La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Le tecnologie della comunicazione

Storia della Scienza (2004)

La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Le tecnologie della comunicazione

Helge Kragh

Le tecnologie della comunicazione

Nel periodo compreso fra il 1870 e il 1920 si assiste a un'intensificazione dei rapporti tra i fisici, l'industria e la scienza applicata: numerosi docenti di fisica e di chimica lavorarono, infatti, come consulenti per le industrie o contribuirono per proprio conto alla risoluzione di problemi tecnologici. Sebbene questa tendenza non fosse un fenomeno nuovo, rappresentava una novità la costituzione di laboratori per lo sviluppo industriale nei quali impiegare ingegneri e scienziati con preparazione universitaria. Fra i settori industriali che maggiormente necessitavano delle competenze proprie dei fisici spiccavano l'industria elettrotecnica, in veloce espansione, e quella delle comunicazioni elettriche, insieme all'industria chimica, che attirò a sua volta molti ricercatori chimici.

Negli Stati Uniti le società maggiormente impegnate nella ricerca erano la General Electric e la American Telephone and Telegraph Company (AT&T), le quali ‒ a riprova dell'impegno delle aziende private nei settori della fisica teorica e applicata ‒ intorno al 1920 contribuirono a incrementare le pubblicazioni scientifiche in misura assai maggiore rispetto a molte università. In Europa tale sviluppo fu più lento ma procedeva nella stessa direzione.

La telegrafia e la prima telefonia

Intorno al 1870 la tecnologia della comunicazione si identificava prevalentemente con la telegrafia, basata sull'elettromagnetismo su filo o cavo; tuttavia, nel giro di cinquant'anni lo spettro tecnologico si era allargato in misura considerevole con la comunicazione senza fili (attraverso la radio), che ormai sostituiva il tradizionale sistema del telegrafo, e con la telefonia, divenuta una temibile concorrente. In entrambe queste nuove tecnologie di comunicazione le scienze fisiche svolsero un ruolo importante, anche se in modi differenti e seguendo raramente il cosiddetto 'modello lineare', secondo il quale le nuove scoperte nella scienza di base divenivano automaticamente il punto di riferimento per la risoluzione di problemi tecnologici.

Sebbene esperimenti nei quali una conversazione era trasformata in impulsi elettrici possano essere rintracciati sin dal 1850, la nascita del telefono risale effettivamente al 1876, anno in cui Alexander Graham Bell (1847-1922) ottenne negli Stati Uniti il brevetto per l'invenzione di un apparato elettromagnetico in cui una membrana, attivata dalla voce, produceva oscillazioni elettriche vibrando davanti a un magnete.

Bell e gli altri pionieri della telefonia consideravano il telegrafo come il modello delle proprie invenzioni, ritenendolo più o meno consapevolmente il 'mezzo naturale' della comunicazione elettrica. Questo orientamento diede vita a un importante paradigma, destinato a segnare profondamente gli sviluppi della telefonia: il 'paradigma del telegrafo', che fu determinante sia per gli sviluppi iniziali dell'apparecchiatura telefonica e il suo uso conseguente, sia per le convinzioni degli ingegneri circa la propagazione delle correnti telefoniche attraverso i fili.

Il brevetto di Bell del 1876 assunse la denominazione di 'sviluppi in telegrafia'; egli tuttavia, pur ispirandosi al telegrafo, in quanto insegnante per non udenti adottava un proprio modello alternativo di telefono, che faceva riferimento alla tecnica tradizionale della comunicazione mediante onde sonore. La sua condizione di osservatore esterno della comunità della telegrafia sembrava svincolarlo dal paradigma del telegrafo, aiutandolo a sviluppare un progetto alternativo, basato sulla sua familiarità con la parola piuttosto che con gli impulsi elettrici. Come fece notare James C. Maxwell durante la sua Rede lecture del 1878, Bell non era un elettricista che aveva scoperto come 'far parlare la latta' bensì un esperto del linguaggio divenuto poi esperto di elettricità.

I fisici europei accolsero con entusiasmo il primo telefono di Bell, non tanto come elemento essenziale di una nuova tecnologia per la comunicazione quanto piuttosto in vista delle sue potenzialità come strumento scientifico. Fra coloro i quali studiarono la teoria del telefono, adattandola agli esperimenti di acustica o applicandola alla misurazione delle 'correnti deboli', si possono menzionare Hermann von Helmholtz, Ludwig Boltzmann, lord Rayleigh (John W. Strutt), Friedrich Wilhelm Georg Kohlrausch e Max Wien. In un primo momento essi rimasero delusi nell'apprendere che la nuova invenzione non si basava su alcuna scoperta scientifica e che sorprendentemente non era uno strumento sofisticato. Quando nel luglio 1876, durante la International Centennial Exhibition di Filadelfia, sperimentò per la prima volta il telefono, lord Kelvin (William Thomson, 1824-1907) fu particolarmente colpito, ma anche sorpreso, dal fatto che la stupefacente trasmissione della voce fosse ottenuta per mezzo di congegni dalle caratteristiche tanto semplici.

Per competere con il telegrafo, il telefono doveva mostrare la sua efficacia su distanze superiori ad alcune centinaia di chilometri e fu proprio tale sua idoneità a rendere possibile lo sviluppo della telefonia come grande rete tecnologica e sistema integrato. Dell'importanza di poter coprire distanze maggiori con il telefono erano consapevoli la Bell System (AT&T) e poche altre compagnie telefoniche europee, le quali si resero conto che il controllo del traffico telefonico su lunghe tratte era essenziale, non soltanto per la soddisfazione dei loro clienti ma anche per la competitività con le società locali. In effetti negli anni Novanta del XIX sec. la AT&T decise di avviare un progetto per lo sviluppo della telefonia di lunga distanza non per fare fronte alla richiesta di questo tipo di comunicazione ma, prevalentemente, per migliorare la competitività dell'azienda sul mercato.

Trasmettere la voce su distanze notevoli in modo qualitativamente accettabile si rivelò un'operazione tecnicamente difficile; secondo lo storico della tecnologia Thomas Hughes, il mancato superamento di questo problema costituiva per la telefonia la 'disfatta principale', una sorta di 'collo di bottiglia' in grado di impedire la crescita complessiva di un sistema in espansione.

