La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. Johannes Kepler

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. Johannes Kepler

Eberhard Knobloch

Johannes Kepler

Johannes Kepler nacque il 27 dicembre 1571 a Weil der Stadt, nei pressi di Stoccarda, nel Ducato protestante del Württemberg. Maggiore di sette figli, la sua famiglia apparteneva alla minoranza protestante in una città che, a sua volta, costituiva un'enclave cattolica nella regione. Suo padre, che conduceva un'esistenza irrequieta come mercenario, mercante e gestore d'osteria, nel 1588 abbandonò definitivamente la moglie e i figli.

Il piccolo fu educato secondo i dettami della Confessione augustana, la professione di fede proclamata dai principi protestanti nell'anno 1530, improntata al pensiero tollerante di Filippo Melantone (1497-1560). A tale spirito Kepler rimase fedele per tutta la vita, mentre rifiutò sempre il riconoscimento incondizionato della formula di concordia, redatta nel 1577 per incarico dell'elettore di Sassonia, Augusto. Kepler respingeva infatti la dottrina dell'ubiquità in essa formulata, vale a dire la presenza fisica di Cristo in più luoghi nello stesso momento e quindi anche nell'Eucaristia. Nel corso della sua vita, l'atteggiamento irremovibile e refrattario a qualunque compromesso esteriore in materia di fede avrebbe avuto per lui conseguenze gravissime, estraniandolo dalla propria Chiesa, senza indurlo tuttavia a convertirsi al cattolicesimo. I conflitti religiosi e bellici della sua epoca, culminati nello scoppio della guerra dei Trent'anni, nel 1618, lasceranno un profondo segno nella sua vita e nella sua opera scientifica.

Dopo aver frequentato le scuole conventuali di Adelberg e Maulbronn, dal 1589 al 1594 Kepler studiò all'Università di Tubinga, dove vigeva la formula di concordia, con l'intento di diventare teologo. Il suo professore di matematica e astronomia Michael Mästlin lo introdusse al sistema copernicano ed egli divenne presto un fervido ammiratore del 'divino' Copernico, il 'nuovo Pitagora', come lui stesso ebbe a definirlo. La renovatio dell'astronomia che aveva preso forma in Copernico, rappresentava infatti agli occhi di Kepler la rinascita del pitagorismo antico. Tale convinzione, peraltro accreditata dallo stesso Copernico che nel Libro I del De revolutionibus rimandava alle tesi eliocentriche di Filolao e Aristarco, era fondata sia sulla base di fonti storiche accreditate (Aristotele e i suoi commentatori; frammenti di testi greci confluiti nella letteratura dossografica), sia su una presunta analogia tra l'eliocentrismo copernicano e quello antico. Kepler si prefisse il compito di dimostrare l'esattezza del sistema eliocentrico, e ben presto gli si sarebbe presentata l'occasione per farlo.

Nel 1594, ancor prima di aver portato a termine gli studi di teologia, su raccomandazione dell'Università di Tubinga ottenne un posto come professore di matematica e astronomia nella scuola evangelica di Graz, provincia austriaca della Stiria, dove fu nominato, al contempo, matematico ufficiale del Ducato. Tale decisione fu probabilmente motivata non solo dall'abilità scientifica di Kepler, ma anche dal suo rifiuto della formula di concordia. In seguito, tutti i suoi tentativi di far ritorno all'Università di Tubinga furono respinti essenzialmente per questo motivo. Nel 1619 l'Università lo scomunicò definitivamente, privandolo del conforto dei sacramenti, e ciò avvenne nonostante la presenza, tra i membri della facoltà, del teologo Mathias Hafenreffer, legato a Kepler da vincoli di amicizia.

A Graz uno dei compiti di Kepler era la compilazione di calendari e pronostici, la cui precisione gli procurò ben presto una buona reputazione. Decisiva per la sua carriera fu però l'opera scritta a Graz, il Mysterium cosmographicum, da lui dedicato, tra l'altro, agli Stati Generali della Stiria e pubblicato nel 1596 a Tubinga, grazie all'aiuto del maestro Mästlin. Fu questa l'unica delle sue opere a essere ristampata, ampliata da nuove annotazioni, mentre egli era ancora in vita nel 1621.

