La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La microscopia da Abbe al microscopio elettronico

Storia della Scienza (2004)

La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La microscopia da Abbe al microscopio elettronico

Bruno J. Strasser

La microscopia da Abbe al microscopio elettronico

Il microscopio è uno strumento che serve a produrre immagini ingrandite di oggetti minuscoli. La sua storia viene di solito raccontata come una serie di progressivi perfezionamenti verso una capacità sempre maggiore di risoluzione e di ingrandimento. Spesso le migliorie sembrano legate a nuove teorie della fisica, nel campo dell'ottica o dell'ottica elettronica, poi applicate alla costruzione di microscopi. Tuttavia, anche se negli ultimi due secoli le prestazioni dei microscopi sono molto migliorate, e se i fisici hanno svolto un ruolo importante a questo fine, la sua storia è qualcosa di più complesso. Nuovi strumenti per visualizzare oggetti furono concepiti in vari contesti che spesso non avevano nulla a che vedere con la microscopia. Sono stati poi utilizzati per costruire microscopi solo perché molti medici e fabbricanti di strumenti li integrarono nella tradizione della pratica microscopica. Spesso però i microscopisti si trovavano in disaccordo sul modo di misurare le prestazioni dei loro strumenti. Di conseguenza, anche i tentativi di stabilire standard certi sono parte integrante dello sviluppo di nuovi strumenti. Nell'Ottocento e nel Novecento, tre categorie di persone interagirono costantemente per determinare lo sviluppo del microscopio: i fisici, i ricercatori del settore biomedico e i costruttori di strumenti.

La microscopia nel XIX secolo

Intorno al 1800, le persone che usavano strumenti ottici, come i microscopi e i telescopi a rifrazione, si trovavano ad affrontare diversi tipi di problemi che ne limitavano l'efficacia. Oltre ai limiti concernenti l'ingrandimento, il potere risolutivo e la nitidezza, questi strumenti presentavano due tipi di aberrazioni ottiche. L'aberrazione cromatica faceva sì che apparissero frange di colore ai bordi degli oggetti, causate dai raggi di luce di colore diverso che si diffrangevano in modo differente attraverso la lente. Le aberrazioni sferiche producevano invece un'immagine sfocata, dovuta al fatto che le lenti sferiche non facevano convergere la luce in un unico punto. Tali problemi furono affrontati empiricamente dai costruttori di strumenti, i quali tentarono di combinare diversi tipi di lenti per compensare queste imperfezioni. Il primo successo ottenuto fu la parziale correzione dell'aberrazione cromatica nei telescopi.

Alla fine del XVIII sec., i teorici dell'ottica e i costruttori di strumenti produssero i primi telescopi acromatici combinando lenti di vetro crown (con basso indice di rifrazione) e di vetro flint (poco dispersivo). I telescopi acromatici di Joseph von Fraunhofer (1787-1826) divennero particolarmente popolari. I costruttori di strumenti cominciarono a sperare di poter applicare le stesse soluzioni ai microscopi, ma le minori dimensioni delle loro lenti rendevano l'impresa molto più difficile.

A metà degli anni Venti dell'Ottocento, l'ottico e fabbricante di telescopi londinese William Tulley e gli ottici parigini della famiglia Chevallier produssero i primi microscopi acromatici soddisfacenti. Tali perfezionamenti furono ottenuti empiricamente e grazie alla straordinaria abilità di questi costruttori di strumenti.

Il problema delle aberrazioni sferiche di solito veniva affrontato riducendo l'apertura, ma questo comportava una diminuzione del potere risolutivo e della luminosità. Alla fine degli anni Venti, tuttavia, il mercante di vini e microscopista dilettante londinese Joseph Lister (1786-1869) scoprì empiricamente che per una data coppia di lenti acromatiche esistevano due punti, detti 'aplanatici', nei quali si poteva collocare un oggetto e riuscire a ottenere una buona correzione dell'aberrazione sferica. Sulla base di questo principio, furono costruiti molti microscopi composti che consentivano una correzione soddisfacente di entrambi i tipi di aberrazione e un alto livello di ingrandimento, contribuendo in questo modo al rapido sviluppo della microscopia a cominciare dalla metà dell'Ottocento.

