca propria del giudice delegato di prevenzione, spesso utili (e acquisibili) per l’accertamento della buona fede .

L’art. 65 d.lgs. n. 159/11 disciplina il rapporto tra le misure di prevenzione patrimoniali del controllo giudiziario (art. 34, co. 8) e dell’amministrazione giudiziaria (artt. 33 e 34) col fallimento.

2.7 La destinazione dei beni confiscati

L’art. 66, co. 2, prevede che alla confisca conseguano gli effetti previsti dalla legge, rappresentati, principalmente, dall’acquisizione dei beni al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi (art. 45, co. 1), con una disposizione che evoca l’acquisto a titolo originario, come sostenuto da parte della dottrina e della giurisprudenza nel regime previgente.

Si conferma la disciplina previgente in materia di destinazione dei beni, con la competenze concentrate in capo all’Agenzia nazionale (artt. 110-113), che amministra i beni (art. 44), direttamente o tramite coadiutori e che provvede alla loro destinazione (art. 47).

L’art. 48 conferma quasi integralmente la disciplina sulla destinazione dei beni, prevedendo innovativamente la vendita delle partecipazioni societarie che, valorizzando la lettura coordinata delle norme, può ritenersi consentita solo per quote minoritarie ovvero nel caso di aziende non operative, trovando, altrimenti, applicazione i co. 8, 9 e 11 relativi alle aziende.

I beni mobili sono venduti e il ricavato è destinato al Fondo unico giustizia (co. 1 e 2), i beni immobili sono generalmente destinati a finalità pubbliche (co. 3-7), i beni aziendali sono destinati all’affitto, alla vendita o alla liquidazione (co. 8 e 11).

In data 2.7.2012 risultavano 10.673 immobili confiscati, di cui 5.898 destinati e consegnati (solo in parte utilizzati), 1.603 aziende confiscate, per la gran parte liquidate o non attive4.

2.8 La revocazione della confisca

In assenza di regolamentazione la giurisprudenza ammetteva la revoca della confisca ex tunc nei casi in cui era consentita la revisione della sentenza, dovendo essere adempiuto, in presenza di una invalidità genetica del provvedimento, l’obbligo riparatorio prefigurato dall’art. 24, ult. co., Cost. Trovavano applicazione tutte le disposizioni procedimentali previste per la revoca ex nunc (oggi art. 11, co. 2), ivi compresa la competenza del Tribunale; l’accoglimento della domanda comportava la restituzione del bene o forme riparatorie nel caso di destinazione del bene a uso pubblico.

L’art. 28 prevede la «revocazione», ripercorrendo i presupposti individuati dalla giurisprudenza: a) scoperte di prove decisive, sopravvenute in epoca successiva alla conclusione del procedimento; b) fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento, che escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti della confisca; c) decisione sulla confisca motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

Per la proposizione dell’istanza, attribuita alla competenza della Corte d’appello, è fissato, a pena d’inammissibilità, il termine di sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi previsti, salvo che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.

Quando accoglie la richiesta la Corte d’appello trasmette gli atti al Tribunale che ha disposto la confisca affinché provveda alla restituzione per equivalente solo per i beni culturali o di immobili e aree dichiarati di notevole interesse pubblico ovvero quando si tratti di beni assegnati per finalità istituzionali e la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico, sempre che vi siano risorse disponibili (art. 46). La somma, determinata secondo i criteri previsti, deve essere corrisposto dal Fondo unico giustizia se il bene è stato venduto ovvero dell’ente assegnatario.

Sulla disciplina transitoria v. infra, § 3.2.

