La scienza in Cina. Introduzione generale

Storia della Scienza (2001)

La scienza in Cina. Introduzione generale

Francesca Bray
Karine Chemla
Georges Métailié

Introduzione generale

di Francesca Bray

Per scrivere la storia è necessario basarsi sui documenti e la civiltà cinese offre un corpus particolarmente ricco di testi, immagini e testimonianze materiali relativi alle idee e alle attività scientifiche ‒ come pure ai contesti sociali, politici e culturali in cui nacquero ‒ che formano una cronaca ininterrotta (anche se, naturalmente, incompleta) dello sviluppo della scienza in Cina lungo l'arco di oltre venticinque secoli. Malgrado ciò, fino a non molto tempo fa le opere dedicate alla storia della scienza universale si caratterizzavano proprio per l'assenza di un'adeguata e sistematica attenzione al caso cinese e il fatto che nella Storia della scienza Treccani sia stato attribuito un tale rilievo alla Cina testimonia il carattere innovativo di questo progetto.

La storia della scienza, come si era venuta formando negli ambienti accademici occidentali nel corso degli ultimi due secoli, rifletteva il senso di superiorità culturale tipico del colonialismo, al punto da costruire un'immagine della scienza come progetto e attività esclusivamente occidentali. Intorno alla metà dell'Ottocento, quando il termine 'scienziato' iniziava a circolare comunemente in Inghilterra, il vacillante Impero cinese si preoccupava di inviare all'estero i suoi giovani più promettenti, per far loro apprendere quelle scienze moderne che, nelle speranze dei suoi governanti, avrebbero dovuto salvare il paese da ulteriori smembramenti da parte delle potenze occidentali. Molti Cinesi si convinsero che la cultura tradizionale del loro paese avesse un effetto pernicioso e debilitante e che fosse necessario disfarsene se si voleva che la Cina diventasse finalmente una nazione forte e moderna. In tali circostanze era assai difficile trovare qualcuno disposto a contestare l'opinione prevalente tra la maggior parte degli studiosi occidentali, secondo la quale il popolo dell'antica Cina, come gli altri popoli non europei, pur giungendo occasionalmente a effettuare interessanti osservazioni sul mondo naturale, era privo degli strumenti epistemologici e logici indispensabili alla produzione della 'vera' scienza. Questa opinione è tuttora sostenuta da alcuni studiosi, nonostante l'emergere di una vasta documentazione sulle scoperte e le pratiche scientifiche nella Cina premoderna e il diffondersi di una definizione più ampia di ciò che costituisce l'attività scientifica, che ha contribuito ad arricchire la storia della scienza occidentale negli anni più recenti.

Un altro punto di vista che influì notevolmente sul giudizio occidentale circa le attività scientifiche in Cina fu quello di Oswald Spengler (1880-1936), il quale sostenne che ogni grande civiltà produce le proprie forme di arte e di scienza, ma che queste sono così strettamente legate alle rispettive culture da non poter essere trasmesse oltre i loro confini ‒ con l'eccezione del mondo occidentale, che ha prodotto l'unica forma universalmente valida e universalmente comunicabile di scienza. Da questa prospettiva, non è possibile scrivere una 'storia della scienza in Cina', ma solo una 'storia della scienza cinese', cioè una storia in cui le idee dei Cinesi sulla Natura, il funzionamento e le relazioni del mondo naturale siano illustrate in quanto parte di un sistema di pensiero specificamente e peculiarmente cinese, avulso dalle 'realtà universali' del mondo materiale che formano l'oggetto della scienza moderna.

Questa Sezione dedica una particolare attenzione alla collocazione delle idee scientifiche nell'ambito dei diversi sistemi di pensiero. Tuttavia, a differenza di quanto accade nell'analisi spengleriana, qui si parte dal presupposto che le idee scientifiche si sviluppino ovunque possano essere trasmesse da una cultura all'altra e che alla nascita della scienza, come oggi è comunemente intesa, abbiano contribuito diversi percorsi intellettuali originatisi in molte parti del mondo. L'ambizione è quella di presentare una 'storia della scienza in Cina', partendo dal presupposto che il pensiero scientifico cinese, riferito alle medesime realtà naturali sulle quali si sono interrogati gli studiosi europei o di altre tradizioni, abbia prodotto risultati di validità universale e che di conseguenza, nonostante le differenze esistenti tra i modelli di conoscenza e tra gli stessi oggetti di studio, sia stato possibile ‒ e, in effetti, si è rivelato piuttosto frequente ‒ un fruttuoso scambio di conoscenze tra le diverse società.

Questa rappresentazione globale del passato della scienza non è del tutto nuova, ma ha iniziato a diffondersi dopo la Seconda guerra mondiale, e in particolare nel contesto dell'Unesco all'inizio della sua attività, soprattutto grazie all'opera di Joseph Needham che nei suoi scritti ha dimostrato con fondati argomenti l'impossibilità di scrivere un'autentica storia della scienza senza tenere nella dovuta considerazione il contributo cinese. Questa Sezione accoglie l'ipotesi fondamentale di Needham sulla distribuzione e sulla circolazione della scienza, pur inserendola in una diversa cornice e introducendovi significative modifiche, come spiegheremo più avanti.

Inoltre, questa Sezione deve molto anche alle tradizioni di studi storici che si sono sviluppate al di fuori dei confini del mondo occidentale. Nel caso della Cina, il crescente interesse per la storia della scienza, manifestatosi a partire dal XVII sec., ha dato luogo a un'approfondita ricerca delle fonti antiche e a vaste indagini filologiche, che hanno condotto alla pubblicazione di edizioni e interpretazioni critiche su cui si fonda la stessa ricerca moderna. Gli studiosi cinesi hanno inoltre elaborato una serie di periodizzazioni e di rappresentazioni dello sviluppo del pensiero scientifico in Cina che definiscono ancora la cornice delle attuali ricerche.

Questa molteplice eredità intellettuale, frutto di diverse tradizioni, ci rende particolarmente sensibili al ruolo svolto dal contesto storico, politico e istituzionale nella formazione di qualsiasi tipo di conoscenza, sia storica sia scientifica. Per aiutare i lettori a contestualizzare i contributi individuali che concorrono a costituire questa Sezione come un insieme organico, l'introduzione include un breve resoconto storico delle più importanti tradizioni storiografiche nel campo della storia della scienza in Cina. Non ci siamo proposti di fornire un'analisi esauriente, ma di delineare un quadro indicativo che, unitamente alla successiva discussione sul termine 'scienza', si propone di gettare le basi per una valutazione critica delle definizioni e delle teorie presentate, consentendo ai lettori di orientarsi tra le diverse interpretazioni e le modalità in cui queste hanno circolato e interagito tra loro. L'introduzione riassume inoltre i contenuti e delinea lo schema complessivo della Sezione, con una particolare attenzione agli interessi specifici dei pensatori cinesi nelle varie epoche e alla persistenza o alla mutevolezza delle categorie utilizzate nelle scienze della Natura.

Aspetti della storiografia della scienza in Cina

di Karine Chemla, Francesca Bray, Georges Métailié

Il lavoro di ricerca relativo allo sviluppo storico della conoscenza scientifica in Cina, svolto in diverse regioni del mondo, a eccezione di alcuni temi specifici, è stato intrapreso soltanto di recente; per questo motivo l'analisi di alcune sue fasi non sarà perfettamente equilibrata. Daremo risalto, infatti, soprattutto agli aspetti già presi in considerazione dalla ricerca, concedendo uno spazio più limitato a questioni ancora poco studiate ma non per questo meno rilevanti ai fini della definizione del quadro d'insieme. In termini concreti, esamineremo soprattutto tre tendenze interpretative della storia della scienza in Cina. Nella prima parte prenderemo in considerazione la nascita e lo sviluppo nella stessa Cina, soprattutto a partire dall'inizio del periodo Ming (1368-1644), di un certo interesse storico per il pensiero scientifico del passato. Nella seconda parte ci concentreremo sulla figura di Joseph Needham, lo studioso occidentale che più ha contribuito all'elevazione della storia della scienza in Cina al rango di disciplina accademica; vista la portata della sua influenza in questo campo, ci è sembrato necessario analizzare nei dettagli il contesto culturale che ha fatto da sfondo alle sue ricerche e le principali caratteristiche del suo approccio. Nella terza parte descriveremo a grandi linee la nascita di un'altra comunità di ricerca dedita allo studio di questo tema in Giappone. Come ha dimostrato A. Horiuchi (cap. L), lo sviluppo della scienza in questo paese è in ultima analisi strettamente legato a quello della Cina e, quindi, l'emergere di un certo interesse per la storia della scienza in Giappone è stato accompagnato da una serie di indagini dedicate all'evoluzione della scienza in Cina. Tale circostanza spiega perché la storia della scienza in Cina abbia conosciuto un rapido sviluppo nei diversi paesi dell'Asia orientale e, in particolare, in Giappone.

Lo sviluppo della storia della scienza come tema di studio in Cina

In Cina, come del resto in Occidente, almeno fino all'inizio dell'Età contemporanea l'interesse per il passato delle scienze si è sviluppato nell'ambito delle stesse attività scientifiche. Il lettore della Sezione potrà quindi seguirne l'evoluzione; in questa sede ci limiteremo a indicare alcune delle sue caratteristiche distintive. Le più antiche manifestazioni di questo interesse possono essere individuate nel campo degli studi filologici volti a ricostruire e a rendere accessibili i testi dei Canoni. Come spiegheremo nella prima parte, il processo di consolidamento dell'Impero cinese, iniziato a partire dal 221 a.C., fu accompagnato dalla formazione di un corpus di testi canonici relativo alla maggior parte dei campi del sapere; tali testi seguitarono a essere considerati fondamentali nell'ambito delle diverse discipline e gli studiosi dei periodi successivi si richiamarono e si ispirarono costantemente a essi. Non bisogna, quindi, sorprendersi nel constatare il sistematico impegno dello Stato nel campo della promozione di vaste imprese filologiche, volte a ricostruire i testi che si pensava fossero stati alterati nel corso del processo di trasmissione.

In Cina la definizione del campo d'indagine della ricerca storica fu dunque profondamente influenzata dagli studi filologici condotti sui testi dei Canoni e, in particolare, dalle indagini finalizzate allo studio dei Canoni considerati più importanti, quelli confuciani (A. Cheng, cap. VI). Dal momento che in questa Sezione la storia è stata inclusa tra le discipline scientifiche, il lettore potrà constatare fino a che punto la nascita nell'XI sec. dell'epigrafia, della paleografia e dell'archeologia fu determinata dall'esigenza di ricostruire i testi di questi Canoni (I. Asim, cap. XXXII). L'interesse per le antichità si sviluppò durante il periodo Ming, concentrandosi soprattutto sulle loro qualità estetiche (Elman 1984); durante il periodo Qing vi fu una ripresa degli studi storici, anche in questo caso strettamente legata alla promozione di nuove imprese filologiche relative ai Canoni. L'interesse per la ricostruzione dei testi non riguardò soltanto i Canoni confuciani; oltre alle ricerche condotte su questi ultimi, furono infatti realizzate anche numerose imprese filologiche che avevano per oggetto i Canoni delle discipline scientifiche, come, per esempio, la matematica, l'astronomia e la medicina.

A partire dal periodo dei Song settentrionali la moltiplicazione dei libri e la loro sempre maggiore disponibilità, determinate dalla diffusione della stampa, furono accompagnate dall'emergere di diversi tipi di generi letterari relativi al passato. Oltre alle genealogie, furono pubblicati resoconti storici che si proponevano di presentare metodicamente le conoscenze disponibili in un certo campo d'indagine e le ragioni della sua formazione, come, per esempio, le descrizioni volte alla ricostruzione del passato della medicina contenute nei manuali elementari di questa disciplina dati alle stampe nel periodo Ming (M. Hanson, cap. XLVII). Questi testi sono inoltre la testimonianza del costante sviluppo, all'interno della stessa letteratura medica, delle biografie dei medici del passato. Sebbene, almeno secondo i dati a nostra disposizione, i testi contemporanei sul passato della matematica o dell'astronomia non siano ancora stati studiati, si può presumere che, dato il differente percorso evolutivo di queste discipline, essi abbiano assunto una forma sostanzialmente diversa.

Sotto un altro aspetto, in questo caso connesso allo sviluppo del collezionismo dei libri e della bibliofilia (J.-P. Drège, cap. XLIII), molte discipline recano la traccia dei tentativi intrapresi da alcuni individui di raccogliere tutti i testi del passato riconducibili a un certo campo d'indagine. Tali sforzi sono attestati dai saggi bibliografici a volte contenuti nei testi specialistici; due autorevoli esempi di questo genere furono pubblicati quasi contemporaneamente alla fine del XVI sec.: nel 1592 apparve la summa matematica di Cheng Dawei che include la prima bibliografia pervenutaci, compilata da un privato (Li Zhaohua, cap. XLIV), e dopo qualche anno, nel 1596, la farmacopea di Li Shizhen (G. Métailié, cap. XLVIII) che contiene una bibliografia dei titoli impiegati come fonti.

Questi elementi dimostrano che già prima della fine del XVI sec. in Cina si era manifestato un certo interesse per il passato delle scienze. Tuttavia, a partire da questo periodo, probabilmente grazie all'influenza dei missionari europei giunti in Cina, emersero nuove forme di indagine storica concernenti le discipline scientifiche; come spiegheremo in alcuni capitoli della Sezione, i missionari europei introdussero in Cina le conoscenze scientifiche e tecnologiche allora disponibili in Europa. Per dimostrare all'élite e all'imperatore la superiorità del proprio sapere, essi decisero di tradurre in cinese molti testi occidentali dedicati alla matematica, all'astronomia e agli strumenti scientifici. Dopo aver constatato che le nuove conoscenze riguardavano temi già affrontati dalla letteratura indigena, alcuni studiosi cinesi decisero di confrontare i due insiemi di opere per metterne in luce le caratteristiche; altri, invece, tentarono di operare una sintesi tra i due corpus. Molte delle opere redatte fino al XIX sec. da autori cinesi sono riconducibili a questi due tipi di ricezione. Tuttavia, nel corso del XVII sec., le affermazioni dei missionari sulla superiorità dell'Occidente in campo scientifico trovarono un'eco nell'opinione secondo cui le scienze cinesi, un tempo gloriose, si erano degradate a causa del processo di trasmissione; questa convinzione diede luogo all'intensificarsi della ricerca dei libri antichi, così come a una serie di tentativi tesi a riportare alla luce le tecniche e le scoperte dell'Antichità. Una delle figure chiave di questa evoluzione è quella di Mei Wending.

