La risoluzione dei conflitti nei primati

Frontiere della Vita (1999)

La risoluzione dei conflitti nei primati

Frans B.M. de Waal
(Yerkes Regional Primate Research Center, Department of Psychology, Emory University, Atlanta, Georgia, USA)
Filippo Aureli
(Yerkes Regional Primate Research Center, Department of Psychology, Emory University, Atlanta, Georgia, USA)

Le ricerche condotte sui primati non umani hanno cercato di spiegare i contatti che avvengono dopo un conflitto, noti come riconciliazione e consolazione. Tali contatti hanno rispettivamente la funzione di ristabilire le relazioni sociali e di confortare gli individui in stato di agitazione, quali le vittime di un'aggressione. Questi studi hanno portato allo sviluppo di una cornice teorica che considera i conflitti e la loro risoluzione parte integrante delle relazioni sociali. L'aggressività, invece di essere considerata come un 'istinto' antisociale o distruttivo, viene vista come uno dei tanti strumenti utilizzabili per negoziare le relazioni sociali. Le implicazioni di questo nuovo modello del conflitto sociale verranno discusse insieme ad alcune osservazioni a favore della flessibilità comportamentale, del valore della cooperazione e della possibilità che la riduzione dell'angoscia vada ricercata nell'empatia, una capacità che potrebbe essere presente soltanto negli scimpanzé e non negli altri primati non umani.

Introduzione

fig. 1

La vita sociale della maggior parte delle scimmie è piena di attività che spaziano dal sesso al gioco, dal grooming (la pulitura del pelo o lo spulciamento) ai litigi. La maggior parte degli scontri sono di piccola entità ma, a volte, scoppiano combattimenti in cui alcuni individui restano feriti e persino uccisi. Piuttosto che attribuire gli scontri a concetti vaghi e controversi quali quello di 'istinto' aggressivo o di 'motivazione' all'aggressività, i primatologi tendono sempre più a considerare il comportamento aggressivo come un fattore che può essere associato ai dissidi e che diventa inevitabile quando individui della stessa specie nutrono un interesse per le stesse risorse, quali un individuo del sesso opposto con cui accoppiarsi o il cibo (fig. 1). I gruppi sociali non potrebbero esistere se gli individui non avessero qualcosa da guadagnare nell'aggregarsi. Eppure questi benefici non eliminano la competizione. Gli individui continuano a competere per le stesse risorse, mentre, allo stesso tempo, possono contare l'uno sull'altro per l'ottenimento di benefici quali la difesa contro i predatori e una ricerca del cibo più facile.

Perchè questo tipo di accordo funzioni, i conflitti devono essere regolati in modo da non minacciare le relazioni sociali. In questo modo vengono posti stretti limiti al comportamento aggressivo, imposti dal bisogno di preservare la cooperazione. Nonostante la popolarità della metafora della lotta per la sopravvivenza, è necessario riconoscere che esistono notevoli costi associati con l'aperta competizione. Negli anni Settanta, i fattori sociali non erano considerati nelle equazioni dei biologi evoluzionisti che cercavano di spiegare perchè la violenza letale è tanto rara.

Le spiegazioni offerte dai biologi evoluzionisti erano basate sul rischio dell'aggressore di rimanere ferito quando l'individuo aggredito cercava di difendersi. Attualmente si pensa che il valore della cooperazione eserciti un effetto limitante sulla competizione di altrettanta importanza. La dipendenza degli animali sociali dalla vita comunitaria e il bisogno di ottenere aiuto e conforto, da alcuni individui in particolare, rende l'aggressione una strategia socialmente costosa. Il dilemma di base che molti animali, incluso l'uomo, si trovano a fronteggiare, è il fatto che a volte non si può vincere uno scontro senza perdere un amico.

Il bisogno di preservare le relazioni

Da una prospettiva evoluzionista, i benefici della cooperazione sono più evidenti in quelle relazioni che hanno una funzione riproduttiva, quali le relazioni tra maschi e femmine e tra una madre e la propria prole. Tuttavia le relazioni producono anche benefici non direttamente legati alla riproduzione, come quando due individui si proteggono reciprocamente da un attacco, si tollerano a vicenda nelle vicinanze di una risorsa di cibo, vigilano l'uno a favore dell'altro contro i predatori o cooperano durante la competizione all'interno del proprio gruppo sociale o nel corso di combattimenti tra gruppi sociali diversi. Ovviamente, qui si assume che le tendenze alla cooperazione si siano evo Iute perchè a lungo termine esse ripagano gli individui in termini di sopravvivenza e capacità riproduttiva.

