LANFRANCO da Pavia, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANFRANCO da Pavia, santo

H. E. J. Cowdrey

Nacque a Pavia, probabilmente intorno al 1010. Gervasio di Canterbury fa menzione dei genitori Eribaldo e Roza. Il padre, cittadino di rilievo, attivo nella vita politica della città, morì probabilmente quando L. era ancora bambino. L. conseguì comunque un buon livello di istruzione nelle arti liberali a Pavia o in qualche altra città dell'Italia settentrionale. Dovette ricevere inoltre una buona formazione giuridica, della quale restano testimonianze, per questo primo periodo, indirette e generiche.

Intorno al 1030 L., studente di arti liberali, lasciò l'Italia, spinto forse più dall'instabilità politica che vi regnava più che attratto dalle scuole e dai monasteri d'Oltralpe. Insieme con altri studenti intraprese un viaggio verso la Francia, soggiornando nella valle della Loira e dirigendosi verso la Normandia, per proseguire alla fine il viaggio da solo. La sua conversione alla vita monastica ebbe luogo repentinamente, intorno al 1042, allorché L. riuscì a sfuggire ad alcuni rapinatori in una foresta sulla via di Rouen.

L. evitò deliberatamente i più grandi e ricchi monasteri della Normandia e si diresse verso Bec, fondato da poco da Erloino, cavaliere convertito alla vita monastica. Gli esordi del suo apprendistato alla regola benedettina furono irti di difficoltà. La disillusione che maturò nei confronti della vita religiosa a Bec lo spinse a progettare la fuga verso una vita da eremita, ma dopo la scoperta da parte di Erloino delle sue intenzioni, accettò di vivere a Bec e di assumere un ruolo importante nel suo sviluppo. Intorno al 1045, Erloino designò L. come suo successore al priorato e L. ebbe il ruolo di secondo di Erloino sino alla partenza per Caen nel 1063.

Si deve principalmente a L. la trasformazione di Bec da sede povera e poco influente a monastero fiorente e autorevole alla pari dei grandi e famosi monasteri normanni. Nonostante l'intenzione di abbandonare gli studi secolari, L. fondò una scuola che conquistò una vasta fama, tanto da attrarre risorse utili per l'edificazione di nuove costruzioni e per attirare molte persone alla scuola e al monastero. L'elenco di coloro che studiarono a Bec include Anselmo d'Aosta, che successe a Erloino come abate e a L. come arcivescovo di Canterbury, e altre figure della Chiesa anglo-normanna come Ernulf e Gundulf, che furono entrambi vescovi di Rochester, e il canonista Ivo di Chartres. Sono invece da considerare incerte quelle fonti che hanno ritenuto L. maestro di Anselmo da Baggio, futuro papa Alessandro II, e di suo nipote, il vescovo di Lucca Anselmo (II).

Nel 1063 L. divenne il primo abate dell'abbazia di St-Étienne a Caen fondata da Guglielmo duca di Normandia, dove, fino alla sua nomina ad arcivescovo di Canterbury nel 1070, si occupò ancora una volta degli edifici monastici e della organizzazione della comunità. La fondazione di St-Étienne, all'interno di un disegno politico concepito dal duca Guglielmo, aveva il significato di favorire lo sviluppo della città di Caen, quale centro del potere ducale nella Bassa Normandia che potesse bilanciare il ruolo di Rouen nell'Alta Normandia.

Sia a Bec, sia a Caen L. svolse un ruolo importante negli affari ecclesiastici e secolari anche fuori dal monastero, come testimoniato dal suo coinvolgimento nei difficili esordi dell'abbazia di St-Evroult, come ricorda Olderico Vitale. Secondo Guglielmo di Poitiers L. divenne il consigliere di fiducia e il direttore spirituale personale del duca Guglielmo. Ciononostante, le notizie circa le sue attività nel Ducato sono stranamente molto scarse. A eccezione dell'incontro con Berengario di Tours al concilio di Brionne (1050), non vi sono altre testimonianze della sua partecipazione attiva ai concili che erano caratteristici della vita ecclesiale normanna. Nel 1067 rifiutò la richiesta che gli era stata presentata dal clero e dal popolo di Rouen di succedere al vescovo Maurilio. Fu invece certamente esagerato da resoconti più tardi il ruolo svolto da L. nella soluzione del problema di consanguineità posto dal matrimonio del duca Guglielmo con Matilde di Fiandra.