Durante gli anni Settanta del XIX sec., il fisico e imprenditore Ernst Abbe (1840-1905) sviluppò una teoria fisica del microscopio che fu applicata, dalla ditta fondata nel 1846 da Carl Zeiss, alla produzione di strumenti che sarebbero divenuti famosi in tutto il mondo. Abbe diede anche il via a quella lunga alleanza tra fisici, ricercatori biomedici e costruttori di strumenti che si sarebbe dimostrata così fruttuosa per lo sviluppo della nuova strumentazione microscopica fino ai nostri giorni. In realtà, prima di Abbe, i fisici e i matematici erano stati spesso coinvolti nella progettazione di telescopi, dato che l'astronomia faceva parte della loro formazione, ma tranne qualche importante eccezione, non si erano mai molto interessati ai microscopi.

Abbe aveva studiato fisica presso le Università di Jena e Gottinga, dove nel 1861 aveva conseguito il dottorato. Aveva studiato con il matematico Georg Friedrich Bernhard Riemann e con un ex assistente di Carl Friedrich Gauss, il fisico Wilhelm Weber, specializzato nella teoria degli strumenti di misurazione. Nel 1863 Abbe divenne professore di matematica, fisica e astronomia all'Università di Jena, ma fu solo grazie ai suoi rapporti con il laboratorio di strumentazione ottica e meccanica di Zeiss nella stessa città che cominciò a interessarsi alla ricerca sui microscopi. Zeiss, che dirigeva personalmente il laboratorio, si era formato sotto la guida di un esperto di meccanica ma, diversamente dalla maggior parte dei costruttori di strumenti, aveva anche seguito alcuni corsi di matematica e di fisica all'Università di Jena. Fu probabilmente per questo motivo che pensò ai possibili vantaggi di una collaborazione con un fisico che avesse una preparazione più formale. Le difficoltà economiche spinsero Abbe a prendere in considerazione la proposta di lavorare, come consulente scientifico, per il già fiorente laboratorio di Zeiss, per il quale progettò strumenti di misurazione per i sistemi ottici come il focometro, che serve a misurare la lunghezza focale delle lenti.

I due contributi più famosi di Abbe furono quello di aver ricavato la 'condizione dei seni' e il rapporto tra lunghezza d'onda e potere risolutivo. Solo se si verificano alcune condizioni geometriche ‒ la condizione dei seni ‒ è possibile ottenere immagini ingrandite senza alcuna aberrazione sferica o cromatica. Questa scoperta pubblicata nel 1873 su "Archiv für mikroskopische Anatomie", rivista molto letta dai microscopisti, spiegava alcune delle precedenti osservazioni empiriche di Lister e avrebbe costituito un prezioso aiuto per la progettazione razionale dei futuri microscopi. La compagnia di Zeiss applicò immediatamente le conclusioni teoriche di Abbe ad alcuni dei nuovi microscopi che presentò nel catalogo del 1872. Fu necessario tuttavia molto tempo per convincere i microscopisti della superiorità degli strumenti costruiti in base alle specifiche di Abbe. Zeiss e Abbe si adoperarono molto per dimostrare la superiorità del loro prodotto, che ridefiniva il modo di misurare le prestazioni dei microscopi. Sfruttando la già esistente teoria della diffrazione, Abbe dedusse che la capacità di un microscopio di risolvere la distanza minima d dipende dalla lunghezza d'onda della fonte di luce λ, dall'indice di rifrazione n del mezzo che separa l'oggetto dall'obiettivo e, infine, dall'apertura angolare α dell'obiettivo:

[1] d=λ/2n senα.