Benché la difficoltà della comunicazione su lunga distanza non rappresentasse l'unico ostacolo serio da superare, era certo uno dei più gravi e comportava inoltre due inconvenienti fondamentali: l'attenuazione del segnale e la sua distorsione. Su linee molto lunghe, in particolare quelle che includevano tratti di cavi sottomarini, l'intensità della voce ricevuta sarebbe scesa vicino o sotto la soglia di udibilità e comunque, anche se l'intensità fosse stata soddisfacente, le parole sarebbero state irriconoscibili a causa dell'interferenza fra i vari componenti dei segnali della voce. Ci volle tempo per rendersi conto che la soluzione di questi problemi non risiedeva tanto nel miglioramento dell'apparato telefonico, quanto piuttosto nell'impianto delle linee, vale a dire nei fili e nei cavi di trasmissione. Verso la fine degli anni Ottanta del XIX sec. gli ingegneri giunsero alla conclusione comune che un miglioramento della comunicazione telefonica poteva essere ottenuto seguendo una strategia basata sulla combinazione di tre elementi: la sostituzione dei cavi di ferro con cavi in rame e dei raccordi metallici doppi con altri, singoli, collegati a terra e la disposizione di fili intrecciati anziché dritti.

Nel 1887 William H. Preece (1834-1913), importante ingegnere britannico del telegrafo divenuto in seguito ingegnere capo del British Post Office, affermò che l'esperienza delle linee telefoniche era in accordo con la teoria della trasmissione telegrafica di lord Kelvin: egli riteneva che le correnti telefoniche non differissero sostanzialmente dalle correnti telegrafiche e che, conseguentemente, la distanza limite per il telefono sarebbe variata in proporzione inversa al prodotto fra resistenza e capacità totali del circuito. È questa la 'regola di Preece', alla quale si fa riferimento per rendere minima la resistenza e la capacità per unità di lunghezza della linea telefonica.

Preece e molti altri ingegneri ritenevano inoltre che l'autoinduttanza del circuito fosse un effetto dannoso, evitabile in grande misura con l'uso di fili di rame invece che di ferro. Nell'autorevole A manual of telephony, pubblicato nel 1893, egli afferma che l'effetto dell'autoinduzione pregiudica l'efficienza della linea e anche la chiarezza della pronuncia distinta delle parole trasmesse.

Che la regola di Preece fosse accettata o meno, la maggior parte delle linee costruite negli anni Novanta del XIX sec. seguiva la sua generica prescrizione; tale approccio empirico consentì un incremento della distanza limite e un considerevole progresso nella qualità della trasmissione. Il primo collegamento sottomarino internazionale, per esempio, la linea di 498 km tra Parigi e Londra aperta al traffico nel 1891, seguiva la filosofia di Preece e il paradigma del telegrafo, utilizzando cavi di rame spessi, isolati con guttaperca. L'anno seguente la linea fra New York e Filadelfia, che segnò un nuovo primato coprendo una distanza superiore ai 1442 km, indicò con una scarsa qualità di trasmissione che era stato raggiunto il limite di realizzabilità per linee telefoniche sufficientemente remunerative.

Agli inizi del nuovo secolo era pertanto assolutamente evidente che l'approccio tradizionale al problema dell'estensione della portata delle linee telefoniche non avrebbe consentito ulteriori progressi rilevanti.

Teoria senza tecnologia

Nel 1887, lo stesso anno in cui Preece enunciava la sua regola, le prime teorie esaurienti sulle correnti telefoniche sembravano ancora prive di basi scientifiche.

In Inghilterra Oliver Heaviside (1850-1925) pubblicò infatti la propria teoria con il titolo generico Electromagnetic induction and its propagation sulla rivista settimanale "The Electrician", specialistica nel campo industriale. Il suo punto di partenza era l'affermazione che la teoria di Thomson sul telegrafo, ancorché corretta entro i suoi limiti, non era adatta alla telefonia e alla telegrafia ad alta velocità, perché la trasmissione di alte frequenze non poteva essere compresa solamente in termini di capacità e resistenza di un circuito. Egli mostrò come l'attenuazione del segnale, al pari della distorsione, dipendesse dall'effetto reciproco di tutte e quattro le costanti elettriche della linea, dunque anche dall'autoinduttanza e dallo smorzamento.

Un segnale telefonico armonico di frequenza angolare ω attraversa un filo con una oscillazione che viene smorzata con legge esponenziale. Se V0 è il voltaggio iniziale, il voltaggio al tempo t e alla distanza x è dato da V0e−βxcos(ωtαx), dove β è il coefficiente di attenuazione e α lo sfasamento o coefficiente di velocità. Heaviside derivò una formula per la variazione del coefficiente di attenuazione β rispetto alle quattro costanti elettriche, che per linee con grande autoinduttanza e smorzamento trascurabile si approssimava alla semplice espressione β=(R/2)√C/L. Come egli evidenziò, questo significava che la crescita dell'autoinduttanza avrebbe consentito una migliore trasmissione, risultato che contraddiceva apertamente l'intuizione di Preece e di molti altri ingegneri dell'epoca.

In Francia, Aimé Vaschy (1857-1899), laureato all'École Polytechnique, giunse indipendentemente alle stesse conclusioni di Heaviside; nel 1887 egli pubblicò una teoria completa sulla trasmissione telefonica, sottolineando l'esigenza di aumentare l'autoinduttanza L del circuito.

Un'analisi molto simile era stata compiuta pochi anni prima dal fisico danese Valentin Lorenz (1829-1891), che aveva ottenuto gli stessi risultati e le stesse formule di Heaviside e Vaschy. Egli però non pubblicò i propri calcoli e dopo un tentativo, fallito, di far costruire dall'azienda tedesca Felten & Guilleaume un cavo di prova secondo il suo progetto, abbandonò l'argomento e, di conseguenza, il suo lavoro non ricoprì sostanzialmente alcun ruolo nella storia della telefonia su lunghe distanze.