Dopo aver riscoperto alcune antiche conoscenze matematiche cinesi che presentavano sorprendenti analogie con quelle provenienti dall'Occidente e considerate 'occidentali' dai missionari, Mei giunse alla conclusione che l'origine del sapere occidentale andasse ricercata in Cina ‒ una tesi, come spiega Chu Pingyi, non priva di implicazioni politiche. Tale convinzione si rafforzò nel corso del XVIII sec., grazie alla riscoperta e alla decifrazione di alcuni libri antichi; diffusasi soprattutto a partire dalla fine del XVII sec., questa credenza certamente condizionò lo sviluppo dell'indagine storica sulle scienze. È all'interno di tale contesto intellettuale che furono realizzate la raccolta delle fonti documentarie e le edizioni critiche delle opere scientifiche dell'Antichità su cui ancora oggi si fonda la ricerca storica. Inoltre, la riscoperta dei metodi utilizzati nel passato in diversi campi scientifici e, in particolare, in quello della matematica, portò alla formazione di varie 'tradizioni cinesi' della pratica scientifica. Questa tendenza, già riscontrabile negli scritti di Mei Wending, può contribuire a spiegare perché non più di due secoli fa, per facilitare l'utilizzazione dei simboli matematici in Cina, si decise di 'cinesizzarli' con l'aiuto della documentazione storica. Lo sviluppo dell'indagine storica rimase dunque legato a quello dell'attività scientifica, almeno fino alle soglie del XX sec., periodo in cui s'iniziò a inserire nei programmi di studio le discipline scientifiche insegnate in Occidente. Soltanto nel XX sec., anche a seguito della costituzione, nel 1949, della Repubblica Popolare, la storia della scienza si affermò come disciplina autonoma, distaccandosi dalle scienze di cui studiava l'evoluzione, e condusse alla creazione di numerose istituzioni e gruppi di studio. Tuttavia, l'istituzionalizzazione di questa materia di studio nella Cina continentale finora ha condotto soprattutto all'approfondimento della storia delle scienze esatte dalle quali proviene la gran parte dei ricercatori di quest'area. A Taiwan, invece, nell'ultimo decennio del Novecento la storia della scienza è stata inserita nei dipartimenti di storia o correlata alle scienze umane e sociali.

Riguardo ai missionari giunti in questo paese, è interessante osservare come la ricerca storica occidentale abbia sempre dato per scontato che la trasmissione delle conoscenze dall'Occidente alla Cina, assicurata dai missionari stessi, rappresenti il più importante evento registrato dalla storia della scienza in Cina tra il XVI e il XVII secolo; una tesi basata, come ha chiaramente dimostrato T. Brook in riferimento alla cartografia (cap. XLV), su un preconcetto e certamente funzionale agli interessi dei missionari. In questa sede non analizzeremo nei dettagli l'insieme delle idee sulla scienza in Cina che si diffusero in Occidente, ma passeremo direttamente all'esame di un'altra importante fase del processo di istituzionalizzazione di tale campo d'indagine.

Joseph Needham

La civiltà e le acquisizioni intellettuali della Cina erano tenute in alta considerazione da molti insigni pensatori dell'Illuminismo. A quel tempo, tuttavia, il concetto moderno di 'scienza' non aveva ancora assunto una forma ben definita; l'idea di 'scienza' come attività diretta al conseguimento di uno scopo, di origine esclusivamente occidentale, e suddivisa in una serie di 'scienze' ben distinte tra loro s'impose definitivamente negli ambienti accademici ed economici soltanto nel XIX sec., in un periodo in cui la fortuna e la reputazione internazionali della Cina erano in netto declino. Benché diversi sinologi e missionari avessero dato alle stampe opere dedicate alle scienze cinesi e, in particolare, alla matematica, alla medicina e alla storia della bussola (Edkins 1877; Wylie 1897), nel XIX sec. e all'inizio del XX era decisamente di moda parlare della Cina in termini derisori.

Il merito di aver elevato lo studio delle scienze non occidentali al rango di disciplina accademica spetta soprattutto a un insigne scienziato, Joseph Needham (1900-1995). Esperto di scienze biologiche, a trent'anni era già noto per le sue ricerche nel campo dell'embriologia e della biochimica e nel 1942 entrò a far parte della Royal Society. Needham apparteneva a un affiatato gruppo di scienziati inglesi tra i cui membri figuravano J.D. Bernal, J.B.S. Haldane, L. Hogben e J. Huxley (Judson 1979; Werskey 1988), i quali erano tutti attivi sostenitori del socialismo e pubblicarono analisi storiche o sociali dedicate alla scienza e destinate al grande pubblico. Tra i membri di questo gruppo, Needham si distingueva per la sua profonda fede nel cristianesimo, a cui rimase sempre legato e che contribuì alla definizione di uno dei concetti più radicali elaborati da questo studioso, quello di 'scienza ecumenica' (v. oltre). Needham rimase profondamente colpito dai contributi sovietici al secondo Congresso internazionale di storia della scienza e della tecnologia svoltosi a Londra, nel 1931, e trovò un'ulteriore conferma della necessità di scrivere una storia della scienza critica e 'basata sulle regioni periferiche' che avrebbe confutato le rappresentazioni tradizionali dell'élite (Werskey 1971).

I primi testi dedicati alla storia della scienza redatti da questo autore riguardavano la nascita della scienza moderna nella società europea. Nel 1937 però egli fece un'esperienza rivelatrice: tre ricercatori cinesi fecero il loro ingresso all'interno del laboratorio di biochimica di Cambridge, dove lo studioso lavorava. In questo gruppo si distingueva Lu Gwei-Djen, figlia di un farmacista di Nanchino, che sin dal primo incontro colpì profondamente Needham e in seguito divenne la sua principale collaboratrice. Verso la fine degli anni Trenta, avendo approfondito la sua amicizia con i tre colleghi cinesi, Needham si appassionò a quello che gli sembrava un evidente paradosso; infatti, pur discendendo da una tradizione abitualmente considerata estranea alla scienza, quei giovani davano prova di una grande abilità in ambito scientifico. Nel corso delle loro discussioni con Needham, i tre ricercatori cinesi tentarono di far capire allo scienziato quanto a questo proposito l'immagine della Cina fosse stata distorta, affermando di conoscere a fondo diversi testi cinesi che contenevano idee scientifiche. Needham decise quindi di apprendere il cinese e ben presto si immerse in un riesame dei trattati classici dedicati alla metafisica e all'epistemologia, testi fino ad allora poco studiati da questo punto di vista, nel tentativo di individuare gli indizi dell'esistenza del pensiero scientifico. Egli esaminò attentamente anche opere poco conosciute dedicate all'alchimia, alle piante, alle tecniche di costruzione e all'astronomia, in breve tutti i testi che potevano essere ricondotti alla filosofia della Natura e alle conoscenze tecniche, collazionandoli e ordinandoli, senza, tuttavia, aver ancora definito lo scopo delle sue ricerche.

Poiché a quel tempo ben pochi scienziati potevano vantare una profonda conoscenza della cultura cinese, nel 1942 la Royal Society decise di affidare a Needham il compito di rappresentare la Gran Bretagna all'interno del Bureau for Sino-British scientific liaison. Accompagnato da sua moglie Dorothy, una studiosa di biochimica, lo scienziato si recò quindi in Cina dove trascorse i successivi quattro anni, soggiornando nelle aree del paese rimaste estranee alla guerra. Nel corso di questo periodo, i due scienziati lavorarono a favore della difesa delle relazioni internazionali e, in alcune occasioni, riuscirono a fornire un sostegno materiale all'establishment scientifico del paese, allora isolato e assediato, in modo da facilitare la sua riorganizzazione e il suo reinserimento nella comunità scientifica internazionale dopo la definitiva sconfitta del Giappone. In questa occasione Needham poté entrare in possesso di un gran numero di libri, visitò diverse regioni del paese, tentò di assimilare l'esperienza cinese e discusse le sue idee sulla storia della scienza con diversi scienziati e letterati cinesi, molti dei quali lo incoraggiarono, aiutandolo e mostrandogli la loro gratitudine per la sua fiducia nella loro civiltà. Nel 1944 Needham decise di scrivere una storia della scienza e della tecnologia in Cina per divulgare i risultati delle sue indagini e imporli all'attenzione degli studiosi occidentali.

Negli anni successivi al suo ritorno dalla Cina (1946-1948) Needham lavorò a Parigi, dove con Huxley e Lucien Febvre operò a favore dell'inserimento della lettera S nella sigla Unesco (Blue 1999; Petitjean 1999). Secondo Needham e i suoi colleghi, la scienza era un'attività umana universale ‒ vale a dire era parte integrante della cultura e della storia di tutte le società; questa tesi costituiva una grave sfida per l'idea secondo cui la scienza era un'attività esclusivamente occidentale, spesso impiegata per giustificare il dominio politico ed economico dell'Occidente. Attraverso l'Unesco, Needham e i suoi colleghi tentarono di contrastare il velato razzismo della pratica scientifica contemporanea, organizzando progetti scientifici internazionali che prevedevano la partecipazione, in condizioni paritarie, delle nazioni non occidentali. Essi sfidarono anche la concezione secondo la quale le società non occidentali, pur avendo conseguito splendidi risultati nel campo dell'arte e della filosofia, non avevano prodotto un vero pensiero scientifico. Sotto l'egida dell'Unesco, Needham e Febvre intrapresero inoltre la stesura di un'opera dedicata alla 'Storia scientifica e culturale dell'umanità' con la quale intendevano contribuire all'affermazione di un mondo più giusto e tollerante (Holorenshaw 1973).

Oswald Spengler aveva sostenuto che tutte le grandi civiltà avevano prodotto le proprie forme di pensiero scientifico e artistico; tuttavia, secondo la sua concezione, le tradizioni scientifiche locali non erano tra loro commensurabili ed erano tutte destinate al fallimento con una sola eccezione. Secondo questa tesi, l'Occidente avrebbe prodotto la scienza moderna autonomamente e senza l'apporto di altre culture; Needham tentò appassionatamente di confutare tale affermazione. Egli si proponeva di elaborare una storia della scienza, della tecnologia e della medicina non razzista in cui avrebbero trovato posto tutte le culture del mondo. A suo parere, questa disciplina doveva essere comparativa, sia dal punto di vista geografico sia da quello temporale; interculturale, vale a dire volta a evidenziare le diversità e le analogie, così come i processi di trasmissione tra le diverse società e interdisciplinare. Needham decise di prendere come punto di riferimento la scienza moderna, che sarebbe servita da cornice all'integrazione dei risultati scientifici non occidentali nella storia universale della scienza, precisando, tuttavia, che in questo caso al concetto di scienza moderna bisognava attribuire un significato 'ecumenico'. "L'apporto delle correnti più antiche della scienza delle diverse civiltà alla scienza moderna può essere considerato analogo a quello che i fiumi forniscono all'oceano. La scienza moderna è quindi costituita dai contributi di tutte le popolazioni del mondo antico, che sono confluiti in essa con continuità, dall'antichità greca e romana, dal mondo arabo e dalle culture della Cina e dell'India" (Needham 1967a, p. 397).

Needham era ormai in grado di esporre i dati relativi al contributo cinese alla scienza moderna e, nel 1948, ritornò a Cambridge per dedicarsi al progetto di "rendere infine giustizia e testimoniare partecipazione e comprensione a un grande popolo i cui contributi al progresso dell'umanità sono stati grottescamente sottovalutati" (Holorenshaw 1973, p. 17). Nel corso degli anni seguenti egli collaborò con numerosi studiosi dell'Asia orientale e dell'Occidente esperti in un'ampia gamma di discipline, giungendo alla realizzazione di un vasto corpus di opere dedicate alla storia e alle caratteristiche della scienza, della tecnologia e della medicina in Cina e nell'Asia orientale (Blue 1997). Sia Needham sia i suoi collaboratori più assidui e influenti, come, per esempio, Wang Ling, Lu Gwei-Djen e Ho Peng-Yoke (Ho Ping-Yü), provenivano dal campo della ricerca scientifica. Non è un caso che l'opera più importante prodotta nel corso di questa collaborazione, Scienza e civiltà in Cina, sia basata sull'ordine gerarchico intellettuale abitualmente adottato in Occidente. Quest'opera, infatti, si apre con l'esame della filosofia e procede con la trattazione della matematica e della 'matematica applicata' (per es., l'astronomia), della fisica, della chimica e della biologia. L'architettura e l'ingegneria sono ricondotte alla fisica applicata; l'alchimia e l'invenzione della polvere da sparo alla chimica applicata e la botanica, l'agricoltura e la medicina alla biologia applicata. Questo impianto è stato spesso criticato: esso, infatti, ripropone, come già detto, le categorie e i valori occidentali finendo per alterare i modelli caratteristici del pensiero cinese. Needham era consapevole di questi problemi; egli, tuttavia, riteneva di conferire un maggiore risalto alle acquisizioni scientifiche della Cina presentandole al pubblico occidentale non come curiosità esotiche strettamente legate a questa cultura, ma come chiare anticipazioni delle moderne categorie scientifiche ecumeniche. A suo parere, però, le peculiarità di questi sforzi intellettuali potevano essere comprese soltanto attraverso l'analisi del loro contesto storico e sociale (vale a dire considerando la scienza in Cina parte integrante della civiltà cinese).

Concepita in origine in forma di un solo volume, quest'opera ben presto si ampliò e la pubblicazione del primo volume nel 1954 fu seguita da quella di molti altri. Per riprendere un'ironica osservazione di Needham era "relativamente facile realizzare una serie di imponenti volumi dedicati alle scoperte scientifiche e tecnologiche che non sono generalmente attribuite ai Cinesi" (Needham 1967a). Tra le più sorprendenti 'priorità' documentate da Needham ricordiamo l'uso della stampa, della bussola magnetica e della polvere da sparo, le tre invenzioni che, secondo Francis Bacon, avrebbero cambiato il mondo; anche la sua descrizione degli antichi orologi cinesi e delle sintesi delle sostanze medicinali colpì profondamente il pubblico dei lettori (Needham 1960, 1964 e SCC 1962, 1976, 1986).

Needham tendeva a presentare l'esistenza nell'antica Cina di un manufatto o di un'idea come la prova che queste invenzioni erano state realizzate in quel paese per poi diffondersi nel resto del mondo, ma non sempre riuscì a dimostrare l'effettiva diffusione di tali presunte scoperte cinesi, né a provare che le idee e le tecniche emerse per la prima volta in Cina erano poi state adottate in altre regioni del globo. La sua preoccupazione, a volte ossessiva, di documentare la priorità delle scoperte o delle invenzioni cinesi o dell'Asia orientale è stata criticata da molti storici; in effetti, se non si tiene conto delle categorie occidentali della scienza, molte delle sorprendenti 'priorità' indicate da Needham vengono meno o almeno si riducono a scoperte meno sensazionali, come ha dimostrato Fu Daiwie in riferimento al caso della declinazione magnetica (cap. XI). Inoltre, come ha precisato Lynn White jr., Needham rimase legato alla concezione del rapporto tra scienza e tecnologia dominante nel XIX sec.; infatti, pensava che la tecnologia fosse in ultima analisi un'applicazione del pensiero scientifico. A corollario di questa posizione, egli, per esempio, sostenne che i risultati ottenuti dai Cinesi medievali nel campo della tecnica presupponevano l'esistenza del pensiero scientifico (White 1984). Needham è stato criticato anche per la sua tendenza, decisamente irrealistica, a proiettare le interpretazioni scientifiche moderne nel pensiero cinese premoderno (Petersen 1982). Un grave limite del modello dei 'fiumi' che sfociano nel 'mare della scienza ecumenica' è quello di non tener conto delle forme del sapere che non si presentano come anticipazioni dirette delle idee scientifiche moderne, ma non per questo sono meno interessanti e significative dal punto di vista epistemologico (Chemla 1999). Inoltre, pur avendo in ogni possibile occasione tentato di documentare i processi di trasmissione del sapere tra le diverse civiltà, lo scienziato dovette riconoscere con rammarico di aver sottovalutato, a causa della sua trionfale insistenza sui contributi della Cina, i risultati conseguiti da altre civiltà (Holorenshaw 1973).

