BASTIANI, Lazzaro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BASTIANI (Sebastiani), Lazzaro

Edoardo Arslan

Figlio di Iacopo, è noto a Venezia nel 1449 con la qualifica di pittore e si suppone nato non dopo il 1430. Nel 1460 s'impegna a dipingere una pala per S. Samuele a Venezia, ora scomparsa, e nel 1479 una Storia di David per la Scuola Grande di S. Marco; nello stesso anno fa parte della confraternita di S. Gerolamo; nel 1473 riceve l'ordinazione di un dipinto per Pera di Fassa (Trento). Del 1480 è la Natività per la chiesa veneziana di S. Elena, ora nelle Gall. dell'Accademia. Nel 1482 vive a Venezia; nel 1484 firma e data la lunetta con Madonna fra santi e donatore nella chiesa dei S S. Maria e Donato a Murano; nel 1490 firma l'Incoronazione della Vergine (Bergamo, Accad. Carrara); nel 1494 fa parte della confraternita della Scuola di S. Marco; nel 1496 e nel 1502 vive a Venezia; nel 1505 dipinge con B. Diana stendardi per piazza S. Marco; nel 1508 giudica gli affreschi di Giorgione al Fondaco dei Tedeschi. Muore nel 1512.

Il B. è stato in passato considerato maestro di Carpaccio (Ludwig-Molmenti): l'affermazione (dopo troppo recise negazioni) va modificata nel senso che in lui si ritrova indubbiamente qualche atteggiamento formale (non coloristico) che annuncia il Carpaccio, di tanto a lui superiore. Poiché non si conoscono opere datate del B. anteriori al 1480, si pone il problema della sua formazione, a chiarire il quale può giovare, ci sembra, il mosaico con S. Sergio a S. Marco (firmato) dove è evidente il carattere toscano, castagnesco, e che, per contrasto con le opere mature, si deve ritenere del 1460 circa. Ma veramente legatissimo, anche in minuti particolari, a quel mosaico è senza dubbio l'Arcangelo Gabriele conservato, insieme a un Arcangelo Michele, nel Museo Civico di Padova. Anche la Pietà (firmata; Venezia, S. Antonino) deve essere opera giovanile (la sua pittura più antica e "squarcionesca" osservava già il Cavalcaselle): questo dipinto ha ardite osservazioni, composizione complessa (non, come avverrà più tardi, monotona e rigida) e pieghe, più che mantegnesche, toscane: castagnesche. Se queste opere si devono considerare giovanili, come ci sembra, appare micompatibile la loro coesistenza con altre che si sono pure volute riconoscere tra le prime del B. (il polittico in S. Francesco di Matera, non certo di Bartolomeo Vivarini, come pensavo un tempo; i cosiddetti "tarocchi del Mantegna", ecc.). Se i due ritratti di F. Foscari e di P. Malipiero al Correr e al Museo di Boston siano da ritenersi del B. lasciamo qui in sospeso, osservando che, se úiá, essi riflettono una forma posteriore a quella della Pietà di S. Antonino e dei dipinti padovani. Di un'epoca posteriore, intorno al 1470, si può ritenere il bel San Gerolamo (Monopoli, cattedrale) dal delicato colore, che richiama la Morte e I funerali di s. Gerolamo a Venezia (Gallerie dell'Accademia; già nella scuola omonima) date al B. da Paoletti e Ludwig, dove il Cavalcaselle vede precorrimenti delle narrazioni carpaccesche; e la predella con Storie di s. Girolamo nella pinacoteca di Brera. Di questo tempo dovrebbe anche essere il frammento, in parte ridipinto, con la Madonna e santi, depositato dalla Soprintendenza di Brera alla Certosa di Garegnano.