Notevole importanza rivestono i rapporti avuti da L. con i papi della riforma, da Leone IX ad Alessandro II. Non è chiaro se egli fosse presente al sinodo di Reims indetto da Leone IX nell'ottobre 1049, ma faceva certamente parte del seguito papale che viaggiò, con tappe a Verdun e Metz, verso Magonza, dove Leone IX e l'imperatore Enrico III presiedettero un altro importante sinodo riformatore. In seguito L. ricorderà la sua presenza a Remiremont (nei Vosgi) quando Leone IX vi consacrò la chiesa monastica. Il papa si diresse in seguito verso il Sud della Germania e celebrò il Natale del 1049 a Verona. Nella primavera del 1050 il pontefice tenne un sinodo a Siponto e un altro, al quale L. era certamente presente, si svolse a Roma nel mese di aprile. L. scrisse che Leone gli aveva chiesto con "praecepto et precibus" di rimanere con lui fino al sinodo di Vercelli il settembre successivo (Patr. Lat., CL, col. 413). Se si accetta l'ipotesi che abbia viaggiato sempre con il papa, L. avrebbe visitato allora anche Benevento e Firenze.

L. intervenne nei concili di Roma e di Vercelli sulle teorie eucaristiche sostenute da Berengario di Tours. La posizione espressa da L., che riteneva reale la presenza del corpo e del sangue di Cristo nell'eucarestia, avrebbe trovato in ambito conciliare la sua più compiuta espressione nella professione di fede redatta da Umberto di Silva Candida, sulla quale a Berengario fu chiesto di prestare giuramento nel corso del concilio Lateranense indetto da papa Niccolò II nel 1059, al quale non si sa se L. partecipò.

L. fu però certamente a Roma nel 1067, per assicurarsi l'autorizzazione di papa Alessandro II a trasferire il vescovo Giovanni di Avranches all'arcidiocesi di Rouen. Le lettere dei papi Niccolò II e Alessandro II testimoniano la loro grande considerazione nei confronti di L. come monaco, maestro e uomo di Chiesa. I contatti prolungati e articolati che L. intrattenne con il Papato riformatore, del quale fu un convinto sostenitore, e in modo particolare i viaggi nei quali accompagnò papa Leone IX, non lasciano alcun dubbio circa la sua intima comprensione e adesione ai fini e ai metodi della riforma: ebbe familiarità con le personalità di spicco che essa espresse, tra cui il chierico Ildebrando, futuro papa Gregorio VII, e il cardinale Umberto di Silva Candida, che L. ammirava non solo per le sue posizioni nella disputa sull'eucarestia, ma anche per la sua fede e le sue idee.

In qualità di studioso e docente L. potrebbe avere scritto opere di dialettica, ma di questa produzione poco ci è stato tramandato. Egli spostò gradualmente e in modo sempre più intenso i suoi interessi verso lo studio della Bibbia, specialmente dei Salmi, e delle lettere di Paolo. Ci è stato tramandato il suo commentario alle lettere paoline che si presenta come una serie di glosse al testo sacro che non sono rivolte in particolar modo a un pubblico monastico ma all'intero corpo della Cristianità, riservando grande attenzione alle questioni morali. L. mostra grande interesse per questioni come la giustificazione, la redenzione e lo sviluppo della rivelazione divina nel passaggio dall'Antico al Nuovo Testamento e insiste su un uso corretto della dialettica come strumento per esplorare la verità cristiana di cui i testi sacri offrono la rilevazione prima ed esaustiva. È questo il tema esplorato nel trattato De corpore et sanguine Domini, completato dopo il suo trasferimento a Caen, che L. rivolgeva contro Berengario di Tours, definito nemico della Chiesa cattolica. Il trattato si apre con una lunga disamina dello Scriptum contra synodum che Berengario aveva scritto dopo il concilio Lateranense indetto da Niccolò II nel 1059. L'imputazione che L. rivolge a Berengario è di aver abbandonato la Sacra Scrittura per trovare rifugio nella dialettica. Questo errore lo aveva quindi condotto a propugnare una concezione puramente simbolica della presenza del corpo e del sangue di Cristo dopo la consacrazione eucaristica, laddove l'autorità cristiana insegnava che, sebbene la sembianza esterna del pane e del vino rimanesse la stessa, essi divenivano realmente, e non solo simbolicamente, il corpo e sangue che Cristo aveva ricevuto dalla Vergine Maria.