La teoria Heaviside-Vaschy e l'indicazione di ottenere un incremento della distanza limite nelle comunicazioni telefoniche mediante aggiunta di autoinduttanze al circuito sono spesso viste come il trionfo della teoria di Maxwell per l'elettrodinamica. Nonostante Heaviside fosse un maxwelliano, la sua equazione per il telefono prescinde da considerazioni relative al campo elettromagnetico; né Vaschy né Lorenz facevano uso dei concetti di Maxwell (come, per es., quello di corrente di spostamento) perché seguivano un approccio fenomenologico che si serviva soltanto della legge di Ohm e della legge di conservazione della carica elettrica, eppure ottennero gli stessi risultati di Heaviside.

I lavori di Vaschy, Heaviside e Lorenz fornivano indicazioni di carattere generale su come caricare i cavi con autoinduttanze, in modo sia continuo sia discreto. Nel primo caso si poteva rivestire il filo di rame con ferro finemente distribuito, in modo da non creare interruzioni nel circuito magnetico. Nel secondo caso si potevano inserire lungo il circuito spire induttive, costituite da avvolgimenti aventi resistenza sufficientemente piccola e poste a distanza fissa l'una dall'altra. Heaviside indicò entrambe le possibilità, esprimendo tuttavia cautela riguardo al fatto che le stesse potessero funzionare, in quanto comprendeva che le indicazioni erano basate soltanto sulla teoria e mancavano del sostegno di prove pratiche.

In un primo momento le compagnie telefoniche sostanzialmente ignorarono le raccomandazioni della teoria Heaviside-Vaschy. Nel 1889 Lazare Weiller, ingegnere francese e produttore di fili elettrici, mostrò all'Académie des Sciences un cavo telefonico uniformemente carico; questo primo esempio di cavo caricato induttivamente sembra fosse stato ispirato dalla teoria di Vaschy, ma nessun cavo commerciale fu prodotto sulla base del prototipo.

I pochi cavi carichi costruiti e sperimentati durante gli anni Novanta del XIX sec. non sembrarono migliorare la qualità della trasmissione o incrementare la distanza limite. John Stone (1869-1943), ingegnere alla Bell System e laureato in fisica alla Johns Hopkins University, propose l'uso di fili bimetallici ferro-rame, idea per la quale nel 1897 gli fu riconosciuto un brevetto. Il brevetto di Stone, destinato alle comunicazioni sottomarine, si basava direttamente sulle previsioni di Heaviside, con il quale egli ebbe uno scambio epistolare. Il suo progetto per il cavo consisteva in un elemento centrale in rame, circondato da un sottile tubo di ferro isolato dal rame. Il cavo uniformemente carico non era adatto per gli usi pratici, perché i tubi di ferro ne avrebbero ridotto la robustezza meccanica.

La fine degli anni Novanta del XIX sec. vide fallire molti altri tentativi di costruzione di cavi carichi che potessero avere fortuna sul piano commerciale. Nel 1899 la Felten & Guilleaume produsse, su richiesta della Reichpost, una serie di cavi di prova uniformemente carichi per la telegrafia sottomarina ad alta velocità. La loro autoinduttanza fu misurata da Franz Breisig (1868-1934), un ingegnere che aveva studiato matematica e fisica sotto la guida di Heinrich Rudolf Hertz e che sarebbe presto divenuto il più importante esperto di teoria delle comunicazioni elettriche in Europa. Breisig misurò solamente un modesto aumento dell'autoinduttanza nei circuiti, concludendo che l'impiego dei cavi carichi non aveva giustificazione dal punto di vista economico; gli esperimenti tedeschi cessarono di conseguenza.

Il cavo carico

Nel 1897 Hammond Hayes, un fisico con preparazione universitaria impiegato presso la Bell System, assunse George A. Campbell (1870-1954) per sviluppare il genere di cavi ad alta autoinduttanza che Heaviside aveva proposto. Campbell pensò inizialmente di proseguire il lavoro intrapreso da Stone sui fili bimetallici ma ben presto decise di concentrarsi sui cavi con avvolgimenti induttivi separati discretamente. Con il suo modo di affrontare e sviluppare il problema, egli si discostava dagli altri ingegneri e tecnici impegnati nel settore della telegrafia e della telefonia e proprio questa differenza fu di cruciale importanza per il suo successo. Campbell aveva una solida preparazione in fisica teorica, ottenuta al Massachusetts Institute of Technology, alla Harvard University e in Europa, dove aveva trascorso tre anni studiando sotto la guida di Jules-Henri Poincaré, Boltzmann e Felix Christian Klein. Come ingegnere in un'azienda privata, egli era consapevole che la soluzione del problema della trasmissione doveva essere non soltanto scientificamente corretta ma anche economicamente accessibile.

Avendo completa familiarità con i lavori di Heaviside e Vaschy, Campbell sviluppò una teoria per i cavi carichi con avvolgimenti induttivi a spaziatura discontinua. Egli si servì di un articolo scritto da un fisico britannico, Charles Godfrey, il quale nel 1898 aveva analizzato la propagazione di un'onda elastica lungo una molla appesantita periodicamente con masse uguali.

Il risultato delle ricerche di Campbell, completate nell'estate del 1899, consistette nell'analisi matematica di una linea carica coperta di spire che forniva l'indicazione di dove posizionare le spire nel circuito, di quanto occorresse caricarle e di come distribuire nel modo più efficiente il rame fra il cavo e le spire stesse. Campbell aveva compreso che la soluzione tecnologica non poteva essere ottenuta con metodi empirici e che sarebbe stato dunque nell'interesse dell'azienda affrontare il problema a partire dalla teoria; egli affermava, infatti: "spingere la teoria il più lontano possibile e lasciare spazio il meno possibile ai metodi per tentativi significa fare economia" (Kragh 1994, p. 155). Campbell pubblicò la sua teoria sui carichi (Loaded lines in telephonic transmission) soltanto nel 1903, ancora una volta non su una rivista di ingegneria bensì sulla prestigiosa rivista di fisica "Philosophical Magazine".

