LATTA

Enciclopedia Italiana (1933)

LATTA (fr. fer blanc; sp. hojalata; ted. Weissblech; ingl. tinplate)

Carlo Repetti

Col nome di latta viene designata una sottile lamiera di acciaio dolce, con spessore in genere inferiore a 1 millimetro, ricoperta di un sottilissimo, ma uniforme strato di stagno puro che ne rende la superficie lucida e brillante e che fino a un certo punto la protegge dall'ossidazione.

Le origini della fabbricazione vera e propria della latta non sono note: è certo però che essa veniva già fabbricata in Boemia nel sec. XVII con alcuni accorgimenti che ancora sono usati nella fabbricazione odierna. I primi lamierini venivano ottenuti mediante martellamento, in un primo tempo a mano e più tardi con magli azionati ad acqua, di blocchetti di ferro puddellato; quando il blocchetto era ridotto a forma di lastra, il lavoro di martellatura doveva essere necessariamente sospeso perché il metallo era divenuto freddo e quindi non più suscettibile di ulteriormente assottigliarsi. A questo stadio della fabbricazione due o più lastre venivano riunite a pacchetto, nuovamente riscaldate e successivamente battute al maglio; questo lavoro veniva ripetuto numerose volte fino a che i singoli fogli costituenti il pacchetto non raggiungevano in modo più o meno uniforme lo spessore voluto. Durante le varie fasi di questa lavorazione non era possibile evitare una notevole ossidazione delle superficie dei fogli, la quale però se da un lato poteva essere un inconveniente, impediva dall'altro che i fogli costituenti il pacchetto, sotto la pressione esercitata dal maglio, si saldassero tra loro.

Ma questo processo andò evolvendosi. Si cominciò col sostituire al maglio l'azione di due cilindri ruotanti in senso contrario, tra i quali si faceva passare e ripassare un massello di ferro di forma adatta, iniziando così un processo vero e proprio di laminazione dei lamierini. Quest'innovazione sembra fosse dovuta a un tal maggiore Hanbury che nel 1728, traducendo in pratica un'idea già espressa da J. Payne, mise in funzione un laminatoio a Pontypool (Galles). Molto più tardi, verso la seconda metà del sec. XIX, si sostituì al ferro puddellato l'acciaio dolcissimo ottenuto con i forni Martin-Siemens, Bessemer, Thomas, elettrici. Si evitarono così gl'inconvenienti del ferro puddellato, che conteneva nella sua massa grosse scorie in numero rilevante e perciò dava prodotto scadente, e si rese possibile la fabbricazione di ottimi e resistenti oggetti di latta mediante semplice stampaggio a freddo. Del vecchio processo si conservò il principio di laminare un pacchetto di lamierini, anziché un lamierino alla volta. Attraverso questo perfezionamento, la fabbricazione iniziatasi in Inghilterra si diffuse rapidamente nel mondo intero, e specialmente negli Stati Uniti d'America che passarono ben presto alla testa della produzione mondiale.

Fabbricazione dei lamierini. - L'acciaio necessario alla fabbricazione dei lamierini può essere ottenuto con uno qualunque dei processi in uso nella siderurgia moderna, più particolarmente in Italia con il forno Martin-Siemens a suola basica. Esso deve essere di ottima qualità, condizione essenziale per poter dare senza inconvenienti lamierini sottili (2/10 di mm.) facilmente stagnabili; deve essere inoltre molto dolce perché la latta ottenuta possegga i necessarî requisiti di duttilità per poter essere stampata e piegata a freddo. La sua composizione varia entro i limiti seguenti: carbonio 0,05 ÷ 0,10%; manganese 0,35 ÷ 0,50%; silicio fino a 0,05%; fosforo e solfo possibilmente meno di 0,05% ognuno.

L'acciaio colato in lingotti, a sezione generalmente quadrata, del peso variante da qualche quintale a più tonnellate, non può essere naturalmente utilizzato per la fabbricazione della latta sotto questa forma: esso viene trasformato in "bidoni" I bidoni sono piatti di larghezza normalmente variabile da 180 a 250 mm., con spessore da 10 a 50 mm. e di peso e lunghezza variabili a seconda della misura dei lamierini che si vogliono ottenere. Gli spigoli laterali dei bidoni sono arrotondati perché, essendo poi essi successivamente laminati in senso trasversale, non provochino urti troppo forti quando sono afferrati dai cilindri.