Dopo la conquista normanna dell'Inghilterra del 1066 si dovette aspettare sino al 1070 perché i legati pontifici deponessero l'arcivescovo di Canterbury, Stigand, il quale aveva cumulato numerosi benefici e aveva ricevuto il pallio in modo non regolare. Il re Guglielmo scelse come successore di Stigand L., che era però riluttante ad accettare. I suoi dubbi furono però fugati dalle insistenze di Erloino e di Alessandro II. L. fu designato formalmente il 15 agosto e fu consacrato a Canterbury il 29 agosto. Nell'autunno del 1071 intraprese il viaggio verso Roma per ricevere il pallio; vi fu ricevuto con tutti gli onori dal papa, che gli conferì un secondo pallio personale.

L'impegno principale di L. come arcivescovo fu riassunto dopo la sua morte nella formula "ad mores hominum corrigendos et componendum ecclesie statum" (Vita Lanfranci, p. 692). L. ebbe ben presto a lamentarsi che i suoi intenti di moralizzazione trovavano delle resistenze e si risolse perciò ad avviare in tempi brevi una riforma della Chiesa che avrebbe facilitato il suo compito. Un primo obiettivo fu quello di affermare il primato e l'autorità della sede di Canterbury secondo le direttive pseudo-isidoriane. La Chiesa d'Inghilterra era composta dalle due diocesi di Canterbury e di York. Il primato di Canterbury su York fu oggetto di complessi e lunghi negoziati, avviati nel 1071, che culminarono negli incontri svolti a Winchester e a Windsor rispettivamente nella Pasqua e nella Pentecoste dell'anno successivo. L. si assicurò una professione di obbedienza da parte dell'arcivescovo di York Tommaso di Bayeux nei confronti della persona sua e dei suoi successori nella sede di Canterbury, alla quale era riconosciuta la primazia.

Le professioni di obbedienza che L. rigorosamente richiedeva ai vescovi neoeletti testimoniano chiaramente l'importanza che egli attribuiva al primato di Canterbury. Sotto altri aspetti però tale primato era meno sicuro di quanto L. non avesse desiderato. Innanzitutto, il re si rifiutò di accordargli il diritto di chiedere il giuramento di obbedienza all'arcivescovo di York; inoltre, ed era questione certamente più grave, su pressante richiesta dell'allora arcidiacono Ildebrando di Soana, il Papato rifiutò la concessione di un privilegio pontificio che confermasse la primazia di Canterbury fino a che L. non si fosse recato di nuovo a Roma, cosa che egli invece non fece mai. Non vi sono prove che L. sia stato responsabile in prima persona della falsificazione di privilegi a favore del primato di Canterbury che sarebbero stati concessi dai pontefici precedenti. L. rivendicò inoltre il primato di Canterbury su tutte le isole britanniche al quale papa Gregorio VII accordò una tacita approvazione.

L. compì passi decisivi per consolidare la chiesa di Canterbury secondo quanto richiesto dal suo ruolo di Chiesa primaziale. Un incendio avvenuto nel 1067, che aveva seriamente danneggiato la cattedrale e gli edifici adiacenti appartenenti al monastero, gli consentì di avviare il vasto programma di ristrutturazione. L. si occupava di tutti gli aspetti della vita di Canterbury: materiale, economico e religioso. Egli istituì tre fondazioni caritatevoli, l'ospedale di S. Giovanni Battista, il priorato di S. Gregorio Magno e l'adiacente lebbrosario di S. Nicola, contribuendo in questo modo a rafforzare la sua immagine di uomo dedito alla carità.

Il principale strumento di promozione della Chiesa d'Inghilterra di cui L. si servì furono i concili, che erano stati una caratteristica tipica della Chiesa in Normandia fino al 1066, ma che erano caduti in oblio nell'Inghilterra anglosassone. Tuttavia, agli inizi del 1070 alcuni legati pontifici avevano tenuto concili a Winchester e a Windsor. L. tenne concili a Winchester (1072), Londra (1075), ancora Winchester (1076), di nuovo Londra (1077-78), e quindi a Gloucester (1080, 1085). L. considerò il concilio di Londra del 1075 come un punto di riferimento e i canoni conciliari illustrano bene la vastità e il carattere delle questioni trattate. È interessante la norma impartita nel concilio di Winchester (1076), che non imponeva ai sacerdoti sposati, sia della città sia della campagna, di ripudiare le proprie mogli, ma vietava da allora in poi ai preti il matrimonio. Nonostante non siano pervenuti documenti precisi circa l'impatto della sua azione sulla struttura delle diocesi, appare certo che sotto il suo governo ai vescovi era richiesto di tenere con regolarità sinodi diocesani. Una conseguenza di ciò fu che gli arcidiaconi, che avevano poca importanza nella Chiesa prima del 1066, furono considerati nelle diocesi ufficiali episcopali, sebbene non sembra che abbiano goduto di giurisdizioni territoriali. È quasi certo che fu proprio con la collaborazione di L. che, in una data non nota, il re emise il provvedimento di separazione della giurisdizione ecclesiastica: vescovi e arcidiaconi in futuro non avrebbero potuto giudicare sentenze in materia spirituale nella corte dell'hundred (il provvedimento non faceva riferimento alcuno alle corti di contea), né i laici avrebbero dovuto occuparsi delle questioni che concernevano la cura delle anime. Ai trasgressori era fatto obbligo di comparire nel luogo decretato dal vescovo, dove sarebbero stati giudicati "secundum canones et episcopales leges".