Il fisico tedesco Hermann von Helmholtz (1821-1894) sarebbe arrivato indipendentemente alla stessa conclusione poco tempo dopo. Secondo la formula di Abbe, qualsiasi struttura di dimensioni più piccole di d vista attraverso un microscopio dovrebbe essere considerata un artefatto. La società di Zeiss pubblicizzò i suoi microscopi dichiarando che erano costruiti in base alle teorie di Abbe, garantendo così l'affidabilità delle osservazioni fatte con questi strumenti. Nel 1878 Zeiss introdusse anche l'obiettivo a immersione, partendo da un'idea di John Ware Stephenson (1819-1901). Il contributo di Abbe alla teoria del microscopio come pure la straordinaria abilità degli artigiani della Zeiss assicurarono un grande successo alla società, che nel 1880 impiegava già circa ottanta operai. In quell'epoca, furono apportati ulteriori miglioramenti al microscopio grazie alla collaborazione del chimico Otto Schott (1851-1935), il quale concepì una nuova gamma di vetri ottici che consentivano una migliore correzione delle aberrazioni. Nel 1904, come conseguenza diretta della formula di Abbe, Zeiss realizzò un microscopio in cui la luce visibile era sostituita da quella ultravioletta. La sua minore lunghezza d'onda permetteva infatti di aumentare ulteriormente il potere risolutivo del microscopio.

Nella seconda metà del XIX sec., la microscopia costituiva un settore in rapida espansione. Questo era dovuto non soltanto alla disponibilità di strumenti più accurati, ma anche allo sviluppo di diverse tecniche associate per la preparazione dei campioni come i vari sistemi di fissaggio, la colorazione e la microtomia. Il carminio, le tinture di ematossilina e di anilina furono introdotte negli anni Sessanta dell'Ottocento e svolsero un ruolo essenziale nella colorazione dei materiali biologici, grazie alla loro affinità per alcune strutture specifiche della cellula. Al tempo stesso, vennero perfezionati i microtomi e fu introdotta l'inclusione in paraffina. Il microtomo basculante di Cambridge, introdotto nel 1885, e il microtomo rotante di Minot, introdotto nel 1886, divennero particolarmente popolari tra i microscopisti. Tutti questi sviluppi tecnici erano strettamente collegati alla contemporanea rapida espansione di diversi settori della biomedicina per i quali l'osservazione al microscopio era essenziale come, per esempio, l'anatomia patologica, la teoria cellulare, l'embriologia, la batteriologia e la teoria dei germi quale causa delle malattie. L'osservazione microscopica svolse infatti un ruolo essenziale in numerose controversie scientifiche, tra le quali la più famosa fu quella tra Louis Pasteur e Robert Koch sull'agente patogeno dell'antrace.

Dal microscopio ottico ai microscopi elettronici

Anche se quello delle scienze biomediche rappresentava un mercato importante per i costruttori di strumenti, non era certo l'unico. La chimica e le scienze della materia divennero ulteriori campi di applicazione per i microscopi, soprattutto nel XX secolo. Nel 1903, per esempio, l'invenzione dell'ultramicroscopio da parte del chimico Richard Zsigmondy (1865-1929) e del fisico Heinrich Wilhelm Friedrich Seidentopf (1872-1940) fu strettamente collegata alle teorie della chimica dei colloidi e al dibattito sull'esistenza di atomi e molecole. Avvenne ancora una volta nell'industria Zeiss e fu incoraggiata dallo stesso Abbe che ne era divenuto il direttore dopo il ritiro di Zeiss. Nell'ultramicroscopio, l'illuminazione non è parallela ma perpendicolare all'asse dello strumento. A causa dell'effetto di diffusione ('effetto Tyndall'), è possibile visualizzare singole particelle molto più piccole del potere risolutivo dei microscopi ottici. Questo strumento svolse un importante ruolo nello sviluppo della chimica dei colloidi nonché nello studio del moto browniano. Nel 1925 Zsigmondy vinse il premio Nobel per la chimica grazie al suo lavoro sui colloidi e all'invenzione dell'ultramicroscopio.

