La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. Isaac Newton

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. Isaac Newton

Niccolò Guicciardini

Isaac Newton

Isaac Newton nacque il 25 dicembre del 1642 a Woolsthorpe, nei pressi di Grantham nel Lincolnshire, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri e al momento della nascita era già orfano di padre. In Inghilterra era appena scoppiata la guerra civile fra i sostenitori di Carlo I Stuart e i puritani, fra cui spiccava Oliver Cromwell. La guerra si concluderà nel 1648 e il re verrà processato e decapitato nel 1649. È l'inizio dell'Interregno che si concluderà nel 1660 con la restaurazione degli Stuart.

Nei primi decenni di vita Newton crebbe, quindi, in un periodo di instabilità politica e di conflitti religiosi. La sua maturità, invece, si svolse in un paese che, dopo la Gloriosa Rivoluzione (1688), conobbe pace, tolleranza e prosperità economica. Anche l'esistenza di Newton è divisa in due parti che si sovrappongono, grosso modo, alle vicende politiche dell'Inghilterra. Fino alla Gloriosa Rivoluzione, Newton visse in isolamento, completamente dedito ai suoi studi e alle sue ricerche. Nel 1687, alla fine della dinastia degli Stuart, vennero pubblicati i suoi Philosophiae naturalis principia mathematica, un'opera che segnò l'inizio della vita del Newton pubblico.

Pare che la madre di Newton desistette presto dal proposito di fare di suo figlio un uomo dedito all'agricoltura e all'allevamento. Su consiglio di uno zio questo ragazzo solitario e studioso fu mandato a Cambridge. Newton entrò a far parte del Trinity College nel 1661 come subsizar, il corrispettivo di quello che a Oxford era definito più semplicemente 'servitore'. Si trattava di studenti poveri che si guadagnavano la retta svolgendo umili mansioni a favore degli studenti più ricchi e durante i servizi religiosi sedevano in un banco a parte. Non è certo che Newton abbia dovuto sottoporsi a questi umilianti servizi e si sospetta piuttosto che la posizione di subsizar fosse stata voluta dalla madre per consentire al giovane Isaac di avvicinare influenti membri dell'aristocrazia.

Gli studi nelle università inglesi erano ancora saldamente ancorati alla tradizione aristotelica cui Newton si avvicinò leggendo i trattati di Johann Magirus e di Daniel Stahl. Newton era però attratto dalla nuova filosofia della Natura e ben presto cominciò a leggere le opere filosofiche e la Géométrie di René Descartes. Lesse inoltre le opere di Robert Boyle, di Thomas Hobbes, di John Wallis, di Walter Charleton, che proponeva una versione dell'atomismo di Pierre Gassendi, e il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) di Galileo Galilei.

Negli anni in cui Newton era studente a Cambridge (presto ottenne una fellowship e, nel 1669, la cattedra lucasiana di matematica) erano attivi un matematico, Isaac Barrow, e un filosofo, Henry More, che sicuramente, anche se in termini non del tutto chiari, esercitarono una discreta influenza sulla sua formazione. More prendeva le mosse da Descartes, ma leggeva l'opera del filosofo francese in un'ottica tutta particolare. Preoccupato delle conseguenze materialiste e ateiste della filosofia meccanicista, riteneva, secondo una prospettiva neoplatonica, che nella cosmologia basata sulle particelle e sugli impatti fossero necessari principî attivi nella Natura. La Natura non poteva essere ridotta a materia e moto: vi era un elemento attivo non materiale che la rendeva attiva e non meramente passiva. Come vedremo, anche Newton condivise con More le stesse preoccupazioni teologiche nei confronti del cartesianesimo. Barrow svolse invece un ruolo importante nell'avviare Newton alla conoscenza delle più recenti tecniche matematiche. Vi sono delle forti analogie fra la matematica di Barrow e le prime opere di Newton riguardanti questa disciplina. Inoltre fu Barrow a favorire la carriera accademica di Newton. Abbiamo quindi ragione di ritenere che Newton, nei suoi primi studi di filosofia naturale e di matematica, non fosse completamente solo.