Secondo Needham la scienza moderna era 'emersa' in Europa verso il 1600 e, dal momento che in questo stesso periodo i gesuiti avevano introdotto le scienze europee nella corte Ming, egli decise di far coincidere questa data con la conclusione dell'opera Scienza e civiltà in Cina. Nel corso di tutta la sua vita egli si sforzò di risolvere una questione enigmatica, tentando di individuare le ragioni per cui, nonostante il livello raggiunto dall'indagine scientifica e dalle realizzazioni tecniche nel periodo Song, in Cina non si giunse mai all'elaborazione della scienza moderna. Per quanto possa sembrare strano, la 'questione di Needham' ha esercitato sulla storia comparativa della scienza un'influenza più profonda di quella attribuibile al suo messaggio originario relativo all'importanza dello studio della scienza come sistema globale. Per giustificare quello che definiva il declino subito dalla scienza e dalla tecnologia cinesi dopo il 1300, egli si basò su una serie di spiegazioni di tipo 'esternista', incentrate sulla burocrazia dei regimi e sul conservatorismo intellettuale del confucianesimo. Secondo i risultati di una recente indagine di T. Huff (1993), che confermano diversi studi comparativi, l'epistemologia cinese, come del resto quella araba e tutte quelle non occidentali, sono sostanzialmente incompatibili con la scienza moderna.

L'opera di Needham può essere criticata da molti punti di vista; tuttavia, nonostante queste osservazioni, grazie al suo livello di erudizione, alla vastità della sua prospettiva e ai suoi risultati, essa è stata a ragione paragonata all'Encyclopédie, all'opera di Erasmo e persino a quella di Aristotele. Needham ha offerto per la prima volta una serie d'interpretazioni approfondite dei testi cinesi 'tradizionali', volte a esplorare tanto il loro contenuto quanto il loro significato scientifico e tecnico. Le sue comparazioni tra la tradizione intellettuale occidentale e quella cinese, così come quelle tra i contesti sociali e politici in cui si sono formate, hanno colpito profondamente l'immaginazione della parte più colta del pubblico dei lettori, soprattutto quando venivano presentate durante le sue vivaci conferenze, molte delle quali entrate a far parte di una serie di raccolte (Needham 1969). Questi testi, considerati 'più leggeri' ma non per questo meno importanti, sono stati tradotti in varie lingue occidentali e asiatiche. Molti volumi dell'opera Scienza e civiltà in Cina sono stati tradotti in cinese (in due versioni, una eseguita nella Repubblica Popolare e l'altra realizzata a Taiwan) e in giapponese, e sono attualmente disponibili anche in versione ridotta. L'opera di Needham è servita anche da base a una descrizione popolare della storia cinese, incentrata non sui 'valori eterni' ma sulla 'scienza, le scoperte e le invenzioni', che ha riscosso un grande successo (Temple 1986).

Sfidando con successo l'immagine dell'Occidente come unico depositario della vera creatività scientifica, Scienza e civiltà in Cina ha aperto la strada allo studio delle tradizioni regionali e delle 'scienze indigene' in tutte le regioni del mondo (Said 1990; Harding 1993). Il ruolo di primo piano svolto da Needham nella definizione dell'area d'indagine della storia della scienza in Cina ha incoraggiato lo sviluppo di numerose istituzioni di ricerca e professionali, non soltanto in Occidente, ma anche in Cina, dove la sua opera è stata accolta molto favorevolmente; in generale, essa ha esercitato una profonda influenza, sebbene molti storici della scienza cinesi, che avevano ricevuto quasi tutti una formazione scientifica, abbiano condiviso fino a qualche tempo fa i pregiudizi interpretativi per i quali Needham è stato criticato. La grande influenza esercitata dalla sua opera è attestata dalle numerose raccolte di scritti di diversi autori pubblicate in suo onore (Li Guohao 1982). L'importanza del contributo di Needham alla ridefinizione dell'area d'indagine della storia della scienza è stata presa in esame in diverse pubblicazioni, tra cui quella di Teich e Young (1973) e i numeri speciali di Past and present (1982) e Isis (1984) dedicati a Scienza e civiltà in Cina. Per quanto riguarda il grande pubblico, l'opera di Needham ha contribuito all'introduzione di significative modifiche nell'insegnamento della storia della scienza e della tecnologia nelle scuole e nelle università di tutto il mondo, così come nell'immagine della Cina proposta dai media.

Gli studi giapponesi sulla scienza in Cina

In Giappone i primi studi dedicati alla storia della scienza in Cina risalgono alla fine del XIX secolo. Fino agli anni Settanta queste indagini sono state caratterizzate dalla profonda influenza di alcune eminenti personalità scientifiche interessate a una gamma piuttosto ristretta di discipline. Il ruolo di primo piano svolto sin dall'inizio dall'Università di Kyoto si è consolidato con la fondazione dell'Istituto di ricerca delle discipline classiche, all'interno del quale, almeno fino al 1970, hanno lavorato, per un certo periodo della loro carriera, quasi tutti gli storici della scienza e della tecnologia cinesi. In seguito quest'area di indagine ha conosciuto uno sviluppo più ampio, estendendosi ad altre università e a diversi centri di ricerca.

In un primo momento gli specialisti giapponesi furono attratti soprattutto dalla matematica, dalla medicina e dall'astronomia cinesi. Questa circostanza non può essere considerata fortuita; dopo le riforme Meiji che, a partire dalla fine del XIX sec., finirono per determinare in queste tre aree d'indagine l'adozione della scienza e della tecnologia occidentali e l'abbandono di quelle giapponesi, diversi studiosi sentirono l'esigenza di riscoprire queste arti tradizionali già pressoché estinte. In tale prospettiva alcuni ritennero di dover prendere in esame le conquiste cinesi che avrebbero consentito di valutare con più precisione i risultati ottenuti sulla loro base dagli studiosi giapponesi.

Attraverso lo studio della storia della matematica in Cina, per esempio, Mikami Yoshio (1875-1950) si propose di approfondire la conoscenza delle peculiarità della tradizione giapponese wasan che si era sviluppata nel corso del periodo Edo. Dopo aver esaminato attentamente i testi, questo studioso pubblicò, nel 1913, Lo sviluppo della matematica in Cina e Giappone, per poi mettere in luce la necessità di prendere in considerazione il contesto sociale attraverso lo studio della 'storia culturale'.

Le stesse osservazioni possono essere applicate alla medicina. Fujikawa Yū (1865-1940), un medico di formazione occidentale che, dopo aver studiato in Germania, aveva redatto una Storia della medicina giapponese (1904), nel 1934 diede alle stampe un'opera dedicata al Pensiero cinese: la scienza (la medicina). Nel 1932, Liao Wenren, un cinese di Taiwan, pubblicò una Storia della medicina nella Cina medievale, la prima opera in lingua giapponese dedicata a questo tema. Circa nello stesso periodo in Giappone furono dati alle stampe anche alcuni studi sulla farmacopea e la materia medica cinesi.

Nel campo dell'astronomia, lo studio della storia cinese servì soprattutto a ordinare la cronologia antica. Shinjō Shinzō (1873-1938) fu 'il pioniere dell'astronomia moderna giapponese' e, allo stesso tempo, 'l'iniziatore degli studi storici sull'astronomia cinese'. Le sue principali indagini condussero, da un lato, all'individuazione delle date del Commentario di Zuo alle 'Primavere e autunni' (Zuozhuan) e, dall'altro, al riordinamento della cronologia antica fino al 104 a.C. Ma il suo principale merito fu quello di aver confutato la tesi secondo cui l'astronomia cinese era di origine straniera, e di aver dimostrato che fino alla dinastia Han "l'astronomia cinese […] ha subito un'evoluzione autonoma" (Kawahara 1996, p. 128). La sua opera è stata proseguita da Nōda Chūryō (1901-1989); entrambi gli studiosi si fondavano su una metodologia che "combinava tra loro la filologia classica e la conoscenza della scienza moderna" (ibidem, p. 129). La situazione favorevole allo studio della fisica e della sinologia venutasi a creare nell'Università di Kyoto diede un grande contributo alla definizione di questo approccio, che si consolidò grazie anche all'opposizione di coloro che sostenevano la tesi secondo cui l'astronomia cinese aveva un'origine occidentale, tra cui Léopold de Saussure. Oltre a questi tre orientamenti di ricerca, segnaliamo alcune opere pionieristiche sulla cartografia, l'acustica e l'architettura cinesi.

Questa fase fu seguita, come si evince dalla concezione di Yabuuti Kiyoshi (1906-2000) in merito alla nuova identità della storia della scienza, da un 'periodo di professionalizzazione'. La carriera di questo studioso, laureatosi in astronomia presso l'Università di Kyoto nel 1929, si svolse interamente all'interno dell'Istituto di Cultura orientale di questa città, che in seguito assunse il nome di Istituto per la ricerca nelle discipline classiche. Nel suo campo d'indagine, quello della storia dell'astronomia, egli ampliò la prospettiva di ricerca prendendo in considerazione il contesto politico, sociale e culturale della compilazione dei calendari. All'Università di Kyoto, Yabuuti lavorò nello stesso ambiente scientifico in cui avevano operato i suoi predecessori, caratterizzato dalla presenza, da un lato, del dipartimento di astronomia e, dall'altro, di quello degli studi sinologici. Oltre a intraprendere una serie d'indagini dedicate all'astronomia e alla matematica, egli definì il primo approccio storico alla scienza in Cina in generale ‒ e non a uno specifico campo d'indagine ‒ elaborato in Giappone; in questo senso Yabuuti potrebbe essere stato influenzato dall'opera di Needham di cui curò l'edizione giapponese. Le sue principali pubblicazioni sono dedicate non soltanto alla storia dell'astronomia e della matematica in Cina, ma anche alla civiltà cinese o alle relazioni tra la scienza in Cina e il Giappone (Yabuuti 1974). Dopo queste pubblicazioni, il più importante strumento di diffusione del suo metodo e di promozione della ricerca va individuato nei seminari organizzati presso l'Istituto di ricerca delle discipline umanistiche dell'Università di Kyoto, nel corso dei quali specialisti di diversi campi d'indagine hanno analizzato le fonti cinesi relative alla storia della scienza e della tecnologia. Uno dei risultati tangibili di questa attività è costituito dalla pubblicazione di alcune raccolte di saggi di autori diversi dedicati a vari aspetti della storia della scienza in Cina (nel 1963, 1967, 1970); sfortunatamente per i lettori non giapponesi, queste opere non sono disponibili nelle lingue occidentali, a eccezione della Matematica cinese (1974) di Yabuuti, recentemente tradotta in francese (per gli studi giapponesi sopra citati, v. Kawahara 1996).

Ricordiamo inoltre molti insigni contemporanei di Yabuuti Kiyoshi, i quali hanno conseguito importanti risultati in diversi campi d'indagine e, in differenti periodi della loro carriera, hanno lavorato presso l'Istituto di ricerca delle discipline umanistiche di Kyoto. Un gran numero di questi storici ha avuto l'opportunità di soggiornare per diversi anni in Cina in qualità di funzionario civile dell'amministrazione giapponese.

Come tutti gli storici della scienza giapponesi, questi studiosi erano specialisti di una disciplina scientifica e conoscevano a fondo la lingua e la civiltà cinesi. Okanishi Tameto (1898-1973), per esempio, trascorse ben 34 anni in Cina, dedicandosi allo studio della medicina cinese e conseguendo, nel 1934, un dottorato. A partire dal 1930 egli aveva lavorato presso il Dipartimento di medicina cinese dell'Università medica della Manciuria, dove, grazie alla sua carica di bibliotecario, aveva potuto studiare a fondo la letteratura medica e farmacologica antica specializzandosi, infine, nello studio dell'antica farmacologia cinese. Nel 1934, dopo aver fatto ritorno in Giappone, egli pubblicò non solo numerosi saggi, ma anche uno Studio sui testi medici anteriori alla dinastia Song (Songyiqian yi ji kao, 1958), una Nuova versione della 'Nuova revisione della farmacopea' (Chongji Xinxiu bencao, 1964), entrambi in cinese, e diede alle stampe anche due testi in giapponese dedicati alle opere mediche cinesi, di cui uno nel 1974 e l'altro nel 1977, tutte opere di riferimento di inestimabile importanza per gli studiosi della storia cinese della materia medica.

Per quanto riguarda la storia della medicina cinese, bisogna inoltre segnalare l'opera di ōtsuka Keisetsu Una storia della medicina orientale (Tōyō igaku shi, 1941) in cui l'evoluzione di questa disciplina è presa in esame dal punto di vista dei praticanti della medicina tradizionale cinese. Shinoda Osamu (1899-1978) ha ideato e sviluppato originali ricerche sulla storia dell'alimentazione in Cina. Yamada Kentarō nel 1942 ha dedicato invece uno studio a un tema intermedio tra l'alimentazione e la medicina, quello delle spezie. Amano Gennosuke (o Motonosuke, 1901-1980), uno studioso di economia agricola, ha redatto il prezioso testo intitolato Ricerche sulla storia dell'agricoltura cinese (Chūgoku nogyōshi Kenkyū, 1962) così come una serie di approfondite analisi dell'antica letteratura agronomica cinese: il suo approccio storico è incentrato soprattutto sui raccolti e le tecniche di produzione.

Dopo il ritiro del professor Yabuuti nel 1970, la sua opera è stata proseguita soprattutto da due dei suoi collaboratori, Yoshida Mitsukuni e Yamada Keiji. Yoshida Mitsukuni (1921-1991), un astronomo, ha introdotto un'importante innovazione sviluppando la storia della tecnologia cinese indipendentemente da quella della scienza in Cina, e ha affrontato soprattutto i temi della tecnologia dei metalli, della ceramica e dell'alchimia. Per valutare e comprendere il significato tecnico dei testi antichi, egli riteneva fosse necessario associare l'osservazione diretta degli artigiani cinesi contemporanei a un approccio filologico ai testi tecnici antichi. Dopo la Seconda guerra mondiale, non potendo recarsi in Cina, egli si rivolse "alla tradizione artigianale giapponese e alle manifatture dell'Asia occidentale che dal punto di vista storico possono essere considerate vicine alla tecnologia produttiva cinese" (Kawahara 1996, p. 144).