Nel 1930 il fisico olandese Fritz Zernike (1888-1966) scoprì il fenomeno del contrasto di fase, che poi applicò alla progettazione di un microscopio per osservare oggetti a basso contrasto senza bisogno di colorazione. La microscopia a contrasto di fase si basa sui principî di interferenza della luce. Le differenze tra i diversi indici di rifrazione e i diversi spessori di un oggetto, indipendentemente dal suo assorbimento (colore) producono differenze di fase della luce. Queste vengono convertite dal microscopio a contrasto di fase in variazioni di intensità e, di conseguenza, producono un'immagine.

Nel 1932 Zernike effettuò una dimostrazione del suo nuovo microscopio alla Zeiss Werke, ma la ditta di Jena non ne fu particolarmente colpita. Fu solo durante la guerra che cominciò a commercializzare questo tipo di strumento, il quale avrebbe svolto un ruolo centrale nello sviluppo della biologia del dopoguerra. Nel 1953 Zernike vinse il premio Nobel per la fisica grazie alla sua dimostrazione del metodo del contrasto di fase e all'invenzione del microscopio a contrasto di fase.

Nel corso del XX sec. sono stati aggiunti ai microscopi ottici numerosi dispositivi tecnici, e gli oculari, i supporti e le fonti di illuminazione ebbero diversi sviluppi. Tuttavia, l'innovazione più rivoluzionaria nel campo della microscopia è stata senza alcun dubbio l'invenzione del microscopio elettronico che, in retrospettiva, è stata vista come una conseguenza delle teorie sviluppate da Abbe e dal fisico Louis de Broglie (1892-1987). Nel 1924 de Broglie aveva dimostrato che era possibile attribuire agli elettroni in movimento proprietà simili a quelle delle onde e quindi applicare a queste particelle i principî dell'ottica. La lunghezza d'onda di un fascio di elettroni accelerata a 60.000 volt, per esempio, sarebbe stata 100.000 volte ca. più corta di quella della luce visibile. Dato il rapporto stabilito da Abbe tra la lunghezza d'onda e il potere risolutivo di un microscopio, usando i fasci di elettroni invece della luce, il potere risolutivo dello strumento risulta enormemente potenziato.

Nel 1931, gli ingegneri elettrici Ernst Ruska (1906-1988) e Max Knoll (1897-1969), due ricercatori dell'Università Tecnica di Berlino, ottennero la prima immagine elettronica ingrandita di un oggetto. Sembra comunque che in realtà la teoria di de Broglie non abbia minimamente influito sull'invenzione del microscopio elettronico di Ruska e Knoll. I due ingegneri stavano lavorando a un oscilloscopio ‒ non a un microscopio ‒ sulla base della teoria corpuscolare degli elettroni ‒ non di quella ondulatoria ‒ e sarebbero venuti a conoscenza della teoria di de Broglie un anno dopo. Quindi, soltanto retrospettivamente la teoria di de Broglie riusciva a spiegare perché in un microscopio elettronico si formassero immagini ingrandite.