Risultati molto simili a quelli di Campbell furono ottenuti indipendentemente e nello stesso periodo da Michail Idvorskij Pupin (1858-1935), professore di origine serba che insegnava ingegneria elettrica alla Columbia University. Come Campbell, anche Pupin aveva una solida preparazione in fisica teorica (avendo studiato sotto la guida di Gustav Robert Kirchhoff e di Helmholtz) e non aveva confidenza con i metodi empirici, ai quali ancora faceva ricorso gran parte degli ingegneri. Secondo quanto riportato nella sua autobiografia, egli era giunto all'idea del carico con le spire nel 1894 studiando la Theory of sound (1887) di lord Rayleigh. Rispetto a Campbell, Pupin aveva il vantaggio di essere un ricercatore universitario indipendente, non legato a un'azienda e, anche per questa ragione, nel giugno 1900 riuscì a ottenere un brevetto per il suo sistema di carico con avvolgimenti, in seguito noto come 'pupinizzazione'. Dopo una prolungata controversia legale, la AT&T acquistò i diritti per lo sfruttamento del brevetto mentre la Siemens & Halske comperò quelli relativi al brevetto tedesco di Pupin.

La prima linea carica di avvolgimenti fu costruita nel 1901 e durante il decennio successivo il sistema di carico divenne la spina dorsale di un grande numero di linee a lunga distanza sia in America sia in Europa. L'innovazione basata sul lavoro di Campbell e di Pupin fu un grande successo commerciale, che mise in evidenza tutta l'importanza e l'utilità della fisica teorica. Verso la fine del 1907 la compagnia Bell Telephone aveva predisposto 138.000 km di circuito di cavi, con 60.000 avvolgimenti di carico; quattro anni dopo, quando il numero di spire era aumentato a 130.000, la compagnia stimò di avere risparmiato cento milioni di dollari grazie all'invenzione dei circuiti induttivamente carichi.

Allo stesso modo in cui i fisici e i chimici rivestirono un ruolo dominante nell'invenzione e negli sviluppi del sistema di carico negli Stati Uniti, le aziende tedesche dominavano il settore in Europa. La prima linea telefonica dotata degli avvolgimenti di Pupin fu costruita dalla Siemens & Halske nel 1902 e si basava sugli esperimenti di August Ebeling e Friedrich Dolezalek (1873-1920). Le loro carriere mostrano l'intensificarsi dei contatti fra l'industria e i fisici accademici: Ebeling aveva studiato sotto la guida di Helmholtz, lavorato con Ernst Werner von Siemens (1816-1892) e trascorso cinque anni al Physikalisch-Technische Reichsanstalt fino a che non era divenuto ingegnere capo alla Siemens & Halske; Dolezalek aveva studiato sotto la guida di Walther Hermann Nernst e, dopo il tempo trascorso alla Siemens & Halske, tornò nel mondo accademico per sostituire il suo professore come direttore dell'Istituto di chimica fisica all'Università di Gottinga.

Il carico con le spire costituiva il metodo più importante per aumentare la portata della telefonia ma non era l'unico. Per quanto riguardava i cavi, e in particolar modo quelli sottomarini, l'alternativa era avvolgere saldamente i fili di rame con ferro dolce. L'idea del carico continuo risaliva a Heaviside; occorsero tuttavia circa quindici anni perché divenisse un'innovazione tecnologica, grazie all'ingegnere danese Carl Emil Krarup, il quale progettò il primo cavo carico sottomarino, posato nel 1902 fra la Danimarca e la Svezia. Krarup, che era stato ricercatore all'Università di Würzburg sotto la guida di Wilhelm Wien, apparteneva anch'egli alla nuova generazione di ingegneri con preparazione scientifica; i cavi a carico uniforme del tipo ideato da Krarup furono usati ampiamente per tre decenni, prevalentemente per linee sottomarine.

Per un breve periodo la telefonia sottomarina rimase una specialità europea ma, nel 1921, la AT&T mostrò la propria superiorità tecnica anche in questo settore. Il cavo carico di 190 km, da Key West a L'Avana, era in quell'epoca il più lungo e quello immerso alla maggiore profondità; esso assicurava le comunicazioni commerciali non soltanto fra L'Avana e New York ma anche tra Santiago di Cuba e San Francisco lungo la linea intercontinentale. Oltre a ciò, combinando questa linea con il collegamento via radio tra San Francisco e l'isola di Santa Catilina (poco distante dalla costa californiana), si raggiungeva una distanza complessiva di comunicazione di 8800 km: la telefonia a lunga distanza era ormai una tecnologia matura.

Grazie al successo del metodo di carico divenne essenziale progettare avvolgimenti di Pupin il più possibile efficienti, cioè caratterizzati dalla massima permeabilità magnetica e dalla minima perdita di energia per correnti indotte. La scienza dei materiali e la chimica dello stato solido divennero di cruciale importanza per le iniziative legate alla tecnologia del telefono. Sin dal 1902 Dolezalek aveva ottenuto un brevetto per una parte centrale induttiva, composta di polvere di ferro finemente distribuita e mescolata con un materiale legante e isolante, ma questa semplice idea divenne innovazione tecnologica soltanto più di un decennio dopo. Nel 1911 la AT&T istituì nell'ambito del suo dipartimento di ingegneria Western Electric una succursale per applicare sistematicamente la scienza di base ai problemi della telefonia.

Uno dei primi risultati del nuovo programma di ricerca fu, nel 1916, l'invenzione dell'anima centrale in polvere di ferro, che venne subito messa in produzione negli impianti della Western Electric a Hawthorne, in Illinois, dai quali nel 1921 ne uscivano 25.000 libbre a settimana. Nello stesso tempo i ricercatori della Western Electric erano impegnati per trovare un sostituto al ferro che avesse proprietà migliori come materiale di carico. Gustav Elmen sviluppò un sistema di riscaldamento e raffreddamento di una lega nichel-ferro a grande permeabilità magnetica e piccola perdita per isteresi; il 'permalloy' che ne derivò era costituito per il 20% di ferro e per l'80% di nichel e nel 1920 sostituì i nuclei di ferro di Pupin.