Yamada Keiji (n. 1932) è il primo studioso giapponese a essersi formato come storico della scienza. Considerando il lavoro già svolto sui diversi temi della tradizione scientifica cinese, egli ha ritenuto di doversi dedicare alla storia delle idee scientifiche e alla storia sociale della scienza in Cina. Inoltre, ha condotto alcune ricerche sulla storia della medicina cinese, segnalandosi in questo campo soprattutto per l'indicazione di nuovi approcci allo studio delle origini di questa disciplina. Oltre alle sue pubblicazioni, tra cui ricordiamo la Filosofia della Natura di Zhuxi, nel 1978, e alcune opere dedicate alla medicina e al suo contesto sociale, Yamada ha pubblicato diversi volumi di saggi collettivi redatti dai membri dell'Istituto di ricerca delle discipline scientifiche nel 1978, nel 1985, nel 1989 e nel 1991, proseguendo la tradizione inaugurata da Yabuuti Kiyoshi.

I primi tre volumi di saggi collettivi pubblicati da Yabuuti, nel 1963, 1967 e nel 1970, sono considerati un'opera pionieristica in questo campo d'indagine; essi, infatti, si basano su un approccio radicalmente diverso rispetto a quello adottato nello stesso periodo da Needham. In primo luogo, tali saggi sono incentrati sull'esame di periodi ben definiti; in secondo luogo, essi si concentrano soprattutto sull'analisi delle fonti cinesi relative a ciascun periodo. Nei successivi saggi collettivi di Yabuuti sono presi in esame diversi aspetti fino ad allora poco studiati come, per esempio, le biografie degli scienziati oppure l'impatto delle diverse correnti filosofiche e i problemi sollevati dal rinvenimento di nuove testimonianze nel corso degli scavi archeologici; ricordiamo inoltre alcuni saggi specialistici dedicati specificamente alla storia delle tecniche.

Avendo ben presenti queste tre prospettive delle diverse tradizioni interpretative della storia della scienza in Cina, passeremo all'analisi della composizione di questa Sezione, in cui ci siamo proposti di illustrare in termini concreti l'attuale sviluppo internazionale degli studi dedicati a questo campo d'indagine.

Presentazione della Sezione

di Karine Chemla

In via prioritaria sembra lecito porsi la domanda sul significato che può essere attribuito al termine 'scienza' nel contesto dell'antica Cina. Esso contiene numerose insidie in riferimento sia all'Età premoderna e moderna, sia al presente. Tutti gli storici della scienza in Cina ‒ come, del resto, quelli che studiano le scienze delle altre regioni 'non occidentali' (Rashed 1978; Pingree 1992) ‒ hanno dovuto confrontarsi con affermazioni del tipo 'in Cina la scienza non esisteva' o 'la scienza è stata inventata nell'antica Grecia', naturalmente contraddette da asserzioni opposte come, per esempio, quelle secondo cui nell'antica Cina o nell'antica India in realtà 'è riscontrabile l'esistenza del pensiero scientifico'. A nostro parere, abbandonando il tentativo di operare una scelta tra queste opposte tesi, bisognerebbe approfondire il loro esame, dal momento che esse possono condurci ad affrontare il nucleo centrale del problema.

Queste affermazioni presuppongono che il termine 'scienza' indichi qualcosa di unico e dotato di una natura specifica, che ci consentirebbe di stabilire chi ne sia effettivamente in possesso. In sostanza, la questione non riguarda tanto la conoscenza quanto il 'metodo', l'immagine del 'giusto modo di acquisire o autenticare la conoscenza', affermatasi a partire dal XIX sec. ed eretta da alcuni a principio universale. Allo stesso tempo, dato che in questa concezione la 'scienza' (e di conseguenza 'il' metodo scientifico) ha avuto origine in Grecia, diviene necessario sottolineare la prevalenza del metodo nel pensiero greco ed enfatizzare la sua continuità metodologica con le tradizioni di pensiero successive. Questo approccio conduce a serie distorsioni della gamma delle attività scientifiche effettivamente praticate nella Grecia antica e nel mondo contemporaneo. Possiamo tentare di risalire ai fondamenti di tale presunta continuità tra l'antica Grecia e il nostro mondo celebrata in queste affermazioni. Attraverso quali operazioni si è giunti alla sua identificazione? Pingree ne denuncia alcune in cui ha colto i sintomi dell''ellenofilia', un disturbo "sempre più diffuso nel campo della storia della scienza" (1992, p. 555), la cui causa più frequente è costituita dalla tendenza ad "affidare ad Aristotele il compito di definire la scienza per noi" (p. 559). Pingree si interroga anche sulla validità degli approcci basati sul presupposto secondo il quale possono essere valutate alla stregua di scienze soltanto le discipline considerate scientifiche dai più autorevoli autori greci. Qui è interessante ricordare che, come ha più volte sottolineato Geoffrey Lloyd, le descrizioni offerte da Aristotele del corretto metodo di acquisizione della conoscenza e, in particolare, la spiegazione della 'dimostrazione' contenuta negli Analitici secondi, rinviano a un contesto polemico in cui diversi gruppi in competizione tra loro tentavano di dimostrare di essere i soli detentori del 'vero metodo'. Lloyd (1990) sottolinea la pluralità delle idee di dimostrazione rilevabili in Aristotele ed evidenzia il fatto che la sua teorizzazione di ciò che costituisce una dimostrazione valida non corrisponde sempre ai criteri da lui seguiti nella pratica. Scegliere una descrizione di Aristotele come rappresentativa 'del' metodo aristotelico o addirittura 'del' metodo greco, come spesso si fa, origina dei problemi, ma ha il vantaggio di presentare forti analogie con la rappresentazione del metodo scientifico moderno, emersa nel XIX secolo. Le operazioni che hanno consentito di individuare una linea di continuità tra la Grecia e il nostro mondo si basano, quindi, sul ricorso a criteri anacronistici e selettivi, così come sulla pretesa di isolare determinati elementi dal loro contesto.

Anche l'identificazione di una linea di continuità che collegherebbe il corpus ippocratico o l'esercizio della pratica astronomica di Tolomeo ad alcune concezioni della scienza di origine più recente (Lloyd 1987) si basa su questo genere di operazioni. In entrambi i casi è stato necessario trascurare gli aspetti di questi insiemi di opere che non rispondono alle aspettative di coloro che hanno condotto l'indagine e ignorare l'effettiva varietà delle pratiche di trattamento del corpo umano o di osservazione delle stelle che coesistevano nell'antica Grecia. In effetti, le operazioni di frammentazione dei testi, di selezione dei brani e di decontestualizzazione, hanno una lunga storia e non sono una caratteristica esclusiva degli ambienti degli storici accademici. Come ha sottolineato Fu Daiwie (1999), queste tecniche sono state impiegate anche da coloro che hanno tentato di individuare l'esistenza della 'scienza', nel senso che abbiamo attribuito a questo termine, in altri insiemi di opere, per esempio, in quelli cinesi.

Queste operazioni introducono anche discontinuità tra i testi, le pratiche e le idee che, un tempo, si consideravano appartenenti allo stesso mondo di pensiero. Contrapponendo gli elementi in cui è riconoscibile l'idea contemporanea di scienza a quelli che non rispondono a quest'aspettativa, tale pratica storica finisce per ridurre in frammenti questo mondo. La raccolta delle opere di Tolomeo, per esempio, è stata divisa in due parti: l'Almagesto rientra nella sezione accettata e la Tetrabiblos in quella rifiutata. In effetti, la definizione di queste discontinuità costituisce il rovescio della medaglia del metodo sopra descritto; queste discontinuità immaginarie operano anche tra le differenti società, opponendo l'antica Grecia a ogni altra società contemporanea, compresa la Cina, o separandola da quelle che l'hanno preceduta, sottovalutando per esempio il debito dell'astronomia greca con quella babilonese, negando a quest'ultima lo status di scienza, come deplora Pingree (1992). Questo approccio esalta l'unicità del pensiero greco, a costo di sacrificare qualsiasi possibilità di comprenderlo nel suo contesto storico.

Tale concetto eccessivamente restrittivo di 'scienza' finisce inoltre per distorcere la nostra percezione della stessa attività scientifica contemporanea, dal momento che in effetti i metodi concretamente impiegati dagli attuali scienziati, attivi nelle moderne istituzioni scientifiche, sono molteplici. Probabilmente il 'metodo scientifico' si presenta come ben definito e unico solo nelle sue rappresentazioni normative e teoretiche, che non possono farci dimenticare l'esistenza di un divario tra la norma e la pratica. Sarà sufficiente un esempio per dare la dimensione del problema: la pratica della dimostrazione nel campo della matematica, vale a dire il nucleo centrale del 'metodo' applicato nella sua sede ideale. Secondo un principio molto diffuso, la matematica contemporanea sarebbe essenzialmente assiomatica e deduttiva, e quindi il metodo di dimostrazione su cui si basa questa disciplina si identificherebbe con quello raccomandato da Aristotele e applicato da Euclide: siamo in presenza di una delle più celebri e menzionate 'linee di continuità immaginarie'. Ma se si interroga un qualsiasi studioso di questa disciplina, non essendo un esperto di logica, il matematico o la matematica in questione certamente non sarà in grado di elencare gli assiomi con i quali opera. In altre parole, vi è una profonda frattura tra la pratica contemporanea della dimostrazione e la 'rappresentazione immaginaria', il cui principale scopo sembra essere quello di situare nell'antica Grecia le origini della dimostrazione matematica e di evidenziare una linea di continuità tra quel mondo e il nostro.

La tesi secondo cui l'alfa e l'omega della dimostrazione matematica del passato e del presente sono contenute in una sola descrizione di Aristotele ha prodotto due gravi conseguenze. La prima è che essa ha notevolmente impoverito la descrizione teorica delle pratiche della dimostrazione effettivamente adottate nel campo della matematica; la seconda, particolarmente importante per noi in questa sede, è che tale tesi ha impedito alla storia della matematica di prendere in esame i testi antichi cinesi o indiani in cui è riscontrabile l'impiego di procedimenti di dimostrazione. Dal momento che questi procedimenti non erano stati ideati in una cornice 'assiomatica e deduttiva' o, in altri termini, dal momento che non erano conformi ai requisiti di Aristotele, presumibilmente essi non potevano essere considerati autentiche dimostrazioni scientifiche.

Abbiamo voluto fornire solo un esempio del modo in cui queste definizioni totalizzanti hanno contribuito a dar vita a una grande narrazione sulle origini e sulla continuità della scienza occidentale, responsabile di un impoverimento della nostra comprensione della scienza. A questo punto, non è più possibile eludere la domanda: chi deve indicare le caratteristiche del metodo destinato alla produzione della conoscenza, gli specialisti dei discorsi sul metodo, o coloro che si dedicano alla pratica scientifica? Il caso della dimostrazione matematica, cui abbiamo appena accennato, ci dice che non è né possibile né consigliabile escludere questi ultimi. Questo è anche l'approccio che abbiamo seguito per l'antica Cina: lasciare che i protagonisti della ricerca indaghino nei loro rispettivi campi e osservare i procedimenti da essi utilizzati e i risultati conseguiti. Questa osservazione ci riporta al problema da cui siamo partiti, ossia quale significato attribuire al termine 'scienza' nel contesto dell'antica Cina.

La precedente analisi mette in luce ciò che è in gioco nell'ampliamento della nostra prospettiva. Se avessimo scelto una definizione più rigida e precisa del termine 'scienza', o delle caratteristiche che devono contraddistinguere l'attività scientifica, avremmo corso il rischio di erigere a linea di demarcazione una concezione normativa predeterminata e arbitraria e di cadere in anacronismi simili a quelli sopra descritti. Un approccio del genere non può che risolversi in una esaltazione degli stessi nostri valori, mentre lo storico della scienza deve porsi il compito di valorizzare esperienze condotte dai protagonisti della storia oggetto delle sue indagini. In conclusione, tutto sembra indicare che solo una definizione sfumata può consentirci di conseguire lo scopo che assegniamo alla storia della scienza, quello di comprendere come, dove, quando e perché alcune concrete comunità appartenenti a certe società umane giunsero alla creazione di scenari sociali e istituzionali e all'elaborazione di pratiche di indagine che favorirono la produzione di diversi corpus del sapere, parte dei quali oggi è articolata in modi e forme nuovi nella comune eredità scientifica contemporanea. In altri termini proponiamo, sull'esempio di Wittgenstein, di impiegare il termine 'scienza' in riferimento a ogni indagine prolungata e in qualche modo sistematica che presenti 'somiglianze familiari' con le attività scientifiche contemporanee. Di conseguenza, non impiegheremo il termine per indicare un certo metodo di acquisizione della conoscenza contrapponendolo ad altri metodi. Solo questo genere di approccio può rendere giustizia alle categorie in base alle quali coloro che osserviamo concepirono le loro indagini, riflettere adeguatamente la diversità delle pratiche e delle elaborazioni degli studiosi e consentirci, al contempo, di comprendere come la conoscenza era, ed è, prodotta nel suo effettivo contesto.

Oltre ad affrontare i diversi sistemi di conoscenza del passato nei loro scenari locali, tenteremo di comprendere i processi attraverso i quali alcuni frammenti di conoscenza così prodotti circolarono nel tempo e nello spazio, furono integrati in altri sistemi di pensiero e, in alcuni casi, entrarono a far parte del sapere oggi a disposizione degli scienziati moderni. La conoscenza scientifica moderna, considerata nel suo insieme e con la piena consapevolezza della sua ipotetica e limitata validità, non è il nostro esclusivo centro di interesse, ma permane nel nostro orizzonte come utile strumento attraverso il quale regolare la nostra pratica di storici e orientare la scelta dei temi presi in esame.

Attualmente, gli scienziati analizzano sia gli oggetti o i fenomeni naturali sia i prodotti culturali ‒ una categoria in cui rientrano gli oggetti matematici, il linguaggio e le produzioni umane del passato. In questa Sezione, quindi, valuteremo i tipi di conoscenza relativi a questi prodotti nell'antica Cina. Il lettore scoprirà i criteri a quel tempo utilizzati per studiare le piante e gli animali, la matematica e il corpo umano, il cielo, la Terra, i materiali e l'Universo, così come il linguaggio, la filologia e la storia; in questa prospettiva potrà quindi seguire il percorso tortuoso dello sviluppo storico delle branche del sapere relative a questi temi.

Diversi approcci alla storia della scienza in Cina

Per affrontare in modo corretto questi argomenti, occorre tener presente che attualmente nella storia della scienza in Cina coesiste una molteplicità di approcci.

Vi sono ancora settori di ricerca, strettamente legati al nome di Needham, che si interessano delle questioni relative alle priorità della scienza in Cina. Tuttavia, questa tendenza oggi non è sempre rappresentata in maniera uniforme nei circoli accademici, ma è certamente privilegiata in alcuni ambienti intellettuali circoscritti. A questo proposito è opportuno fare alcune osservazioni.