fig. 2

H. Kummer (1978) ha definito i benefici che un individuo A procura a un altro individuo B come il valore di A per B. Ogni individuo cercherà di fare aumentare tale valore: B selezionerà il miglior individuo A, predirrà il comportamento di A, e modificherà il comportamento di A a proprio vantaggio. In altre parole, l'individuo B investirà nella relazione con A. Anche se la maggior parte degli investimenti di B non producessero benefici a brevissimo termine, azioni di A immediatamente utili a B, tali investimenti possono aiutare a coltivare una relazione che è benefica per entrambi nel lungo termine. Un buon esempio di tale investimento è il grooming sociale (fig. 2). Un primate può trascorrere più di un'ora a pulire il pelo di un altro individuo senza nessun immediato favore in cambio; dopo la pulitura, i due individui semplicemente si separano andando ognuno per la propria strada. Esistono indicazioni del fatto che il grooming sia un comportamento altruistico, in quanto comporta dei costi per l'individuo che lo esegue, quali la riduzione del tempo che può essere impiegato in altre attività e la diminuzione dell'attenzione da dedicare a potenziali pericoli. Il grooming produce invece benefici per l'individuo che lo riceve in termini di igiene e di effetto calmante.

fig. 3

Quale motivo dovrebbe indurre un individuo a procurare benefici a un altro - il grooming è una delle attività più comuni dei gruppi di primati - se non il fatto che esso può contribuire a creare i presupposti per futuri scambi benefici? Che tipo di scambi in particolare? La forma più pervasiva ed efficace di cooperazione all'interno dei gruppi di primati è la formazione di alleanze: due o più individui si alleano contro un terzo. Per esempio, un maschio può attaccare un individuo giovane e la madre di quest'ultimo si può lanciare in suo aiuto, correndo essa stessa rischi considerevoli. Oppure, due maschi possono spodestare il maschio alfa (l'individuo che si trova al vertice della gerarchia di dominanza) dalla propria posizione privilegiata e fare in modo che successivamente uno di loro possa diventare il nuovo maschio alfa del gruppo (fig. 3). Questa cooperazione ha un'importanza critica per i primati: il rango sociale e a volte la sopravvivenza di un individuo possono dipendere da essa. Per questo motivo gli individui in un gruppo sociale hanno bisogno di andare d'accordo tra di loro, persino con individui con i quali devono competere. Il mantenimento di queste relazioni ha un grande valore anche se il conflitto di interessi è una caratteristica essenziale della vita di gruppo.

Il meccanismo comportamentale più noto che permette ai primati di riparare il danno sociale prodotto dalle ostilità è la riconciliazione. Si può definire la riconciliazione come un'amichevole riappacificazione tra opponenti: è lecito supporre che tale riappacificazione serva a riportare la relazione ai livelli normali di tolleranza reciproca e di cooperazione. Le relazioni che si stabiliscono tra animali ed esseri umani ce ne offrono degli esempi. W. Kohler (1925) intravide il bisogno 'di farsi perdonare' nel comportamento di un giovane scimpanzé, e ne descrisse il comportamento nel modo seguente: "La piccola creatura, che io avevo punito per la prima volta, si ritirò spaventata, emise uno o due urla di disperazione, mentre mi guardava piena di orrore, con le labbra che si sporgevano all'infuori più che mai. Un momento dopo mi lanciò le braccia intorno al collo, quasi fuori di sé, e si è un po' confortata solo quando l 'ho carezzata" (Kohler, 1925).

Le scimmie antropomorfe sembrano sentire i conflitti con le persone che si prendono cura di loro come una minaccia per la relazione e cercano di contenerne il danno con un comportamento affettuoso. Sebbene il comportamento delle scimmie allevate dall 'uomo sia ovviamente poco naturale, l'influenza dell'uomo non sembra poter da sola spiegare il fenomeno. Nel prosieguo, passeremo in rassegna lo stato attuale delle conoscenze sul comportamento di riconciliazione negli scimpanzé e negli altri primati non umani.

Il comportamento di riconciliazione

Inizialmente, lo scopo principale della ricerca sulla riconciliazione è stato quello di comparare due ipotesi alternative sull'effetto causato dal comportamento aggressivo sulle relazioni sociali. La prima è l'ipotesi della dispersione, la quale prevede che gli individui che rimangano sconfitti negli incidenti aggressivi cerchino in seguito di evitare i vincitori. Il modo tradizionale di concepire l'aggressione la considerava un meccanismo utilizzato per mantenere la distanza tra gli individui. Questo punto di vista era basato su osservazioni condotte su specie territoriali, e sull'idea che gli animali utilizzassero l'aggressione al fine di mantenere una distanza ottimale tra gli individui. Questa nozione prediceva una riduzione del contatto dopo gli episodi di aggressione. Secondo l'ipotesi della riconciliazione bisogna aspettarsi invece che gli individui coinvolti in episodi aggressivi faranno dei tentativi per 'disfare' il danno che l'aggressione ha causato a preziose relazioni sociali. Questi tentativi si esprimerebbero nell'aumento dei contatti in seguito agli scontri aggressivi e nell'uso di particolari gesti rassicuranti e calmanti nel corso di questi contatti.