Altrettanto importante era l'impiego del permalloy come materiale di carico per la telegrafia transoceanica. Un significativo ampliamento della teoria classica di Thomson dei cavi telegrafici apparve soltanto nel 1917 nello studio The theory of the submarine telegraph and telephone cable di Henry Malcolm, il quale sosteneva che il carico induttivo potesse aumentare notevolmente la velocità del telegrafo; egli dovette però rendersi conto che i metodi tradizionali di carico non sarebbero stati in grado di ottenere tale risultato. Una teoria attendibile per i cavi sottomarini caricati con il permalloy fu sviluppata pochi anni dopo alla Western Electric, principalmente da Oliver Buckley, un fisico formatosi alla Cornell University, che nel 1917 era entrato a far parte della società per occuparsi di valvole e di materiali magnetici. Dopo molto lavoro sia teorico sia sperimentale fu ottenuta una teoria realistica in grado di guidare la costruzione di cavi telegrafici carichi ad alta velocità. Il cavo da 3730 km fra New York e le Azzorre, gestito dalla Western Union Telegraph Company e prodotto da un'azienda britannica (The Telegraph Construction & Maintenance Company), fu collaudato con successo nel 1924. I nastri di carico in permalloy della Western Electric fornivano un'autoinduttanza pari a circa dieci volte quella dei migliori cavi telefonici caricati uniformemente con il ferro. Il risultato fu una velocità di funzionamento di 1920 lettere al minuto, quattro volte di più rispetto al primato dei cavi convenzionali.

Tale velocità fenomenale superò la capacità degli apparati delle unità periferiche esistenti e richiese la costruzione di speciali registratori ad alta velocità. Il successo di questo e di altri cavi carichi con il permalloy rivitalizzò la telegrafia transoceanica e dimostrò una volta di più l'effettiva importanza della ricerca in fisica e il suo valore economico.

Il tubo elettronico a vuoto

La comunicazione senza fili, che aveva le sue basi scientifiche nella teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell e nella scoperta delle onde elettromagnetiche da parte di Hertz, fu attuata per la prima volta negli anni tra il 1896 e il 1898. Guglielmo Marconi (1874-1937), unanimemente considerato l'inventore della radio, era un imprenditore piuttosto che uno scienziato, con il privilegio di essere in contatto con il fisico Augusto Righi, un esperto di onde hertziane. Nel suo laboratorio di Bologna Righi insegnò al giovane Marconi come generare e rilevare onde elettromagnetiche mediante gli emettitori di scintille e il coherer (coesore) inventato da Édouard Branly (1844-1934), professore di fisica all'Université Catholique di Parigi. Dopo essersi stabilito in Inghilterra, Marconi intensificò i suoi esperimenti e nel 1899 riuscì a trasmettere un telegramma al di là della Manica senza l'ausilio di fili; evento ancora più straordinario fu quando, nel dicembre del 1901, poté propagare attraverso l'Atlantico, dalla Cornovaglia a Terranova, onde elettromagnetiche da lui stesso prodotte. Marconi naturalmente non era il solo inventore della comunicazione via radio. In Germania, per esempio, il fisico Karl Ferdinand Braun (1850-1918), docente a Strasburgo e noto anche per l'invenzione dell'oscilloscopio a raggi catodici, svolse un lavoro di rilievo finanziato in parte dalla Siemens & Halske. La radiotelegrafia era considerata a pieno titolo un settore della fisica applicata, come è dimostrato dall'assegnazione del premio Nobel per la fisica dell'anno 1909 congiuntamente a Marconi e a Braun.

I primi segnali radio erano generati attraverso scintille, ma ben presto divenne chiaro che il futuro risiedeva nelle onde continue. Per quasi due decenni il sistema a scintille di Marconi fu in competizione con le tecnologie basate sia sui trasmettitori ad arco sia sugli alternatori ad alta frequenza, ma fu il tubo elettronico a vuoto, o radiovalvola, a divenire il dispositivo preferito per produrre le alte frequenze necessarie. In prospettiva storica si può affermare che, nella prima fase dell'evoluzione dellla radio, determinante fu lo sviluppo della tecnologia delle valvole.

L'industria del settore elettrico riconobbe rapidamente le potenzialità della radiotelegrafia come alternativa al telegrafo e alla comunicazione via cavo. Nel 1903 la Siemens & Halske e la AEG (Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft) costituirono la Telefunken, quale risposta tedesca alla prospera Wireless Telegraph Company and Signal Company Ltd di Marconi. La Bell System comprese a sua volta l'importanza della radio in prospettiva e la sua rilevanza per le potenzialità economiche del telefono (in questo contesto, con il termine 'radio' si intende la telegrafia senza fili o la telefonia e non i veri e propri servizi di radiodiffusione, che iniziarono solamente nel 1920). Intorno al 1910 fu ampiamente riconosciuto che la tecnologia senza fili era di importanza cruciale per la telefonia tradizionale, vale a dire che le nuove valvole potevano essere sviluppate in un efficiente amplificatore per le deboli correnti telefoniche.

La storia dell'elettrone o della valvola risale al 1880, quando Thomas A. Edison osservò che, se si salda una piastrina in uno dei suoi bulbi luminosi (da poco inventati), una debole corrente fluisce dal filamento alla piastrina ('effetto Edison'). Questo fenomeno suscitò l'interesse degli ingegneri elettrici; uno di questi, l'inglese John A. Fleming, mostrò nel 1898 che le particelle emesse dal filamento sono cariche negativamente. Una decina di anni dopo gli scienziati compresero che tali particelle sono identiche agli elettroni che Joseph J. Thomson (1856-1940) aveva suggerito essere i costituenti di tutta la materia. Nel 1904 Fleming, allora professore di ingegneria elettrica all'University College di Londra e consulente tecnico della Wireless Telegraph Company and Signal Company Ltd di Marconi, scoprì che le lampade basate sull'effetto Edison possono essere usate come rivelatori per le onde elettromagnetiche ad alta frequenza. Fleming costruì la prima valvola elettronica a vuoto, un diodo, brevettato nel 1905 ma rivelatosi troppo poco sensibile per funzionare come rivelatore nella telegrafia senza fili.