Prime scoperte

La solitudine arrivò nel 1665, anno in cui la peste si diffuse a Londra e raggiunse Cambridge. L'Università fu evacuata e Newton si ritirò in campagna, a Woolsthorpe, nella casa natale; questo soggiorno fa ormai parte della mitologia newtoniana, come il periodo in cui si sarebbe verificato l'episodio della mela. Si parla anche, riferendosi al 1665, di annus mirabilis. È effettivamente documentato dai manoscritti pervenuti che nel 1665 e nel 1666 Newton ottenne risultati di grandissima importanza in due campi distinti: la matematica e l'ottica.

Il giovane Newton aveva letto poca matematica. Con un po' di approssimazione si può dire che costruì le sue grandi scoperte a partire da due testi: la Géométrie di Descartes, nell'edizione latina del 1649 curata da Frans van Schooten, e l'Arithmetica infinitorum (1655) di John Wallis. È su queste basi che Newton fondò la sua più celebre teoria matematica: il metodo delle serie e delle flussioni, equivalente al leibniziano calcolo differenziale e integrale. Nel 1669 compose, su suggerimento di Barrow, un breve scritto intitolato De analysi per aequationes numero terminorum infinitas, mentre nel 1671 portò a termine un poderoso trattato intitolato De methodis serierum et fluxionum. Nonostante le pressioni esercitate da Barrow e da John Collins (1625-1683), un appassionato di matematica (o 'philomath' come allora si diceva) che era molto attivo nel promuovere questa disciplina, Newton non consentì la pubblicazione di queste sue prime opere. Solo in età molto tarda Newton si decise a dare alle stampe parte delle sue scoperte matematiche, ma la maggior parte degli scritti matematici rimase in forma manoscritta. Ciò ebbe conseguenze gravissime per lo sviluppo della matematica e anche per la vita stessa di Newton che verrà coinvolto in una violenta polemica con Leibniz, inventore di un metodo analogo a quello delle serie e delle flussioni. Non è però possibile affermare che Newton abbia occultato del tutto le sue scoperte; piuttosto egli, seguendo una pratica non inusuale nel XVII sec., mise in piedi una complessa strategia di pubblicazione: le sue scoperte circolavano attraverso scambi epistolari e la diffusione, attentamente sorvegliata, di trascrizioni dei suoi manoscritti.

Nel 1669, grazie all'interessamento di Barrow, Newton fu eletto professore lucasiano di matematica a Cambridge. Questo prestigioso incarico gli consentì di dedicarsi, senza grosse preoccupazioni e con assiduità, allo studio. Durante il lungo periodo passato a Cambridge, che si interruppe nel 1696, Newton si dedicò a ricerche molto diversificate: i suoi interessi spaziarono dalla matematica all'ottica, dalla dinamica all'astronomia, dall'alchimia all'esegesi biblica, dalla teologia alla storia.

Newton decise di iniziare la carriera di professore lucasiano rendendo pubbliche le sue scoperte di ottica. Nel febbraio del 1669 egli descrisse a Henry Oldenburg, segretario della Royal Society, il telescopio a riflessione. Grazie ai suoi studi sulla rifrazione, Newton era giunto alla conclusione che solo il telescopio a riflessione, di cui una versione era già stata proposta da James Gregory nel 1663, potesse eliminare il difetto noto come 'aberrazione cromatica'. Un esemplare di questo strumento, che Newton costruì con le proprie mani, venne inviato nel 1671 alla Royal Society. Un tale contributo all'astronomia procurò a Newton l'elezione a membro della prestigiosa Royal Society e una notevole fama a livello europeo.

Il successo di questa prima sortita pubblica incoraggiò Newton a presentare alla Royal Society i suoi fondamentali risultati sulla rifrazione, che, fra l'altro, consentivano una spiegazione teorica dell'aberrazione cromatica. Tuttavia, i rischi cui si poteva andare incontro nel pubblicare le proprie teorie divennero amaramente evidenti dopo il 1672, anno in cui Newton pubblicò sulle "Philosophical Transactions" della Royal Society il suo primo saggio sulla rifrazione della luce, New theory about light and colours. Come è noto, in questo scritto Newton intendeva dimostrare con un experimentum crucis che la luce bianca era composta e non semplice, come era stato ritenuto fino ad allora.