Il riordino della Chiesa operato da L. richiedeva una conoscenza e una diffusione del diritto canonico ben più ampie di quanto non fosse necessaria prima della sua nomina ad arcivescovo. È da considerare perciò di grande importanza l'acquisto che L. fece dal monastero di Bec della collezione di diritto canonico, nota comunemente come Collectio Lanfranci, che egli donò alla Christ Church di Canterbury (ora si trova presso il Trinity College di Cambridge, Mss., B.16.34). In gran parte il contenuto della Collectio ricalca in forma concisa e con una diversa organizzazione le decretali pseudo-isidoriane. Essa si articola in due parti: le decretali pontificie fino a Gregorio II (715-731) e i decreti dei primi concili; in essa non traspare l'intenzione di modificare i contenuti dottrinali ed ecclesiologici della raccolta pseudo isidoriana ed è inoltre riconfermata la sua concezione dell'autorità pontificia. Nel codice sono stati inoltre copiati un certo numero di documenti riguardanti L. e i suoi tempi. Dalla Collectio furono esemplate diverse copie che circolarono nelle diocesi inglesi e che la resero pertanto il principale documento di diritto canonico nella Chiesa inglese sino al Decretum di Graziano. La concezione che L. ebbe dell'autorità del diritto canonico è resa in modo particolarmente chiaro nei canoni conciliari di Londra (1075). Egli insistette con gli altri vescovi presenti in quella occasione sulla necessità dello studio e dell'applicazione del diritto canonico al fine di un appropriato adempimento della carica vescovile.

Essendo stato monaco per venticinque anni, una volta nominato arcivescovo L. fu profondamente coinvolto nelle vicende monastiche in Inghilterra. L. si può definire come un monaco-arcivescovo che rimase legato alla vita benedettina. Canterbury era una delle quattro cattedrali inglesi che avevano un passato di capitoli monastici sin dalle riforme del X secolo attuate da Dunstan, Ethelwold e Oswald. A Canterbury L. si trovò perciò ex officio abate del monastero della cattedrale. La combinazione di questi incarichi gli fu congeniale: fu egli stesso ad affermare che vi era molto in comune tra vescovi e abati, in quanto i vescovi, accordando le loro paterne cure in nome di Cristo ai propri fedeli, possono essere chiamati anche abati, cioè padri. Nei limiti in cui gli fu possibile quando era a Canterbury, L. condivise perciò la vita dei monaci della cattedrale, dei quali aumentò il numero da venti a forse più di sessanta. L. fu cauto nell'introdurre riforme nella comunità che aveva trovato piuttosto trascurata. Tuttavia la rafforzò con nuovi monaci provenienti da Bec e da Caen e allo stesso modo incrementò la biblioteca con l'acquisizione di nuovi libri. Probabilmente pochi anni dopo la consacrazione della nuova cattedrale avvenuta nella domenica delle Palme del 1077, L. introdusse le Constitutiones monasticae, che regolavano l'anno liturgico, gli incarichi, l'amministrazione e la disciplina della comunità. L. dichiarò di avere compilato le Constitutiones prendendo spunto da quelle dei monasteri più autorevoli del suo tempo; in effetti esse non mostrano traccia della Regularis concordia dei riformatori inglesi del X secolo né delle consuetudini di Bec, che L. sembra aver seguito a Caen; egli deve molto di più alle compilazioni cluniacensi di Odilone e di Bernardo. L. pensò le sue Constitutiones probabilmente per la sola Canterbury, tuttavia esse furono adottate anche in altri monasteri.