2.9 Le “altre” misure di prevenzione patrimoniali

La cauzione, prevista quale remora alla violazione delle prescrizioni, era ritenuta un effetto obbligatorio per i destinatari della misura ex l. n. 575/65 (Cass. pen.,28.2.2008, n. 8919) e, dopo l’equiparazione prevista dalla l. n. 125/2008, per le persone pericolose dedite a traffici delittuosi o che vivano col provento di delitti di cui alla l. n. 1423/1956. L’art. 31 ha eliminato le differenti regolamentazioni prevedendo l’applicazione della cauzione per tutte le categoria di pericolosità, ivi comprese le persone dedite alla commissione di reati contro i minorenni, la sanità, la sicurezza.

Nel determinare l’entità della cauzione vanno valutati anche i «provvedimenti adottati a norma dell’articolo 22», con un richiamo testuale al sequestro precauzionale ed a quello urgente, mentre la norma previgente correttamente richiamava il sequestro ordinario del Tribunale. Per un mero errore l’art. 32, co. 2, non richiama tra i titolari del potere di proposta di rinnovo della cauzione il direttore della Dia, menzionato dalla disposizione previgente (art. 3 bis, co. 7, l. n. 575/1965 come modificato dall’art. 10, co. 1, lett. f, d.l. n. 92/2008, conv. dalla l. n. 125/2008).

Sulla base degli ormai desueti artt. 22 e 23 l. n. 152/1975, che prevedevano la sospensione dall’amministrazione dei beni applicabile nei confronti delle persone menzionate agli artt. 18 e 19 della stessa legge, viene introdotta una misura di prevenzione patrimoniale di portata generale, l’amministrazione giudiziaria dei beni personali (art. 33). La misura rischia di apparire in eccesso di delega, anche perché estende a qualunque ipotesi di pericolosità la possibilità di non applicare la misura personale qualora l’amministrazione giudiziaria sia ritenuta sufficiente alla tutela della collettività. I gravi limiti della disposizioni emergono anche nella parte in cui manca una disciplina della gestione dei beni, limitandosi l’art. 33, co. 4, a prevedere che il giudice nomini l’amministratore giudiziario di cui all’art. 35; da un lato è riprodotta la norma previgente, indicando il «giudice» e non il Tribunale, dall’altro si omettendo la necessaria regolamentazione.

L’amministrazione dei beni connessi ad attività economica di cui all’art. 34 richiama la disciplina degli artt. 3 quater e 3 quinquies l. n. 575/1965, introdotti con la l. n. 356/1992.

La sostanziale riproduzione delle disposizioni previgenti consente di ritenere applicabili i principi elaborati dalla giurisprudenza anche con riferimento alle due fasi delineate dalla Corte costituzionale con la sentenza 20.11.1995 n. 487 (cfr. anche Cass. pen., 29.8.2007, n. 33617): a) l’amministrazione giudiziaria dei beni, presupposto dell’eventuale futura confisca; b) la confisca che interviene qualora, all’esito dell’amministrazione dei beni, emergano elementi idonei a far ritenere che quei beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

Si estende l’applicabilità delle misure all’agevolazione di tutte le categorie di pericolosità per le quali è consentita una misura di prevenzione (prima limitata solo a quelle ex l. n. 575/1965). Per un difetto di coordinamento le misure sono applicabili per le attività agevolatrici relative a persone sottoposte a procedimento penale per i delitti previsti dagli articoli 416 bis, 629, 630, 644, 648 bis e 648 ter c.p., laddove l’organo proponente (ai sensi del precedente co. 1) può avanzare la richiesta anche per altri delitti (di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. e 12 quinquies l. n. 356/1992) per i quali, perciò la misura non potrebbe mai essere applicata.

È omessa la previsione dell’impugnabilità dei provvedimenti del Tribunale pregiudizievoli per l’interessato, consentiti a seguito della sentenza della Corte costituzionale, 20.11.1995, n. 487.

I profili problematici

La ricognizione della “riforma” e la focalizzazione delle principali innovazioni consente di approfondire alcune questioni che stanno impegnando la dottrina e la giurisprudenza nella prima fase di applicazione di un testo complesso e articolato.