Contrariamente a quanto Newton si aspettava, il suo articolo del 1672 non fu accettato. Anzi, fu criticato sulla base di obiezioni che possiamo dividere in tre gruppi: alcuni filosofi della Natura, come Francis Linus (1595-1675), non riuscirono a replicare l'esperimento; altri, come Hooke, non negarono il risultato sperimentale, ma l'interpretazione che Newton ne aveva dato; e infine alcuni, come Christiaan Huygens, affermarono che Newton aveva colto un aspetto non interessante della luce, ossia la diversa rifrangibilità. Il problema era determinare, nel senso della filosofia meccanicista, quale fosse la natura della luce. Le regolarità matematiche messe in evidenza da Newton servivano a poco se non erano seguite da ipotesi meccaniche sulla natura e il comportamento della luce. Huygens riteneva che la luce avesse caratteristiche ondulatorie: che cosa aveva da dire Newton su questo argomento?

Il dibattito sull'articolo del 1672 fu, sotto certi aspetti, aspro. Da un punto di vista metodologico resta uno dei confronti più interessanti della storia della scienza. In verità Newton stava faticosamente cercando di definire una sua innovativa metodologia. Egli cercava di distinguere il piano delle ipotesi sulla natura della luce (piano tipico dei filosofi meccanicisti) da quello della scoperta sperimentale di regolarità matematiche (indice di rifrazione diverso per le diverse componenti della luce bianca).

Anni di studio e di isolamento

Negli anni Settanta Newton attraversò un periodo di intensa attività di ricerca e di relativo isolamento. Forse a causa della delusione suscitata dalle critiche al saggio del 1672, egli decise di tenere per sé gran parte dei suoi risultati, o di comunicarli attraverso scambi epistolari. Le ricerche matematiche continuarono dunque senza interruzioni. In quegli anni Newton compose uno scritto sui metodi di interpolazione, si dedicò a studi sulla classificazione delle cubiche e scrisse una serie di lezioni di algebra che videro la luce nel 1707 in un fortunato trattato intitolato Arithmetica universalis; inoltre cominciò a leggere le opere di geometria dei classici greci. Come molti suoi contemporanei ‒ si pensi a Hobbes e a Barrow ‒ era affascinato dal rigore della geometria greca. In alcuni manoscritti contrappone l'eleganza della geometria greca all'artificiosità della 'matematica dei moderni'. È in questi anni che Newton mise a punto il metodo dei primi e ultimi rapporti, una tecnica geometrica di passaggio al limite che giocò un ruolo fondamentale nei Principia.

Nel 1675 Newton, pressato dalle critiche, presentò alla Royal Society un saggio intitolato An hypothesis explaining the properties of light, nel quale si impegnava a formulare esplicitamente una "ipotesi sulle proprietà della luce". In questo saggio Newton affronta i fenomeni di interferenza osservati nelle lamine sottili (bolle di sapone, mica, ecc.) da Robert Hooke e altri. Nel saggio del 1675 l'ipotesi dell'etere è applicata non solo a fenomeni ottici, ma anche alla fisiologia della percezione, a fenomeni chimici, elettrici e magnetici. Si ipotizza che, nel redigere questo testo, Newton si sia servito di termini e di idee propri della tradizione alchemica.

In effetti, è testimoniato da numerosi manoscritti che Newton, come molti suoi contemporanei, si occupò di alchimia. Anche se la datazione dei manoscritti alchemici newtoniani presenta notevoli problemi, si può affermare che egli nutrì un forte interesse per questa disciplina all'incirca dal 1670 al 1695. Sappiamo inoltre che Newton si dotò di un piccolo laboratorio in cui fece esperimenti perlopiù sui metalli. Le note di laboratorio sono difficili da interpretare, sia perché sono di carattere privato, sia perché abbondano di simbologie alchemiche. Newton possedeva molti testi alchemici, che trascriveva, annotava e commentava.