I bidoni si ottengono anch'essi con la laminazione sbozzando dapprima i lingotti in blooms con un treno blooming o sbozzatore e riducendo successivamente questi, mediante una nuova laminazione con un treno laminatoio più piccolo a duo o a trio, alla forma di bidone della larghezza e spessore desiderati. I bidoni uscenti dal treno con lunghezza che talora supera i 100 metri vengono tagliati poi in lunghezze minori mediante seghe o cesoie a caldo: i pezzi così ottenuti sono successivamente tagliati con cesoie a freddo in lunghezze corrispondenti all'incirca alla larghezza del lamierino che si vuole ottenere, perché, come è stato detto più sopra, essi sono successivamente laminati in senso normale alla loro lunghezza. In altre parole, la lunghezza del bidone corrisponde alla larghezza del lamierino.

All'estero, e specialmente in America, la laminazione dei bidoni è ottenuta con treni continui, a produzioni elevatissime. Un treno continuo esistente nelle officine della Indiana Steel Co. in Gary è costituito da otto gabbie, la prima delle quali viene alimentata con blooms a sezione di 190 × 112 mm.: la velocità media della barra è di m. 0,57 al secondo nella prima gabbia, di m. 4,6 al secondo nell'ultima: la produzione di tale treno continuo è di circa 50.000 tonnellate di bidoni al mese.

Ottenuto il bidone, ha inizio la fabbricazione vera e propria del lamierino per latta col seguente ciclo di lavoro (figg. 1 e 2):1. riscaldamento dei bidoni; 2. prima laminazione a lamierini di spessore relativamente elevato; 3. riunione di queste lamiere in pacchi, successivo riscaldamento e successiva laminazione (quest'operazione può essere ripetuta anche diverse volte); 4. taglio e squadratura dei pacchi; 5. separazione dai pacchi dei singoli fogli; 6. primo decapaggio e lavaggio dei fogli; 7. ricottura; 8. spianatura dei fogli mediante laminazione a freddo; 9. seconda ricottura; 10. secondo decapaggio.

1. Il riscaldamento dei bidoni avviene in forni generalmente alimentati a gas di gassogeno, più raramente a polvere di carbone (fig. 3). Si deve avere massima cura che l'atmosfera del forno sia riducente, per impedire un'eccessiva ossidazione della superficie dei bidoni. Analoghe precauzioni sono prese per impedire l'ingresso nel forno dell'aria esterna ogni volta che si apra la porta per estrarne il bidone da laminare. I forni sono posti davanti e nella vicinanza delle gabbie dove i bidoni saranno laminati. La temperatura di riscaldamento è di circa 9000.

2. Il bidone portato alla temperatura di laminazione è imboccato per il lato maggiore tra i due cilindri di una gabbia di laminazione (fig. 5), il cui cilindro superiore è dotato di un dispositivo a mano mediante il quale esso può essere abbassato o innalzato in modo da dare alla lamiera a ogni passaggio la necessaria pressione (per la descrizione della gabbia da laminatoio v. laminazione). I cilindri sono di ghisa dura, cioè colati in conchiglia, e lavorano senza alcun raffreddamento ad acqua, reso impossibile; tra l'altro, per l'inevitabile raffreddamento che l'acqua produrrebbe sui lamierini. Durante la laminazione i cilindri si riscaldano notevolmente e quindi si deformano: questa deformazione è più notevole nella parte centrale la quale, più delle estremità, è a contatto col ferro da laminare. In seguito a questi fenomeni il cilindro tende ad assumere una forma convessa e quindi la lamiera non si allungherebbe in modo uguale su tutta la lunghezza. Si ovvia a questo inconveniente sagomando i cilindri leggermente concavi nella loro parte centrale: iniziando la laminazione con cilindri freddi si usa la precauzione di laminare lamiere strette, passando successivamente a quelle più larghe a mano a mano che i cilindri si siano scaldati e la concavità sia diminuita o sparita. La laminazione si svolge a mano: il bidone passato attraverso i cilindri viene afferrato mediante tenaglie da un operaio posto dietro la gabbia, sollevato, appoggiato sul cilindro superiore e ripassato davanti, dove un altro operaio lo riafferra e lo reimbocca tra i cilindri.

3. A mano a mano che la lamiera si allunga e si assottiglia perde rapidamente calore, sia per irradiazione sia perché esso gli viene sottratto dai cilindri; quando la temperatura giunge al di sotto di un certo grado, la laminazione viene interrotta, e il lamierino, il cui spessore è già molto sottile, viene come si dice, doppiato. Esso viene piegato a metà, a libro, mediante una macchina piegatrice (fig. 4), nuovamente infornato e nuovamente laminato fino a che la sua temperatura lo permette. Si ripetono allora le operazioni di piegatura, successivo riscaldamento e laminazione fino a che si raggiungono lo spessore e la lunghezza desiderati.