F. de Waal e A. van Roosmalen (1979) sono stati i primi a dimostrare, a sostegno della seconda ipotesi, che l'aggressione produce un aumento del contatto tra individui. Osservazioni condotte sulla colonia di scimpanzé dello zoo di Amhem (in Olanda) hanno mostrato che gli individui coinvolti in un combattimento si mantengono a una distanza di meno di due metri l'uno dall'altro più spesso dopo un conflitto che prima. Inoltre, i contatti corpo a corpo sono più intensi in seguito a un conflitto, e gli scimpanzé tendono ad avere questi contatti preferenzialmente con l'individuo che precedentemente era stato il proprio antagonista piuttosto che con individui che non erano stati coinvolti nel combattimento. I contatti tra exopponenti costituiscono il 30% di tutti i contatti postconflitto, a confronto del 5÷6% atteso sulla base del caso. Questi risultati dimostrano una marcata tendenza alla riconciliazione nello scimpanzé. Questa tendenza è stata anche confermata da alcuni studi condotti su animali in natura.

Se le strategie utilizzate per la riappacificazione tra gli scimpanzé potrebbero non risultare sorprendenti, pochi avrebbero previsto che un primate piuttosto intollerante, il macaco (Macaca mulatta), utilizzi strategie simili. Basandosi per la prima volta su una nuova metodologia controllata, che prevede la comparazione dei contatti osservati nei periodi che seguono un'aggressione con periodi di controllo, lo studio di de Waal e D. Yoshihara (1983) sui macachi reso (Macaca mulatta) ha prodotto risultati a favore dell'ipotesi della riconciliazione in questa specie di scimmie. Risultati simili sono stati riportati successivamente per altre specie di macachi, per i gorilla, i bonobo, i rinopitechi dorati, i cercopiteci, i cercocebi, i babbuini e così via. La maggior parte di questi studi sono stati condotti in cattività, ma l'uso della riconciliazione è stato dimostrato anche per i primati in natura. Nella maggior parte delle specie che sono state studiate, i contatti affiliativi tra exopponenti hanno una probabilità maggiore di verificarsi nei primi minuti che seguono il conflitto. Inoltre, il grado di attrazione tra gli individui nei periodi che seguono il conflitto è selettivo. In altre parole l'aumento del contatto non si osserva indiscriminatamente tra tutte le possibili coppie di individui, ma specificamente tra quegli individui che poco prima sono stati i protagonisti di un combattimento.

fig. 4

Sulla base dei dati raccolti sugli scimpanzé in cattività e delle osservazioni degli scimpanzé in natura, si può affermare che la riconciliazione in questa specie comprende schemi comportamentali specifici, quali l'abbracciarsi, il toccarsi delicatamente e il baciarsi bocca a bocca. Gli scimpanzé che si sono scontrati in un combattimento si baciano l'un l'altro dieci volte più spesso durante i contatti che seguono il combattimento che non durante contatti successivi. Comunque non è possibile effettuare in tutti i primati una distinzione così netta tra i comportamenti che seguono il primo contatto postconflitto e i contatti successivi. Tuttavia, il macaco orsino mostra un altro schema comportamentale piuttosto evidente, che raramente viene osservato fuori del contesto della riconciliazione: il rituale del 'tenere il posteriore', nel quale un individuo, di solito quello che ha subito l'aggressione, presenta il proprio posteriore, e l'altro lo mantiene per le anche (fig. 4). Questo rituale si può osservare nel 39% dei primi contatti postconflitto: un incremento di 20 volte se confrontato con le occasioni di contatto nei periodi di controllo.

Il bacio degli scimpanzé e il rituale del tenere il posteriore dei macachi richiede un grande livello di intimità e di coordinazione. Questi comportamenti facilitano il processo di riconciliazione rendendo più esplicito sia il contesto sia il significato del contatto. Ciò può essere messo in contrasto con le riconciliazioni implicite che avvengono in altre specie quali il macaco reso, dove frequentemente una relazione viene ristabilita per mezzo di un breve sfioramento non molto evidente che tuttavia è abbastanza significativo, considerando i rischi che anche la sola prossimità comporta in questa specie così irascibile.

Il termine "riconciliazione" serve da etichetta euristica per questi contatti permettendo di formulare ipotesi riguardo la loro funzione, quali quella che la riconciliazione possa servire a riparare le relazioni sociali compromesse o a ridurre la tensione sociale. La validità di tale etichetta è stata confermata da studi recenti. M. Cords (1992), per esempio, ha condotto esperimenti che indicano come la riconciliazione serva a ripristinare la tolleranza tra exopponenti. Dopo un incidente aggressivo tra macachi, alle scimmie venivano presentati due beverini, uno a fianco all'altro, da cui succhiare un liquido dolce. Le scimmie erano più disponibili a bere insieme se una riconciliazione aveva avuto luogo tra loro piuttosto che in occasioni in cui non era avvenuta. Studi osservazionali condotti sia sui macachi sia sugli scimpanzé confermano che la riconciliazione fa ridurre la probabilità di ulteriori aggressioni. La frequenza di attacchi ripetuti si riduce dopo una riconciliazione. Questi risultati danno sostegno all'ipotesi che la riconciliazione possa servire a ripristinare le relazioni tra exopponenti. Un modo per valutare se la riconciliazione riduca la tensione sociale consiste nel prestare attenzione al comportamento di grattarsi: un comportamento ben noto che si associa allo stress e all'ansietà. F. Aureli e C. van Schaik (1991) hanno riscontrato un notevole aumento della frequenza del grattarsi in individui che avevano da poco subito un'aggressione. In seguito alla riconciliazione tuttavia, questi segni di nervosismo ritornavano presto ai livelli di controllo. Prove del fatto che la riconciliazione ha un effetto calmante sono anche state ottenute in esperimenti in cui suoni registrati venivano fatti ascoltare a babbuini in natura. Questi rispondevano con minore intensità all'ascolto della registrazione di un grido di minaccia emesso da un exaggressore con il quale si erano riconciliati rispetto a un grido di minaccia registrato da un aggressore con il quale non si erano riconciliati (Cheney et al., 1995).