3.1 La disciplina transitoria

L’inapplicabilità della nuova normativa ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del decreto (13.10.2011), sia già stata formulata la proposta di applicazione della misura (art. 117, co.1.), pur neutralizzando il principio tempus regit actum in materia processuale (Cass. pen., S.U., 14.7.2011, n. 27919) e quello, proprio delle misure di prevenzione, di applicabilità delle disposizioni in vigore anche alle condotte poste in essere precedentemente (Cass. pen., 14.5.2009, n. 33597), presenta numerose problematiche.

Alle proposte pendenti, infatti, si applicano non solo le norme previgenti, ma anche le disposizioni del decreto derivanti da una mera opera di coordinamento, apparentemente modificative – che si limitano ad “esplicitare” la disciplina previgente – , ricognitive di principi affermati dalla giurisprudenza – sempre che non prevedano una disciplina di dettaglio che trovi fondamento nel nuovo sistema – e, infine quelle con cui si “attuano” principi costituzionali.

Su questa linea sono le prime interpretazioni proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza ad esempio: in materia di applicabilità di prescrizioni imposte per la sorveglianza speciale derivanti dal riconoscimento di principi della Costituzione (art. 8), di inapplicabilità dell’intera disciplina sulla tutela dei terzi (artt. 52 ss.) e delle disposizioni che regolano nel dettaglio la prevalenza del sequestro di prevenzione sul fallimento (artt. 63 e 64).

3.2 La revocazione

Interrogativi sono sorti sulla disciplina transitoria della revocazione che innova profondamente la revoca ex tunc, istituto analogo di riconoscimento giurisprudenziale, con particolare riferimento al procedimento, ivi compresa la competenza della Corte d’appello, e alle modalità di restituzione del bene e di determinazione dell’importo da liquidare per equivalente (v. supra, § 2.7). La questione riguarda le proposte presentate prima del 13.10.2011 per le quali intervenga, o sia già intervenuta la confisca definitiva; non vi è dubbio, infatti, che per le proposte successive, quando interverrà la confisca definitiva, si applicherà la nuova disciplina.

Si è ritenuta l’immediata applicabilità della nuova normativa richiamando il principio tempus regit actum in materia processuale e la giurisprudenza in tema di disciplina transitoria sul giudizio di revisione; si interpreta, inoltre l’art. 117, co. 1, come riferibile solo ai casi in cui sia pendente un procedimento non ancora definito (Trib. Trapani, 18.6.2012, in www.penalecontemporaneo.it).

L’opposta soluzione appare preferibile per plurime ragioni: a) il dato testuale dell’art. 117, co. 1, fa riferimento, per l’applicabilità della nuova disciplina, ai procedimenti in cui sia stata formulata la proposta dopo il 13 ottobre 2011 e non genericamente ai procedimenti pendenti; b) l’espresso richiamo dell’art. 28 all’art. 46 che disciplina istituti in precedenza non previsti (valore stimato del bene, modalità di pagamento, ecc.); c) la natura non solo processuale della nuova disposizione che interviene, non solo sui presupposti e sulle modalità di restituzione, ma anche sull’individuazione del soggetto tenuto alla restituzione che, quando coincide con l’ente assegnatario, appare in contrasto con i principi generali in tema di responsabilità e di affidamento, essendo questi obbligato con riferimento a beni richiesti quando non poteva valutare se assumere o meno tale onere.

3.3 L’amministrazione dei beni da parte dell’Agenzia

Non è agevole l’individuazione della disciplina transitoria dell’amministrazione dei beni, con particolare riferimento alle competenze dell’Agenzia, essendosi succedute numerose modifiche non coordinate dal d.lgs. n. 159/2011 che si è limitato a prevedere la citata norma generale di cui all’art. 117, co. 1 e a riprodurre le disposizioni transitorie della l. n. 50/2010 (art. 117, co. 5 e 6). Completata la fase di produzione normativa con l’entrata in vigore, il 15.3.2012, dei regolamenti dell’Agenzia è possibile tentare di coordinare le diverse normative.