Il dibattito storiografico sulla natura e le motivazioni dell'alchimia newtoniana è ancora aperto. Vi sono buoni motivi per ritenere che le ricerche alchemiche di Newton abbiano avuto una certa influenza sulle sue opere di ottica e di dinamica. Bisogna anche dire che molti contemporanei di Newton, come Robert Boyle e John Locke, nutrirono interesse per l'alchimia. Probabilmente Newton vedeva in questa disciplina una possibile alternativa a un approccio puramente meccanicistico alla filosofia naturale. La presenza di agenti attivi, non materiali, nella Natura poteva esercitare una qualche attrattiva per un filosofo della Natura avverso agli esiti materialistici del meccanicismo e interessato a individuare una via di accesso alla prisca sapientia, cioè alla vera religione e alla vera scienza degli antichi Ebrei. Newton era convinto che il mondo non potesse essere spiegato solo in termini di collisioni e arrangiamenti fra corpuscoli, come voleva la filosofia meccanicista. Quella che egli chiama, nello scolio generale dei Principia, la "cieca necessità metafisica" non poteva spiegare i processi di 'vegetazione' e 'fermentazione', di 'corruzione' e 'coesione'. Quali processi sono coinvolti nella generazione di una pianta dal seme? Quali nella putrefazione e perdita di ordine di un organismo prima animato? Quali nel passaggio dalla volontà di muovere un braccio all'effettivo movimento del braccio? Che cosa induce un ordine e una finalità negli organismi viventi? Questi fenomeni rivelano la presenza di un agente vitale diffuso in tutto l'Universo, che egli chiama di volta in volta 'spirito vegetativo', 'spirito mercuriale', 'virtù fermentativa'. È questo l'agente che permette a Dio di intervenire nel mondo, organizzando e disorganizzando la materia secondo un piano provvidenziale. Si può ipotizzare che Newton nel suo laboratorio, nell'analisi e interpretazione dei testi ermetici e della magia naturale, cercasse di identificare le modalità di azione di Dio nella Natura.

Gli studi alchemici di Newton sono dunque, con ogni probabilità, motivati anche da preoccupazioni di carattere teologico. Durante i suoi intensi studi di teologia e di esegesi biblica, egli era arrivato ad abbracciare una concezione volontarista di Dio secondo la quale Dio interverrebbe nella Natura e nella storia in base a un disegno provvidenziale. Presto Newton si avvicinò a concezioni eretiche, fino a raggiungere posizioni antitrinitarie, probabilmente ariane o sociniane. Sostanzialmente egli riteneva che il dogma della Trinità, introdotto dal Concilio di Nicea, fosse frutto di una corruzione della Chiesa.

Newton mantenne una grande segretezza sui suoi studi alchemici, ma ancora di più su quelli teologici. La divulgazione delle sue idee religiose avrebbe costituito un serio rischio, se non altro per la sua carriera universitaria. Infatti, in quanto membro dell'Università di Cambridge, era tenuto a giurare fedeltà alla Chiesa anglicana. Per ragioni ancora non chiarite, nel 1675 Newton ottenne dal re la dispensa a prendere gli ordini.

I 'Principia'

Nel 1679 Hooke, rompendo il silenzio che si era creato dopo la polemica sulla teoria della rifrazione, scrisse una lettera a Newton per proporgli un'ipotesi sul moto dei pianeti, a cui era giunto in collaborazione con Christopher Wren (1632-1723). Hooke riteneva che i pianeti si muovessero in uno spazio vuoto, privo di resistenza, e che su di essi si esercitasse una forza diretta verso il Sole. Hooke sospettava che questa forza variasse con l'inverso del quadrato della distanza dal Sole, ma non possedeva una dimostrazione matematica di tale fatto. Senza questa forza attrattiva i pianeti si sarebbero mossi in linea retta, secondo la legge di inerzia. Il carteggio con Hooke squarciò un velo davanti agli occhi di Newton consentendogli di vedere molto lontano. È importante sottolineare comunque che, benché a Hooke spetti il merito di aver distolto Newton da una concezione dei moti planetari ancora vicina alla teoria dei vortici di Descartes, non gli spetta per questo il merito di aver fornito un modello matematico del paradigma gravitazionale.