Sia i macachi che gli scimpanzé seguono quella che sembra essere una regola di validità generale tra i primati secondo la quale lo scopo della riconciliazione consiste nel ripristinare le relazioni sociali di maggior valore. Nei macachi per i quali le relazioni matrilineari tra consanguinei sono particolarmente importanti, gli individui si riconciliano più spesso dopo un conflitto se sono imparentati tra loro (Aureli et al., 1997). Nello scimpanzé, una specie nella quale i maschi formano legami con i membri dello stesso sesso più forti rispetto a quelli stabiliti dalle femmine, i maschi si riconciliano più spesso dopo un conflitto di quanto non facciano le femmine. Uno studio sperimentale sul valore delle relazioni sociali è stato condotto da Cords e S. Thurnheer (1993). Coppie di macachi sono state addestrate a cooperare durante il foraggiamento, aumentando in questo modo l'interdipendenza reciproca. La riconciliazione dopo il conflitto aumentava notevolmente quando un compagno diventava utile per ottenere il cibo. In questo modo è stata confermata l'ipotesi che la riconciliazione avvenga in misura proporzionale al valore della relazione sociale.

Apprendimento sociale

La variabilità interspecifica nelle tendenze aggressive e di riappacificazione rende possibile esporre i membri di una particolare specie ad ambienti sociali dove la frequenza di questi comportamenti è molto diversa. La manipolazione dell'ambiente sociale può essere effettuata facendo coabitare scimmie di due specie diverse. Se la riconciliazione è un'abilità sociale appresa, questa manipolazione dovrebbe esercitare un'influenza sui comportamenti postconflitto. Questa predizione è stata verificata da de Waal e D. Johanowicz (1993) facendo coabitare macachi reso - una specie piuttosto intollerante e con livelli bassi di riconciliazione con una specie altamente riconciliante come il macaco orsino (Macaca arctoides). I giovani venivano fatti alloggiare per un periodo di cinque mesi in gruppi di specie mista con sette individui in ogni gruppo. Dopo questo periodo, i macachi venivano osservati per sei settimane in gruppi composti soltanto da conspecifici. Macachi reso di controllo, appaiati per età e sesso ai soggetti sperimentali, venivano trattati con la stessa procedura, ma senza esporli al contatto con un'altra specie. Inizialmente gli individui appartenenti a specie diverse conducevano vite abbastanza separate, dormendo e ammucchiandosi in sotto gruppi separati. Tuttavia prima dello scadere dei cinque mesi essi si erano completamente integrati ed erano diventati molto tolleranti gli uni verso gli altri.

fig. 5

Quando i risultati ottenuti con queste scimmie sono confrontati con quelli ottenuti con le scimmie dell'esperimento di controllo è emerso che la manipolazione aveva prodotto un effetto preponderante: un incremento di tre o quattro volte nella proporzione di conflitti a cui faceva seguito una riconciliazione. l macachi reso che avevano vissuto con la specie più garbata e gentile avevano apparentemente acquisito l'abilità di fare pace. Questa differenza è emersa nella fase di coabitazione e si è mantenuta anche dopo che la specie 'insegnante' è stata rimossa (fig. 5). Questo risultato dimostra che la riconciliazione può essere modificata per mezzo della manipolazione ambientale e ha implicazioni importanti. Prova che l'abilità di fare pace nei primati non è uno schema 'istintivo' e inflessibile, ma può essere appresa. Questo probabilmente è ancora più vero per la nostra specie.

Complessità e processi cognitivi

Come tutti i macachi, i macachi della specie nemestrina formano società matrilineari in cui le femmine che sono imparentate si associano e si sostengono tra loro. A parte le riconciliazioni dirette tra individui che precedentemente sono stati coinvolti in un combattimento, P. Judge (1991) ha scoperto che gli individui imparentati con le vittime tendono a ricercare il contatto con l'aggressore. Per esempio, una madre può avvicinarsi e iniziare a pulire il pelo dell'individuo che ha aggredito la propria figlia. Un comportamento che sembrerebbe costituire una riconciliazione 'al posto della figlia'. Se tale riconciliazione triadica protegge effettivamente la linea matrilineare contro ulteriori ostilità, tutti i membri della linea ne beneficeranno, incluso l'individuo che contatta l'aggressore.