Si trattava in effetti di un mysterium demonstratum, come peraltro annunciato nel titolo: per spiegare il 'segreto' dell'ordine dei pianeti nel Cosmo, Kepler ricorreva all'ausilio dei cinque solidi geometrici regolari. Era convinto che tutto ciò che Copernico aveva dedotto a posteriori con l'ausilio di assiomi geometrici, e dimostrato mediante l'osservazione, potesse essere dimostrato senza alcuna difficoltà partendo dalle cause, cioè dall'idea originaria della Creazione.

A suo dire erano infatti tre, sopra tutte le altre, le cose di cui aveva studiato instancabilmente le cause, cercando di scoprire perché fossero così e non altrimenti: il numero, la grandezza e il moto delle orbite (orbium). In ciò era stato incoraggiato dalla corrispondenza che riconosceva tra Sole, stelle fisse e spazio intersidereo da una parte e Dio Padre, Figlio e Spirito Santo dall'altra. Egli aveva mutuato questa analogia, ossia la rappresentazione del Cosmo trinitario, da Niccolò Cusano (1401-1464) e vi ricorse anche in opere successive.

L'idea fondamentale di Kepler era che Dio avesse creato il mondo prendendo a modello gli archetipi della geometria e che le idee delle quantità fossero insite eternamente in Dio. Poiché le quantità erano per lui di capitale importanza per decifrare il piano divino della Creazione, non stupisce che sia autore di uno scritto sull'argomento (rimasto inedito e pubblicato solo nell'Ottocento), in cui si riallaccia ad Aristotele. Il 19 luglio 1595 ebbe l'ispirazione risolutiva: esistono solo i cinque poliedri regolari, oggetto di una lunga tradizione di studi e di interpretazioni a partire dall'ultimo libro degli Elementi di Euclide, che corrispondono alle distanze dei sei pianeti del sistema copernicano. Assumendo per le sfere planetarie uno spessore sufficiente, è possibile inserire i cinque solidi tra i sei pianeti nel seguente ordine: Mercurio, ottaedro, Venere, icosaedro, Terra, dodecaedro, Marte, tetraedro, Giove, esaedro, Saturno. Kepler non mancò di effettuare calcoli assai laboriosi pur di far coincidere quanto meglio possibile la successione dei poliedri con i dati copernicani.

Kepler era quindi convinto di aver trovato la ragione profonda (quella coincidente con il progetto divino) del numero e delle distanze reciproche dei pianeti. Nella preghiera finale del Mysterium cosmographicum, lodava Dio ringra- ziandolo di avergli consentito di compiere questa scoperta. Le sue profonde convinzioni religiose gli facevano vedere nell'astronomia un ufficio divino. Per questo stesso motivo, troviamo preghiere anche nelle grandi opere astronomiche della maturità, in particolare negli Harmonices mundi, il coronamento della ricerca sulle corrispondenze armoniche che regolano il mondo. In quest'opera Kepler avrebbe scoperto il rapporto tra il periodo di rivoluzione dei pianeti e la loro distanza dal Sole, cercato già nel Mysterium per risolvere anche la questione delle dimensioni e del moto delle orbite planetarie. Così scrisse nel 1598 a un suo amico e corrispondente, il cancelliere bavarese Hans Georg Herwarth von Hohenburg: "Mi basta la gloria di custodire con la mia scoperta le porte del tempio, mentre Copernico celebra la messa sull'altare maggiore" (GW, XIII, p. 189).

La sua idea più innovativa fu di associare al Sole una anima motrix, un'anima motrice responsabile dei movimenti dei pianeti. Era il germe della meccanica e della fisica celeste: la forza di questa causa motrice diminuiva con l'aumentare della distanza dal Sole. Nella seconda edizione del Mysterium Kepler sostituì il termine anima con vis, introducendo quindi anche a livello terminologico il concetto di forza per spiegare il moto dei pianeti.