L'approvazione che L. espresse nei confronti dell'istituzione dei monasteri delle cattedrali ne assicurò la conservazione a Winchester e a Worcester e la loro introduzione, durante la sua vita, a Rochester e Durham. L. si spese molto per incoraggiare la vita monastica anche in altri luoghi. Sostenne in modo particolare Saint Albans, dove divenne abate il nipote Paolo, e protesse i monasteri dalle rivendicazioni dei loro vescovi, così come accadde a Bury St. Edmunds e a Coventry. Le sue lettere offrono ampia testimonianza anche dell'interesse che nutrì nei confronti di singoli monaci.

Nelle questioni attinenti alla Chiesa e al Regno inglesi, l'armonia e la collaborazione che segnarono i rapporti di L. con la monarchia, così come la deferenza che il re mostrò nei suoi confronti, sono ampiamente attestati.

In tutte le questioni che riguardavano gli affari pubblici L. si mostrò in ogni caso deferente nei confronti del re. In Inghilterra, così come in Normandia, i concili della Chiesa erano soggetti alla volontà del re che poteva essere presente e, in caso di assenza, le questioni delicate dovevano attendere il suo ritorno; le lettere di L. testimoniano che la volontà del re era tenuta in conto anche per questioni di poco rilievo.

Per quanto concerne gli incarichi secolari affidati a L. da Guglielmo, va accolta con grande cautela l'affermazione secondo la quale quando il re era in Normandia L. rimaneva a capo e a guardia dell'Inghilterra. Il caso più noto di esercizio di tale autorità da parte di L. fu in occasione della ribellione dei conti nel 1075. Tuttavia, a parte il caso delle "crown-warings" presiedute direttamente dal re, le attestazioni dei documenti sembrano suggerire che quella di L. non fosse una presenza costante a corte, e certamente fu ben lontano dall'essere un prelato di corte. Solo raramente L. servì come giudice reale: gli editti di Guglielmo I mostrano tuttavia il riguardo con il quale il re considerava il parere di L. e in questo senso spiegano l'espressione "capo e guardia dell'Inghilterra" con la quale L. era definito.

L'atteggiamento di L. nei confronti di papa Gregorio VII fu piuttosto freddo: egli infatti trascurò di fare visita a Roma come parte dei suoi doveri di metropolita e ciò finì con l'indispettire Gregorio, il quale però non si determinò mai a passare dalle minacce all'azione. Le ragioni della freddezza di L. non sono affatto chiare: evidentemente aveva parteggiato per Guglielmo I nella sua opposizione alle richieste più estreme in tema di superiorità dell'autorità papale, e il citato rifiuto di Ildebrando di Soana nel 1072 di patrocinare l'immediata concessione di un privilegio papale potrebbe avere inasprito i rapporti di L. con il papa; ma, più probabilmente, L. fu sconcertato dai tempi lunghi per la condanna di Berengario di Tours da parte di Gregorio e dall'atteggiamento certamente più moderato mostrato dal papa rispetto a quello assunto dallo stesso L. e da Umberto di Silva Candida. La corrispondenza di L. testimonia che, dopo l'inizio dello scisma, che si protrasse lungo gli anni Ottanta del 1000 e dopo l'elezione dell'antipapa Clemente III, egli fu in corrispondenza con un sostenitore di Clemente, probabilmente il cardinale Ugo Candido. Tuttavia L. mantenne un atteggiamento distaccato nei confronti dello scisma non prendendo alcuna posizione. Né d'altronde vi è alcuna indicazione che contatti con gli scismatici fossero mai stati resi pubblici né che L. o il Regno inglese abbiano mai dato un chiaro sostegno a Clemente. Nel 1088 Urbano II annunciò a L. la sua elezione in termini che non mostravano alcuna incrinatura nella fiducia riposta nei suoi confronti.

Dopo la morte di Guglielmo I nel 1087, L. sostenne la successione di Guglielmo II il Rosso al trono inglese al posto del fratello maggiore Roberto duca di Normandia e si prodigò nel difenderlo contro il vescovo Odo di Bayeux e gli altri ribelli; L. ebbe invece la delusione di vedere tradite da Guglielmo II le sue promesse di buon governo. Ciononostante L. si distinse per le sue competenze giuridiche messe al servizio della Corona nel processo per tradimento contro il vescovo di Durham Guglielmo di Saint-Calais.

L. morì dopo breve malattia il 28 maggio 1089 e fu seppellito nella cattedrale di Canterbury.

Opere: In omnes Pauli epistolas commentarii, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CL, coll. 102-407; De corpore et sanguine Domini, ibid., coll. 407-442; The letters of Lanfranc, archbishop of Canterbury, a cura di H. Clover - M. Gibson, Oxford 1979; The monastic constitutions of Lanfranc, a cura di D. Knowles - C.N.L. Brooke, Oxford 2002.

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