Nel novembre del 1680 Newton ebbe un altro motivo per interessarsi ai moti dei corpi celesti: la spettacolare apparizione di una cometa diretta verso il Sole. Egli eseguì una serie di osservazioni, convinto, come la maggioranza degli astronomi del suo tempo, che la traiettoria della cometa fosse rettilinea. Quando in dicembre apparve una cometa che si allontanava dal Sole, Newton pensò che si trattasse di una cometa diversa. Una interpretazione alternativa venne proposta dall'astronomo reale John Flamsteed (1646-1719), che intrecciò una fitta corrispondenza con Newton cercando di convincerlo che le due comete erano in verità lo stesso corpo celeste che, avvicinatosi al Sole, era stato respinto da un forza repulsiva di carattere magnetico. Newton non ne era convinto (come poteva il Sole, un corpo caldo, conservare una 'virtù magnetica'?) e propendeva per l'ipotesi delle traiettorie rettilinee di due diverse comete. L'osservazione della cometa del 1682 (la cometa di Halley) si rivelò cruciale: l'osservazione del suo tragitto portò Newton ad avvicinarsi sempre di più alla teoria di Flamsteed secondo la quale le comete sono deviate dal Sole.

Il carteggio con Hooke e con Flamsteed ci fa apprezzare quanto Newton fosse lontano dalla teoria della gravitazione a pochi anni dalla stesura dei Principia. La scintilla che provocò un'autentica esplosione intellettuale fu una visita di Edmond Halley a Newton nell'agosto del 1684. Halley aveva discusso con Hooke e Wren l'ipotesi secondo la quale il Sole esercita una forza sui pianeti che varia con l'inverso del quadrato della distanza. I tre non erano riusciti però a collegare questa ipotesi con le tre leggi dei moti planetari stabilite da Kepler. Halley chiese a Newton di risolvere questo intricato problema matematico. La risposta si tradusse in un breve scritto che venne inviato a Halley nel dicembre del 1684, nel quale Newton dimostrava che, per un corpo che si muove in uno spazio privo di resistenza, la seconda legge di Kepler vale se, e solo se, il corpo è accelerato da una forza centrale. Inoltre egli dimostrava che se l'orbita è un'ellisse e la forza è diretta verso un fuoco, allora la forza varia con l'inverso del quadrato della distanza.

Halley fu entusiasta di questa teoria e la riferì ai soci della Royal Society, spronando contemporaneamente Newton a svilupparla ulteriormente. Newton si lasciò contagiare da quell'entusiasmo e si mise al lavoro con una intensità che lasciò sbalordito il suo assistente. Lavorava senza sosta; spesso scriveva in piedi chino sul tavolo e anche il tempo per trovare una sedia o mangiare gli sembrava sprecato. Fu così che nell'estate del 1687 l'opera destinata a cambiare la scienza era già in stampa. In quei tre anni Halley aveva ricevuto da Newton 460 pagine manoscritte fitte di argomentazioni matematiche, diagrammi, risultati sperimentali, osservazioni astronomiche. Halley aveva letto, corretto e commentato pazientemente ciascuna riga. Aveva anche tenuto i contatti sia con la Royal Society, sotto i cui auspici i Principia vennero pubblicati, sia con lo stampatore. Come se non bastasse, Halley, pur non essendo in condizioni economiche rosee, aveva finanziato l'intera operazione editoriale. Senza il suo entusiasmo e la sua determinazione i Principia non avrebbero visto la luce.