La prima valvola a vuoto di utilità pratica fu inventata dall'americano Lee De Forest nel 1906. De Forest, inventore di talento, sapeva poco di elettrofisica ma, avendo ottenuto a Yale un dottorato di ricerca in ingegneria meccanica, aveva senza dubbio determinate conoscenze scientifiche. Sebbene inizialmente non abbia avuto un grande successo commerciale, il triodo di De Forest è stato il punto di partenza per l'era dell'elettronica e per il progenitore del transistor. Il fisico austriaco Robert von Lieben (1878-1913), un altro dei pionieri delle valvole, costruì diodi e successivamente triodi utilizzabili come amplificatori (o ripetitori) nella telefonia. Egli non aveva alcun titolo accademico, ma gli studi universitari e il lavoro con Nernst gli avevano fornito le necessarie basi fisiche. All'epoca il termine 'tubo elettronico a vuoto' o 'valvola elettronica' era improprio, in quanto inizialmente né De Forest né Lieben né altri si resero conto dell'importanza del vuoto spinto. Il triodo di De Forest non era molto evacuato, in quanto egli riteneva che i gas residui fossero essenziali per il corretto funzionamento della valvola. Le valvole di Lieben del 1910 erano svuotate solo in parte e funzionavano con vapori di mercurio rarefatto.

Le valvole a vuoto si trasformarono in meraviglie della tecnologia nel 1912, grazie soprattutto alla ricerca svolta da aziende private. L'esperto del settore per la AT&T era Harold Arnold, un giovane fisico che da poco aveva conseguito a Chicago il dottorato di ricerca sotto la guida di Robert A. Millikan. Quando De Forest mostrò il suo triodo alla Telephone Company, Arnold si rese conto che quel dispositivo grezzo poteva essere sviluppato per divenire un potente amplificatore o ripetitore e ne realizzò rapidamente una versione migliorata, in particolare svuotandolo per mezzo di una delle nuove pompe per il vuoto spinto inventate in Germania da Wolfgang Gaede (1878-1945). Il lavoro ai laboratori della Bell System diede luogo ai cosiddetti 'triodi duri', che consentono il passaggio della corrente nel vuoto spinto per effetto termoionico e non per ionizzazione.

Altri miglioramenti dovuti ad Arnold e al suo gruppo comprendevano la sostituzione del filamento caldo con un catodo rivestito di ossido di calcio o di bario. Questi catodi, che furono costruiti inizialmente dal fisico tedesco Arthur Wehnelt nel 1904, possono funzionare a una temperatura più bassa.

Essi sono quindi in grado di prolungare la vita delle valvole. Fu necessario meno di un anno per sviluppare ripetitori a valvole, che furono provati nel 1913 sulla linea telefonica fra New York e Washington e, due anni dopo, diedero prova della loro convenienza commerciale garantendo una conversazione telefonica sulla prima linea transcontinentale fra New York e San Francisco. Il risultato economico importante della tecnologia delle valvole a vuoto si ebbe durante la Prima guerra mondiale. Esse divennero infatti, in quella occasione, molto richieste: quando gli Stati Uniti entrarono in guerra, nel 1917, la loro produzione settimanale non superava le 400 unità mentre due anni dopo toccava la cifra di 80.000.

Gli sviluppi in Germania proseguivano in parallelo con quelli negli Stati Uniti, anche se meno rapidamente e con maggiore difficoltà. Quattro fra le più grandi compagnie elettrotecniche (Siemens & Halske, AEG, Felten and Guilleaume e Telefunken) nel 1912 si unirono in un consorzio per acquistare e sfruttare i brevetti di Lieben, ma l'interesse per le sue valvole a gas si rivelò un errore. Ai tedeschi occorsero due anni per rendersi conto che il futuro apparteneva alle valvole a vuoto spinto e fu allora che la Telefunken cominciò la produzione di triodi a vuoto. Uno dei fisici impegnati nella ricerca sulle valvole era Walter Schottky (1886-1976), uno studente di Max Planck che divideva il proprio talento fra relatività generale ed elettronica. Benché non lavorasse a tempo pieno per la Siemens & Halske, Schottky sviluppò una valvola a vuoto introducendo una griglia supplementare fra l'anodo e la normale griglia di controllo. Il suo lavoro non consentì di disporre nell'immediato di una nuova valvola tecnologicamente più avanzata ma si rivelò fondamentale, poiché incluse un importante studio di fisica sulle valvole elettroniche e portò alla scoperta degli effetti di rumore discreto, che il fisico chiarì con un contributo ormai classico alla teoria dell'informazione. Le intuizioni di Schottky furono sviluppate in misura notevole da ricercatori successivi, in particolar modo da Harry Nyquist e Claude Shannon, entrambi presso i laboratori della Bell System.

Negli Stati Uniti l'attività di ricerca tecnologica non coinvolgeva soltanto la AT&T ma anche la General Electric. Nel 1912 William D. Coolidge (1873-1975), un fisico con preparazione universitaria che lavorava presso i laboratori di ricerca della General Electric, sviluppò le prime lampade a incandescenza con un filamento di tungsteno e si propose di perfezionare le valvole a raggi X. Il suo assistente, Irving Langmuir (1881-1957), aveva studiato fisica chimica sotto la guida di Nernst a Gottinga, dove aveva anche seguito le lezioni di matematica di Klein; dopo aver trascorso alcuni anni come assistente in un istituto politecnico statunitense, era giunto nel 1909 alla General Electric, rimanendovi per più di quarant'anni. Per i suoi lavori fondamentali sulla chimica delle superfici Langmuir ricevette nel 1932 il premio Nobel per la chimica: egli fu il primo scienziato di una grande azienda a esserne insignito.

Presso la General Electric Langmuir iniziò un programma di ricerca sulle scariche elettriche nei gas e nel vuoto, che lo indusse a ritenere che l'immissione di gas inerte nelle valvole incandescenti ne avrebbe prolungato la vita; questa scoperta fu prontamente trasformata in un'innovazione molto lucrosa e, allo stesso tempo, egli studiò l'emissione di elettroni nel vuoto come meccanismo per la valvola elettronica. Langmuir si rese conto che il processo basilare nei diodi e nei triodi è l'emissione di elettroni, che richiede il vuoto spinto, mentre fino a quel momento gli ingegneri che lavoravano con le nuove valvole comprendevano poco il meccanismo fisico alla base del loro funzionamento, sebbene una teoria generale per l'emissione degli elettroni per effetto termoionico fosse già stata pubblicata dal fisico britannico Owen Richardson fra il 1901 e il 1903.