In primo luogo, questa pratica della storia della scienza assume come punto di partenza la 'scienza moderna' distinguendosi, tuttavia, nettamente da quella analizzata in precedenza. Invece di proiettare nel passato la concezione globale di scienza, essa si limita a suggerire il riconoscimento degli antecedenti di una serie di concetti e risultati moderni nelle fonti cinesi e, in alcune occasioni, ad avanzare l'ipotesi che questi concetti o risultati possano, in ultima analisi, derivare dalla scienza in Cina. Stabilire in quale misura l'argomento in questione differisca dal punto di vista concettuale dai suoi equivalenti moderni, può attenuare il rischio di anacronismo connaturato con tale approccio. Il tentativo di definire tale questione consente di mettere in luce le trasformazioni e le elaborazioni subite da questo frammento di conoscenza nel corso del tempo, così come i diversi ambienti e i sistemi di pensiero che ha attraversato. Inoltre, il raffronto tra gli oggetti del passato e quelli del presente, o tra le differenti versioni antiche dello stesso oggetto moderno, può consentire di mettere in luce i diversi modi in cui, nel passato, un dato oggetto o fatto è stato interpretato dal punto di vista concettuale. A nostro parere, quest'ultimo tipo di esame della storia della scienza in Cina darà un inestimabile contributo alla riflessione concettuale e filosofica sulla scienza. In secondo luogo, l'intento di identificare concetti o risultati moderni nelle fonti antiche è stato spesso ricondotto a una forma di perversione della storia della scienza nel cui campo d'indagine si svolgerebbe una 'gara' tra le diverse civiltà, basata sul raffronto dei loro risultati scientifici e sulla rapidità con cui sono stati ottenuti. Tuttavia, è importante ricordare che questa pratica della storia della scienza ha svolto un ruolo decisivo nel contrastare un'altra perversione emersa in questo campo: un eccesso di intellettualismo che ha portato a descrivere la 'scienza cinese' invece della 'scienza in Cina'. Mettere in luce il fatto che alcune scoperte della Cina antica anticipavano risultati che avremmo ritrovato nelle conoscenze scientifiche moderne fu certamente ‒ soprattutto da parte di Joseph Needham ‒ un modo di sottolineare la capacità di tali scoperte di trasmettersi ad altre culture e di dimostrare la loro potenziale universalità (Chemla 1999).

Benché, alla luce di queste osservazioni, non si possa fare a meno di riconoscere una grande importanza ai tentativi volti a determinare il contributo dato dalla Cina alla scienza moderna e, quindi, a sottolineare il carattere internazionale della conoscenza scientifica contemporanea, bisogna evitare di ridurre la storia della scienza in Cina a questo tipo di approccio, dal momento che esso non consente di esplorare a fondo lo sviluppo della scienza come fenomeno culturale, politico e sociale. In questo senso, la storia della scienza in Cina offre molti spunti di riflessione, come dimostrano alcuni studi che hanno acquistato un grande rilievo negli ultimi anni ‒ anche se non in modo uniforme in tutte le regioni del pianeta ‒ e che possono essere collettivamente ricondotti all'area dell'antropologia storica.

Al contrario degli orientamenti già presi in esame, questi approcci non assumono come punto di riferimento la scienza moderna, ma sono volti alla comprensione della produzione della conoscenza nei diversi contesti locali. Essi si propongono di descrivere i diversi scenari sociali in cui le indagini erano condotte, rivolgendo una particolare attenzione alla formazione delle discipline, delle professioni, dei gruppi e delle istituzioni, e di evidenziare i diversi tipi di soggetti coinvolti nella ricerca della conoscenza, distinguendo, per esempio, i funzionari dello Stato nell'esercizio delle loro funzioni dai sacerdoti che operavano nel quadro di una comunità religiosa. Questi approcci quindi attribuiscono una grande importanza alla distanza che separava i soggetti presi in esame dalle classi dominanti, all'individuazione dei loro scopi, alla ricostruzione delle loro rappresentazioni dell'attività scientifica e dei suoi prodotti e tendono a mettere in luce le differenze esistenti tra i diversi tipi di testi che compongono le nostre fonti. Essi rivolgono una grande attenzione alla descrizione delle pratiche e dei metodi di esplorazione elaborati da coloro che si dedicavano all'indagine scientifica, ai tipi di questioni che essi sollevavano e all'ambiente materiale della ricerca della conoscenza, una descrizione in cui si rivelano decisive le idee filosofiche dei soggetti presi in esame e le loro motivazioni. La questione dell'individuazione delle relazioni esistenti tra tutti questi fattori e i risultati effettivamente ottenuti rimane centrale in questo genere di indagine ed è forse uno degli aspetti chiave che distingue la storia antropologica da quella che era stata definita 'la storia esterna della scienza'.

Il tentativo di individuare le relazioni esistenti tra ogni elemento di conoscenza e una serie di determinati contesti solleva immediatamente una questione di carattere filosofico che può essere esplicitata chiedendosi in qual modo è possibile spiegare la circolazione, attestata da una serie di prove, delle conquiste della conoscenza, malgrado esse siano sempre prodotte in scenari locali e siano profondamente legate a questi scenari. O, in termini più generali, in qual modo è possibile spiegare la produzione concreta dell'universale a partire dal particolare. La storia ci insegna che la scienza moderna si è costituita in un modo analogo; la comprensione di questo aspetto del fenomeno in questione è una delle sfide più impegnative che gli studi dedicati alla scienza si trovano a dover affrontare. La tendenza a concedere maggiore attenzione alla produzione locale della conoscenza emersa nel nostro campo d'indagine è correlata a un'altra trasformazione che ha ridimensionato il ruolo svolto dalla conoscenza scientifica moderna nella storia della scienza. In effetti, se la questione centrale è quella della comprensione dei modi di produzione della conoscenza, non sembra opportuno limitarsi a considerare soltanto gli elementi di conoscenza assimilati sotto diverse forme dalla scienza moderna. Adottando questo atteggiamento si finirebbe per alterare in modo anacronistico i fenomeni osservati e per distorcere il quadro degli scenari locali.

In generale, queste trasformazioni dimostrano che la storia della scienza come professione non è più interessata soltanto al fronte della ricerca, ma anche alla produzione della conoscenza in generale, alle sue dimensioni politiche, sociali, materiali e cognitive, così come ai modi in cui la conoscenza interagisce con la società.

Benché alla Cina non possa essere attribuito il merito di aver fatto avanzare il fronte della ricerca matematica e fisica durante le dinastie Ming e Qing, bisogna riconoscere che in questo paese le attività scientifiche non si sono arrestate. Al contrario, il modo in cui esse sono state condotte mette in luce molti interessanti fenomeni connessi alla particolare situazione storica e politica cinese. È per questo che essi oggi rientrano nella gamma dei fenomeni studiati dagli storici della scienza contemporanei. I diversi approcci a cui abbiamo accennato dimostrano che la storia della scienza in Cina, come campo d'indagine, si è sviluppata parallelamente alla storia della scienza in generale, ispirandosi a molte delle nuove questioni sollevate nel campo dell'indagine di altri casi storici; a questo proposito bisognerà fare due osservazioni.

In primo luogo, non si è ancora realizzato il contrario. L'emergere di nuovi interessi in questo campo non ha dato luogo a un dialogo tra quelli che sono comunemente definiti gli storici della scienza 'occidentale' e gli storici della scienza 'non occidentale': bisogna riconoscere che si tratta di un dialogo a senso unico. Non si è tentato in alcun modo di unire le forze per collaborare in condizioni paritarie allo sviluppo di questa disciplina. Oggi, in Occidente, la tendenza dominante è quella della storia della scienza occidentale e gli studi delle tradizioni non occidentali sono conosciuti soltanto da un pubblico di specialisti e, spesso, non esercitano alcun impatto su questa disciplina. La storia della scienza in Cina è ancora una sorta di ghetto rispetto sia alla storia della scienza sia alla storia della Cina. C'è da chiedersi perché la storia delle regioni non occidentali sia ancora così poco conosciuta in Occidente, e perché la scienza in Cina sia così mal integrata nella storia della società o del pensiero di questo paese. È necessario riflettere su tali questioni; per il momento, come contributo alla loro soluzione elencheremo alla fine di questa introduzione una serie di problemi che possono condurre all'apertura di un vero dialogo.

In secondo luogo, questa situazione rievoca stranamente il tempo in cui si riteneva che la scienza occidentale dovesse essere studiata per quanto possibile come un'entità isolata, in base alla prospettiva storica secondo la quale lo studio della scienza di altre aree poteva essere affrontato soltanto dagli etnografi (Rashed 1978). Fortunatamente, la svolta antropologica recentemente verificatasi in questo campo ha interessato in modo simmetrico lo studio di tutte le tradizioni scientifiche che si sono sviluppate nell'antica Grecia, nelle aree non occidentali o persino nell'Occidente contemporaneo.

Il contenuto di questa Sezione

Come abbiamo già accennato, in questa Sezione ci siamo proposti di delineare un quadro, per quanto possibile fedele, dell'attuale configurazione del campo d'indagine della storia della scienza in Cina; a questo scopo abbiamo ritenuto opportuno operare una serie di scelte.

Abbiamo tentato di dar spazio ai diversi approcci rappresentati nella comunità di ricerca internazionale e abbiamo richiesto il contributo di studiosi appartenenti a diverse aree geografiche e a differenti tradizioni accademiche. Riteniamo, infatti, che ogni scuola di ricerca storica offra una particolare prospettiva d'indagine, privilegiando certi tipi di approccio e determinati temi, a seconda delle tradizioni da cui discende e della sua area d'origine; ci limiteremo a menzionare un esempio di questa specificità. Negli ultimi tempi, la comunità di ricerca cinese si è dedicata all'approfondimento dello studio dello sviluppo della scienza tra le cosiddette 'minoranze nazionali' e questi approcci sono stati certamente influenzati dal contesto in cui sono maturati. Allo stesso modo, altre comunità di ricerca hanno operato opzioni diverse. Riteniamo che una delle caratteristiche più interessanti e singolari del campo d'indagine della storia della scienza in Cina sia quella di aver consentito lo sviluppo di discorsi tra loro divergenti.

In ogni caso, in conformità alle opzioni operate in relazione alla questione delle modalità di sviluppo della scienza, in questa Sezione non abbiamo voluto dar spazio soltanto al 'punto di vista occidentale'. Speriamo quindi che essa riesca a restituire un'immagine appropriata di questa comunità internazionale, così come delle sue specificità locali determinate dalle variazioni regionali e ambientali.

La storia della scienza in Cina che viene qui presentata è articolata in tre Parti incentrate su tre grandi periodi, in relazione a ciascuno dei quali è stata formulata una questione specifica. La prima Parte, che concerne il periodo compreso tra il 221 a.C., data della prima unificazione, e la caduta della dinastia Tang (907), è imperniata essenzialmente sull'esame del processo di formazione della letteratura specialistica. Sembra, in effetti, che i testi dedicati ai temi presi in esame in questa Sezione, vale a dire agli oggetti e ai fenomeni naturali, così come ai prodotti culturali, siano apparsi a partire dalla fondazione dell'Impero. Ci è sembrato quindi che in questo caso la principale questione da affrontare fosse quella dell'individuazione delle caratteristiche del corpus di opere emerso in questo lasso di tempo; queste opere, infatti, seguitarono a costituire un punto di riferimento anche per le tradizioni di ricerca che in seguito si svilupparono in Cina.

A eccezione delle opere dei cosiddetti 'Maestri del pensiero' (Chen Qiyun, cap. IV), quasi nessun testo specialistico risalente al periodo che ha preceduto la fondazione della dinastia Qin ci è pervenuto attraverso la tradizione scritta. Tuttavia, grazie ai documenti che seguitano a essere rinvenuti nel corso degli scavi archeologici delle tombe, questa situazione è soggetta a rapidi cambiamenti. Non siamo ancora in condizione di elaborare una rappresentazione ben definita del periodo anteriore all'unificazione effettuata dalla dinastia Qin; le informazioni già disponibili grazie al materiale pubblicato saranno quindi esaminate in alcuni specifici capitoli della prima Parte.

Nella seconda Parte, che concerne il periodo delle dinastie Song e Yuan (960-1368), prenderemo in esame dal punto di vista critico la tesi piuttosto diffusa secondo cui questo periodo corrisponderebbe al 'Rinascimento' cinese. La terza, più breve, è dedicata al periodo Ming (1368-1644). Essa è incentrata sulla questione dell'applicabilità a questi secoli della nozione di declino, frequentemente riscontrabile negli studi a essi dedicati, e si propone di descrivere le caratteristiche della scienza praticata in quest'area nel XVI e nel XVII sec., in un periodo in cui la Cina iniziava a instaurare un maggior numero di relazioni internazionali in tutti i campi.

La scelta di dividere in tre Parti la storia della scienza in Cina è stata determinata dal desiderio di contrastare l'immagine di una Cina immobile ed eterna e di sottolineare le profonde trasformazioni subite da questo paese. Questi tre periodi, che da nessuna angolazione possono essere considerati uniformi, corrispondono a tre momenti storici ben definiti non soltanto dal punto di vista del retroterra sociale e politico, ma anche da quello della natura e della formazione dell'élite o della diffusione della scrittura, sia come attività sia come oggetto materiale. Questa Sezione si ispira più all'approccio di Yabuuti che a quello di Needham; essa, infatti, offre una descrizione sincronica dei sistemi di pensiero, senza separare la conoscenza scientifica in diverse branche per poi rilevarne lo sviluppo cronologico dall'Antichità al tardo periodo imperiale. Come abbiamo già accennato, questo approccio più organico allo studio della produzione della conoscenza rispecchia molte delle questioni oggi affrontate nel campo della storia della scienza; esso ci consente di esaminare con maggiore attenzione il contesto intellettuale e istituzionale in cui la conoscenza è prodotta, offrendo al lettore la possibilità di riuscire a cogliere le connessioni esistenti tra le diverse branche del sapere e le modalità di diffrazione degli stessi fatti storici.