Kepler fece pervenire la sua opera prima a Galileo Galilei e a Tycho Brahe. Mentre con Galilei non ci fu mai uno scambio epistolare di particolare rilevanza scientifica, Tycho lo invitò a Praga, pur respingendo la possibilità di una dimostrazione a priori in astronomia, come in effetti era quella proposta da Kepler per le distanze dei pianeti. Quando nel 1599, in seguito alla Controriforma, a Graz le istituzioni protestanti furono abolite ‒ per cui il 2 agosto 1600 anche Kepler fu messo al bando ‒ egli si decise, infine, ad accettare l'invito di Tycho a collaborare. Nel frattempo aveva sposato Barbara Müller, dalla quale ebbe cinque figli, tre dei quali morirono in tenera età.

La collaborazione con Tycho durò soltanto un anno: l'astronomo danese morì il 24 ottobre 1601 e poco dopo fu affidata a Kepler l'analisi dei dati raccolti dallo scienziato. Successivamente Rodolfo II lo nominò matematico imperiale, ma sia Rodolfo II sia i successori, Mattia e Ferdinando II, raramente gli versavano il compenso dovuto, tanto che, quando Kepler morì, il suo credito nei confronti dell'Impero superava i 12.000 fiorini, somma che non ricevettero mai né la vedova né i discendenti.

Con i dati di Tycho a disposizione Kepler continuò a elaborare una teoria per descrivere l'orbita di Marte. Inoltre, Rodolfo II desiderava che Kepler, basandosi sui dati delle osservazioni ticoniche, sviluppasse nuove tavole planetarie, che sarebbero state chiamate Tabulae Rudolphinae. Kepler portò a termine con successo entrambi i compiti nell'ordine stabilito, pur impiegando molto più tempo di quanto aveva inizialmente preventivato.

Dai titoli e dalle introduzioni delle sue opere si evince chiaramente che, rispetto agli astronomi coevi, stava percorrendo nuove strade. Valga per tutti l'Astronomia nova del 1609 nella quale, attraverso l'analisi del moto del pianeta Marte, sono formulate quelle oggi note come la prima e la seconda legge di Kepler. Di fronte all'ambivalenza tipica del Rinascimento tra impostazioni di ricerca tradizionali e innovative, Kepler aveva optato decisamente per la seconda possibilità. Allo stesso tempo, egli teneva molto a chiarire che i suoi risultati non provenivano da una mera ricerca di novità, bensì dall'aspirazione di giungere a conoscere il mondo come esso è veramente. Nel 1620, egli presentò ai lettori una retrospettiva delle sue scoperte, mettendo in risalto, fin quasi al punto di disconoscere il suo stesso apporto, i meriti degli autori sul cui lavoro aveva fondato la nuova astronomia: le ipotesi di Copernico, le osservazioni di Tycho e la filosofia magnetica di William Gilbert (1544-1603).

Il suo principale trattato astronomico si distingue per tre aspetti decisivi: aver dato nuovi principî all'astronomia matematica; aver sviluppato una fisica celeste; aver rifiutato una concezione strumentale della teoria dei moti celesti, vale a dire un modello cinematico che non teneva conto delle forze. Nella prima parte dell'Astronomia nova Kepler dimostra l'equivalenza, dal punto di vista cinematico, delle tre teorie planetarie matematiche a lui note, quelle di Tolomeo, Copernico e Tycho. Tutte e tre si fondavano sul principio dei moti circolari uniformi, spiegando le irregolarità nel moto del periodo di rotazione siderale con considerazioni matematiche aggiuntive: mediante un punto di compensazione (equante) sulla linea degli apsidi, rispetto al quale il moto planetario, in verità irregolare, appariva uniforme rispetto a un eccentrico (Tolomeo), oppure mediante la combinazione di più moti circolari (Copernico, Tycho). Per l'orbita terrestre Copernico e Tycho avevano fatto a meno di tali accorgimenti. Postulare un eccentrico significava che il centro dell'orbita e quello del mondo (la Terra o il Sole, secondo i modelli) non coincidevano, differendo di una quantità detta eccentricità.