Richardson, studente di Thomson e specialista nella teoria degli elettroni, coniò il termine 'termoionico' nel 1909, formulando una legge empirica che metteva in relazione la velocità di emissione termoionica con la temperatura del metallo; durante il decennio successivo egli si sforzò di provare e perfezionare la 'legge di Richardson'. La sua teoria fenomenologica fu riconosciuta come la spiegazione scientifica per le valvole elettroniche a vuoto, ma durante gli anni di sperimentazione delle stesse, fra il 1904 e il 1908, il suo ruolo rimase irrilevante. Ricevuto nel 1928 il premio Nobel per la fisica per il suo lavoro sul fenomeno termoionico e, in particolare, per la scoperta della legge che porta il suo nome, Richardson fu considerato il ricercatore che aveva fornito le basi scientifiche per la tecnologia delle valvole elettroniche. Fino al 1913, peraltro, il loro impiego nella tecnologia delle comunicazioni non tenne nel debito conto l'effetto termoionico. D'altro canto, Langmuir conosceva molto bene la teoria di Richardson e se ne servì per approfondire la comprensione del funzionamento delle valvole a vuoto. I ricercatori della General Electric, sotto la guida sua e del suo collega Saul Dushman, perfezionarono la valvola a vuoto nel 1913, determinando inevitabilmente sul brevetto una lunga controversia con la AT&T.

Tavola I - GUGLIELMO MARCONI E LA RADIO

L’invenzione della radio è frutto di un’intuizione di Guglielmo Marconi relativa alla possibilità di utilizzare le onde radio nella telegrafia senza fili. Dal punto di vista sperimentale, la sua invenzione è consistita nella scoperta che il sistema ricevente antenna-terra messo a punto da Aleksandr Stepanovič Popov (1859-1905) poteva considerarsi un efficiente radiatore di onde radio e che queste onde potevano essere rilevate a distanza da un ricevitore. All’inizio del 1895, Marconi cominciò a dedicarsi allo studio degli esperimenti sulle onde elttromagnetiche già effettuati da Heinrich Rudolf Hertz e altri, che ripeté con grande accuratezza ottenendo presto risultati che risultarono tra i migliori dell’epoca. In un primo tempo, la disposizione adottata fu quella tradizionale, tuttavia Marconi concentrò l’energia delle radioonde mediante accurati riflettori metallici cilindrici a sezione parabolica, sulla cui linea focale erano sistemati l’oscillatore hertziano e il coherer. L’oscillatore era del tipo ‘a tre scintille’ ideato da Augusto Righi e il coherer era a limatura, del tipo perfezionato da Oliver J. Lodge ma più piccolo e, soprattutto, più sensibile e più stabile. I risultati così ottenuti da Marconi, per buoni che fossero in termini comparativi, erano, tuttavia, della stessa modestia di quelli sino ad allora ottenuti da altri: portate di pochissime centinaia di metri e comunque sempre con i due terminali in vista reciproca. Nell’estate del 1895 i suoi esperimenti, condotti a Pontecchio, cominciarono però a dare, sempre con gli stessi apparecchi, risultati migliori e per molti versi strabilianti: portate di qualche chilometro e, soprattutto, anche al di là di una collina interposta.

Marconi, nel passo iniziale della Nobel lecture tenuta nel 1909 in occasione del conferimento del premio Nobel per la fisica, così ricorda: «Nell’agosto del 1895 scoprii un nuovo sistema che non soltanto fece aumentare grandemente la distanza alla quale potevo comunicare, ma sembrò rendere la trasmissione indipendente dalla presenza di ostacoli interposti. Questo sistema consisteva nel connettere un terminale dell’oscillatore a terra e l’altro terminale a un filo collegato a un conduttore situato a una certa altezza sul suolo, e analogamente nel connettere un terminale del coherer a terra e l’altro a un conduttore a una certa altezza. [...] presto accertai definitivamente che più in alto era il conduttore, maggiore era la distanza alla quale si poteva telegrafare. Così trovai che [con conduttori] su un palo [...] a un’altezza di 8 m i segnali potevano essere trasmessi 2400 m tutto intorno».

I conduttori di lamiera in cima al palo, una variante delle sfere o dei cilindri dell’oscillatore di Hertz, erano piuttosto scomodi da montare e furono presto abbandonati. Gli elementi essenziali del sistema risultarono essere la presa di terra e la lunghezza del filo metallico verticale che connetteva i conduttori all’oscillatore (ciò che poi si chiamò un’antenna filare). Si trattava, come detto, del sistema antenna-terra di Popov – di cui è molto probabile che Marconi sia venuto a conoscenza – ma, in questo caso, applicato anche all’oscillatore. La lunghezza delle radioonde emesse risultava pari a poco più del quadruplo dell’altezza dell’antenna verticale (poi nota come ‘antenna Marconi in quarto d’onda’); perciò, anche con antenne non molto alte, si passava dalle precedenti radioonde di lunghezza centimetrica (ora note comemicroonde) a radioonde di lunghezza d’onda decametrica, ettometrica e oltre, caratterizzate da modalità di propagazione molto differenti. Mentre le precedenti microonde presentavano una propagazione di tipo ottico, ossia con traiettorie rettilinee e con forte attenuazione, le onde molto più lunghe subivano una modesta attenuazione, penetravano parzialmente nella superficie terrestre e quindi presentavano traiettorie con profili che seguivano la curvatura di quest’ultima, raggiungendo così distanze anche grandissime. Esse erano inoltre in grado di oltrepassare, per diffrazione, gli ostacoli opachi posti sul loro cammino.