Se è vero che le scimmie a volte si riconciliano 'al posto di' qualche membro della propria linea matrilineare, lo stesso meccanismo potrebbe operare tra gruppi diversi. Le relazioni intergruppo tendono in genere a essere ostili, ma in natura le femmine adulte di gruppi diversi sono state spesso osservate riunirsi per pulirsi vicendevolmente il pelo. Molti di questi contatti avvengono poco dopo le lotte tra gruppi diversi e coinvolgono le femmine dominanti di ciascun gruppo. Questi contatti potrebbero avere la funzione di ristabilire la pace tra i gruppi.

Negli scimpanzé la complessità delle interazioni finalizzate a ristabilire la pace è persino maggiore. In questa specie, gli individui si comportano come se conoscessero non solo il significato che la riconciliazione riveste per sé stessi, ma anche il significato che essa assume per gli altri individui. Quelle che seguono sono osservazioni, effettuate sulla colonia di scimpanzé di Arnhem, che esemplificano la complessità cognitiva del fare pace.

La mediazione del terzo

Quando, dopo un combattimento, due maschi rivali si trattenevano in prossimità reciproca per un periodo di tempo prolungato senza effettuare nessun tentativo di riavvicinamento (una situazione apparentemente senza via d'uscita), una femmina adulta iniziava a pulire il pelo di uno dei due. Dopo qualche minuto trascorso effettuando questa attività, la femmina iniziava a camminare lentamente verso l'altro maschio, spesso seguita dal maschio a cui aveva poco prima pulito il pelo. Se il maschio non la seguiva, la femmina tornava indietro a tirarlo per il braccio. Quando i tre individui erano rimasti insieme per un po' di tempo, con la femmina al centro, quest'ultima a un certo punto si allontanava lasciando i maschi da soli.

Inganno

In sei occasioni diverse una femmina dominante che non era stata capace di raggiungere un avversario che le sfuggiva è stata osservata poco dopo avvicinarsi a questo individuo con fare amichevole, stendendo la mano, per cambiare comportamento solo quando questi era a portata di mano. Le ragioni per considerare il conseguente attacco come le reali intenzioni della femmina risiedono nella velocità (l'attacco avveniva immediatamente, senza nessun preavviso), nel fatto che in ogni occasione la vittima essendo più veloce dell'aggressore era un individuo capace di scappare e nell'intensità della punizione.

Riconciliazione opportunistica

La riconciliazione può avvenire in modo affrettato se lo scontro ha il potere di danneggiare entrambi gli individui. Per esempio, durante gli anni in cui la colonia di Arnhem era governata da una coalizione di due maschi Nikkie e Yeroen, al maschio alfa, Nikkie, sarebbero derivati problemi seri da un prolungato conflitto con il suo alleato. Un terzo maschio aveva iniziato un'esibizione intimidatoria, terrorizzando inizialmente solo le femmine e i maschi più giovani per poi iniziare a eseguire i gesti intimidatori sempre più vicino ai due maschi che litigavano. Nikkie non è mai stato osservato mantenere da solo il terzo maschio sotto controllo. Nikkie si avvicinava prima al proprio antagonista, Yeroen, con un grande sorriso, invitando lo a un abbraccio. Solo dopo avere ristabilito il contatto con il proprio compagno, Nikkie si avventurava verso il terzo maschio per sottometterlo.

Ruolo di controllo

fig. 6

In molti primati sono i maschi di rango elevato a porre fine ai combattimenti. Questo ruolo di controllo è probabilmente più sviluppato negli scimpanzé che in qualsiasi altra specie. l maschi che esercitano questo ruolo spostano il proprio ruolo di sostegno, di solito offerto al vincitore del combattimento, al perdente, e dissociano il proprio intervento dalle proprie preferenze individuali (fig. 6). In altre parole essi sono gli unici membri del gruppo che intervengono imparzialmente nelle lotte. Si lanciano a peli irti nella lotta tra due avversari finchè questi non smettono di urlare, li allontanano l'uno dall'altro con una carica, o dividono letteralmente due maschi avvinghiati in una lotta tirando li via con entrambe le mani. L'obiettivo di tutto ciò sembra essere quello di mettere fine alle ostilità piuttosto che il sostenere l'uno o l'altro degli opponenti. La descrizione che segue illustra come Luit, (che sarebbe diventato il maschio alfa dopo poche settimane), ha ricoperto questo ruolo: "In un'occasione, una disputa tra Mama e Spin si era spinta oltre il controllo ed era sfociata in morsi e in una lotta. Numerose scimmie erano accorse e si erano lanciate nella mischia. La rissa era diventata un groviglio di scimmie che lottavano, urlavano e si rotolavano nella sabbia, finché Luit si era intromesso e lottando le aveva letteralmente separate. Luit, al contrario delle altre scimmie, non aveva preso le parti di nessuno nel combattimento; colpiva chiunque continuasse a lottare. lo non l'ho mai visto agire in modo così energico" (de Waal, 1982).

L'alleviamento dell'angoscia e l'empatia

I contatti che avvengono dopo uno scontro tra due individui coinvolti nel combattimento vanno distinti dai contatti che avvengono tra uno dei partecipanti al conflitto e uno spettatore. Questi contatti, specialmente quando sono gli spettatori a promuoverli, non possono svolgere la stessa funzione della riconciliazione (che consiste nel riparare una relazione compromessa). La loro funzione più probabile è l'alleviamento dell'angoscia.