L'incondizionata fiducia di Kepler nella precisione delle osservazioni di Tycho, il cui margine d'errore era di 2′ di arco contro i 10′ di Tolomeo e Copernico, e il suo approccio basato sulla fisica lo spinsero a cercare nuove strade. Il Sole era per lui la sede della forza motrice per tutti i pianeti. Da ciò derivavano due conseguenze: la prima era che il centro del mondo non era più il centro dell'orbita terrestre (il Sole medio, secondo Copernico), ma il Sole vero; la seconda che anche il moto della Terra intorno al Sole era irregolare. Nella sua ipotesi di lavoro, la cosiddetta 'ipotesi vicaria', Kepler assumeva che Marte descrivesse un cerchio con duplice eccentricità, in cui il centro dell'orbita C divide l'eccentricità dell'equante A rispetto al Sole S in un punto ancora da determinare.

Mentre le osservazioni fatte da Tycho con Marte all'opposizione confermavano questa teoria, i calcoli di controllo effettuati in altre posizioni portavano a una differenza di 8″, vale a dire un errore decisamente superiore al margine di precisione di Tycho: l'ipotesi di lavoro ne usciva falsificata. Secondo la concezione scientifica di Kepler, infatti, un'ipotesi non doveva essere solo matematicamente corretta, ma formulata in modo tale da poter dimostrare la vera conformazione delle orbite planetarie. Kepler spiegò il suo concetto di ipotesi in uno scritto in difesa di Tycho, rimasto a lungo inedito e pubblicato per la prima volta nel 1858 con il titolo Apologia Tychonis contra Ursum.

Ciononostante, in un primo momento Kepler continuò a utilizzare la sua ipotesi di lavoro al fine di pervenire comunque a un calcolo delle posizioni di Marte. Le sue speculazioni di fisica sul Sole come centro di forza lo portarono alla formulazione della cosiddetta 'legge del raggio' (poi rivelatasi errata): la velocità lineare di un pianeta nella sua orbita è inversamente proporzionale alla sua distanza dal Sole.

Kepler aveva esteso una relazione valida per il perielio e l'afelio all'intera orbita. Interpretava la velocità azimutale come un effetto dell'orientamento azimutale della forza motrice. Come misura approssimativa del tempo che un pianeta impiega a percorrere un determinato tratto della sua orbita utilizzò la porzione di piano delimitata dai raggi che vanno dal Sole agli estremi di tale segmento. Per far questo, calcolò la somma dei vettori, da lui intesi come triangoli infinitesimali. Il risultato fu la seconda legge planetaria che oggi porta il suo nome: il raggio vettore che unisce il Sole a un pianeta spazza aree uguali in tempi uguali. Kepler aveva scoperto la legge delle aree assumendo un moto circolare con duplice eccentricità come approssimazione di un calcolo esatto in base alla legge del raggio. In seguito, quando ormai aveva riconosciuto che la vera forma dell'orbita era un'ellisse, egli la riprese. Solo allora le aree spazzate si rivelarono misure esatte. Di conseguenza applicò le leggi sul moto scoperte per Marte a tutti i pianeti.

La verifica della forma dell'orbita, ritenuta dapprima un cerchio, in seguito a laboriose ricerche e dopo aver scartato altre possibili forme, tra cui l'ovale, lo portò, intorno alla Pasqua del 1605, a formulare la sua prima legge planetaria: i pianeti si muovono descrivendo un'ellisse, con il Sole posto in uno dei fuochi.

Kepler non solo infranse i postulati che prevedevano orbite circolari e moto uniforme ‒ ritenuti validi o comunque usati nella pratica astronomica fin dai tempi di Eudosso (Krafft 1991) ‒ ma attraverso la sua fisica magnetica, ispirata alle tesi di Gilbert, fornì al tempo stesso le cause fisiche del moto celeste. Il Sole era concepito come magnete unipolare, i pianeti come magneti bipolari, ora attratti, ora respinti. Con il crescere della distanza, l'immateriale forza motrice centrale diminuiva linearmente all'interno dell'orbis virtutis, la 'sfera d'azione', una concezione risalente a Giambattista Della Porta (1535 ca.-1615). Su queste basi Kepler sviluppò anche una nuova teoria della gravità, che tuttavia risentiva ancora molto dell'influenza aristotelica. Per quanto la sua teoria fisica fosse sbagliata e Kepler, a causa di un'errata concezione del moto dei corpi soggetti a inerzia, non fosse arrivato alla teoria gravitazionale prima di Newton, egli aveva però mostrato in modo programmatico che era compito dell'astronomia diventare fisica celeste, ossia fornire le cause fisiche dei fenomeni cinematici.

Il suo scopo era mostrare, come scrisse a von Hohenburg nel 1605 (GW, XV, p. 146), che la macchina celeste non funzionava come un'entità divina, bensì come un orologio. Tuttavia, era anche sostenitore di una dinamica che presupponeva corpi celesti animati. Tanto la Terra quanto il Sole possedevano un'anima che provvedeva alla rotazione terrestre e alla rotazione del Sole intorno al suo asse (nel 1609, Kepler aveva teorizzato la rotazione del Sole, confermata empiricamente nel 1611 dalla scoperta delle macchie solari).

La fredda accoglienza riservata alla fisica celeste, che aveva fornito a Kepler i fondamenti delle prime due leggi planetarie, rese più difficile far accettare le sue teorie. A causa di una controversia con gli eredi di Tycho, l'Astronomia nova poté essere pubblicata soltanto nel 1609. Nel frattempo Kepler aveva presentato nel 1604 l'Astronomiae pars optica, che conteneva la spiegazione di come si formano le immagini, la teoria dei processi visivi e il principio fondamentale della fotometria. Nel 1611, mentre era ancora a Praga, prendendo spunto dalle osservazioni telescopiche di Galilei, pubblicò la Dioptrice, termine da lui coniato per designare i processi ottici legati alla rifrazione, pur senza averne scoperto il principio.

Dopo la morte di Rodolfo II, avvenuta il 20 gennaio 1612, Kepler, rimasto vedovo nel 1611, nonostante la conferma della carica di matematico imperiale, si trasferì a Linz per prendere il posto di insegnante di matematica presso la locale scuola evangelica provinciale. Dal suo secondo matrimonio con Susanne Reuttinger, avvenuto nel 1613, nacquero sette figli, dei quali solo uno raggiunse l'età adulta. Nel 1620-1621, grazie a una strenua difesa, poté impedire che sua madre fosse condannata per stregoneria. Le incombenze casalinghe gli fornirono lo spunto che lo portò a pubblicare, nel 1615, la Nova stereometria doliorum vinariorum. Ricollegandosi ad Archimede, Kepler sviluppò in questa opera nuovi metodi matematici infinitesimali per calcolare il volume dei solidi di rotazione che spianarono la strada al calcolo integrale.

A Linz portò a termine una voluminosa opera in tre parti, pubblicata negli anni tra il 1618 e il 1621, con il titolo di Epitome astronomiae Copernicanae, in cui esponeva la nuova concezione del mondo. In essa Kepler illustrava il sistema copernicano sullo sfondo di una riorganizzazione della scienza astronomica, ora divisa in cinque ambiti: storico, ottico, fisico, aritmetico e meccanico. In ognuno di questi ricadevano rispettivamente le osservazioni, le ipotesi, le basi per le ipotesi, le tavole e i calcoli, gli strumenti.

Per Kepler, però, il coronamento delle fatiche scientifiche era rappresentato dagli Harmonices mundi, apparsi nel 1619, in cui portava a compimento il progetto iniziato nel Mysterium cosmographicum. Negli Harmonices mundi Kepler univa causalità e finalismo: dal momento che Dio, all'atto della Creazione del mondo, ha avuto presenti modelli geometrici, gli 'archetipi', l'armonia geometrica prendeva il posto di una causa finale, permettendo di spiegare perché Dio, tra le infinite orbite ellittiche possibili, avesse scelto quelle reali. Una risposta che Newton, con la sua teoria gravitazionale, non sarebbe poi stato in grado di dare.

Le armonie non erano per Kepler concetti fisici, bensì intelligibili, pure relazioni numeriche astratte, cui solo un'anima dotata di percezione infondeva un'esistenza. Tali relazioni cosmogoniche hanno origine dalla divisione di un cerchio, e, per l'esattezza, dal rapporto reciproco con l'intera circonferenza degli elementi appartenenti a poligoni regolari classicamente costruibili. Come matematico, Kepler si basava sulle quantità e non su speculazioni mistiche come il suo contemporaneo Robert Fludd.

I due trattati del primo volume della Utriusque cosmi historia di Fludd apparvero appena prima della pubblicazione degli Harmonices mundi. In appendice a quest'ultima e alla luce di una trattazione fondamentalmente diversa dello stesso argomento, Kepler prese posizione contro gli scritti di Fludd il quale si difese in seguito con un pamphlet che suscitò un nuovo intervento di Kepler. Fludd rispose ancora nel 1623, dopodiché la disputa si esaurì. Secondo la sua teosofia, l'armonia del mondo poteva essere compresa attraverso l'intuizione e il mistero della rivelazione, che non sono soggette a considerazioni matematiche. Per il platonico Kepler non si poteva ottenere nulla senza conoscenza delle cause e prove matematiche. In questa polemica egli vedeva una netta dicotomia tra pensiero ermetico e matematica.

Kepler è stato anche il primo e unico autore, fino a oggi, a sviluppare una teoria secondo la quale alle costruzioni geometriche corrispondevano consonanze musicali. Considerato il ruolo decisivo che avevano le figure regolari, Kepler si occupò anche di problemi di divisione dello spazio, vale a dire delle possibilità di riempire il piano con poligoni regolari o lo spazio tridimensionale con poliedri regolari; questo lo portò a scoprire due dei quattro poliedri stellati, tema che affrontò nel 1611 in un piccolo scritto dal titolo Strena seu de nive sexangula.

Kepler trovava negli aspetti e nelle velocità angolari dei pianeti relazioni cosmogoniche. Il frutto più duraturo delle sue riflessioni armoniche fu la scoperta, avvenuta il 15 maggio 1618, della terza legge planetaria: i quadrati dei periodi di rivoluzione di due pianeti stanno tra loro come i cubi delle loro distanze medie dal Sole. Inoltre, Kepler considerava la teoria degli aspetti la parte accettabile e vera dell'astrologia, come aveva esposto nel Tertius interveniens, un dialogo del 1610 tra un sostenitore e un avversario dell'astrologia.

Durante il soggiorno a Linz furono finalmente portate a termine le tanto attese Tabulae Rudolphinae, ma non poterono però essere pubblicate. Nel 1625 la Controriforma faceva il suo ingresso anche nell'Arciducato di Linz. Gli eventi bellici costrinsero Kepler, sollevato ufficialmente solo il 3 luglio 1628 dalla carica di matematico arciducale, ad abbandonare Linz nel 1626 e a far stampare le tavole a Ulm. Queste tavole permettevano di calcolare le posizioni assunte dai pianeti in qualsiasi momento passato e futuro con uno scarto massimo di 10″ di arco, una precisione notevolmente maggiore rispetto a tutte le altre tavole esistenti fino ad allora.

Dopo gravi momenti di crisi economica, Kepler nel 1628 entrò al servizio del generale imperiale Ubrecht von Wallenstein, che gli offrì un posto di lavoro a Sagan, nell'attuale Polonia. Ebbe ancora modo di assistere nel 1630 alla stampa delle effemeridi per gli anni 1621-1636, ma non alla pubblicazione del suo Somnium seu astronomia lunaris, la cui edizione fu curata dal figlio Ludwig nel 1634; in esso Kepler voleva dimostrare dal punto di vista degli abitanti lunari l'esattezza della concezione copernicana del mondo.

Mentre era in viaggio per Linz, per questioni patrimoniali, Kepler morì il 15 novembre 1630 a Regensburg, che, benché non sia la città natale, ospita un monumento in suo onore. La maggior parte dei suoi manoscritti fu acquistata nel 1773 dalla zarina Caterina II; da allora sono conservati al dipartimento dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.

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