Per le disposizioni di carattere sostanziale sull’amministrazione dei beni, si applicano ai procedimenti pendenti alla data del 13.10.2011 le norme contenute nel del d.lgs. n. 159/2011, salvo che siano completamente innovative (ad es. reclamabilità degli atti dell’amministratore).

Per la disciplina delle competenze dell’Agenzia in materia di amministrazione dei beni la soluzione preferibile consente un’opportuna semplificazione che non attribuisce rilevanza all’epoca di presentazione della proposta, precedente o meno all’entrata in vigore del d.lgs.:

a) per i procedimenti sorti dopo l’entrata in vigore dei regolamenti (15.3.2012) si applicano le norme del d.lgs. Fino alla confisca di primo grado l’Agenzia coadiuva l’amministratore sotto la direzione del giudice delegato, in seguito assume l’amministrazione dei beni (art. 117, co. 5);

b) per i procedimenti sorti prima dell’entrata in vigore dei regolamenti nei quali è stato già emesso un decreto di sequestro non si applicano le disposizioni del d.lgs. sulle competenze dell’Agenzia in materia di amministrazione dei beni. Il giudice delegato informa l’Agenzia del sequestro in atto e impartisce le disposizioni necessarie all’amministratore, l’Agenzia può avanzare proposte per la migliore utilizzazione del bene (art. 117, co. 5 e 6);

c) per i procedimenti sorti prima dell’entrata in vigore dei regolamenti qualora un decreto di sequestro sia emesso successivamente, pur se sembra preferibile ritenere l’operatività delle competenze dell’Agenzia (di ausilio prima, di amministrazione dopo la confisca di primo grado), con un opportuno allineamento normativo rispetto ai procedimenti sorti prima o dopo l’entrata in vigore dei regolamenti, può egualmente sostenersi che si proceda come indicato alla lett. b); in tal senso sembra si stiano orientando alcune prassi e l’Agenzia nazionale.

3.4 Le norme di coordinamento

L’art. 116, nel prevedere che i richiami alle abrogate norme delle “leggi fondamentali” abrogate si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nel d.lgs. n. 159/2011 (v. supra, § 1.3), non tiene conto della natura anche innovativa del decreto e, dunque, delle problematiche derivanti da norme parzialmente ricognitive, in larga parte modificative o innovative.

La principale questione riguarda l’art. 12 sexies, co. 4-bis, l. n. 356/1992 che richiama le disposizioni previste dagli articoli da 2 sexies a 2 duodecies l. n. 575/1965 in materia di amministrazione e destinazione dei beni, norme in gran parte riscritte dal d.lgs. n. 159/2011 (artt. 35-49) e integrate dalla disciplina in materia di tutela dei terzi (artt. 52-64).

Si è proposta una interpretazione, seguita nelle prime prassi, secondo cui:

• sono applicabili le norme totalmente ricognitive (ad es.: art. 43 sulle spese) e parzialmente modificative della disciplina precedente, in particolare qualora riconoscano prassi operative o precisino nel dettaglio norme previgenti (ad es: art. 42 sulla gestione di aziende);

• non sono applicabili le disposizioni interamente innovative, attuative di principi e criteri direttivi posti per le misure di prevenzione, come nel caso delle norme sulla tutela dei terzi, pur nella consapevolezza che la disparità di regolamentazione potrebbe portare a rilievi di costituzionalità in quanto nel caso di concomitante sequestro sui medesimi beni, operando la prevalenza del sequestro di prevenzione (art. 30), i terzi potranno, invece, ricevere ampia tutela.

3.5 I termini d’efficacia del sequestro

Perplessità sono sorte sulla natura del termini per la decisione della confisca (v. supra, § 2.3), prospettandosi anche una vera e propria “preclusione”5 che comporterebbe l’impossibilità di procedere nuovamente nei confronti dei medesimi beni. È possibile, però, prospettare una diversa interpretazione.