Per aiutare il lettore a orientarsi abbiamo mantenuto in ogni parte della Sezione la stessa struttura di presentazione del materiale:

a) Il contesto storico. Questo capitolo, il primo di ciascuna Parte dopo l'introduzione, riassume le circostanze politiche e sociali relative alla nascita e allo sviluppo delle diverse attività scientifiche. Così, nella prima Parte sono descritti la formazione dell'Impero e l'alternarsi di periodi di unità e di divisione politica; nella seconda sono trattati la riunificazione verificatasi in reazione all'influenza straniera e alla divisione del paese e l'emergere della nuova élite; nella terza infine sono affrontati il declino del ruolo dello Stato, a fronte della crescita del potere delle élite locali, la rivoluzione commerciale del XVI sec. e il suo impatto sulla società e sulla produzione del sapere.

b) Il contesto intellettuale. Questi capitoli descrivono, in termini generali, i principali risultati conseguiti in campo filosofico in ciascuno dei periodi presi in esame, e hanno lo scopo di fornire al lettore gli strumenti per valutare in quale misura le ricerche condotte dai filosofi possono aver interferito con lo sviluppo della ricerca scientifica, sia nel caso in cui fosse stata quest'ultima a subire l'influenza delle concezioni filosofiche prevalenti, sia in quello in cui fossero stati i filosofi a servirsi del sapere scientifico come materiale delle loro riflessioni. La profonda influenza esercitata sullo sviluppo dei campi di ricerca dall'ortodossia cosmologica di Stato del periodo Han, nella sua versione ufficiale elaborata da Dong Zhongshu (A. Cheng, cap. VI), ci fornisce un caso del primo tipo, mentre la filosofia di Zhu Xi (Yung Sik Kim, cap. XXV) può essere considerata un esempio del secondo. L'affascinante questione dei rapporti tra gli 'studi pratici' (shixue) e i nuovi metodi di indagine scientifica e tecnologica è affrontata nella terza Parte.

c) Gli ambienti sociali. Questi capitoli forniscono un quadro degli ambienti sociali in cui si svolgeva prevalentemente l'attività scientifica, o che promuovevano tale attività, nei diversi periodi. Nella prima Parte, la nostra attenzione si è concentrata sulla corte, e soprattutto sull'imperatore; nella seconda, l'accento si sposta sulla nuova élite, formata da funzionari reclutati non in base al lignaggio, bensì ai risultati ottenuti agli esami di Stato. A differenza di quelle precedenti, la terza Parte insiste sulla varietà degli ambienti sociali coinvolti nelle attività scientifiche di cui ci è giunta notizia.

d) Le istituzioni educative e la produzione dei testi. La scelta di dedicare una particolare attenzione alle forme di trasmissione del sapere, e in particolare del sapere scientifico, nasce da diverse motivazioni. Oltre a illustrare i principali metodi di insegnamento e la loro evoluzione nel corso della storia, abbiamo voluto concentrarci su questo aspetto perché lo ritenevamo il più idoneo a situare la scienza in un segmento fondamentale della vita sociale. Inoltre, in tutto il mondo la comparsa dei primi testi scientifici appare spesso legata alle istituzioni educative e, come dimostrano questi capitoli, anche la Cina segue questa regola.

e) Produzione, circolazione e gestione dei testi. La storia della produzione dei libri studia l'evoluzione di una tecnologia che ha esercitato un'influenza fondamentale sullo sviluppo della pratica scientifica. Porre l'accento sui diversi modi in cui i libri potevano essere prodotti, acquistati e consultati ci ha offerto la possibilità di evidenziare la dipendenza delle pratiche scientifiche dalle condizioni materiali e dal grado di sviluppo della tecnologia. I capitoli successivi approfondiscono, in primo luogo, il tema della produzione dei manoscritti e poi quello del radicale cambiamento introdotto dall'invenzione della stampa, diffusasi con straordinaria rapidità sia nell'editoria privata sia in quella pubblica. La terza Parte tratta l'impatto della rivoluzione commerciale sull'attività editoriale e numerosi capitoli sono dedicati alle conseguenze prodotte da questi eventi nei diversi campi del sapere. In tutta la Sezione, un particolare interesse è riservato alle tecniche per la produzione delle illustrazioni nei tre periodi esaminati. La scelta di dedicare la massima attenzione alla storia dei libri è stata motivata anche da un altro importante elemento; gli strumenti utilizzati per la loro gestione, come le bibliografie o le biblioteche, ci forniscono infatti uno dei primi esempi concreti di classificazione delle conoscenze e consentono agli studiosi moderni di ricostruire le categorie adottate all'epoca. Ci riserviamo di approfondire questo tema più avanti.

Una volta definita la struttura per ognuna delle tre Parti, passeremo a illustrare il corpus delle conoscenze relative al linguaggio, alla matematica, al cielo, alla Terra, al corpo umano, al mondo naturale e alla storia, in ciascuno dei tre periodi presi in esame. Il segmento centrale di questa sequenza (cielo, Terra e uomo) corrisponde alla tradizionale distinzione tra questi tre regni, tipica della Cina antica.

Il lettore si domanderà forse la ragione delle differenze rilevabili nella struttura di questa Parte. Tali diversità derivano dal nostro desiderio di sottolineare i contrasti esistenti tra i tre periodi presi in esame dal punto di vista della storia della scienza. Questa evoluzione può riguardare la classificazione delle branche del sapere, la loro concezione, le loro caratteristiche o i tipi di fonte a cui possiamo accedere nei diversi periodi. L'esistenza di un contrasto tra due periodi può essere espressa, per esempio, attraverso l'accentuazione di elementi diversi all'interno di un determinato campo di indagine. Così, nel caso degli studi linguistici, nel primo periodo ci siamo concentrati sull'analisi dei caratteri e sulla produzione dei dizionari, mentre nel secondo abbiamo considerato la successiva comparsa di una nuova forma di indagine linguistica, orientata verso gli studi fonologici. Tale contrasto può riflettersi anche nella limitazione a una sola parte della descrizione di un particolare campo di ricerca. L'alchimia, per esempio, è trattata soltanto nella prima Parte e in rapporto al corpo umano (F. Pregadio, cap. XIX). Il nostro intento era quello di sottolineare i rapporti tra alchimia e corpo umano, dal momento che, a differenza di altre culture, in Cina questa disciplina era finalizzata principalmente alla ricerca dell'elisir dell'immortalità. Inoltre, ci premeva sottolineare il fatto che la nascita della corrente di ricerca alchemica maggiormente legata alla chimica si colloca in questo periodo, mentre in seguito, con l'affermarsi dell'alchimia interna, essa assumerà sempre più un orientamento filosofico. Lo stesso si può dire per la cosmografia (C. Cullen, cap. XV); la fioritura di questo ambito di interessi, in auge fino alla dinastia Tang, e la successiva disaffezione degli studiosi cinesi nei suoi confronti si riflettono nella struttura della Sezione, e nella scelta di trattare questa disciplina esclusivamente nella prima Parte.

Un altro campo di ricerca analizzato soltanto nella prima Parte è quello della divinazione (shushu; Li Jianmin e Fu Daiwie, cap. XI). La ragione principale per cui ci siamo occupati di questo argomento è che esso corrisponde a una categoria della prima bibliografia conosciuta, composta al tempo della dinastia Han, sotto la quale sono raggruppati i titoli di argomento matematico, calendaristico e geografico (il Classico dei monti e dei mari [Shanhai jing]; V. Dorofeeva-Lichtmann, cap. XVI). Tuttavia, nelle classificazioni successive si tenderà gradualmente a separare la matematica e la scienza del calendario dalla divinazione. Ci è sembrato opportuno sottolineare l'esistenza di un legame organico tra questi campi nel primo periodo, mentre abbiamo indicato la sua successiva dissoluzione modificando la struttura delle Parti seconda e terza.

Vi è un argomento che, a differenza dei precedenti, non è affrontato nel primo periodo ma nel secondo: è la storia, trattata alla voce 'antiquariato' (I. Asim, cap. XXXII), in cui si descrive l'apparizione, durante la dinastia dei Song settentrionali, di una disciplina rivolta allo studio del passato, praticata da un particolare tipo di figura sociale all'interno di uno specifico contesto sociopolitico.

Le nostre scelte

Sulla base degli esempi precedenti, siamo ora in grado di spiegare le ragioni delle nostre scelte in merito ad alcuni argomenti correlati. In primo luogo, la decisione di includere, o di omettere, un capitolo sulla divinazione riflette il nostro desiderio di rispettare le categorie utilizzate dagli stessi protagonisti della ricerca scientifica e la loro evoluzione nel tempo. La scelta di questo approccio si rispecchia anche nell'inserimento, nella stessa Sezione, di alcuni capitoli dedicati a un particolare tipo di fonti, le cosiddette 'note in punta di pennello' (biji; Fu Daiwie, cap. XXXII). Questo genere di scritti, fiorito durante la dinastia Song, ci fornisce uno strumento ideale per identificare le categorie utilizzate all'epoca della loro stesura, poiché si tratta in sostanza di appunti presi nel corso degli eventi più disparati e organizzati in seguito in base a specifiche categorie. Lo scopo di questi capitoli è quello di portare alla luce le categorie inusuali suggerite da questi testi, per utilizzarli sulla loro base come fonti storiche. In secondo luogo, l'inclusione di capitoli sulla divinazione e sull'alchimia esprime la nostra volontà di non decidere a priori quale significato fosse attribuito al termine 'scienza' nel passato, ma, al contrario, di attenerci alle ricerche svolte dai protagonisti della nostra storia, in qualunque direzione si potessero sviluppare. Nel primo caso, sarebbe stato anacronistico separare la matematica e l'astronomia dalle altre attività classificate all'epoca nella stessa categoria. Nel secondo, isolare la ricerca sulle sostanze naturali dal contesto in cui essa veniva praticata ci avrebbe impedito di comprenderne gli sviluppi successivi. Più in generale, riteniamo che questo approccio sia il più adatto allo studio dei sistemi conoscitivi nella loro complessità ‒ inclusi gli elementi che possono apparire retrospettivamente irrazionali o superstiziosi, ma che all'epoca della loro stesura facevano parte della visione del mondo dominante. Fino ad alcuni anni fa, gli storici della 'scienza occidentale' erano soliti attribuire una mentalità moderna agli scienziati del passato e liquidare come irrilevanti quei valori e quelle preoccupazioni che erano privi ai loro occhi di carattere scientifico. Tuttavia, oggi chiunque scriva su Newton si sente obbligato a tenere nella giusta considerazione la sua ben nota ossessione per l'alchimia e nessuno storico della scienza desidera mostrarsi insensibile alla complessa rete di significati in cui gli scienziati si trovano a operare. Nel caso della Cina, né Needham né gli storici della Repubblica Popolare sono sfuggiti alla tentazione di proiettare nei testi antichi le moderne concezioni scientifiche e gli storici, in particolare, non hanno esitato a emendare i testi scritti da personaggi del passato identificati come figure scientifiche da presunti elementi 'superstiziosi' o 'irrazionali'. Per riprendere, tuttavia, la celebre metafora di Needham sui 'fiumi' della scienza tradizionale che sfociano nell''oceano' della scienza moderna, non appare lecito trascurare quei rami della scienza antica che si sono essiccati o che non sono mai giunti a gettarsi nell''oceano', se si vuole ricreare, come è nostra intenzione, un senso della conoscenza naturale come parte di un sistema complesso, riservando la dovuta attenzione alle condizioni politiche e sociali in cui le diverse branche del sapere e i diversi stili intellettuali si sono sviluppati.

Queste considerazioni ci consentono di chiarire meglio il significato di una specifica partizione, intitolata Sistemi di organizzazione della conoscenza; nel crearla, ci siamo proposti lo scopo di attirare l'attenzione dei lettori su un fenomeno che ci sembra della massima importanza per la storia della scienza. Ci riferiamo a quei casi in cui ciò che costituiva, per gli scienziati dell'epoca, un'unica branca del sapere, comprende in effetti un certo numero di discipline che oggi ci appaiono nettamente distinte tra loro. Tuttavia, poiché questi campi disciplinari costituivano il contesto specifico in cui gli scienziati portavano avanti le proprie ricerche, inducendoli a privilegiare alcune direzioni a scapito di altre, abbiamo deciso di riservare a queste branche del sapere uno spazio specifico. Esse sono la prova di come i confini della ricerca possano variare nel tempo e nello spazio, un fatto degno della massima attenzione.

La Parte I presenta una di queste categorie che si è materializzata in un preciso capitolo delle storie dinastiche, combinando la definizione dei sistemi delle unità di misura, la struttura di base del calendario e la scala musicale in un unico sistema, armonizzandole tra loro; la base teorica dell'operazione è costituita da precise rappresentazioni cosmologiche. Kawahara (1991) descrive un altro campo di indagine, il cui più celebre esponente fu Liu Xin, uno studioso dell'epoca Han, che combina a sua volta la categoria precedente, comprendente il calendario, la scala musicale e le unità di misura, con la branca degli studi classici, la più importante dell'intero sistema del sapere. Entrambi i tipi di ricerca appartengono al genere delle 'scienze imperiali', che stabilì modelli di indagine destinati a durare per secoli.

La Parte II raccoglie, sotto lo stesso titolo, una serie di saggi di natura diversa. I primi quattro mettono a fuoco, da diversi punti di vista, il mondo intellettuale della nuova classe di funzionari, emersa durante la dinastia dei Song settentrionali. Due di essi sono dedicati alle 'note in punta di pennello', il particolare genere di scrittura tipico di questo ceto sociale e basato su specifiche categorie del sapere, a cui abbiamo già accennato. Gli altri due ci restituiscono la visione della Natura e della storia di questi funzionari, mettendola in rapporto con le loro inclinazioni politiche, il loro stile di vita e i loro interessi filosofici. Il quinto saggio del capitolo punta invece a ricostruire il complesso delle idee filosofiche, religiose e astronomiche che condussero un maestro taoista a effettuare una serie di esperimenti di ottica.

In base ai principî qui esposti, abbiamo stabilito una precisa linea di condotta, rimanendo per quanto possibile ancorati in tutti i capitoli di questa Sezione alle informazioni ottenibili dalle fonti e dalle istituzioni reali. Invece di concentrarci sui 'grandi personaggi', abbiamo adottato un approccio che privilegia i fatti materiali. L'esistenza di un libro o anche di un capitolo, di una voce bibliografica o di un semplice titolo, ci è parsa una garanzia sufficiente contro il rischio di cadere nell'anacronismo consistente nell'attribuire agli scienziati del passato le categorie attuali e le nostre idee riguardo a ciò che dovrebbe entrare a far parte dello studio della Terra e del cielo.

La scelta di basarsi sulle fonti concrete ha permesso ai nostri autori di ricostruire le forme e i contenuti delle antiche discipline, nella loro diversità. Nel caso dello studio della Terra, per esempio, si osserva una differenza tra il modo in cui questo argomento è trattato nelle monografie incluse nelle storie dinastiche, che riflette le esigenze amministrative e il desiderio di legittimazione dell'Impero, e l'approccio allo studio dello spazio geografico, rilevabile per esempio nel Classico dei monti e dei mari (V. Dorofeeva-Lichtmann, cap. XVI). Un terzo approccio, meno legato dei primi due all'ambiente della corte, è emerso in seguito nei resoconti di viaggio redatti dai funzionari inviati dall'amministrazione imperiale nelle provincie più periferiche, ancora scarsamente controllate. Venendo a un'epoca molto più vicina alla nostra, quella della dinastia Ming, T. Brook (cap. XLI) ricostruisce, sulla base delle mappe reali e di un'analisi delle scelte, dei metodi e delle motivazioni dei cartografi, una molteplicità di pratiche in cui è effettivamente impossibile riconoscere un qualsiasi modello prestabilito.

Sebbene, come è ovvio, il nostro interesse si sia concentrato prevalentemente sulla storia della scienza, non abbiamo trascurato gli aspetti tecnologici. Lungi dall'offrire una trattazione sistematica, ci siamo proposti, per ciascuno dei periodi principali presi in considerazione, di far luce su quegli aspetti della tecnologia che per ogni epoca ci consentissero di chiarire i rapporti esistenti fra società, politica e conoscenza. Sin dagli albori dell'Impero e per tutto l'arco della storia della Cina, l'agricoltura fu oggetto di studi approfonditi e, di conseguenza, essa è presente in tutte e tre le Parti. La sua storia evidenzia il cambiamento degli equilibri di potere e svela in che misura la tecnologia li abbia determinati e influenzati. Il lettore tenga comunque presente che, nonostante i suoi legami con la tecnologia, nell'antica Cina l'agricoltura era considerata, come la medicina, una scienza piuttosto che una tecnologia.

Per il resto, ogni Parte della Sezione prende in considerazione un campo diverso della tecnologia. Per la prima Parte abbiamo scelto la metallurgia, in quanto rappresenta un fattore essenziale del rapporto fra politica imperiale e tecnologia nel periodo preso in esame, come dimostra, per esempio, la pubblicazione dei Discorsi sul sale e sul ferro (Yan tie lun) nel I sec. a.C. (D.B. Wagner, cap. XXI). Nella seconda Parte, gli aspetti tecnologici sono tutti riconducibili, per diversi motivi, all'architettura. Sebbene il primo 'trattato tecnico' cinese sull'argomento risalga al tempo della dinastia dei Song settentrionali, esso illustra fedelmente il modo di intendere la tecnologia che caratterizza gli scritti dell'epoca: l'autore è un funzionario governativo e il tema dell'architettura è affrontato dal punto di vista di chi ha l'incarico di gestire e controllare i lavori sul posto. Questo capitolo, quindi, contribuisce a delineare il ritratto del funzionario governativo dell'epoca per ciò che riguarda i suoi rapporti con la scienza e la tecnologia. Un altro capitolo di questa Parte si occupa di tecnologia, oltre che di geografia: Navigazione, viaggi e cartografia (J. Dars, cap. XXXIII). Anche in questo caso la trattazione sottolinea l'importanza della tecnica, per esempio l'idraulica e l'ingegneria navale, nella vita sociale e politica dell'Impero.

I due saggi di argomento tecnologico della Parte III sono dedicati a due fenomeni contrastanti. Il fiorire della tecnologia e del commercio dello zucchero getta luce sugli aspetti tecnologici della rivoluzione commerciale del XVI sec. e sull'ascesa delle élite locali. Le armi da fuoco, viceversa, furono sempre al centro dell'interesse della corte, mentre l'importazione di tecnologia bellica occidentale a opera dei gesuiti appare altamente indicativa di un diverso ambito di fenomeni. Da una parte, essa ci mostra in che modo i missionari riuscirono a suscitare l'interesse della corte, dall'altra, rivela la loro capacità di comprendere gli elementi essenziali di una situazione politica e di sfruttarli ai fini dell'evangelizzazione.

Quest'ultimo esempio ci induce a fornire qualche chiarimento sul capitolo conclusivo di ciascuna delle tre Parti della Sezione: La Cina e le zone limitrofe. Mettendo in risalto i rapporti culturali e politici intercorrenti fra la Cina e i paesi confinanti, abbiamo voluto contribuire a fugare il mito di una Cina inaccessibile, ovvero la rappresentazione spengleriana di una civiltà chiusa in sé stessa. Anche in questo caso, tuttavia, abbiamo deciso di sottolineare i mutamenti verificatisi nel corso del tempo e di illustrare in che modo l'evoluzione della situazione politica o degli scambi economici e religiosi influenzò i rapporti della Cina con il 'mondo esterno'. Di conseguenza, nelle tre Parti della Sezione, abbiamo posto l'accento sui contatti con paesi diversi. Nel primo periodo occupano una posizione di rilievo gli scambi con l'India e il ruolo significativo svolto dal buddhismo, nel secondo periodo i rapporti con il mondo arabo. Per quanto riguarda il terzo, abbiamo esplorato gli scambi con i paesi più prossimi alla Cina in senso geografico, quali il Giappone, la Corea e il Vietnam.

Queste ultime osservazioni ci portano ad affrontare una questione più generale, vale a dire i criteri da noi adottati per l'inserimento di un determinato capitolo in questa o quella Parte della Sezione. Come abbiamo già detto, pur restando all'interno di uno schema cronologico, abbiamo deciso di sottolineare i mutamenti che caratterizzano la storia delle tre epoche principali impostando le Parti in modi diversi. Di conseguenza, alcuni argomenti sono affrontati soltanto in una Parte, come nel caso, per esempio, della fonologia, dell'abaco o dei rapporti fra Cina e Giappone. L'inclusione di questi capitoli in una determinata Parte delimita l'arco di tempo all'interno del quale l'argomento assume una particolare importanza, ma il lettore tenga presente che talvolta l'autore amplia i confini cronologici della trattazione allo scopo di offrire un quadro più completo. Nel caso dell'abaco, per esempio (A. Volkov, cap. XLIV), il fatto che l'uso di questo strumento di calcolo si sia diffuso durante la dinastia Ming giustifica l'inserimento nella terza Parte del capitolo a esso dedicato, nel quale, tuttavia, l'autore parla anche degli antenati dell'abaco, che erano stati descritti molto prima.

La Sezione si conclude con un epilogo. Per sottolineare il ruolo fondamentale assunto dagli studi comparativi nella comprensione dello sviluppo della scienza quale fenomeno umano, abbiamo ritenuto opportuno affidare a Geoffrey E.R. Lloyd il compito di indicare le linee per un possibile approfondimento circa gli sviluppi originari della scienza nell'antica Grecia e in Cina.

Criteri redazionali adottati

Prima di passare a illustrare alcune delle questioni più problematiche affrontate, cercheremo di chiarire quali principî hanno presieduto alla redazione della Sezione, oltre a quelli propri dell'intera Opera.

Naturalmente non sono mancati i dissensi sull'interpretazione di termini e di fonti, né su questioni ancora più fondamentali. Quando tutti i diversi punti di vista ci sono parsi ugualmente validi, non abbiamo tentato in alcun modo di privilegiarne uno a scapito di altri, né di imporre un'interpretazione omogenea che rispecchiasse la nostra. Abbiamo preferito quindi dare al lettore la possibilità di confrontare le diverse interpretazioni poiché la scienza non è un dogma, e ai nostri giorni il dibattito delle idee è un aspetto essenziale della pratica scientifica. Ne consegue, per esempio, che il lettore troverà a volte interpretazioni diverse di termini o anche di titoli.

È evidente che, quanto più un termine gioca un ruolo centrale nella storia del pensiero in Cina, tanto più aumentano le probabilità che esso si presti a interpretazioni diverse, che il suo significato sia mutato nel corso del tempo o che sia talmente specifico da non poter essere reso in tutte le sue accezioni con un nostro vocabolo. Per segnalare al lettore più esperto le varianti interpretative, dopo la traduzione è riportato il termine in pinyin (vale a dire il sistema di traslitterazione internazionale della lingua cinese).

L'indice analitico e un glossario ‒ che saranno pubblicati a conclusione dell'intera Opera ‒ consentiranno, inoltre, al lettore non specialista di poter risalire, senza troppe difficoltà, dalla traduzione alla trascrizione in pinyin, la quale a sua volta permette di rintracciare le altre interpretazioni che vengono fornite in quest'Opera.

Gli apporti della storia della scienza in Cina

di Karine Chemla

A conclusione di questa introduzione, diamo innanzitutto uno sguardo alla dovizia di materiali che le fonti cinesi ci offrono in rapporto alle questioni che possono interessare in particolare gli storici della scienza.

Per quel che riguarda il contributo della Cina al patrimonio internazionale del sapere scientifico o il modo in cui si sviluppò in Cina, già in tempi remoti, la ricerca in determinati campi, ovvero la questione della 'priorità' tanto cara a Needham, preferiamo lasciare il lettore libero di esplorare secondo l'itinerario preferito i capitoli dedicati allo studio del linguaggio o della matematica, dell'astronomia, della botanica, dell'agricoltura e della tecnologia. Esiste, tuttavia, una disciplina che consente di inserire questo approccio alla storia della scienza in una prospettiva metodologica più rigorosa: la cosiddetta 'medicina cinese'. Dato che una molteplicità di fattori sociopolitici interviene a differenziare nelle varie culture il concetto di 'scienza medica', i diversi metodi fra loro alternativi non sono gli stessi in tutto il mondo. Ne consegue che, nel caso della medicina, è problematico scegliere come punto di partenza di un'indagine della storia del pensiero la 'scienza moderna', in quanto essa varia a seconda del luogo e dell'ambiente. L'analisi delle diverse correnti di pensiero scaturite da tale differenziazione fornisce indicazioni molto utili per un esame critico della storiografia incentrata sulla ricerca delle priorità e sull'idea di progresso.

La ricerca delle priorità presuppone la capacità di individuare un risultato o un concetto moderno in una fonte antica. Come abbiamo appena suggerito, per essere esauriente questo tipo d'indagine dovrebbe prendere in considerazione non soltanto le differenze tra i concetti antichi e quelli moderni, ma anche quelle tra i primi e i loro corrispettivi dell'Antichità. Da questo punto di vista, la storia della matematica in Cina fornisce indicazioni utilissime. Per esempio, la formulazione dell'equazione algebrica tramandata dalla tradizione babilonese e greca si basa su concetti diversi da quelli della tradizione cinese. Con il termine 'diversi' non intendiamo affermare la superiorità di un concetto sull'altro, poiché di fatto, si tratta di concetti distinti. Nonostante la diversità, tutti questi concetti confluirono, in un modo o nell'altro, nell'equazione algebrica moderna, risultante dalla sintesi, operata dai matematici arabi, di tutti i metodi precedenti e dei loro metodi innovativi (K. Chemla, capp. XII, XXX). Sono quindi evidenti i limiti del concetto di 'priorità', in quanto questa storia dimostra l'esistenza di precedenti diversi. Inoltre, il fatto che quello che oggi noi consideriamo un elemento matematico univoco corrisponda a concetti diversi nelle fonti antiche rappresenta certamente un motivo di riflessione per il filosofo della scienza.

Questo esempio indica che la storia delle idee non segue necessariamente uno sviluppo lineare, in quanto i risultati e i concetti moderni scaturiscono, di fatto, dall'integrazione di una molteplicità di metodologie diverse sviluppatesi in ambienti differenti. Si apre così una prospettiva che consente di considerare in maniera concreta la scienza moderna come sintesi di concetti elaborati in luoghi diversi del pianeta. Alcuni potrebbero essere tentati di pensare che tale visione sia dettata dal desiderio formale di garantire a ognuno un posto nella storia della scienza. Non si tratta, però, soltanto di questo: è possibile che in sostanza questa visione rappresenti in modo più concreto i processi effettivi attraverso i quali prende corpo la conoscenza scientifica.

All'estremità opposta dello spettro dei possibili approcci, la storia della scienza in Cina fornisce molti spunti per un'indagine dello sviluppo delle conoscenze su scala locale. Questo approccio, basato su una visione più antropologica, è rappresentato da diversi articoli in questa Sezione. Consideriamo qualche altro caso, oltre a quelli già ricordati. Per tornare all'esempio matematico di prima, la specificità del concetto di equazione elaborato nell'antica Cina può essere messa in relazione sia con l'ambiente in cui si svolgevano concretamente le attività di ricerca in questo campo, sia con i valori propri dei matematici. La descrizione delle attività scientifiche consente, quindi, di spiegare in termini concreti la specificità dei concetti e dei risultati ottenuti. In un'ottica diversa, il capitolo sull'astronomia traccia lo sviluppo delle conoscenze sui fenomeni celesti all'interno del contesto istituzionale dell'Ufficio imperiale di astronomia, in rapporto alle credenze sulle ripercussioni politiche di eventi astronomici imprevedibili e all'esigenza di compilare l'almanacco annuale. I problemi su cui si incentra tale tradizione astronomica sono legati strettamente a questo contesto, che rappresenta una configurazione di interessi sociali, politici e astronomici ben diversa da quelle individuate nelle tradizioni occidentali da Pingree (1992). Per contro, la medicina rappresenta un esempio della molteplicità degli ambienti sociali all'interno dei quali si svilupparono le conoscenze in campo medico, come testimoniano numerose fonti (D. Harper, cap. XVIII; A. Ki Che Leung, cap. XLVII). In questo contesto, l'emergere della figura del medico letterato durante la dinastia Song (TJ Hinrichs, cap. XXXV) illustra la formazione di un nuovo gruppo di praticanti che esercitavano la medicina con obiettivi e valori specifici, concentrandosi su un insieme ben preciso di conoscenze.

Vari capitoli, inoltre, fanno luce sui complessi rapporti fra sviluppo del sapere, società e politica, a sostegno della tesi che, in qualsiasi caso, la storia economica e politica non può essere considerata semplicemente uno sfondo sul quale si stagliano la scienza e la tecnologia, in quanto lo sviluppo di tutti questi elementi è il risultato di una stretta interazione reciproca. Per illustrare questa complessità, torniamo ad alcuni degli esempi citati in precedenza. Il caso della lavorazione del ferro durante l'epoca Han (D.B. Wagner, cap. XXI) spiega in che modo il monopolio del ferro, basato sulla tecnologia degli altiforni, che consentiva la produzione su larga scala di questo metallo e, di conseguenza, la sua concentrazione, abbia fornito allo Stato i mezzi economici necessari al mantenimento del controllo politico. Questi monopoli, d'altro canto, erano il risultato di una politica di più ampio respiro, volta a frenare l'iniziativa privata e impedire il formarsi di centri di potere alternativi. A questa politica fa da contrappeso la formazione di una classe contadina che, oltre a coltivare piccoli appezzamenti di terreno, basava la propria sopravvivenza su attività manifatturiere svolte a domicilio, senza dover competere con le imprese di grandi dimensioni (Hsu Cho-yun, cap. XVII). Mentre da una parte i monopoli imperiali fornivano gli attrezzi di ferro necessari per l'agricoltura, dall'altra i funzionari statali insegnavano ai contadini le tecniche di coltivazione; in entrambi i casi, è evidente il ruolo dello Stato nella diffusione delle conoscenze di carattere tecnico. Quando, all'epoca della dinastia degli Han posteriori, lo Stato non riuscì più a frenare l'ascesa delle grandi famiglie, l'industria privata del ferro e delle grandi proprietà terriere rifiorì. Questo fenomeno può essere messo in rapporto con il diffondersi di un nuovo genere di letteratura tecnica (F. Bray, cap. XVII).

Dopo aver mostrato con questi esempi come lo studio del caso cinese possa contribuire ad approfondire alcuni ben noti problemi della storia della scienza, passiamo ora a illustrare alcuni degli argomenti che emergono dai capitoli che trattano questioni cruciali della storia della scienza in Cina ma che rivestono, a nostro avviso, un interesse molto più ampio. In Cina, ampi settori del sapere scientifico si svilupparono in larga misura in un rapporto più o meno stretto con la corte imperiale o, comunque, sollecitato e tramandato dalle istituzioni imperiali. Lo Stato fu dunque uno dei protagonisti della vita scientifica cinese, secondo modalità che restano ancora in parte da definire. Cercheremo ora di puntualizzare alcune differenti manifestazioni di questo fenomeno.

Nell'antica Cina, alcuni campi della ricerca scientifica assunsero una forma molto particolare, a causa dei legami che si riteneva esistessero tra determinate discipline e il potere imperiale. Esemplare, in questo senso, è il caso dell'astronomia, o di quello specifico campo di ricerca a cui è dedicato un capitolo intitolato Trattato sui tubi sonori e sul calendario (Lüli zhi) in molte storie dinastiche ufficiali (J.S. Major, cap. XIV), analizzati da Fung Kam Wing nell'articolo sull'Ufficio astronomico imperiale (cap. XXXI). Questo, però, riguarda anche, in senso lato, lo sviluppo degli studi storici sotto la dinastia Song, data l'importanza cruciale dell'analisi critica dei Classici tramandati ai fini della legittimazione del potere imperiale (I. Asim, cap. XXXII). Tra le discipline il cui sviluppo fu in qualche circostanza condizionato dalla burocrazia imperiale vi è inoltre la geografia, che nacque almeno in parte dall'esigenza di disporre di una rappresentazione del territorio dell'Impero da parte dei suoi funzionari (V. Dorofeeva-Lichtmann, cap. XVI).

L'influenza dello Stato è evidente anche in un altro settore, quello delle iniziative culturali commissionate dalla corte: i progetti di ricerca di vaste dimensioni, come quelli per la raccolta della materia medica o la collazione degli antichi testi scientifici, nacquero per iniziativa imperiale e furono portati a termine grazie al sostegno governativo. Sotto i Song, lo Stato svolse un ruolo particolarmente attivo in campo medico (TJ Hinrichs, cap. XXXV), incaricandosi, per esempio, della produzione e della distribuzione dei manuali di riferimento e dell'adozione di misure contro le epidemie. Questo dinamismo fu accompagnato dalla creazione di numerose istituzioni che avevano il compito di trasmettere le conoscenze scientifiche o dalla costituzione di cerchie di specialisti in grado di metterle in pratica. Quest'ultimo aspetto contrasta con la situazione al tempo dei Ming quando, a causa del declino del ruolo svolto dallo Stato, l'iniziativa passò in gran parte nelle mani dei privati (A. Ki Che Leung, cap. XLVII).

Questi elementi sono sufficienti a indicare la complessità del fenomeno dei rapporti tra sviluppo scientifico e istituzioni imperiali, documentato nel corso di oltre due millenni. L'argomento non è nuovo, ma è tuttora oggetto di discussioni, in cui non sono mancate le valutazioni anacronistiche, per esempio riguardo alla natura della burocrazia. Tuttavia, ci sembra che esso non sia stato ancora sviscerato in tutti i suoi aspetti. Una ricerca più sistematica in questo campo, come ulteriori indagini da questa prospettiva in altre tradizioni scientifiche, potrebbe gettare nuova luce su un'importante caratteristica della storia cinese e consentire una migliore comprensione dei rapporti generali tra scienza e Stato.

Come abbiamo già detto, l'organizzazione di questa Sezione del volume si basa principalmente sull'utilizzazione diretta delle fonti scritte pervenuteci. A questo proposito, la lettura degli articoli che la compongono permette di evidenziare la non omogeneità della distribuzione delle fonti nelle diverse tradizioni. Inoltre, essa ha una sua storia, che è in rapporto con la storia sociale. Il lettore rimarrà colpito dalla grande varietà dei testi menzionati, molti dei quali tipici della storia cinese: canoni e commentari, 'note in punta di pennello', enciclopedie, collezioni di casi, storie dinastiche, monografie, ma anche dizionari, manuali, resoconti di viaggio, calendari e così via. Questo fatto solleva due serie di questioni.

La prima riguarda la storia dei testi. Quali sono i generi di testo in cui possiamo imbatterci e in che modo venivano usati o letti? L'importanza di tale questione è evidente nel caso dei canoni: i commentari rivelano l'esistenza di modi di lettura che indicano come lo status particolare di questo genere di testi poteva dar luogo a usi specifici. La questione non si applica solo alle opere scientifiche, dal momento che nell'antica Cina in tutti i campi culturali esistevano testi identificati come canonici, ma riveste una particolare importanza per la storia della scienza, che non può fare a meno di una descrizione di queste opere, come pure dei modi in cui erano utilizzate. Da un altro punto di vista, la trasformazione dei generi di scrittura nel tempo appare particolarmente evidente in alcuni campi scientifici. Nel caso della medicina, C. Despeux (cap. XVIII) descrive l'evoluzione dei testi medici dall'epoca Han fino alla dinastia Tang. Il lettore, inoltre, potrà seguire le loro ulteriori trasformazioni, dai Song fino ai Ming (TJ Hinrichs, cap. XXXV; M. Hanson e C. Furth, cap. XLVII). Nel caso della botanica, l'esigenza di ricostruire gli atteggiamenti dei Cinesi verso il mondo vegetale e le loro conoscenze in questo campo ha richiesto agli storici il ricorso a una grande varietà di fonti. Ancora una volta, il lettore potrà osservare le differenze tra i testi che sono stati prodotti in epoche diverse e che rivelano un modo differente di porsi di fronte a questi oggetti naturali (G. Métailié, capp. XX, XXXII, XLVIII).

La questione riguardante i fattori responsabili della trasformazione dei generi di scrittura dedicati a un determinato argomento merita di essere approfondita. Questo ci porta ad affrontare la seconda serie di questioni, relative al problema dell'interpretazione. Dato che le nostre fonti si inseriscono in uno specifico contesto di produzione testuale, la loro lettura presuppone una certa conoscenza del genere a cui appartengono. Sembra lecito chiedersi in qual modo occorre leggere i testi che ci appaiono composti principalmente come compilazioni di citazioni, come nel caso di qualche materia medica o delle Tecniche essenziali per il popolo (Qimin yaoshu) (F. Bray, cap. XVII). E anche come si deve leggere un Canone, sapendo che alcuni commentatori lo fanno in modi che ci possono apparire sconcertanti. Ogni lettura decontestualizzata rischia di cadere nella trappola della distorsione del testo. Questo è uno degli argomenti affrontati, per esempio, nell'articolo dedicato alle 'note in punta di pennello' (Fu Daiwie, cap. XXXII). La collocazione di un libro all'interno del suo genere ci fornisce alcune linee guida per l'interpretazione di ciascuno dei brani che lo compongono.

Gli attuali dibattiti sulla storia della scienza non riservano, a nostro avviso, un'adeguata attenzione al problema dell'interpretazione delle fonti. Il caso cinese indica chiaramente quali benefici si possano trarre dallo sviluppo di un'analisi sistematica dei testi in quanto tali, in rapporto agli ambienti che li hanno prodotti o utilizzati e alla loro interpretazione.

Gli storici della scienza che si propongono di sottolineare il carattere internazionale della scienza moderna, tendono quasi sempre a evidenziare i flussi del sapere orientati in direzione dell'Europa, nella speranza di individuare la via storicamente percorsa da un dato contributo pervenuto in Occidente. Tuttavia, se, come nel nostro caso, si considerano i flussi del sapere dal punto di vista della Cina, si finisce per divenire più sensibili nei confronti di altri problemi connessi a tale questione. In questa sede ci limiteremo a evidenziarne due, a nostro parere potenzialmente proficui per le future ricerche. Le descrizioni dedicate agli scambi sviluppatisi a partire dalla dinastia Han tra la Cina e l'India (Michio Yano, cap. XXII), mettono in luce l'importanza del ruolo svolto dal buddhismo come strumento di trasmissione del sapere scientifico in Asia. Un'analisi delle relazioni che legavano tra loro queste aree dell'Asia permetterebbe indubbiamente di approfondire la comprensione del ruolo svolto da questa religione in una storia decentrata, ancora da scrivere, della circolazione delle idee scientifiche che, secondo i numerosi indizi già a nostra disposizione, si rivelerebbe di grande utilità (Pingree 1992).

La questione delle relazioni che legavano la Cina al mondo arabo solleva un altro affascinante problema. A partire dalla dinastia Tang, questi scambi si intensificarono in entrambe le direzioni. In alcuni testi arabi, per esempio, riecheggiano gli studi matematici sviluppatisi in questo periodo in Cina (K. Chemla, capp. XII, XXX) e, come ha precisato Chen Jiujin (cap. XXXVII), a partire dalla fine del X sec. è rilevabile la presenza di astronomi arabi alla corte Song. Ricordiamo, inoltre, il movimento di traduzione dei testi scientifici arabi in cinese emerso nel periodo successivo. Si tratta, in effetti, di uno degli aspetti di un fenomeno più generale che è stato evidenziato da R. Rashed (1997). L'importanza della scienza araba era legata al fatto che in questo periodo i corpi del sapere elaborati in molte lingue, inclusi quelli redatti nell'antica Grecia, furono tradotti per la prima volta nella lingua araba che era parlata in un'area straordinariamente estesa. I testi arabi furono a loro volta tradotti e le indagini in essi sviluppate poterono essere approfondite non soltanto in Europa, ma anche in India e in Cina. In questa sede non esamineremo tutte le conseguenze di questa stimolante osservazione, ma ci limiteremo a considerare la sua importanza in relazione al caso della Cina. Benché debba ancora essere studiato a fondo, il movimento di traduzione dall'arabo cui abbiamo accennato apre una prospettiva piuttosto sorprendente, quella secondo cui la 'scienza occidentale' sarebbe stata introdotta per la prima volta in Cina nel corso del Medioevo a partire dalla lingua araba, e non nel XVI sec. come pretendono le testimonianze dei gesuiti. Su un piano più generale, si dovrebbe riconoscere che la costituzione della scienza internazionale e la sua successiva introduzione nelle diverse aree del mondo avrebbero avuto luogo nel Medioevo, a partire dall'arabo e non dal latino o da qualsiasi altra lingua europea. Tale questione, che può essere tradotta concretamente in molti programmi di ricerca, potrebbe infine condurre a una profonda ridefinizione delle attuali idee sulla storia della scienza universale.

Analizzando il significato del termine 'scienza', in precedenza abbiamo affermato che preferivamo astenerci, almeno temporaneamente, da ogni giudizio sui modi in cui la scienza dovrebbe essere praticata o concepita, per dedicarci all'osservazione del modo in cui le attività scientifiche erano effettivamente condotte. In realtà, questo suggerimento si è rivelato molto utile, in quanto la descrizione delle pratiche locali delle indagini scientifiche costituisce un efficace strumento critico attraverso il quale valutare le definizioni normative e a priori che, talvolta, si è tentati di associare alla scienza. In effetti, considerando i capitoli in cui è suddivisa questa Sezione, ci si trova regolarmente in presenza di prospettive inedite, delle quali ci limiteremo a menzionare due esempi.

Per molti, la tesi secondo cui soltanto la matematica astratta, o persino pura, è in grado di svilupparsi è un'ovvietà. Le pratiche matematiche elaborate in Cina dimostrano, invece, che entrambe le caratteristiche non sono affatto indispensabili allo sviluppo di questa disciplina. Come il lettore potrà constatare, furono al contrario elaborate pratiche metodiche da utilizzare per lo sviluppo dell'indagine matematica. Questa circostanza solleva di conseguenza alcune interessanti questioni relative alla natura di questa disciplina in generale. Inoltre alcune tradizioni danno per scontata l'appartenenza delle indagini sulla Natura, da un lato, e di quelle sugli esseri umani e la società, dall'altro, a due aree di ricerca completamente diverse. Tuttavia, la storia della scienza in Cina offre molti esempi di indagini concernenti aree di ricerca trasversali. Tra i diversi casi che il lettore potrà esaminare, ci limiteremo a menzionare quello della ricerca 'investigazione delle cose' (gewu) emersa all'interno del movimento filosofico comunemente definito 'neoconfucianesimo' (Yung Sik Kim, cap. XXV). All'interno di questa cornice, si sviluppò una serie di indagini su fenomeni relativi a entrambe le sfere, vale a dire sia al campo degli interessi umani sia a quello degli oggetti naturali, come dimostra chiaramente il modo in cui tale filosofia fu applicata allo studio delle piante (G. Métailié, cap. XXXII). Più in generale, anche l'introduzione di idee cosmologiche nei principî della maggior parte delle branche del sapere, una questione sviluppata nelle introduzioni alle diverse parti che compongono questa Sezione, dimostra l'irrilevanza di questo confine dell'indagine scientifica nella prospettiva cinese.

Lo studio delle distinte tradizioni culturali nella loro varietà ha portato alla luce l'effettiva diversità delle concezioni delle discipline scientifiche e delle loro pratiche, un importante aspetto che a nostro parere merita di essere ulteriormente approfondito in molte direzioni.

A conclusione dell'introduzione, nel momento in cui il lettore si accinge a entrare nel vivo dell'argomento, ricordiamo come l'esperienza, sia storica sia personale, abbia insegnato agli storici della scienza in Cina che la ricezione della conoscenza relativa a questo campo del sapere non è irrilevante, ma è condizionata profondamente dagli ambienti e dalle società in cui è stata espressa. Ricorderemo che, nonostante la fine degli imperi coloniali, le concezioni della storia della scienza formatesi in seno a questo sistema politico sono ancora piuttosto diffuse e non soltanto in Occidente. Benché Needham e i suoi collaboratori abbiano redatto un'intera biblioteca di testi dedicati alla storia della scienza in Cina, nelle società occidentali alcuni ancora negano che la Cina abbia prodotto risultati di qualche interesse in campo scientifico. Dal punto di vista della storia della scienza in Cina, sembra importante approfondire quale ruolo giochino la scienza e la sua storia nelle rappresentazioni delle comunità elaborate da coloro che sentono di appartenervi. Ci sembra che anche questa sia una questione di importanza generale, una delle molte qui affrontate nella speranza di aprire nel prossimo futuro un dibattito non unilaterale con gli storici della scienza interessati ad altre aree.

L'introduzione generale e le introduzioni delle tre Parti, sebbene rechino firme diverse, sono state esaminate e ampiamente discusse da tutti i consulenti scientifici di questa Sezione. Per il paragrafo su Joseph Needham, Francesca Bray esprime il suo ringraziamento a Gregory Blue (Department of History, University of Victoria), per il suo prezioso aiuto. Georges Métailié nel preparare la Sezione sul Giappone si è basato su opere di Kawahara Hideki e Yano Michio (1996). Infine, per quanto concerne la datazione dei testi più antichi, il lettore può vedere la discussione contenuta in Early Chinese texts: A bibliographical guide. The Society for the study of Early China and the Institute of East Asian studies, University of California, Berkeley, 1993, curata da Michael Loewe. (K.C.)

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