Abbandonato ormai l'icastico gusto giovanile, il B. si va fissando in rigidi moduli figurali, isterilendo a mano a mano un linguaggio che egli forse deriva da Gentile Bellini (del quale non possiede però affatto la forza figurativa). I dipinti del B. sono pertanto accolte tranquille (e a volte anche solenni) di figure verticali, entro spazi tracciati con tanto rigorosa prospettiva da far pensare a un'educazione forse condotta anche presso le botteghe dei Bellini. La Natività dell'Accademia, del 1480, documenta pienamente questa tendenza, dove la "capanna" vuole essere proprio una dimostrazione ostentata dell'ábilità prospettica dell'artista. Un altro puntualissimo saggio di tale abilità è nella singolare Annunciazione (firmata; Venezia, Museo Correr). Importante opera di questo periodo, ma già forse del 1480-85, è il S. Agostino in atto di dare la regola, ora in una coll. privata di Montevideo (ricordata, col riferimento al B., da tutte le guide veneziane nella chiesa di S. Salvatore). Il B. vi si dimostra anche buon ritrattista, aflme a Gentile: meno geniale, ma più obbiettivamente benevolo. A questo dipinto vanno associati il S. Antonio sul noce (firmato; Venezia, Gall. dell'Accademia), dove gli intenti prospettici portano a risultati alquanto stucchevoli, il S. Girolamo del duomo di Asolo, e sopratutto la lunetta, del 1484, con la Vergine, santi e un donatore in S S. Maria e Donato a Murano, dove una certa corposità nelle pieghe contrasta alquanto con l'arida composizione. Pure in questi anni dovrebbe cadere la tempera in S. Francesco a Zara con la Madonna delle Grazie, offerta come voto dalla cittadinanza dopo il 1479, e la S. Veneranda (firmata; Venezia, Gall. dell'Accademia) dove s'insinua, male intesa, la vena di Giovanni Bellini e persistono i ricordi "padovani", come aveva ben notato il Cavalcaselle. Nell'Incoronazione di Bergamo, datata al 1490, sono sensibili un ulteriore allungamento delle figure, influenze vivarinesche nei panni, la solita impeccabile monotonia prospettica, qualche ricordo di Carpaccio e, insomma, un progressivo inaridirsi del gusto. Che il telero con l'Offerta del reliquiario (Venezia, Gall. dell'Accademia) sia veramente del B. non può dubitarsi, per lo stile e (come ha notato acutamente la Collobi) perché una delle statue sul portico sfrutta il cartone usato per il mosaico del S. Sergio. Nella vasta scena il B. appare alquanto disperso e manca di una concezione unitaria, mentre ineccepibile appare la veduta architettonica, oltremodo complessa. La data va collocata negli ultimi anni del Quattrocento, e a questo tempo va anche riferito il trittico della coll. Howorth in Inghilterra. All'elenco delle opere del B. va inoltre aggiunta una Madonna, firmata, della National'Gallery a Londra.

Si è voluto vedere nell'arte del B. un ritorno a modi arcaici. Indubbiamente l'artista appare più vivace e aggiornato nelle opere giovanili, quando il suo linguaggio si rivela molto indicativo per il mantenersi di forme toscaneggianti - e memori, in particolare, del Castagno - nella pittura veneziana del Quattrocento. L'artista si fa, in seguito, meno flessibile e, indubbiamente, i problemi prospettici e un maggiore irrigidirsi dei moduli figurali lo portano a una pittura che non poteva avere, ovviamente, uno sbocco fecondo; parallelamente col suo coetaneo, e tanto più geniale, Gentile Bellini. Una numerosa bottega dovette però aiutarlo negli ultimi decenni se ancora tanti sono i dipinti che richiamano la sua arte, e pure non sono suoi; tra quelli di recente attribuiti ve ne sono che divergono dal suo gusto, rappresentando altre tendenze, forse meno note, della pittura veneziana della seconda metà del Quattrocento.

Dei due figli Sebastiano e Vincenzo sappiamo che il priino, menzionato dal 1489 al 1500, abbracciò lo stato ecclesiastico e fu attivo come pittore alla Scuola di S. Marco (1494), apprestò decorazioni per la festa del Corpus Domini e lavorò per la Scuola della Misericordia; il secondo era ancor vivo nel 1513 e non dovrebbe andar confuso con l'omonimo mosaicista, attivo in S. Marco a Venezia tra il 1506 e il 1512.

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