La sensibilità verso le emozioni provate dagli altri emerge presto negli esseri umani: per esempio bambini che si trovano nello stesso locale all'asilo scoppiano a piangere tutti insieme in risposta al pianto di uno solo. Questo processo, noto come angoscia empatica o contagio emotivo offre le basi ontogenetiche per modalità cognitivamente più avanzate di risposta all'angoscia. In tal caso l'individuo che agisce comprende la situazione in cui si trova l'altro, distingue l'angoscia dell'altro dai propri sentimenti ed è spinto ad agire da una genuina preoccupazione per il benessere dell'altro. Per questo motivo, in funzione del meccanismo preciso che la sottende, l'empatia, o la capacità di essere emotivamente affetto dai sentimenti di qualcun altro, può essere cognitivamente semplice o complessa.

fig. 7

In un vecchio studio sugli scimpanzé è stato scoperto che il contatto affiliativo tra gli individui coinvolti in un combattimento e gli individui che avevano assistito allo scontro senza parteciparvi avveniva più spesso nel primo minuto dopo lo scontro che in minuti successivi. Inoltre, i contatti che avvenivano durante il primo minuto comprendevano un numero maggiore di abbracci e di carezze dei contatti successivi. I contatti con gli spettatori vennero chiamati consolazione (fig. 7). Ricerche più recenti hanno confermato questi risultati, dimostrando che i contatti vengono intrapresi in particolare con le vittime di aggressioni gravi (de Waal e Aureli, 1996). Questi sono gli individui che presumibilmente hanno maggior bisogno di conforto.

Contrariamente a quanto riportato per gli scimpanzé, nessuno studio effettuato su questo tipo di comportamento nei macachi ha finora prodotto alcuna prova dell'esistenza della consolazione. Nonostante siano stati utilizzati vari tipi di misurazioni e di metodi statistici, studi condotti su quattro specie diverse hanno prodotto gli stessi risultati: i contatti affiliativi tra coloro che hanno subìto un'aggressione e gli individui che hanno assistito allo scontro non avviene più spesso nei periodi di tempo che seguono il conflitto rispetto ad altri periodi di controllo. Nonostante questi risultati negativi, alcune osservazioni qualitative suggeriscono che i macachi intraprendono il comportamento di consolazione, almeno quando sono molto piccoli. Abbiamo osservato spesso piccoli di macaco reso venire attratti dalle urla di uno di essi (in seguito a una punizione inflitta da un adulto, o dopo una caduta), avvicinarsi al piccolo che vocalizzava, e stabilire un contatto con lui. A volte questi contatti si sono trasformati in un ammasso di piccoli che si arrampicavano l'uno sull'altro. Se esiste una tale risposta empatica all'angoscia in giovane età, perchè rimane così poco di essa in età adulta?

Una possibile spiegazione è che l'associarsi con coloro che hanno subito un'aggressione comporta molti rischi. Nei macachi, gli individui che subiscono un'aggressione continuano a richiamare su di sé aggressività nei periodi che seguono l'aggressione subita. Se questo aumento della probabilità di subire un'aggressione si estende agli spettatori che si sono avvicinati alla vittima, esso può comportare un rischio di cui gli spettatori devono tenere conto. Forse il rischio è minore in una società come quella degli scimpanzé che è governata da un sistema gerarchico meno rigido e più tollerante. Una spiegazione alternativa è che gli scimpanzé sviluppano capacità cognitive più avanzate che permettono loro di effettuare distinzioni più sottili tra se stessi e gli altri. È generalmente riconosciuto che lo sviluppo dell'empatia nei bambini è legato a questa distinzione e di conseguenza al livello di auto-consapevolezza del bambino. Dal momento che gli scimpanzé sono capaci di riconoscersi allo specchio, una capacità che manca ai macachi, è possibile che gli scimpanzé raggiungano un livello di empatia che è semplicemente assente nella maggior parte degli altri primati (Gallup, 1982).

Come si evita l'aggressione

Una delle funzioni delle gerarchie di dominanza che si ritrovano in molti animali è quella di regolare l'accesso alle risorse. Si evita in questo modo che gli individui debbano lottare per avere la priorità ogni volta che si trovano di fronte a una possibile competizione. Nella maggior parte dei casi il subordinato si ritira e il dominante ottiene accesso alla risorsa. Così si evita l'aggressione e la relazione non viene compromessa. Per il subordinato il perdere la risorsa potrebbe sembrare un grosso costo, ma se quest'individuo avesse tentato di impedire a un altro di appropriarsi della risorsa, molto probabilmente non ne avrebbe ricavato che ferite e una relazione danneggiata. Il conformarsi alla gerarchia di dominanza evitando gli individui dominanti è il modo più efficace di risolvere dispute continue.