Si è ricordato (v. supra, § 2.5) che termini per la pronuncia della confisca erano già previsti dalla l. n. 576/1965, pur se ritenuti applicabili solo qualora la confisca fosse stata disposta «successivamente» all’applicazione della misura personale (Cass. pen., S.U., 7.2.2001, n. 36; Cass. pen., 30.12.2008, n. 48456; Cass. pen.,1.7.2009, n. 26762). In ogni caso, il decorso del termine, pur se perentorio e tale da imporre la revoca del sequestro (Cass. pen., S.U. n. 36/2001) non comportava alcuna preclusione per un nuovo sequestro nell’ambito di un diverso procedimento e di una nuova proposta (Cass. pen., S.U. n. 36/2001).

In tale contesto la l. n. 136/2010 delega il Governo a prevedere «che il sequestro perda efficacia» se la confisca non viene disposta dal Tribunale e dalla Corte d’appello entro un determinato termine. Nonostante l’univoco tenore della delega il d.lgs. n. 159/2011 richiama la perdita di «efficacia» solo per la confisca pronunciata oltre il termine dalla Corte d’appello (art. 27, co. 6); per il Tribunale, invece, viene riprodotta la norma previgente solo con gli adattamenti derivanti dalle indicazioni della legge delega (sulla durata del termine) e dall’introduzione del principio di applicazione disgiunta della confisca (art. 24, co. 2).

In definitiva, si può concludere che la natura del termine, previsto a pena d’inefficacia, discende dall’origine della norma, dall’inequivoco tenore della legge delega, e dai principi già evidenziati dalla giurisprudenza secondo cui nella materia della prevenzione non può ritenersi operante alcuna preclusione processuale in assenza di decisioni che valutino il merito della questione. Induce a tale conclusione anche un’interpretazione costituzionalmente orientata che eviti la questione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega.

3.6 L’applicazione disgiunta

Dopo un lungo percorso, denso di interventi legislativi e giurisprudenziali, è stato introdotto il principio di applicazione disgiunta delle misure patrimoniali (l. n. 125/2008, art. 18 d.lgs. n. 159/2011). Accertati i relativi presupposti (disponibilità e provenienza illecita dei beni), sequestro e confisca possono essere adottati, anche indipendentemente dalla misura personale, non solo nelle ipotesi legislativamente previste, ma quando, pur in presenza di persona pericolosa o che è stata pericolosa, non può farsi luogo alla misura personale ovvero questa non sia più in atto; se manca una precedente valutazione si opera l’accertamento incidentale della pericolosità (pur e non più attuale). L’interpretazione, proposta dai giudici di merito (cfr. Trib. Napoli, 9.12.10, in www.penalecontemporaneo.it), è stata accolta dalla Corte di cassazione (Cass. pen.,11.1.2012, n. 484).

Un primo profilo problematico che sta impegnando la giurisprudenza riguarda l’applicazione del principio fissato all’art. 18, co 1, oltre i casi espressamente previsti dai commi successivi (persona residente all’estero, sottoposta a misura di sicurezza, morte del proposto, proposta successiva alla morte della persona avanzata nei cinque anni dal decesso) e, per un difetto di coordinamento, anche dall’art. 24, co. 3 (proposta avanzata quando la misura personale è in atto).

Nell’attuale elaborazione giurisprudenziale sono stati individuate alcune ipotesi in cui la misura personale non può essere irrogata pur in presenza di persona che è stata pericolosa e nei cui confronti, dunque, rimane inalterata l’esigenza di irrogare la misura patrimoniale per contrastare l’illecita accumulazione derivante dalla pericolosità manifestata: pericolosità non più attuale (Cass. pen., 10.5.2011, n. 18327), misura personale irrogata ma ormai cessata perchè interamente espiata ovvero revocata ex nunc per sopravvenuto venir meno della pericolosità (incidentalmente Cass. pen., 4.3.2011, n. 8761). Si può anche citare un caso particolare di applicazione disgiunta della misura patrimoniale dopo l’annullamento del decreto di irrogazione della misura personale e patrimoniale per mancanza di attualità della pericolosità sociale, che coinvolge delicate questioni in materia di retroattività, giudicato e natura giuridica della confisca6.

Ulteriori questioni applicative sono emerse con riferimento al diritto di difesa. Pur se la Corte costituzionale ha disatteso la questione di legittimità costituzionale proposta con riferimento al procedimento iniziato dopo la morte del proposto (sentenza n. 21/2012, cit.), deve richiamarsi la necessità di interpretazioni costituzionalmente orientate che, attraverso un’opportuna applicazione dei principi in tema di pericolosità, di disponibilità e di sufficienza indiziaria della provenienza illecita del bene, consentano concretamente agli interessati di espletare l’onere su loro gravante (Trib. Napoli, 15.7.2011, in www.penalecontemporaneo.it).

3.7 La tutela dei terzi

I primi commenti alla disciplina sulla tutela dei terzi hanno evidenziato l’eccessiva assimilazione al procedimento fallimentare in cui la sentenza dichiarativa impone lo spossessamento dei beni ai danni del fallito con contestuale intervento degli organi dello Stato che hanno l’onere di soddisfare i creditori (salva la revoca della sentenza); nel procedimento di prevenzione, invece, il provvedimento cautelare gradualmente assume stabilità fino alla confisca definitiva, quando si determina la caducazione dei diritti sul bene. Per tutta la durata del procedimento di prevenzione, dunque, permane una finalità conservativa ignota al rito fallimentare.

La scelta del legislatore delegato, oltre a rispondere a opzioni di politica legislativa discutibili, si riflette sula concreta applicabilità di numerose disposizioni, a partire dall’art. 57 che consente di iniziare il procedimento di tutela dei terzi «anche prima della confisca», trasferendo in capo al giudice delegato la scelta sulla individuazione del momento in cui avviare il procedimento, prima o dopo la confisca, sia questa di primo o di secondo grado o quella definitiva: da un lato vi è l’interesse alla speditezza del subprocedimento di riconoscimento dei diritti dei terzi per giungere in tempi brevi alla sua conclusione; dall’altro non deve procedersi alla liquidazione dei beni e, in ogni caso, al pagamento prima della confisca definitiva potendo intervenire la revoca del sequestro.

Anche la previsione della possibilità di vendere i beni senza precisare quando ciò sia consentito (art. 60) ignora le particolarità del procedimento di prevenzione e, in particolare, che il procedimento di ammissione dei diritti da parte dei creditori può anche iniziare prima della confisca definitiva, ma prima di questa non può procedersi alla vendita dei beni ostandovi la finalità conservativa del sequestro; finalità estranea al procedimento fallimentare, su cui invece viene modellata la liquidazione dei beni.

Le prime prassi, tenendo conto delle ragioni esposte, tendono a differire l’inizio del procedimento di riconoscimento dei diritti dei terzi.

3.8 Il futuro delle misure di prevenzione

Le numerose criticità del d.lgs. n. 159/2011, cui vanno riconosciuti i meriti di una sistemazione organica della previgente legislazione e del non agevole tentativo di regolamentazione di alcune materie, hanno già sollecitato progetti di modifica, anche attraverso il procedimento “correttivo” previsto dall’art. 1, co. 5, l. n. 136/20107.

Un primo intervento vi è stato con il d.lgs. 15.11.2012, n. 218 con cui si è, però, intervenuto solo sull’ambito di intervento dell’avvocatura dello stato (artt. 39 e 114).

In attesa dell’evoluzione giurisprudenziale e degli eventuali interventi legislativi va messa in risalto la prospettiva “moderna” e “internazionale” delle misure di prevenzione.