Il contributo di Halley fu anche quello di mediare fra Newton e gli altri soci della Royal Society. In primo luogo bisognava tener conto della suscettibilità di Hooke, l'influente curatore degli esperimenti della società, il quale riteneva che Newton dovesse riconoscergli un qualche tributo nella scoperta della gravitazione universale, o di Wallis, che aveva ottenuto risultati simili, ma meno generali di quelli di Newton, sul moto in mezzi resistenti. In secondo luogo si trattava di fare accettare ai membri della Royal Society un'opera che ne rappresentava solo in parte gli ideali a causa della sua complessità, che la rendeva di difficile lettura persino agli stessi membri, e che conteneva scarsi riferimenti a qualche applicazione utile per l'umanità. Inoltre, la raccolta di evidenze sperimentali era ben magra cosa se confrontata con le opere di Hooke o di Boyle. Halley presentò l'opera di Newton mettendo l'accento sulle sue applicazioni alla scienza della navigazione. Spiegava che nell'opera di Newton era compresa una teoria matematica che consentiva di prevedere il moto delle maree, di determinare la longitudine grazie a osservazioni astronomiche e arrivò perfino a escogitare un apparecchio, basato su una proposizione del Libro II, in grado di determinare la velocità delle navi. Queste valutazioni ottimistiche di Halley erano premature: le applicazioni che propagandava saranno ottenute sulle basi gettate da Newton, ma molti decenni più tardi.

Dopo la pubblicazione dei Principia, Newton non era più uno sconosciuto matematico di Cambridge, ma l'autore di un'opera letta, commentata e criticata in tutta Europa. Negli anni Novanta Newton si interessò ancora di alchimia, redigendo alcuni importanti trattati alchemici, e fu inoltre assorbito dallo studio della quadratura delle curve (quella che chiameremmo oggi 'integrazione delle funzioni'): il risultato fu la stesura del De quadratura curvarum, che fu pubblicato nel 1704 in appendice all'Opticks. Newton si dedicò poi a vari progetti volti alla realizzazione di un'edizione completamente rinnovata dei Principia, fra i quali spicca l'idea di aggiungere degli scolii nei quali viene attribuita agli antichi saggi Ebrei, o a quelli della Fenicia, della Mesopotamia e dell'Egitto, la conoscenza del sistema eliocentrico, della teoria della gravitazione e dell'atomismo. Inoltre Newton compose un lungo trattato di geometria che rimase inedito fino a tempi recenti, i Geometriae libri duo, e un breve saggio sulla classificazione delle cubiche, l'Enumeratio linearum tertii ordinis, che fu pubblicata nel 1704 in appendice all'Opticks. Egli si impegnò anche, senza successo, a perfezionare la sua teoria sulla diffrazione della luce. Il periodo di solitaria e quieta ricerca a Cambridge volgeva però al termine.

Ultimi anni a Londra

Grazie ad amici influenti presso la nuova corte Newton ottenne, nel 1696, il remunerativo incarico di warden (e successivamente di master) della Zecca di Londra. Egli divenne quindi un personaggio pubblico e la sua influenza politica andò aumentando di anno in anno. Nel 1703 fu eletto presidente della Royal Society e nel 1705 ricevette la nomina di baronetto. La sua fama scientifica fu ulteriormente accresciuta dalla pubblicazione, nel 1704, dell'Opticks, opera che raccoglie le sue esperienze sulla rifrazione, l'interferenza e la diffrazione della luce.

Negli anni in cui fu presidente della Royal Society la creatività scientifica di Newton, ormai anziano, non si manifestò in modo particolare. Tuttavia, in questo periodo, egli si dedicò attivamente alla pubblicazione di alcune sue opere matematiche rimaste fino a quel momento inedite, e alla cura di varie edizioni dell'Opticks e dei Principia. Inoltre, nel corso di questi anni, Newton favorì studi sperimentali sull'elettricità e sul magnetismo. Egli sperava che fosse possibile identificare qualche regolarità matematica anche in questo campo, in modo tale da poter ridurre i fenomeni elettrici e magnetici ad attrazioni o repulsioni fra corpuscoli.