Nello stesso anno in cui Ruska e Knoll presentarono la loro scoperta, un altro ingegnere, Reinhold Rüdenberg (1883-1961), che lavorava per la Siemens-Schuckert-Werke A.G., presentò la richiesta di brevetto per uno strumento che produceva immagini elettroniche. Nessuno dei due prototipi venne considerato un microscopio fino all'anno successivo. Gli ingrandimenti ottenuti nel 1932 erano di sole dieci volte. Ruska mirava ad aumentare tale ingrandimento collaborando con l'ingegnere Bodo von Borries (1905-1956) della Siemens, ma i ricercatori biomedici mostrarono poco interesse per questo microscopio. Di conseguenza le fabbriche di strumenti come la Zeiss rifiutarono le richieste di finanziamento di Ruska. I microscopi elettronici sembravano poco promettenti per lo studio dei campioni biologici in quanto l'oggetto da esaminare doveva essere nel vuoto, completamente disidratato, tagliato in sezioni estremamente sottili e capace di resistere al forte bombardamento degli elettroni. Questo tipo di strumento sembrava molto più adatto alle scienze della materia piuttosto che alla biologia o alla medicina. Tuttavia, nel 1937 Ruska e Borries riuscirono finalmente a convincere la Siemens a finanziare le loro ricerche. Un anno dopo, la società aprì un laboratorio diretto dal fratello di Ruska, il fisico Helmut Ruska (1908-1973), per dimostrare le possibili applicazioni del microscopio elettronico alla biologia e alla medicina. Nel 1939, quando la Siemens produsse il suo primo microscopio commerciale, il laboratorio aveva già pubblicato più di venti articoli in cui presentava strutture biologiche visibili solo con il microscopio elettronico. Nel 1944, quando il laboratorio e la fabbrica furono distrutti dai bombardamenti degli Alleati, la Siemens aveva già prodotto quarantacinque microscopi elettronici che venivano usati in chimica, biologia, medicina e metallurgia. La fabbrica riprese la produzione nel 1949, e nel 1986 Ernst Ruska vinse ex aequo il premio Nobel per la fisica per il suo lavoro sull'ottica elettronica e la progettazione del primo microscopio elettronico.

A causa dello scoppio della Seconda guerra modiale, la produzione di microscopi elettronici da parte dei tedeschi non ebbe un grosso impatto sulle comunità scientifiche di altri paesi. Negli anni Trenta del Novecento, in Europa e negli Stati Uniti furono portati avanti progetti su scala ridotta per la realizzazione di microscopi elettronici. L'iniziativa che ebbe maggior successo fu indiscutibilmente quella della Radio Corporation of America (RCA) che nel 1938 assunse per realizzare il proprio progetto il fisico belga Ladislas Marton (1901-1980), che aveva conosciuto Ruska e Knoll a Berlino prima di fuggire negli Stati Uniti. Un anno dopo, l'RCA assunse il microscopista canadese James Hillier il quale riuscì a realizzare il primo microscopio elettronico commerciale americano, che fu immesso sul mercato alla fine del 1940. Come aveva fatto la Siemens, anche l'RCA assunse un biologo, Thomas F. Anderson (1928-1989), per studiare le applicazioni del nuovo strumento alla biologia e alla medicina. Anderson ebbe un ruolo fondamentale nel convincere la comunità biomedica ad adottare il microscopio elettronico come strumento di ricerca. La decisione da parte del governo americano di considerare il lavoro dell'RCA nel campo della microscopia elettronica una priorità di guerra, e le altre forme di sostegno che ricevette, aiutarono la società a divenire in breve tempo l'azienda leader del settore. Alla fine della guerra, i rappresentanti dell'RCA e di altre industrie americane si recarono in Germania nell'ambito di missioni militari segrete per indagare sulle scoperte tecniche realizzate durante la guerra e sulla produzione industriale delle fabbriche di microscopi elettronici tedesche, compresa la Siemens.

Sebbene alla fine del conflitto l'RCA dominasse il mercato della microscopia elettronica, varie società inglesi, olandesi, tedesche, giapponesi, francesi e svizzere commercializzarono una serie di nuovi strumenti. Le innovazioni più importanti riguardavano i metodi di preparazione. Nel caso dei campioni biomedici questi metodi erano particolarmente delicati. Era difficilissimo preservare le strutture naturali nelle condizioni estremamente innaturali dell'osservazione al microscopio elettronico. Lo studio di campioni molli, come le cellule o i tessuti, risultava particolarmente arduo. L'introduzione di fissativi (come il tetrossido di osmio), di resine plastiche per l'inclusione (metacrilati e resine epossidiche) si dimostrò essenziale per rendere osservabili al microscopio elettronico i campioni biologici, permettendo di visualizzare strutture microscopiche interne alla cellula fino ad allora impossibili da vedere, tra cui i mitocondri, il reticolo endoplasmatico e le membrane nucleari. Contributi particolarmente importanti in questo campo furono quelli di Keith Porter (1912-1997), di George E. Palade (premio Nobel per la medicina o la fisiologia nel 1974), del Rockefeller Institute di New York e di Fritiof Sjöstrand del Karolinska Institutet di Stoccolma. Negli anni Sessanta, nuove tecniche di preparazione come l'autoradiografia e il metodo freeze-fracture (che si basa sul congelamento rapido dei campioni e la loro successiva frattura; risulta utile soprattutto per l'osservazione delle sezioni di membrane cellulari) hanno esteso ulteriormente il campo di applicazione dei microscopi elettronici nella ricerca biomedica.