Da un lato l’armonizzazione tra le diverse categorie di pericolosità, con l’estensione delle misure patrimoniali, in particolare, alle persone dedite a traffici delittuosi o che vivono con proventi delittuosi, consente l’elaborazione di nuove “forme” di pericolosità per chi con continuità è dedito o vive, ad esempio, di corruzione, concussione, delitti in materia economica, tributaria o fiscale8.

Dall’altro la dimensione economica transazionale che la criminalità organizzata sta assumendo spinge l’ordinamento europeo ed internazionale a introdurre o rafforzare forme di “confisca allargata”, assimilabili alle misure di prevenzione patrimoniali e ad adeguare la cooperazione tra gli Stati con il più ampio riconoscimento dei provvedimenti emessi secondo le diverse legislazioni nazionali e con l’esigenza di colpire il patrimonio, in quanto provento dell’attività delittuosa. Si valorizzano sempre più modelli ispirati all’aggressione diretta della res sulla base di una concezione di “pericolosità del bene in sé”, sacrificando il diritto individuale di proprietà. In tale solco si pongono la risoluzione del 25 ottobre 2011 del Parlamento europeo e la proposta presentata dalla Commissione europea il 12 marzo 2012, volta a contrastare le attività della criminalità organizzata, privandola dei suoi proventi a livello transazionale, ove sono chiari i riferimenti alle misure di prevenzione, che divengono sempre più un riferimento nella legislazione internazionale di contrasto patrimoniale alla criminalità, in particolare di tipo mafioso.

Note

1 La Corte costituzionale afferma la compatibilità delle misure patrimoniali con la Carta (ad esempio C. cost., 8.10.1996, n. 335, 9.2.2012, n. 21), così come la Corte europea non dubita che siano conformi alla CEDU accentuandone la natura “preventiva”, trattandosi di un istituto diretto a «impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata». La Corte di cassazione ritiene, invece, che la confisca di prevenzione abbia natura di misura di sicurezza, seppur atipica (sui “rischi” che derivano da tale posizione si rinvia a Menditto, F., La confisca di prevenzione nei confronti del “morto”. Un non liquet della Corte costituzionale, con rinvio a interpretazioni costituzionalmente orientate, in www.penalecontemporaneo.it di commento alla sentenza C. cost. n. 21/2012).

2 Utili contributi e i lavori delle commissioni parlamentarti, densi di riflessioni, possono rinvenirsi sul sito della Camera www.camera.it.

3 Fiorentin, F., Le misure di prevenzione personali, Milano, 2012; Menditto F., Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca ex l. n. 356/92, Milano, 2012. Per le prime prassi applicative v. infra, § 3.

4 Dati presenti sul sito dell’Agenzia nazionale.

5 Le diverse opinioni possono leggersi in Grillo P., Durata massima del sequestro di prevenzione e provvedimento di confisca dopo il d.lgs. n. 159 del 2011, in www.penalecontemporaneo.it.

6 Trib. Santa Maria Capua Vetere, 2.5.2012, in www.penalecontemporaneo.it, con nota di commento Menditto, F., L’applicazione disgiunta della misura patrimoniale dopo l’annullamento del decreto di irrogazione della misura personale e patrimoniale per mancanza di attuale pericolosità sociale.

7 Cfr. le cd. Prime proposte correttive al Codice antimafia predisposte dal Dipartimento di studi europei e della integrazione internazionale (Dems) dell’Università di Palermo, in collaborazione con magistrati in www.penalecontemporaneo.it, nonché il parere reso dalla commissione parlamentare allo schema correttivo di d.lgs. approvato dal Consiglio dei ministri il 25.11.2012, reperibile su www.camera.it.

8 Sulla “figura dell’evasore fiscale socialmente pericoloso”, cfr. Trib. Chieti, 12.7.2012, in www.penalecontemporaneo.it.

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