Negli ultimi decenni della sua vita, Newton esercitò un controllo ferreo non soltanto sulle attività della Royal Society, ma anche sull'assegnazione delle cattedre nelle università inglesi e scozzesi. Il suo dispotico predominio sulla scienza britannica andò incontro a non poche resistenze da parte del partito dei 'naturalisti' (botanici, zoologi, medici, 'antiquari', ecc.) i quali, sentendosi gli eredi più legittimi della tradizione baconiana, si opponevano al partito dei 'matematici' (o 'philomaths'), di cui facevano parte, per esempio, David Gregory, Edmond Halley, Roger Cotes, John Keill, Colin Maclaurin, John Machin. Alla morte di Newton, avvenuta nel 1727, l'elezione di Hans Sloane alla presidenza della Royal Society contro il candidato matematico Martin Folkes segnò la rivincita del partito dei naturalisti.

La disputa con Leibniz

Gli ultimi anni della vita di Newton furono avvelenati da un'aspra disputa con Gottfried Wilhelm Leibniz. A differenza di Newton, che preferiva quasi nascondere i propri metodi matematici, Leibniz compiva ogni sforzo per divulgarli. Nel 1682 contribuì alla fondazione di una rivista scientifica, gli "Acta Eruditorum" che, secondo le sue intenzioni, dovevano diventare un veicolo di diffusione e di scambio del sapere fra i dotti dei paesi europei. Sempre con l'intenzione di favorire la formazione di una comunità sovranazionale di sapienti, coltivando quindi un progetto che aveva risvolti anche politici, Leibniz fu inoltre tra i promotori della Societas Regia Scientiarum di Berlino.

Sugli "Acta Eruditorum", a partire dall'annata 1684, Leibniz cominciò a pubblicare le regole e le applicazioni del suo calcolo differenziale e integrale, sviluppato durante un soggiorno parigino dal 1672 al 1676. Del metodo delle flussioni newtoniano non era ancora stata pubblicata una sola riga, anche se alcuni manoscritti e lettere di Newton concernenti le flussioni e le serie erano stati fatti circolare. Leibniz stesso, nel 1676, aveva ricevuto da Newton, attraverso il segretario della Royal Society, Henry Oldenburg, due lettere concernenti, fra l'altro, la formula del binomio e un metodo di quadratura. In una di queste lettere Newton aveva nascosto il teorema fondamentale del calcolo con un crittogramma indecifrabile. Dalla eventuale decifrazione del crittogramma newtoniano Leibniz tuttavia non avrebbe ricavato molto: egli, ormai alla fine del suo periodo parigino, aveva già concepito il calcolo differenziale e integrale. Non avevano quindi alcun fondamento le accuse di plagio a lui mosse nel 1699 da Nicolas Fatio de Duillier, uno degli allievi di Newton. Nel 1710 fu John Keill nelle "Philosophical Transactions" ad affermare che Leibniz aveva solo cambiato nome e notazione al calcolo newtoniano (Epistola ad clarissimum virum Edmundum Halleium geometriae professorem Savilianum, de legibus virium centripetarum). Secondo i newtoniani, Leibniz si sarebbe impossessato del metodo delle flussioni durante alcuni viaggi che aveva fatto a Londra, dove, nella biblioteca della Royal Society, avrebbe letto alcuni manoscritti di Newton che vi erano depositati. Le lettere di Newton a Leibniz del 1676 gli avrebbero permesso di completare il furto intellettuale. Effettivamente sembrava molto improbabile che quel filosofo e giurista, che nel 1672 era ancora quasi digiuno di numeri e formule, avesse in pochi anni acquisito una competenza matematica così vasta.

L'accusa di Duillier, contenuta in un libro di limitata diffusione, poteva essere ignorata. Ma l'accusa di Keill era stata pubblicata nel periodico ufficiale della Royal Society. Leibniz chiese alla Royal Society, di cui era membro, una ritrattazione. Il risultato fu la formazione di un comitato il cui compito doveva essere quello di emettere un giudizio sulla questione. Newton, fino ad allora, si era tenuto fuori dalla faccenda: se i suoi allievi non avessero deciso di accusare Leibniz di plagio, forse avrebbe mantenuto un aristocratico distacco. Ma la guerra ormai era aperta e Newton utilizzò tutti i mezzi, anche i meno leciti, per vincerla. Il comitato della Royal Society fu infatti pilotato segretamente da Newton. Il risultato dell'indagine, tutt'altro che imparziale, fu pubblicato nel 1712 e l'accusa di Keill fu confermata da una raccolta di lettere e manoscritti che portava il titolo di Commercium epistolicum. La recensione anonima del Commercium pubblicata nel 1715 sulle "Philosophical Transactions", che confermava il risultato sfavorevole a Leibniz raggiunto dal comitato, era opera dello stesso Newton il quale si riferiva a sé stesso in terza persona!

I leibniziani, a loro volta, si erano già distinti recensendo sugli "Acta Eruditorum" in modo alquanto tendenzioso il De quadratura curvarum, la prima vera e completa esposizione del metodo newtoniano apparsa nel 1704. Potremmo continuare: la sequela di colpi bassi da una parte e dall'altra costituisce un elenco veramente lungo e poco edificante di sfide matematiche, fogli e lettere anonime, traduzioni tendenziose dal latino all'inglese e via dicendo.

La cosmologia di Newton divenne d'altronde presto oggetto di polemica fra newtoniani e leibniziani. La contesa fra le due scuole non rimase infatti confinata nell'ambito puramente matematico finora considerato. Leibniz e i suoi seguaci condividevano l'opinione di Huygens secondo la quale la gravitazione era o un'assurdità o un ritorno alle cause occulte degli aristotelici. Leibniz difese la teoria dei vortici in uno scritto del 1689 intitolato Tentamen de motuum coelestium causis. Anche Johann I Bernoulli (1667-1748) provò questa strada, ma i suoi tentativi fallirono. Ai leibniziani non riusciva il miracolo ottenuto da Newton: rendere compatibili con la loro ipotesi fisica (i vortici planetari) tutte e tre le leggi di Kepler.

Oltre alla gravitazione vi erano altri aspetti della cosmologia newtoniana che lasciavano insoddisfatto Leibniz. Niente più della dottrina newtoniana del continuo intervento di Dio, del costante e provvidenziale miracolo richiesto per garantire la stabilità del Sistema del mondo, poteva ripugnare al filosofo tedesco. Il Dio di Newton era forse un orologiaio maldestro? E ancora: la dottrina gnoseologica leibniziana faceva dello spazio e del tempo relazioni poste dal soggetto e non assoluti indipendenti dal soggetto. Quanto al vuoto e agli atomi prediletti da Newton, la loro esistenza era in contrasto con il leibniziano principio di continuità: un urto fra atomi perfettamente duri comporta un cambiamento istantaneo della velocità. Nulla di tutto questo si può dare in una Natura che 'non ammette salti'. La legge fondamentale della dinamica (il termine 'dinamica' è introdotto per la prima volta da Leibniz) prevede inoltre che sia la grandezza scalare mv2 a conservarsi e non la grandezza vettoriale mv. Come si vede, il confronto fra Leibniz e Newton è a tutto campo, e si tratta di un confronto di altissima caratura scientifica. Tutti questi temi furono affrontati in un celebre scambio di lettere fra Leibniz e il teologo filonewtoniano Samuel Clarke intercorso fra il 1715 e il 1716. Come era consuetudine dell'epoca, i due corrispondenti si impegnarono a rendere pubblico il confronto. È evidente che Newton ebbe un ruolo in questo carteggio, anche se non è del tutto chiaro in che misura egli abbia guidato la penna di Clarke. Lo scambio di lettere si interruppe bruscamente nel 1716 alla morte di Leibniz.

L'opposizione fra newtoniani e leibniziani segnò i primi decenni del Settecento. Soltanto dopo la morte di Newton le idee contenute nei Principia e nell'Opticks cominciarono a filtrare, subendo notevoli modifiche e adattamenti, nell'ambiente scientifico continentale.

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