Gli avvenimenti successivi I risultati decisivi di Marconi furono presto noti in Europa e nel mondo. Nel febbraio del 1896, raccomandato da influenti personaggi della nobile famiglia materna, egli poté dimostrare l’eccellenza dei suoi dispositivi ripetendo gli esperimenti in Inghilterra, nazione molto più interessata ai sistemi di telecomunicazione che non la modesta Italia del tempo. In luglio fu effettuato uno scambio di messaggi telegrafici stampati tra un ufficio del ministero delle Poste, a Londra, e un edificio a 1600 m ca. di distanza, in condizioni di reciproca invisibilità dei terminali; in settembre, nell’ampia piana di Salisbury, la ricezione di tali messaggi telegrafici fu realizzata fino a una distanza di 2800 m ca. e, mediante l’uso di una cuffia telefonica, ancora più lontano anche al di là di un’alta collina. Sulla base di questi risultati, esaltati dall’opinione pubblica britannica, Marconi chiese e ottenne (7 luglio 1896) il brevetto industriale per il suo sistema, replicato l’anno seguente per gli Stati Uniti (13 luglio 1897) e poi esteso al mondo intero. Contemporaneamente il fisico italiano, nel luglio del 1897, costituì un’impresa industriale, la Wireless Telegraph and Signal Company Ltd., che dal 1900 si chiamerà Marconi’s Wireless Telegraph and Signal Company Ltd. e sarà per decenni la maggiore società al mondo nel campo delle radiocomunicazioni; di essa Marconi mantenne sempre, oltre alla maggioranza azionaria, anche la direzione tecnica. Seguì un periodo di vaste e positive sperimentazioni, a distanze crescenti (decine di chilometri), per conto di varie istituzioni tecniche del governo britannico e anche per conto della Marina militare italiana, nel golfo di La Spezia, dall’11 al 18 luglio 1897.

Anche altri sperimentatori ottennero risultati importanti in tale campo. Tra questi un posto molto rilevante spetta a Karl Ferdinand Braun (1850-1918), professore di fisica all’Università di Strasburgo (città allora tedesca). Egli non soltanto replicò con successo – e talora sopravanzò per certi aspetti – gli esperimenti di Marconi, ma impresse alla sua attività lo stesso carattere tecnico-scientifico-industriale che quest’ultimo aveva dato al proprio lavoro; a tal fine costituì nel 1898 la Gesellschaft für drahtlose Telegraphie Systeme Prof. Braun und Siemens & Halske, che nel 1903 diverrà la Gesellschaft für drahtlose Telegraphie Systeme Telefunken, poi brevemente nota come Telefunken. Nacque in tal modo una viva, fruttuosa e leale competizione tra i due poli della nascente industria delle radiocomunicazioni internazionali: il polo inglese (la Marconi Company) nell’immenso Impero britannico e il polo tedesco (la Telefunken), il cui sviluppo seguiva linee geopolitiche definite, le principali delle quali erano verso il Vicino e Medio Oriente, per il tramite dell’alleata Turchia, e verso gli Stati Uniti, per mezzo della numerosa, ricca e potente comunità statunitense di origine germanica. La validità dei contributi scientifici e tecnici di Braun al progresso delle radiocomunicazioni avrà poi un giusto riconoscimento quando egli sarà chiamato a condividere con Marconi il premio Nobel per la fisica nel 1909.

Nel corso di questa competizione anglo-tedesca per le reti mondiali di radiocomunicazione, la qualità degli apparati tedeschi risultò sempre eccellente e in qualche caso migliore, dal punto di vista fisico, di quella degli apparati della Marconi Company. Un contributo fondamentale di Braun e della sua società in tal senso fu la soluzione del problema della selettività nelle nascenti radiocomunicazioni. Era necessario infatti che gli apparati riceventi fossero capaci di ricevere senza sovrapposizioni radioonde di frequenza differente provenienti da trasmettitori circostanti e che gli apparati trasmittenti fossero in grado di emettere radioonde in un intervallo di frequenze il più ristretto possibile. Dopo avere scoperto che ciò dipendeva dalla resistenza elettrica offerta, rispettivamente, dallo spinterometro e dal coherer nel circuito oscillante dell’antenna trasmittente e di quella ricevente, Braun risolse il problema trasferendo questi componenti in un apposito circuito oscillante principale, accoppiato induttivamente con l’antenna (brevetto tedesco del 13 ottobre 1898); poco dopo la Marconi Company replicò con una disposizione analoga (il famoso brevetto inglese n. 7777 del 26 aprile 1900).

Il risultato decisamente più importante nell’ambito della competizione anglo-tedesca per il raggiungimento di portate maggiori fu ottenuto il 12 dicembre 1901, quando Marconi riuscì a ricevere, in cuffia telefonica, segnali radiotelegrafici – corrispondenti alla lettera S – tra una stazione trasmittente a Poldhu (in Cornovaglia, all’estremità sudoccidentale della Gran Bretagna), che generava onde radio con lunghezza d’onda di 1800 m ca. (frequenza di 167 kHz ca.)mediante un alternatore di potenza di 25 kW, e una località presso St. John nell’isola di Terranova, poi chiamata Signal Hill. La ricezione fu realizzata attraverso 3400 km ca. di oceano, superando cioè anche la ‘montuosità equivalente’, alta 140 km ca., costituita dalla curvatura della superficie terrestre tra le due località terminali. La riuscita dell’esperimento diMarconi fu definitivamente confermata, quasi un anno dopo, dal fatto che – risolta una grave controversia di privative con la potente Compagnia dei cavi telegrafici transatlantici, proprietaria del cavo Inghilterra-Nordamerica – il 20 dicembre 1902 la Marconi Company, con due telegrammi diretti al re d’Inghilterra e al re d’Italia, dava inizio al servizio radiotelegrafico regolare tra la stazione britannica di Poldhu e la stazione canadese di Glace Bay, distanti 4100 km. La prima stazione era collegata alla rete telegrafica britannica ed europea, la seconda a quella canadese-statunitense e americana; le lunghezze d’onda furono per vari anni di 4200 m (frequenza di 71,4 kHz ca.) in un verso e 4900 m (frequenza di 61,2 kHz ca.) nel verso opposto. (P. Dominici)

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