4. I pacchetti di lamierini finiti di laminazione, dopo raffreddamento, vengono portati alle cesoie a freddo, con le quali essi vengono squadrati e ridotti alle misure richieste dal commercio.

5. Dopo raffreddamento, i fogli costituenti i varî pacchi debbono essere separati uno dall'altro: quest'operazione, per lo più abbastanza semplice perché i singoli fogli non aderiscono fortemente uno all'altro per l'effetto del leggiero strato di ossido, diventa talvolta assai difficile quando i fogli sono parzialmente o totalmente saldati gli uni agli altri. In questi casi bisogna ricorrere a sistemi speciali e non sempre si riesce a ricuperare tutte le lamiere.

6. Lo strato di ossido più o meno leggiero che ricopre i fogli staccati deve essere tolto prima della stagnatura; a questo scopo i fogli vengono immersi in vasche contenenti una soluzione di acido solforico molto diluita (a 10° Bé.) e riscaldata a 55°-65° a mezzo di un serpentino nel quale circola vapore. L'operazione è generalmente designata col nome di "decapaggio" (fig. 6).I lamierini da decapare, posti in una specie di cesto di bronzo fosforoso, sono immersi nella vasca e in questa mantenuti per 6 o 7 minuti: vengono quindi estratti e nuovamente immersi in una vasca adiacente nella quale circola acqua, per eliminare le tracce di acido rimaste a contatto col metallo, che corroderebbero le lamiere oltre il necessario. (Il consumo di acido solforico varia da 60 a 80 kg. per tonn. di lamierino decapato, mentre i lamierini perdono il 2-3% del loro peso).

7. L'operazione della laminazione crea, specialmente in conseguenza della bassa temperatura alla quale essa ha luogo, un incrudimento del metallo, che deve essere tolto mediante ricottura. Per evitare un'eccessiva ossidazione delle lamiere, la ricottura va compiuta fuori del contatto dell'aria. I lamierini vengono perciò accatastati accuratamente gli uni sugli altri; il mucchio è caricato su un carrello e ricoperto con un cassone di acciaio intorno al cui bordo, che poggia sul piano del carrello, viene disposta della sabbia per evitare l'ingresso d'aria. Il carrello viene quindi introdotto in speciali forni a muffola (figura 7) nei quali, dopo chiusura ermetica delle porte, la temperatura viene gradualmente elevata fino a 750°-850°. Raggiunta nel forno la temperatura voluta, si fa in modo che essa si mantenga costante per un certo tempo affinché il calore possa penetrare fino al centro della massa dei lamierini: in media quest'operazione dura 24 ore. Allora il carrello viene estratto dal forno e, senza togliere il cassone. i lamierini vengono lasciati raffreddare per altre 40 ore circa sempre fuori del contatto dell'aria. Dopo questo tempo il cassone di protezione può essere tolto, e il raffreddamento prosegue più rapido all'aria libera. In totale occorrono circa 96 ore. Il consumo di combustibile varia, a seconda dei trattamenti e del tipo di forni, da 80 a 180 kg. per tonn. di lamierino ricotto.

Un inconveniente, che può avvenire frequentemente, e tanto più grave quanto più la temperatura di ricottura è elevata e la superficie dei lamierini pulita, è che gli strati inferiori del mucchio tendano, per il peso proprio, a saldarsi. Altro difetto dovuto a una ricottura non perfettamente eseguita può essere che il metallo risulti a grana grossa e quindi fragile per temperatura di ricottura troppo elevata, o troppo prolungata o per raffreddamento troppo lento o per combinazione delle tre cause insieme. Nonostante le precauzioni prese, non è possibile evitare un principio di ossidazione dei lamierini, specialmente ai bordi e sugli strati superficiali dei mucchi.

8. I fogli di lamierino, in parte deformati dalle operazioni di distacco, di decapaggio e ricottura, vengono passati attraverso due cilindri di un laminatoio a freddo (fig. 8) per essere spianati e perché con l'eliminazione del velo di ossido che li ricopre risultino a superficie liscia e brillante.

9. L'operazione precedente ha tuttavia per effetto d'incrudire nuovamente il metallo, e perciò i lamierini sono sottoposti a una seconda ricottura la quale si svolge con le stesse norme della precedente, ma a temperatura più bassa e per minor tempo.