A parte l'evitamento, l'avvicinarsi di un individuo dominante può anche indurre gesti tipici o particolari espressioni facciali nel subordinato. Nei primati si sono evoluti segnali di status sociale ritualizzati. Esempi ben noti sono l'esibizione silenziosa dei denti (silent bared-teeth display) del macaco reso e il grugnito ansimante (pant-grunt) degli scimpanzé. Questi segnali di sottomissione sono completamente unidirezionali. In altre parole, soltanto uno tra i due individui emette questi segnali verso l'altro e mai viceversa. La loro funzione più probabile consiste nel far calmare l'altro per evitare scontri pericolosi.

Il conflitto sociale può anche presentarsi in circostanze e per ragioni che non comprendono la competizione diretta. Come W. Mason (1993) fa notare, la fonte più comune di conflitti può essere individuata in quelle situazioni dove un individuo si aspetta qualche forma di soddisfazione da un altro, ma non riesce a ottenerla. Per esempio, un individuo cerca di accoppiarsi con un altro o di pulirgli il pelo, ma viene rifiutato. Questo tipo di conflitto sfocia raramente in un'aggressione, mentre viene di solito risolto per mezzo di un processo di negoziazione in cui gli individui che vi prendono parte, si scambiano segnali per aumentare la predicibilità dei propri comportamenti futuri e per facilitare il raggiungimento di un obiettivo comune.

Questo processo è più evidente quando gli individui si incontrano per la prima volta. In alcuni esperimenti sulla 'presentazione', tali incontri sono stati organizzati di proposito. All'inizio, l'incontro è caratterizzato da sfiducia, oppure ostilità, oppure entrambi gli atteggiamenti. In seguito l'emissione di vari segnali aiuta a far ridurre il livello di incertezza e a stabilire una relazione, il cui carattere varia in funzione dell'identità degli individui e dell'interesse che nutrono l'uno verso l'altro. Due maschi possono negoziare la loro relazione di dominanza, mentre un maschio e una femmina possono iniziare una relazione di coppia. Questo processo di negoziazione produce una riduzione dell'ambivalenza e porta al raggiungimento di obiettivi comuni o di un compromesso tra gli obiettivi dei due individui. In incontri successivi il modo in cui si sono svolte queste interazioni precoci ha molta influenza sul processo di negoziazione. Il fatto che gli individui abbiano già stabilito una relazione fa abbassare il livello di incertezza e rende la negoziazione più facile e lo scambio di segnali più raffinato.

A volte la negoziazione non ha successo e uno dei partecipanti può attaccare l'altro. L'aggressione può anche essere scatenata da situazioni in cui i membri di un gruppo vogliono seguire corsi d'azione diversi (per esempio, quando c'è bisogno di coordinare le attività del gruppo, ma alcuni individui continuano a foraggiarsi mentre tutti gli altri sono pronti a spostarsi verso un altro luogo).

Uno degli esempi più eclatanti di aggressività aperta è la competizione tra i maschi per l'accesso a una compagna con cui accoppiarsi. Tra i babbuini un maschio, da solo o insieme a un alleato, può attaccare un altro maschio che è in compagnia di una femmina in estro. Tuttavia, esistono sempre tattiche non aggressive per risolvere queste competizioni. I rituali di saluto dove un maschio tocca gentilmente o monta un'altro maschio, sono comuni durante i periodi di tensione tra i babbuini maschi causati dalla competizione per l'accesso sessuale a una femmina. Quando il numero delle femmine in estro è basso in confronto al numero dei maschi, la probabilità di quest'ultimi di accoppiarsi si riduce. È degno di nota il fatto che in queste circostanze la percentuale delle aggressioni tra i maschi rimane la stessa, mentre la frequenza dei rituali di saluto aumenta. Questi dati sembrano suggerire che tali rituali abbassino la tensione tra i maschi e riducano il rischio di aggressioni tra loro, facendo aumentare i livelli di tolleranza reciproca (Colmenares, 1991).

Un'altra fonte di forte competizione è il cibo. Nel loro ambiente naturale i primati trascorrono la maggior parte del proprio tempo alla ricerca del cibo. Un forte aumento della competizione diventa probabile quando viene scoperta una fonte di cibo che potrebbe essere monopolizzata da pochi individui. Questa situazione tuttavia non produce automaticamente un alto livello di aggressione. l primati hanno sviluppato meccanismi per ridurre le tensioni sociali e il rischio di potenziali aggressioni associate alla competizione per il cibo. Per esempio, nei bonobo il comportamento sessuale aumenta durante o subito dopo il foraggiamento. l macachi nemestrini e gli scimpanzé che sono abituati a un regime alimentare regolare, anticipano i conflitti che potrebbero scoppiare durante il foraggiamento aumentando la frequenza del comportamento di pulitura del pelo prima del foraggiamento. La pulitura del pelo viene effettuata su individui particolari, probabilmente per renderli più tolleranti e per ottenere il consenso a cibarsi nelle loro vicinanze.

Quando appare del cibo particolarmente gradito, gli scimpanzé entrano in uno stato di grande eccitazione, emettono grida molto rumorose ed eseguono esibizioni di dominanza e segnali di sottomissione. L'esecuzione di rituali in cui gli individui dominanti manifestano la propria forza e i subordinati rispondono con gesti di sottomissione prima di cibarsi potrebbe funzionare come una conferma dei ranghi sociali che permette di alleviare la tensione e di rendere meno rigidi i diritti di priorità durante il pasto. Allo stesso tempo, in questi periodi, si osserva un incremento notevole di brevi interazioni amichevoli, come baci, abbracci e carezze leggere. In esperimenti dove è stata variata l'opportunità di effettuare queste 'celebrazioni', si è dimostrato che questo comportamento riduce le interazioni competitive.

In cattività, i primati hanno anche più motivi per interrompere o prevenire le aggressioni. Questa situazione, in cui le distanze interindividuali sono ridotte, offre un'ottima opportunità per studiare come i primati riescano a tenere i conflitti sotto controllo. Le teorie tradizionali predicono un aumento dell'aggressione in condizioni di sovraffollamento. Ricerche recenti condotte sui primati non umani favoriscono un punto di vista alternativo. l primati, e forse anche altri animali, sono in grado di far fronte a una elevata densità della popolazione utilizzando strategie per evitare i conflitti (de Waal, 1989). Il modo in cui le restrizioni dello spazio sortiscono un effetto sul comportamento sociale varia in funzione della specie e della situazione, ma l'atteso aumento delle aggressioni in situazioni di elevata densità è spesso minimo e a volte si osserva persino una tendenza opposta. In uno studio recente sugli scimpanzé si è osservata un'inibizione delle risposte aggressive durante brevi periodi di affollamento, che ha comportato un'effettiva riduzione delle aggressioni. Durante situazioni prolungate di affollamento la frequenza del comportamento di pulitura del pelo aumenta sia nei macachi sia negli scimpanzé. Questa strategia di affiliazione probabilmente svolge la funzione di aumentare la tolleranza sociale e di limitare gli effetti potenzialmente nocivi delle aggressioni.

Conclusione

fig. 8

Il messaggio principale che scaturisce dalla ricerca sulla risoluzione dei conflitti nei primati è che il comportamento aggressivo è soggetto a forti limiti imposti dal bisogno di preservare preziose relazioni sociali. Il riconoscimento di questi limiti ha comportato uno spostamento dell'attenzione dall'aggressività intesa come espressione di uno stato interno o motivazionale all'aggressività concepita come il prodotto di un processo di presa di decisioni nella sfera sociale. Questa cornice concettuale viene chiamata modello relazionale (fig. 8) dal momento che considera la funzione del comportamento aggressivo all'interno delle relazioni interindividuali. In essa si considera il comportamento aggressivo come uno dei tanti strumenti che possono essere utilizzati per risolvere un conflitto, tuttavia lo si considera anche un comportamento problematico, perché potrebbe compromettere la relazione. In altre parole, il vincere uno scontro e il vincerlo senza danneggiare la propria posizione in una complessa rete di supporto sociale sono due cose abbastanza diverse.

l risultati degli studi condotti in questo ambito sono in netto contrasto con punti di vista precedenti che consideravano l'aggressione come una forza sociale dispersiva, cioè che causa un aumento delle distanze interindividuali. Tutte le specie di scimmie e di scimmie antropomorfe studiate finora, sia in cattività sia in natura, mostrano una tendenza significativa verso il riavvicinamento in seguito a un conflitto aggressivo. Sembra quindi che in generale la distanza interindividuale in queste circostanze venga ridotta. L'osservazione del fatto che i primati non umani sono capaci di tollerare le tensioni, risolvere i conflitti e riappacificarsi con i propri opponenti ci ha forzato ad adottare un punto di vista molto diverso. Questo cambiamento di prospettiva è stato recentemente messo in relazione con l'evoluzione della moralità nella nostra specie. Se si accetta il fatto che l'empatia e il bisogno di rimanere in buoni rapporti nonostante i conflitti interpersonali sono ingredienti essenziali dei sistemi morali umani - quelli morali sono di fatto sistemi per la risoluzione dei conflitti -, le tendenze alla conciliazione e al conforto che si osservano in altri primati suggeriscono la continuità con il nostro comportamento anche in questo ambito (de Waal, 1996).

Questa continuità, se confermata da altre ricerche, potrebbe avere implicazioni di lunga portata sul modo in cui concepiamo la nostra esistenza. Anche a un livello più concreto, sembra che esistano le basi per una profonda riconsiderazione di convinzioni precedenti. Per esempio, i risultati che sono stati passati in rassegna, indicano che, nella maggior parte dei casi, il comportamento aggressivo è una componente ben integrata delle relazioni sociali nei primati. Questo punto di vista è radicalmente diverso dal punto di vista precedente sull'aggressività che la considerava come una forza distruttiva. Al contrario, il comportamento aggressivo sembra servire da strumento di negoziazione entro relazioni ben stabilite. L'aggressione può essere usata in questo modo proprio perché i suoi effetti deleteri sono contenuti dalle interazioni postconflitto che alleviano l'angoscia e recuperano relazioni sociali preziose. In questo modo le conseguenze del conflitto nei gruppi di primati offrono una chiave per capire le relazioni dinamiche che esistono tra le tendenze verso il conflitto e verso l'integrazione.

Bibliografia citata

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Bibliografia generale

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