Nel XX sec. i microscopi elettronici sono stati anche ampiamente usati nelle scienze fisiche e in quelle della materia, in particolare in metallurgia. In quest'ultimo campo, l'introduzione del microscopio elettronico a scansione si è rivelata di particolare utilità per i ricercatori. Sebbene in Germania e negli Stati Uniti fossero stati fatti alcuni tentativi per realizzare qualcosa del genere già durante la guerra, lo strumento è stato commercializzato solo nel 1965, grazie al lavoro svolto dall'ingegnere elettrico inglese Charles Oatley (1904-1996) con i suoi ricercatori Dennis McMullan e Kenneth Smith alla Cambridge University. Diversamente dal microscopio elettronico a trasmissione, quello a scansione permette di produrre incredibili immagini tridimensionali di superfici, una caratteristica ampiamente sfruttata anche nel settore della biologia. Oggi, nella ricerca scientifica, e in ognuna delle sue specializzazioni, coesistono molti tipi diversi di microscopi elettronici. Tutti comunque contribuiscono a modo loro alla costruzione delle nostre rappresentazioni del mondo invisibile.

Tavola I - LA MICROSCOPIA ELETTRONICA

Soprattutto nella seconda metà del XX sec. si assiste al progressivo affermarsi delle tecniche di microscopia elettronica, quale poderoso strumento di conoscenza dell’‘ultrapiccolo’, qui documentato attraverso alcuni momenti chiave della sua evoluzione tecnologica.

Il microscopio realizzato presso l’RCA Laboratory possedeva una camera di diffrazione fondamentale per lo studio della struttura molecolare dei campioni. I meccanismi chimico-fisiologici alla base dell’azione terapeutica della penicillina vennero compresi per la prima volta grazie a questo strumento. Furono proprio gli scienziati dell’RCA che resero note tali risultanze nel corso di una conferenza della Society of American Bacteriologists durante il secondo conflitto mondiale.

Il primo microscopio elettronico a scansione (SEM) venne costruito su iniziativa di Sir Charles Oatley del Dipartimento di ingegneria della Cambridge University. Il progetto ebbe inizio nel 1948 e nel 1951 fu impiegato il primo strumento realizzato; per ottenere le prime immagini di elevata qualità dovettero tuttavia trascorrere ancora alcuni anni (1960). Il primo microscopio elettronico a scansione per uso commerciale, lo Stereoscan, venne realizzato dalla Cambridge Instrument Company nel 1965.

Nelle altre immagini sono mostrate le evoluzioni più recenti di queste tecnologie, per quanto riguarda sia le strumentazion, sia le immagini ottenibili.

In particolare questa ultima figura mostra la parte superiore del fago costituita da un involucro proteico che contiene il materiale genetico. Il ‘collo’ colorato in rosso funziona come una sorta di siringa per introdurre il materiale genetico virale all’interno del batterio ospite. Le sei appendici in basso servono invece a garantire l’adesione del fago alla cellula batterica da colonizzare. Una volta inserito all’interno del batterio, il DNA del virus lo istruirà in modo che siano prodotti nuovi fagi. (D. Cesarini)

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