10. Poiché la seconda ricottura produce una ulteriore leggiera ossidazione dei lamierini, questi debbono nuovamente venire decapati: in questo caso si usa una soluzione di acido cloridrico molto diluita, e l'operazione ha minore durata della precedente. La perdita di metallo si aggira in questa operazione intorno a 0,5%. Dopo il decapaggio i lamierini sono di nuovo accuratamente lavati in acqua per togliere le tracce di acido rimaste aderenti e le piccole quantità d' idrogeno assorbite dal metallo. se la auperficie del lamierino ha delle piccole cavità costituite da soffiatura o scorie, l'idrogeno che si svolge durante il decapaggio s'insinua in esse; se il foglio fosse immerso in tali condizioni nel bagno di stagno per la stagnatura, il calore farebbe dilatare il gas contenuto nelle cavità e questo formerebbe alla superficie della lamiera sotto il velo di stagno una vescichetta, determinando un difetto che con nome inglese viene detto blister. Il lavaggio toglie la possibilità di tale difetto.

Stagnatura dei lamierini. - Si distingue secondo che si vogliano ottenere due diversi tipi di latta: latta a rivestimento leggiero di stagno e latta a rivestimento pesante, i quali corrispondono a qualità più o meno pregiate di latta. È eseguita a mezzo di macchine speciali, chiamate stagnatrici (fig. 9).

Stagnatura leggera. - Le lamiere da stagnare, guidate da rulli, entrano in un recipiente (fig. 10) contenente stagno puro fuso, e coperto da uno strato di cloruro di zinco, pure fuso: lo scopo di questo fondente, oltre quello di proteggere lo stagno dall'ossidazione, è quello di asciugare i lamierini e di ripulirne la superficie prima della stagnatura. Il bagno di stagno è diviso in due parti mantenute a temperatura diversa: la prima a circa 316°, perché deve servire anche a scaldare il lamierino, la seconda a circa 280°. La minore temperatura dello stagno all'uscita concorre a ottenere una superficie stagnata lucida. La seconda parte del bagno di stagno è ricoperta d'uno strato di olio di palma, mantenuto a circa 245°: i fogli stagnati, attraversando questo strato e passando attraverso i rulli in esso contenuti, si spogliano dell'eccesso di stagno mentre lo strato aderente risulta uniforme e brillante: inoltre il velo di olio che ricopre il foglio di latta impedisce che l'aria ossidi lo strato superficiale stagnato e ancora caldo e gli faccia assumere un colore giallo. Il foglio di latta passa quindi attraverso un bagno contenente una soluzione acquosa leggermente alcalina, che ha il compito di togliere l'olio, e finalmente attraverso rulli di panno che lo asciugano e puliscono.

Stagnatura pesante. - Quando si vuole invece ottenere latta a rivestimento di stagno più pesante, si usa immergere i fogli usciti dalla macchina stagnatrice sopra descritta in un secondo bagno di stagno; il foglio, all'uscita di questo, è immerso in un bagno di olio di palma e quindi asciugato e pulito come nel caso precedente. Questa seconda stagnatura viene di solito eseguita a mano.

Collaudo e imballaggio della latta. - I fogli di latta, prima di essere messi in commercio, sono accuratamente collaudati e suddivisi in prima, seconda e terza scelta e quindi imballati in cassette contenenti un numero variabile di fogli, da venti a cinquantasei, secondo gli spessori. I formati dei fogli di latta più comunemente usati sono: mm. 530 × 760, 510 × 715, 650 × 870, e più raramente mm. 650 × 1300 e 1000 × 2000. Gli spessori più comuni variano da 0,2 a 1,0 mm.

Usi. - L'impiego della latta è in continuo aumento e si può dire che le sue applicazioni siano innumerevoli; circa i tre quarti della produzione mondiale sono però adoperati nella confezione di scatolame per conserve e per generi alimentari. Per questo genere di applicazione si esige non solo che la stagnatura sia perfetta ma anche che lo stagno impiegato sia purissimo, affinché gli alimenti che sono conservati nelle scatole non possano venire a contatto con la lamiera di ferro, ovvero reagire con le impurità dello stagno, e dar luogo a prodotti nocivi alla salute. La fabbricazione dello scatolame esige poi anche che il metallo impiegato sia dotato di grande duttilità e malleabilità, per poter essere facilmente stampato e imbutito: da ciò risulta chiaramente che la fabbricazione della latta deve essere curata e deve essere seguita accuratamente in tutti i suoi particolari, ognuno dei quali ha la sua importanza.

Altre applicazioni della latta, poiché su essa si possono facilmente stampare caratteri e colori, sono cartelli per pubblicità, giocattoli, ecc.

Produzione. - Il forte consumo di latta è messo in evidenza dallo sviluppo della sua produzione la quale, nei principali paesi, dal 1900 al 1930 è variata come segue:

La quantità di latta consumata in Italia, comprendendo anche quella importata dall'estero (seconda cifra della tabella seguente), dà un indice dello sviluppo assunto dalla produzione e quindi dal consumo di questo prodotto negli ultimi anni: