LE CHIMERE

XXI Secolo (2010)

Le chimere

Michele Boiani
Valerio Orlando

Nella mitologia greca, Chimera era un essere mo­struoso con la testa di leone, il busto di capra e la parte posteriore di drago, mentre Minotauro era in parte uomo, in parte toro. Nella mitologia romana, Fauno era in parte uomo, in parte capra. Tuttavia, mentre queste creature erano immaginarie e comunque legate ad aspetti metafisici e letterari della cultura antica, in tempi moderni esseri compositi sono stati riscontrati in natura. Per questo, al di là dell’aspetto esteriore, attualmente l’attenzione è focalizzata sulla comprensione della natura e dei meccanismi, in alcuni casi patologici, che sono alla base del chimerismo (v. oltre), con la creazione in laboratorio di modelli di chimere. Oggi è possibile stabilire il carattere chimerico di un individuo sulla base del patrimonio genetico, analizzando il genoma di ciascuna cellula all’interno di ogni individuo. Un esempio è fornito dai gatti calico, che hanno il mantello a macchie nere e arancione. Essi sono tipicamente di sesso femminile (con un corredo di cromosomi sessuali XX), raramente sono maschi, nel qual caso sono portatori della sindrome di Klinefelter (XXY, dove Y è il cromosoma maschile) oppure sono chimere. Le chimere moderne non sono ‘mostri’ ma realtà biologiche, di grande interesse per comprendere sia aspetti del tutto nuovi della biodiversità sia meccanismi di grande impatto per la salute umana.

Chimere naturali

Il chimerismo consiste nella compresenza in uno stesso corpo di più linee cellulari di diversa origine e geneticamente distinguibili. La maggior parte di noi ha infatti un corpo formato dalla progenie di una singola cellula, l’ovocita fecondato in vivo da uno spermatozoo. Tuttavia, alcune persone fanno eccezione. In queste, le cellule del corpo sono di due tipi geneticamente differenti, come nel caso degli occhi di diverso colore (per es., un occhio è grigio e l’altro è verde, per cui si parla di eterocromia) o del citato mantello pezzato dei gatti calico maschi (XX+XY). Il colore degli occhi o il colore del mantello sono caratteri facilmente riconoscibili, ma ne esistono migliaia di altri la cui individuazione richiede analisi di laboratorio. Poiché i meccanismi all’origine di questa diversità naturale non sono noti, e sono comunque legati alla riproduzione, è lecito ritenere che la nostra stima del ‘grado di chimericità’ nelle popolazioni naturali sia piuttosto bassa. Va precisato inoltre che chimerismo e variegazione dell’espressione di un determinato carattere all’interno di un organismo (chimere apparenti) sono due cose diverse. Infatti, se alla base del primo vi è una diversa origine genetica, nel secondo intervengono meccanismi epigenetici, o a carico del cosiddetto epigenoma, che, pur risultando nell’espressione non omogenea di un certo carattere, coinvolgono modificazioni della struttura dei cromosomi e non alterano l’origine genetica della cellule (per maggiori informazioni si consulti il sito www.epigenome-noe.net).

Chimere sperimentali

Oltre a quelle naturali esistono chimere sperimentali, in cui le cellule geneticamente diverse possono essere di specie differenti. Sperimentalmente, le chimere sono state introdotte da Hilde Mangold e Hans Spemann negli anni Venti del 20° sec. nei loro esperimenti sugli anfibi (Über Induktion von Embryonalanlagen durch Implantation artfremder Organisatoren, «Archiv für Entwicklungsmechanik der Organismen», 1924, 100, 3-4, pp. 599-638). Mangold e Spemann dimostrarono che dal labbro dorsale del blastoporo (parte dell’embrione) di tritone crestato (Triturus cristatus) trapiantato in un embrione di tritone punteggiato (Triturus taeniatus) aveva origine un ‘corpo accessorio’ di Triturus cristatus. Chimere di questo tipo sono dette primarie. In generale, esistono due tipi di chimere sperimentali: le primarie, in cui si combinano cellule a stadi assai precoci di sviluppo (per es., prima dell’organogenesi) al fine di ottenere un mescolamento globale delle cellule; le secondarie, in cui parti di embrione a stadi successivi di sviluppo (durante o dopo l’organogenesi) vengono trapiantate in altri embrioni al fine di ottenere un contributo localizzato delle cellule donatrici nel corpo del recipiente. Dato che le cellule donatrici sono geneticamente distinte, la loro capacità di integrarsi nell’organismo ospite mette in risalto proprietà epigenetiche nel senso classico del termine.

A partire dagli anni Sessanta si passò dalle chimere di anfibio a quelle di vertebrati superiori. Nicole Le Douarin condusse esperimenti di chimerismo secondario con quaglia giapponese (Coturnix japonica) e pollo (Gallus gallus domesticus), dimostrando che tessuti di quaglia trapiantati nel pollo hanno lo stesso programma di sviluppo della quaglia (Balaban, Teillet, Le Douarin 1988). Questi esperimenti dimostrarono anche che il sistema immunitario acquisiva tolleranza verso il tessuto trapiantato. Nei mammiferi, la sperimentazione con le chimere è stata condotta soprattutto con il topo (specie del genere Mus).

La riproduzione umana avviene non più solo per via naturale ma anche con l’aiuto della medicina e con l’ausilio di tecniche di manipolazione in vitro. Nel 1978 Louise Brown è stata la prima neonata a essere concepita in provetta (Steptoe, Edwards 1978). Da allora, la formazione di chimere interessa la specie umana non più solo ipoteticamente ma anche di fatto. Si tratta di chimere la cui formazione accidentale è dovuta, presumibilmente, alla vicinanza degli embrioni durante la coltura in vitro. Talvolta il termine mosaico viene usato per indicare le chimere, ma si tratta di un’imprecisione, in quanto un mosaico non è frutto di un’associazione di cellule diverse che in origine erano separate, ma si forma spontaneamente in un singolo organismo. Ciò può accadere se, per es., una delle cellule embrionali diventa aneuploide (cioè si discosta dal numero di cromosomi caratteristico della specie, 46 nell’uomo) e la sua progenie forma una linea cellulare a sé stante nell’ambito dell’organismo. Oltre a questi casi di chimere accidentali, esistono da pochi anni anche chimere intenzionali coinvolgenti la specie umana. Si tratta di chimere uomo-animale (v. oltre) prodotte in laboratori autorizzati al fine di ottenere tessuti umani senza doverli estrarre dall’organismo.

È importante sottolineare il fatto che ogni cellula di una chimera ha il suo complemento di geni di un solo individuo donatore, e questi non si mescolano con quelli dell’altro donatore, a meno di fusione accidentale cellula-cellula. Un caso speciale di fusione cellula-cellula tra specie diverse è l’ibridazione.

Ragioni del passato e del presente per la produzione di chimere

La ‘fusione’ di specie diverse mediante chimerismo rispose a domande fondamentali di biologia e medicina. Concretamente, il chimerismo sperimentale si è rivelato utile per i fini seguenti.

a) Visualizzare processi dinamici nel corso dello sviluppo e mappare il destino delle cellule nell’embrione allorché le cellule di specie diverse siano individuabili mediante marcatori che permettano di distinguerle l’una dall’altra. Appare chiaro che quando le cellule sono di specie diverse, la loro identificazione non lascia adito a dubbi.

b) Dimostrare che alcuni tratti sono trasferibili in modo orizzontale per via somatica, oltre che secondo il classico modo verticale per via sessuale, e che i piani corporei delle diverse specie presentano una sostanziale similarità nello sviluppo. È da considerarsi emblematico il caso della chimera quaglia-pollo, in cui parti di cervello di quaglia trapiantate nel pollo mantenevano le funzioni e quindi determinavano un comportamento tipico della quaglia.

c) Confutare il paradigma dello sviluppo diploide, secondo il quale le cellule del corpo (tranne i gameti) dovrebbero avere tutte il numero di cromosomi caratteristico della specie (diploide), mentre deviazioni da questa ‘regola di omogeneità’ sarebbero patologiche. In realtà, certi organi non presentano la necessità di un corretto numero di cromosomi diploide per svolgere la loro funzione.

d) Misurare il grado di divergenza di specie diverse. Per es., embrioni chimerici tra il topo comune (Mus musculus) e il ratto nero o comune (Rattus rattus) hanno evidenziato l’incompatibilità tra queste specie a dispetto della loro superficiale similarità, mentre embrioni chimerici tra pecora (Ovis aries) e capra domestica (Capra hircus) possono svilupparsi in relativa armonia.

Con l’ottenimento delle cellule staminali embrionali (ES, Embryonic Stem cells), prima murine (Evans, Kaufman 1981) poi umane (Thomson, Itskovitz-Eldor, Shapiro et al. 1998), le chimere hanno acquisito un carattere legato sempre più alla modellizzazione delle patologie umane. Le ES sono cellule pluripotenti derivate dall’embrione preimpianto, sono coltivabili in vitro senza limiti di tempo e sono anche in grado di differenziarsi in tutti i tessuti che compongono il corpo adulto; rivestono una grande importanza in medicina rigenerativa. Inoltre, è possibile modificare geneticamente queste cellule in modo tale da ‘inserire’ geni mutati (per lo studio di malattie), geni riparati, persino geni di altre specie. Ricordiamo, per es., il topo transcromosomico che porta il cromosoma 21 umano responsabile della sindrome di Down, in cui non soltanto un gene ma anche un intero cromosoma umano è stato stabilmente inserito nel genoma di topo (Shinohara, Tomizuka, Miyabara et al. 2001), e il topo con sistema immunitario umano creato al fine di studiare il virus HIV responsabile dell’AIDS (McCune, Namikawa, Kaneshima et al. 1988).

Per queste ragioni, il premio Nobel 2007 per la medicina o la fisiologia è stato assegnato a coloro che per primi hanno derivato le cellule ES e le hanno manipolate geneticamente, ossia Martin Evans, Oliver Smithies e Mario Capecchi.

Dopo l’introduzione della manipolazione (ricombinazione) genetica nei batteri, nel 1975 si tenne la conferenza di Asilomar (California) sul DNA ricombinante (Berg, Baltimore, Brenner et al. 1975), per valutare le implicazioni e le conseguenze degli organismi geneticamente modificati non esistenti in natura. L’ottenimento delle cellule ES umane nel 1998 e la loro manipolazione genetica hanno posto la comunità scientifica dinanzi a problematiche simili se non ancora maggiori rispetto a quelle affrontate ad Asilomar; in particolare, dinanzi a una domanda la cui risposta non poteva essere fornita per via diretta, ossia quale sia il potenziale differenziativo delle cellule ES umane. Il differenziamento in vitro è informativo, ma non offre risposte definitive. Il trapianto di cellule ES in embrioni della specie umana è improponibile come alternativa ai test in vitro, per ragioni pratiche e soprattutto etiche. Sebbene, in linea teorica, il differenziamento in vivo sia quello che offre le risposte più attendibili, è eticamente assai preoccupante pensare di differenziare le cellule ES umane all’interno di embrioni umani. Un’alternativa può essere rappresentata dall’introduzione di cellule ES umane in embrioni non umani, ottenendo così le chimere. A tal fine, dal 1998 a oggi la domanda ha riguardato il tipo di specie e lo stadio embrionale da utilizzare per verificare il potenziale delle cellule ES umane. Le risposte sono state fornite dagli embrioni chimera e dal cosiddetto teratoma assay (Lensch, Schlaeger, Zon, Daley 2007), vale a dire un sistema in cui le cellule ES, anziché essere poste in un embrione di specie diversa creando una chimera primaria, vengono poste in un corpo adulto creando una chimera secondaria. L’ambiente del teratoma assay è molto diverso da un embrione, ma il modo in cui le cellule ES crescono nel corpo adulto presenta somiglianze notevoli con lo sviluppo dell’embrione.

Oltre che per testare il potenziale delle cellule ES umane in un contesto di sviluppo (embrione) o adulto (teratoma assay), le chimere sono state prodotte e studiate anche per altre ragioni. Per es., in relazione alla chemioterapia nei pazienti affetti da cancro, la quale provoca effetti collaterali che compromettono la fertilità; per ovviare, almeno in parte, a questo, si potrebbero trapiantare le cellule germinali del paziente nelle gonadi di un individuo ricevente, prima di sottoporre il malato al trattamento chemioterapico. Le cellule germinali verrebbero recuperate e usate per la fecondazione in vitro, oppure reintrodotte nel paziente alla fine della terapia. Il condizionale è d’obbligo, perché queste procedure sono state finora applicate solo a modelli animali. Il laboratorio di Ralph L. Brinster a Filadelfia (Pennsylvania) ha messo in pratica questo concetto, praticando il trapianto delle cellule germinali (germ cell transplantation) dai testicoli di una specie a quelli di un’altra (Brinster 2007). Se nel caso della specie umana l’obiettivo è quello di preservare la fertilità dei pazienti sottoposti a chemioterapia, per quanto riguarda le specie in via di estinzione l’obiettivo può essere anche quello di scongiurare tale estinzione trapiantando le cellule germinali dei pochi esemplari a disposizione nei testicoli di specie affini.

Chimere umane

Incidenti in corso di embriogenesi

Casi di chimere umane erano noti anche prima dell’avvento delle tecniche di riproduzione assistita. In passato era pratica diffusa trasferire molteplici embrioni nella donna, in modo da aumentare le probabilità di impianto e di attecchimento nell’utero. All’introduzione di questa pratica si accompagnò un aumento della frequenza dei parti gemellari dizigotici di 30-35 volte, corrispondenti al 20-25% del totale delle gravidanze gemellari. Un’incidenza più alta di chimerismo è stata osservata nelle gravidanze gemellari. Secondo Bob A. van Dijk e i suoi collaboratori (van Dijk, Boomsma, de Man 1996), fino all’8% delle gestazioni doppie e il 21% delle triple sono chimeriche in base al responso dell’analisi del sangue. È evidente che la coltura in vitro e/o il trasferimento multiplo di embrioni creano condizioni favorevoli all’unione di embrioni l’uno con l’altro, data la vicinanza fisica; tuttavia non vi è prova di un nesso causale tra l’impiego delle tecniche di riproduzione assistita e l’insorgenza del chimerismo. Infatti è possibile che grazie all’affinamento degli strumenti diagnostici stia aumentando non la frequenza reale bensì il riconoscimento dei casi di chimerismo.

Il risultato dell’unione di due embrioni sarebbe un embrione dizigotico monocorionico, e questo è contrario all’opinione prevalente (secondo la quale ‘un corion = uno zi­gote’); tuttavia tale caso è stato riportato. David T. Bonthron e i suoi collaboratori hanno descritto nel 1998 il caso di un ragazzo inglese che era una chimera risultante da fecondazione in vitro (Strain, Dean, Hamilton, Bonthron 1998). Dopo la nascita, le chimere non sono in apparenza distinguibili dal resto degli individui della popolazione, a meno che i loro occhi non siano di colori diversi. Senza questo tratto fenotipico, la maggior parte dei bambini chimerici cresce normalmente ignara della sua costituzione, creando la falsa impressione che il chimerismo sia raro.

Il caso seguente è stato riportato da Neng Yu e dai suoi collaboratori nel 2002 (Yu, Kruskall, Yunis et al. 2002). Nel 1998 Margot S. Kruskall, un medico del Beth Israel deaconess medical center di Boston, riportò il singolare caso di una madre di tre bambini, a cui diamo il nome di fantasia di Jane. Sebbene Jane avesse concepito i suoi tre bambini in modo naturale con suo marito, un test del sangue indicava che lei non poteva essere la madre di due dei tre bambini. In questi due, infatti, uno degli aplotipi HLA (Human Leukocyte Antigen) non apparteneva né a Jane né a suo marito, ma era presente nel fratello di Jane. Kruskall ipotizzò che la madre di Jane avesse concepito due gemelli femmina, i quali si sarebbero fusi formando Jane. In termini medici, Jane sarebbe il risultato di un embrione tetragametico, a cui partecipano cioè due cellule uovo e due spermatozoi. Kruskall ipotizzò che, per qualche motivo, in Jane la progenie cellulare del primo embrione fosse diventata dominante nel sangue, mentre quella del secondo lo fosse diventata nell’ovario. In tal caso, due dei tre figli di Jane sarebbero il contributo della componente dominante nell’ovario, mentre il terzo della componente minoritaria. Il caso di Jane è andato a buon fine, tuttavia situazioni simili potrebbero avere conseguenze ben più serie, per es. nei trapianti d’organo o nelle attribuzioni di paternità o maternità. Il mancato rilevamento del chimerismo in un singolo tessuto (come il sangue) non garantisce che altri tessuti siano parimenti non chimerici.

Il caso di Jane è raro ed estremo, ma casi di persone microchimeriche sono più frequenti. Il microchimerismo è dovuto allo scambio di piccole quantità di sangue tra madre e feto attraverso la placenta, o di anastomosi tra le circolazioni fetali dei gemelli. Si stima che fino al 90% delle donne che hanno avuto una gravidanza presenti tracce di sangue fetale, che nel 50% dei casi persistono per decenni dopo il parto.

Occorre sottolineare che anche se la frequenza delle tracce è alta, si tratta pur sempre di tracce, le quali spesso vengono rilevate con metodiche ultrasensibili ma che corrispondono di fatto a poche cellule. Analisi in situ hanno mostrato che queste rare cellule di origine fetale sono presenti in vari organi della madre, per cui è stato ipotizzato che siano multipotenti.

Partenogenesi

I casi di chimerismo trattati sin qui riguardano embrioni fecondati, che possono cioè formare un organismo adulto. È chiaro che molte condizioni devono essere soddisfatte perché ciò si verifichi: per es., normalità cromosomica dell’embrione, impianto in utero, favorevole corso di gestazione nell’organismo materno. Benché un embrione isolato non abbia un singolo neurone e non possa formare alcun feto in assenza di impianto, è opinione abbastanza diffusa che l’embrione preimpianto abbia diritto a tutela come se fosse una persona. Lo sviluppo embrionale non è prerogativa delle sole cellule uovo fecondate. In risposta ad alcuni stimoli, come la corrente elettrica o le variazioni di osmolarità del terreno di coltura, talvolta le cellule uovo si ‘attivano’ in assenza di uno spermatozoo e si sviluppano inizialmente come se fossero state fecondate, da cui il nome di embrioni partenogenetici o virginali. Di questi embrioni ‘solo madre’ esiste il corrispettivo ‘solo padre’; questi embrioni sono detti androgenetici. Una caratteristica degli embrioni uniparentali è l’impossibilità di svilupparsi a termine a causa di difetti dovuti all’assenza del contributo materno o paterno. È stato notato che i difetti sono peculiari, a seconda che gli embrioni siano partenogenetici o androgenetici: nei primi la placenta è sottosviluppata, mentre nei secondi è sviluppata a discapito della parte fetale dell’embrione.

Il termine partenogenesi si riferisce non soltanto allo sviluppo embrionale in assenza di contributo dello spermatozoo, ma anche allo stato epigenetico dell’informazione portata nel nucleo. Lo studio dei difetti degli embrioni uniparentali ha messo chiaramente in evidenza come alcuni geni funzionino in modo diverso a seconda che siano stati trasmessi dal padre oppure dalla madre (imprinting genomico). Da un punto di vista funzionale ed evolutivo, i geni imprinted sembrano controllare l’accrescimento, in modo positivo nel feto e negativo nella madre. Tipicamente, il funzionamento dei geni a imprinting materno predomina nella parte fetale dell’embrione e nel mesoderma extraembrionale. Il funzionamento dei geni a imprinting paterno predomina invece nel trofectoderma il quale contribuisce alla formazione della placenta.

Gli embrioni uniparentali possono svilupparsi fino al termine della gestazione solo se fanno parte di una chimera. Nel 1995 un paziente di cui sono note solo le iniziali, F.D., fu identificato come caso di inversione di sesso (Strain, Warner, Johnston, Bonthron 1995). Analisi più approfondite rivelarono che F.D. era composto/a da cellule sia XX sia XY. Si ipotizzò che F.D. fosse il risultato di una chimera partenogenetica, originatasi secondo il seguente schema di eventi: dopo la fecondazione, il pronucleo femminile si sarebbe diviso mitoticamente comportando la divisione dell’ovocita in due blastomeri, uno dei quali avrebbe ritenuto lo spermatozoo (zigote), mentre l’altro sarebbe andato avanti senza componente paterna, costituendo quindi una linea cellulare di fatto partenogenetica. In linea con questa specializzazione, i casi naturali di teratoma vengono attribuiti alla partenogenesi spontanea, mentre quelli di mole idatidiforme vengono attribuiti all’androgenesi.

Chimere animali

Interspecifiche

Anfibi, rettili e uccelli sono stati storicamente il banco di prova delle chimere sperimentali, grazie alle dimensioni generose delle loro cellule uovo e dei loro embrioni, che consentivano di effettuare micromanipolazioni (microtrapianti) in tempi in cui i microscopi avevano un solo oculare e i micromanipolatori ancora non esistevano. Analogamente alle chimere di anfibio prodotte da Mangold e Spemann e alle chimere quaglia-pollo prodotte da Le Douarin, in seguito sono state prodotte chimere tra le altre classi di vertebrati.

Hiroshi Nagashima e i suoi collaboratori hanno voluto sperimentare se il programma di sviluppo di una tartaruga poteva funzionare in un uccello (Nagashima, Uchida, Yamamoto et al. 2005). A tal fine, somiti di tartaruga a guscio molle cinese (Pelodiscus sinensis) sono stati trapiantati in un pollo: i somiti di tartaruga continuavano a svilupparsi nei muscoli e nelle costole come se fossero ancora presenti nella tartaruga, mentre lo sviluppo della cartilagine non seguiva il programma della tartaruga. Sebbene antecedenti nella scala evolutiva, i pesci hanno fatto seguito ad anfibi, rettili e uccelli negli esperimenti di chimerismo: chimere interspecifiche sono state ottenute tra barbo rosa (Puntius conchonius) e pesce zebra (Danio rerio).

Nei mammiferi, esperimenti analoghi a quelli di Le Douarin sono stati condotti tra il topo e il pollo, con le parti di topo in grado di integrarsi nel pollo e di svilupparsi però secondo il programma del topo, come evidenziato dalla formazione dei denti. Oggetto di lunghe ricerche che non hanno ancora dato esiti positivi sono state le chimere embrionali tra il topo e il ratto. Rispetto alle chimere primarie, quelle secondarie hanno un maggiore successo, come dimostrato dal midollo osseo di ratto funzionante nel topo e dalle cellule ematopoietiche di topo funzionanti nel ratto. Evidenza conclusiva della possibilità di topo e ratto di coesistere sotto forma di chimere è stata fornita dalle cellule staminali di testicolo di ratto trapiantate nel testicolo di topo. Gli spermatozoi di ratto formatisi nel testicolo di topo sono in grado di fecondare cellule uovo di ratto e di svilupparsi a termine. Chimere ottenute con cellule staminali di testicolo sono state descritte anche per altre coppie di specie di mammifero, inclusi i primati. Questo approccio, come già detto, può consentire di preservare la fertilità dei pazienti sottoposti a chemioterapia oppure di preservare la fertilità di specie a rischio di estinzione.

L’equivalente ovicaprino delle chimere tra rodito­ri è la chimera pecora-capra, ottenuta nel 1984, indipendentemente tra loro, dal gruppo di Steen M. Willadsen e da quello di Sabine Meinecke-Tillman (Fehilly, Willadsen, Tucker 1984; Meinecke-Tillman, Meinecke 1984). A differenza del topo e del ratto, chimere primarie pecora-capra si sviluppano normalmente anche dopo la nascita, e sono note come geep (dalla fusione dei termini inglesi goat, «capra», e sheep, «pecora»).

Intraspecifiche

Mentre le chimere interspecifiche rispondono a domande di biologia evolutiva, quelle intraspecifiche rispondono a esigenze di manipolazione genetica all’interno di una specie. Prima che le cellule ES di topo fossero derivate, era possibile (anche se difficile) introdurre modificazioni genetiche nelle cellule in coltura, ma era poi impossibile far sì che tali modificazioni entrassero a far parte di un animale e della sua progenie. Brinster ha dimostrato che i blastomeri di un embrione di topo trapiantati in un altro embrione di topo partecipavano armoniosamente allo sviluppo, come mostrato dal trasferimento di questi embrioni chimera nell’utero di una femmina (Moustafa, Brinster 1972). Questo dato originale ha permesso esperimenti in cui le cellule erano anomale, per es. cellule di tumore, cellule aneuploidi o cellule di un’altra specie. Gli esperimenti di Karl Illmensee e Beatrice Mintz (Illmensee, Mintz 1976) e di Brinster con cellule di teratocarcinoma hanno mostrato come queste cellule siano state rieducate nell’ambiente dell’embrione. Gli esperimenti di Aneta Suwińska e dei suoi collaboratori hanno evidenziato che cellule embrionali triploidi di topo, al contrario di quelle tetraploidi, inserite in un embrione normale persistono, e contribuiscono ai tessuti in modo apparentemente normale (Suwińska, Ozdzeński, Waksmundzka, Tarkowski 2005). Nei pesci, anche cellule aploidi si sono dimostra­te in grado di formare l’organismo. Chimere primarie intraspecifiche sono state ottenute nel cobite di stagno orientale (Misgurnus anguillacaudatus) e in Danio rerio.

Dal 1981, quando sono state ottenute le prime cellule ES, gli esperimenti di chimerismo hanno fatto un enorme salto di qualità, in quanto tali cellule si possono manipolare geneticamente e quindi possono apportare agli animali chimerici nuove caratteristiche genotipiche per via non sessuale. Questo ha aperto la strada ai cosiddetti animali transgenici, creati come modelli per le malattie umane. Per es., topi chimerici sono stati ottenuti da cellule ES murine rese transgeniche con un gene umano della superossidodismutasi (SOD1) mutato. Nell’uomo questa mutazione provoca un disordine letale dei motoneuroni. Quando la proteina SOD1 umana raggiungeva sufficienti livelli di espressione nei topi chimerici, questi soffrivano di una patologia analoga a quella umana (Clement, Nguyen, Roberts et al. 2003). Topi chimerici sono stati ottenuti da cellule ES murine che contenevano stabilmente il cromosoma 21 umano, portatore del locus della sindrome di Down. I topi chimerici presentavano una varietà di tratti somatici simili al fenotipo Down umano, compresi difetti anatomici del cuore. Anche un modello di distrofia muscolare umana è stato riprodotto nel topo. Un gene mutato codificante, il distroglicano (complesso proteico fondamentale per la stabilità strutturale della membrana plasmatica), è stato inserito nelle cellule ES murine, e queste sono state iniettate nelle blastocisti normali di topo. Le chimere risultanti presentavano segni di degenerazione muscolare.

Gli esempi riportati fino a ora mostrano che le cellule embrionali proseguono nel differenziamento quando vengono trapiantate in embrioni. La domanda è se anche cellule differenziate abbiano lo stesso comportamento. Cellule staminali epatiche di topo sembrano mantenere il loro carattere epatico anche se vengono a trovarsi in organi non epatici delle chimere, e non mostrano segni di tumorigenicità.

Infine, il topo offre una versatilità sperimentale che è difficile da riprodurre in altre specie, a cominciare dal ratto. Queste ricerche stanno aprendo la strada a potenziali applicazioni su animali di interesse zootecnico.

Chimere uomo-animale

Il primo resoconto di chimera uomo-animale è stato quello di Joseph M. McCune e dei suoi collaboratori (McCune, Namikawa, Kaneshima et al. 1988), in cui si descriveva il trapianto di frammenti di fegato, timo e nodi linfatici umani in topi immunodeficienti detti comunemente SCID (Severe Combined ImmunoDeficiency). In pratica, questa chimera secondaria rendeva possibile lo studio di malattie umane, tra cui l’AIDS, che all’epoca era una malattia emergente.

Dopo il topo (1981), quando le cellule ES sono state derivate anche nell’uomo (1998) è diventato chiaro che il loro autentico potenziale poteva essere verificato solo nel topo, trapiantandole in un embrione e consentendo loro di formare tutti i tessuti dell’animale. Evidenti questioni etiche precludono una simile verifica nella specie umana. Per ovviare a ciò, Daylon James e i suoi collaboratori hanno trapiantato cellule ES umane in blastocisti di topo (James, Noggle, Swigut, Brivanlou 2006). Anche se la partecipazione delle cellule umane ai tessuti del topo era molto limitata al termine della gestazione, gli autori hanno proposto di migliorare questo sistema chimerico al fine di poter studiare il differenziamento delle cellule staminali embrionali umane. Alysson R. Muotri e i suoi collaboratori (Muotri, Nakashima, Toni at al. 2005), anziché trapiantare le ES umane in un embrione di topo preimpianto, le hanno trapiantate nel ventricolo cerebrale di topo a 14 giorni di gestazione. Dopo un parto normale, alcuni dei topi neonati presentavano neuroni umani apparentemente funzionanti nel cervello di topo. Da notare l’assenza di tumori in questi topi durante il periodo di osservazione (durata non nota), al contrario delle pessimistiche attese legate all’uso di cellule ES.

In alternativa alla crescita organizzata nell’embrione, le cellule ES sono capaci di formare tessuti in modo disorganizzato se trapiantate in un topo privo di sistema immunitario. Questi tumori sono noti come teratomi e, data la loro origine, si possono paragonare a chimere secondarie. Nel 2000 è stato dimostrato che le cellule ES umane erano in grado di formare teratomi.

Inizialmente, i teratomi sono stati descritti come tumori spontanei di testicolo in un particolare ceppo di topo (ceppo 129) e, successivamente, sono stati ottenuti trapiantando embrioni in siti ectopici. Alcuni teratomi vanno incontro a differenziamento completo e si comportano come benigni, altri mantengono cellule staminali e si comportano in modo maligno e aggressivo (teratocarcinomi).

Anche se il corpo di un animale adulto può solo in parte ricapitolare l’ambiente di sviluppo dell’embrione, la capacità delle cellule ES di roditore di differenziarsi correttamente all’interno dell’embrione di un’altra specie di roditore (generi Mus e Apodemus), separata da una distanza evolutiva di 18 milioni di anni (Xiang, Mao, Li et al. 2008), fa ritenere che forse un corpo adulto della stessa specie non sia poi così inadatto allo sviluppo embrionale come si può pensare.

Le cellule ES sono considerate pluripotenti e ci si può chiedere quale possa essere il risultato di esperimenti di chimerismo condotti usando cellule staminali non embrionali e non pluripotenti. Orit Kollet e i suoi collaboratori (Kollet, Peled, Byk et al. 2000) hanno trapiantato 105 cellule di cordone ombelicale umano (CDC34+) in topi NOD (Non-Obese Diabetic)/SCID/deficitari di β2 microglobulina (si tenga presente che questo topo non ha virtualmente alcun sistema immunitario). A seguito del trapianto, le cellule umane si sono differenziate nel midollo osseo del topo e sono state in grado di ricolonizzare il midollo dopo trapianto seriale in altri topi.

Cellule staminali mesenchimali umane isolate dal midollo delle creste iliache sono state trapiantate in topi fetali in utero. Dopo la nascita, la distribuzione delle cellule umane è stata analizzata nei tessuti di topo per un certo tempo, fino a 4 mesi dopo il trapianto (fegato, midollo osseo, milza, timo, nodi linfatici, sangue, miocardio, polmoni, reni, piccolo intestino, muscolo scheletrico, cervello, midollo spinale, osso, cartilagine). Le cellule umane sono state riscontrate in questi tessuti, anche se la loro presenza diminuiva con il tempo ed era inferiore rispetto a quanto ottenuto con il trapianto di cellule staminali mesenchimali umane in pecora fetale.

Proseguendo con l’uso di cellule staminali sempre più differenziate, Karl-Dimiter Bissig e i suoi collaboratori (Bissig, Le, Woods, Verma 2007) hanno iniettato epatociti umani di donatori di 36-71 anni di età nella milza di topi adulti e nel fegato di ratti neonati. Dopo 7-12 settimane, componenti umane (per es., albumina) sono state riscontrate nel siero dei topi.

Parti di rene fetale umano (8-15 settimane di gestazione) sono state trapiantate in topi immunodeficienti, dando luogo alla formazione di reni in miniatura: al contrario, frammenti di rene umano adulto degeneravano dopo il trapianto. Simili osservazioni sono state fatte anche usando reni di maiale. I reni in miniatura, quando attecchivano, erano funzionali, come dimostrato dall’osmolarità dell’urina prodotta (uomo e maiale producono urina iposmolare rispetto al topo, com’è logico date le dimensioni corporee e gli habitat). Questi risultati diversi a seconda dell’età del donatore possono essere interpretati in due modi: nel rene fetale sono presenti più cellule staminali rispetto a quello adulto, oppure meno cellule immunogeniche. In prospettiva questi dati possono aiutare a trovare una finestra ottimale di trapianto nel caso di trapianto di rene nell’uomo.

Cellule staminali umane sono state trapiantate in altri animali oltre che nel topo. Xiao-Peng Tang e i suoi collaboratori (Tang, Zhang, Yang et al. 2006) si sono interessati alla possibilità di differenziare le cellule del cordone ombelicale in epatociti. Cellule ombelicali sono state trapiantate in ratti a cui era stato inferto un danno epatico acuto. Trascorso un mese dal trapianto, nel seno epatico, nelle vene centrali dei lobuli epatici e nell’area portale dei ratti sono state riscontrate molte cellule umane positive per l’α-fetoproteina o per l’albumina.

Cellule mesenchimali umane isolate dal midollo della cresta iliaca sono state trapiantate in feti di pecora in utero, sia prima sia dopo la formazione del sistema immunitario. Derivati di cellule umane sono stati riscontrati nei tessuti della pecora fino a 13 mesi dopo il trapianto, sotto forma di miociti, cardiomiociti, cellule stromali del midollo, cellule stromali del timo. Analogamente, una frazione del sangue di cordone ombelicale umano, dopo trapianto in feto di pecora, ha contribuito a sangue, fegato, cardiomiociti e anche a cellule somiglianti a neuroni.

Il trapianto di cellule umane in stadi fetali di roditore o di pecora limita l’osservazione delle cellule trapiantate in quanto lo sviluppo avviene in utero. Per ovviare a questa limitazione, cellule ES umane sono state trapiantate nel mesoderma somitico di embrioni di pollo a 1,5-2 giorni di sviluppo. I tessuti umani, riconoscibili all’analisi istologica, erano presenti nel pollo anche sotto forma di cellule aventi sembianze di neuroni. Quindi, le cellule umane sono state in grado non solo di sopravvivere ma anche di dividersi, migrare, integrarsi e differenziarsi nel pollo. È degno di nota il fatto che le cellule ES umane non hanno formato tumori (Goldstein, Drukker, Reubinoff, Benvenisty 2002).

Aspetti evolutivi

Lo studio delle chimere non solo offre la possibilità di esaminare gli aspetti dello sviluppo che portano alla formazione di un nuovo individuo, ma permette anche di allargare le conoscenze in ambito evolutivo, e induce a riflessioni filosofiche sul concetto di specie e sui confini della specie animale.

È opinione prevalente che le specie animali siano entità definite e delimitate, tanto da essere concepibili come unità del processo evolutivo. Normalmente le caratteristiche di una specie non passano a un’altra specie, e alcuni casi che paiono indicare il contrario sono ritenuti anomalie o eccezioni. Recentemente il sequenziamento del genoma dell’ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus) ha portato questo animale dall’oblio della stranezza alla notorietà della divulgazione scientifica. In questo mammifero primitivo che depone uova sono presenti anche caratteristiche degli uccelli (becco, cloaca) e dei rettili (struttura dei cinti e disposizione degli arti, veleno come nei serpenti), tanto che secondo alcuni ricercatori l’ornitorinco mette in crisi il concetto darwiniano di evoluzione graduale e di selezione. Più semplicemente: se due specie sono compatibili l’una con l’altra in una chimera, si possono allora considerare davvero separate?

Al fine di stabilire quanto il topo e il ratto si siano evoluti separatamente, sono stati condotti numerosi tentativi di chimerizzazione primaria, tutti senza successo. Benché le cellule ES di topo siano oggi disponibili, non sono ancora state trapiantate in embrioni di ratto. Al contrario, è stato effettuato il trapianto di cellule embrionali di ratto in blastocisti di topo. Apparentemente gli embrioni chimerici si sviluppano normalmente fino a metà gestazione, ma sono composti per la stragrande maggioranza da cellule di topo.

Si ritiene che chimere tra topo e ratto basate su cellule ES potrebbero funzionare. Benché la distanza genetica tra topo comune (Mus musculus; 40 cromosomi) e topo selvatico (Apodemus sylvaticus; 48 cromosomi) sia del 18%, corrispondente a circa 20 milioni di anni di evoluzione separata, il trapianto di cellule ES di Apodemus sylvaticus in embrioni di Mus musculus produce chimere che si sviluppano fin dopo la nascita, anche se la maturazione di gameti di Apodemus sylvaticus nel corpo di Mus musculus rimane incerta (Xiang, Mao, Li et al. 2008). Se si pensa che la distanza genetica tra i due animali è stimata, come detto, al 18%, mentre quella tra Homo sapiens e scimpanzé comune (Pan troglodytes) è stimata all’1,5%, viene da chiedersi se una chimera tra uomo e scimpanzé non potrebbe avere successo.

Dubbi

Nelle specie animali, la tecnica chimerica è stata combinata a strumenti come l’ingegneria genetica e la clonazione (nuclear cloning). Per es., geni-malattia umani o cromosomi umani sono stati trasferiti in cellule di topo; le cellule di topo ‘umanizzate’ sono state mescolate con cellule di topo normali, creando così modelli murini di malattie umane. Il dubbio è se questi topi siano da considerarsi semplici topi transgenici, oppure ibridi oppure chimere topo-uomo.

Nell’ambito umano della riproduzione assistita (ART, Assisted Reproductive Technology), sono stati riportati alcuni esempi di chimere. Anche in questo caso si pone un dubbio interpretativo: si tratta di chimere naturali in quanto a riproduzione sessuale, oppure di chimere sperimentali in quanto derivanti da manipolazione in vitro?

I trapianti di organo dovrebbero essere definiti senza esitazione come situazioni in cui si sia generata una forma di chimerismo di tipo secondario, poiché l’organismo ricevente è già formato. Tuttavia persistono molti dubbi a questo proposito. Altri esempi di chimerismo secondario riguardano il trapianto di midollo osseo in topo. In questi animali sono stati riportati casi di cellule uovo neoformatesi nell’ovario dell’individuo che ha ricevuto il trapianto ma aventi il genotipo del donatore di midollo. Se si prescinde dal ‘dogma’ secondo cui i mammiferi sono incapaci di generare nuove cellule uovo in età adulta e si assume l’attendibilità del dato, allora si pone una questione: le chimere da trapianto di midollo osseo sono da considerarsi secondarie, oppure anche primarie dal momento che cooperebbero alla formazione di gameti che a loro volta contribuiscono all’intero organismo? Allo stato attuale, le cellule uovo ‘da donatore’ riscontrate nell’ovario dopo trapianto di midollo non sembrano prendere parte all’ovulazione e quindi alla riproduzione. Il caso del trapianto di midollo osseo non è invalidante, tuttavia mette in crisi la distinzione tra chimere primarie e secondarie.

Non chimere, bensì ibridi

Le chimere hanno popolato l’immaginario collettivo al punto da diventare un oggetto da intrattenimento, anche se il modo in cui sono state rese in alcuni romanzi o film corrisponde alla definizione di ibridi anziché di chimere (per es., nel romanzo del 1896 di Herbert G. Wells The island of Doctor Moreau, creature composite uomo-animale vengono prodotte in laboratorio). La fecondazione interspecifica è la sola modalità con cui gli ibridi si possono formare in natura. L’ibridazione impone ai due genomi eterospecifici di coesistere in uno stesso nucleo. Differenze nella velocità di replicazione del DNA potrebbero causare una competizione tra i due genomi nello stesso nucleo, causando un conflitto interno. Nelle chimere, differenze nella velocità di replicazione del DNA possono risultare in un arricchimento o in una diluizione delle cellule aventi velocità maggiore o minore, rispettivamente, senza precludere la loro esistenza. Per questa ragione, il chimerismo ha maggiori possibilità dell’ibridazione di avere successo nello sviluppo embrionale.

Il classico esempio di ibrido naturale, il mulo, non è forse adeguato per studiare la biologia degli ibridi, dato che il cavallo (Equus caballus, 2n = 64) e l’asino (Equus asinus, 2n = 62) hanno numeri cromosomici e quantità di DNA simili (i numeri qui si riferiscono ai cromosomi). Solitamente i casi di accoppiamento e fecondazione trans-specie sono rari e non vanno a buon fine, ma nel caso dell’asino e della cavalla l’embrione ibrido risultante si sviluppa in un mulo che è sano per tutti gli aspetti fatta eccezione per la fertilità.

Passando dalla fecondazione naturale a quella artificiale, l’hamster test è stato introdotto negli anni Sessanta del 20° sec. per studiare il corredo cromosomico umano e la procedura diagnostica da adottare nei casi di infertilità maschile: gli ovociti di criceto dorato (Mesocricetus auratus) si mescolano con gli spermatozoi umani e si misura la percentuale di ovociti penetrati dagli spermatozoi. L’ovocita così ‘fecondato’ non è in grado di svilupparsi, tuttavia fornisce un’indicazione della qualità del liquido seminale umano. La britannica Human fertilisation and embryology authority (HFEA), con il primo Human fertilisation and embryology act (1° nov. 1990) ha autorizzato numerose cliniche a usare questo test; negli anni Settanta l’hamster test è stato usato anche per mappare il genoma umano. Purtroppo, queste valide applicazioni sono oscurate da precedenti tentativi di ibridazione che ben poco hanno di scientifico, utile e meritorio: per es., nel 1926, in esperimenti compiuti nella Guinea francese, il biologo russo Il′ja I. Ivanov utilizzò sperma umano per inseminare femmine di scimpanzé (Rossiianov 2002). Anche se l’embrione ibrido criceto-uomo non è vitale, è difficile escludere a priori che un ibrido uomo-scimpanzé possa essere vitale.

Attualmente si definiscono ibridi, o addirittura chimere, embrioni che non lo sono, in quanto il contributo del nucleo è da parte di una specie sola. Il metodo corrente per produrre questi embrioni è il trasferimento di nuclei somatici in ovociti di una specie diversa privati dei loro cromosomi, un metodo che in realtà è vecchio di quasi un secolo e mezzo (A. Rauber, Personaltheil und Germinaltheil des Individuum, «Zoologischer Anzeiger», 1886, 9, pp. 166-71). La ragione per produrre questi embrioni è la prospettiva di ottenerne cellule ES specifiche della specie donatrice del nucleo. Queste cellule ES sarebbero poi utili per studiare problemi del differenziamento normale e patologico senza dover derivare cellule ES da embrioni normali, ovvero sacrificando embrioni normali.

In generale sembra che il trasferimento nucleare interspecie funzioni in modo completo soltanto se le specie sono filogeneticamente vicine, cioè appartenenti allo stesso ordine.

Tra ordini diversi, si è ottenuto uno sviluppo molto limitato e non oltre lo stadio di blastocisti. Nel 2003 la Shanghai second medical university (oggi School of medicine of the Shanghai Jiao Tong university) ha annunciato la creazione di embrioni ibridi uomo-coniglio, e che linee cellulari derivate da questi ibridi presentavano le caratteristiche delle cellule ES umane (Chen, He, Liu et al. 2003). Questo risultato non è stato replicato da gruppi indipendenti; tuttavia Illmensee e i suoi collaboratori (Illmensee, Levanduski, Zavos 2006) hanno prodotto embrioni bovino-uomo, confermando che questi costrutti sono capaci di compiere almeno le prime divisioni cellulari.

I concetti di trasferimento nucleare interspecifico e di embrione ibrido hanno sollevato critiche, non tanto per quanto riguarda la fattibilità materiale ma per le basi biologiche e le possibili applicazioni. Un argomento usato a sostegno dell’uso degli ibridi in medicina rigenerativa è la loro incapacità di raggiungere stadi avanzati di sviluppo. Tuttavia, se gli ibridi sono incapaci di svilupparsi, è ragionevole chiedersi quale sia la bontà delle cellule ES da essi eventualmente derivate e la loro capacità di fungere da modello delle cellule ES genuine.

Aspetti etici e legislativi delle chimere uomo-animale

Esiste una differenza fondamentale tra il prodotto finale del mescolamento di cellule a stadi iniziali di sviluppo e quello derivante dal mescolamento di cellule a stadi fetali, neonatali o adulti. In linea di principio, le cellule inoculate nell’organismo non possono contribuire al piano generale del corpo quando l’accettore è un feto, un neonato o un organismo pienamente formato, e si comportano come ‘passeggeri’. Il risultato è ben diverso quando le cellule vengono trapiantate in un embrione precoce. Allora esse si possono distribuire, integrare e funzionare in tutti i tessuti e gli organi. Ciò conferisce anche una tolleranza immunologica, in quanto la presenza delle cellule eterologhe precede la formazione del sistema immunitario, che quindi le riconoscerà come self. Tuttavia, una radicazione/integrazione così profonda nell’organismo accettore è anche un elemento di preoccupazione: qualora tali cellule contribuissero a organi come il cervello o le gonadi, si andrebbe oltre il mero mescolamento di cellule, ma si modificherebbero organi che più di altri definiscono la personalità umana. Portando questo ragionamento al limite, alcuni temono che un cervello semiumano verrebbe imprigionato in un corpo non umano. Dalla prigionia all’asservimento il passo è breve, e non è difficile immaginare un avvocato che facesse riferimento alle norme sull’abolizione della schiavitù al fine di contrastare la produzione di chimere.

A oggi, legislazioni sulle chimere uomo-animale sono presenti in Australia, in Canada e negli Stati Uniti. In queste legislazioni, il termine animale viene usato per indicare l’animale non umano. Queste legislazioni sono restrittive, e ciò che da esse non è ancora proibito verrà comunque normato dai regolamenti emanati dalle agenzie governative. A tutt’oggi, gli Stati europei non hanno ancora regolamentato né la produzione né l’impiego delle chimere uomo-animale. Nel 2007 la Gran Bretagna ha consentito la produzione di embrioni ibridi uomo-animale, che però non sono chimere (HFEA statement on its decision regard­­ing hybrid embryos, 5 sett. 2007). Da notare che l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno regolamentato il mescolamento di cellule embrionali animali e umane, ma non quello di cellule umane provenienti da individui diversi tra loro, il che dà ugualmente luogo a chimere. Gli Stati dell’Europa continentale hanno adottato una posizione meno chiara di quella dei quattro Paesi prima citati.

In Australia, il Prohibition of human cloning for reproduction and the regulation of human embryo re­search amendment act (12 dic. 2006) proibisce non solo la creazione di embrioni chimera uomo-animale, ma anche il trasferimento di embrioni umani (clonati o non) nel corpo di una donna o di una femmina di altra specie, così come il reciproco trasferimento di embrioni animali (clonati o non) nel corpo di una donna.

In Canada, l’Assisted human reproduction act (29 marzo 2004) fa una distinzione tra chimere umane e chimere animali. È consentito trapiantare cellule umane in embrioni animali, in quanto i prodotti sono considerati chimere animali, mentre è proibito trapiantare cellule animali in embrioni umani, in quanto i prodotti sono considerati chimere umane. Questa legge proibisce la produzione di embrioni clonati umani, anche usando l’altered nuclear transfer (metodica in cui la cellula donatrice del nucleo è mutata in geni che impediscono lo sviluppo in utero); proibisce inoltre il trapianto di gameti o embrioni da animali a esseri umani, e viceversa il trapianto di gameti o embrioni umani in animali. La legge non si occupa delle cellule ES umane, tuttavia i Canadian institutes of health hanno emanato regolamenti (2002, 2005, 2006) che proibiscono esplicitamente il trasferimento di cellule ES umane in embrioni animali, così come quello di cellule ES animali in embrioni umani.

Secondo lo Human chimera prohibition act, emanato il 17 marzo 2005 negli Stati Uniti, le ‘chimere umane’ sono definite in maniera così estesa da includere i più svariati metodi per introdurre cellule non umane in embrioni umani; la produzione o il tentativo di produrre simili chimere è proibito. Va notato che l’embrione accettore è espressamente umano o di primate. Anche se ciò lascia aperta la strada per produrre chimere in cui l’embrione accettore è non primate, il 26 aprile 2005 la National acad­emy of sciences ha divulgato linee guida al riguardo (Guidelines of human embryonic stem cell research). Questo documento non è vincolante, ma deplora il trasferimento di cellule ES umane in embrioni di uomo e scimmie antropomorfe. È interessante ripercorrere i fatti antecedenti lo Human chimera prohibition act (Rabin 2006). Nel dicembre 1997 Stuart A. Newman (professore al New York medical college) e Jeremy Rifkin (presidente della Foundation on economic trends, Washington D.C.) presentarono una domanda per brevettare un’entità chimerica composta da cellule embrionali umane e cellule embrionali di scimmia. L’ufficio brevetti (Patent and trademark office, PTO) rigettò la domanda nell’agosto 2004, asserendo tra le altre cose che la chimera in oggetto sarebbe stata troppo simile a un essere umano, e ciò sarebbe stato in contrasto con il 13o emendamento della Costituzione, che riguarda la proibizione della schiavitù. Newman e Rifkin lasciarono scadere i sei mesi di tempo disponibili per presentare appello e, nel febbraio 2005, dichiararono di avere ottenuto il risultato da essi voluto. Infatti il verdetto del PTO avrebbe impedito ad altri di ottenere simili brevetti per lungo tempo, fino a 20 anni. Anche se il verdetto del PTO non rendeva le chimere uomo-scimmia illegali (per questo sarebbe occorso il già citato Human chimera prohibition act), l’impossibilità di brevettare il metodo sarebbe bastata a ottenere l’effetto desiderato da Newman e Rifkin. Infatti nessuna biotech company si potrebbe permettere di investire su un prodotto se non fosse in grado di tutelare i propri investimenti mediante il brevetto del prodotto stesso.

In Gran Bretagna, nel giugno 2001 il rapporto sulle biotecnologie dell’Animal procedures committee (Report on biotechnology, http://apc.homeoffice.gov.-uk/referen­ce/biorec.pdf; 23 marzo 2010) raccomandava che nessuna licenza fosse concessa per produrre aggregati di embrioni, specialmente aggregati interspecie tra embrioni umani ed embrioni animali, così come pure di ibridi che comportino un significativo livello di ibridazione tra animali fondamentalmente dissimili tra di loro.

La riluttanza a consentire l’introduzione di cellule umane in embrioni sia umani sia animali, si ritrova anche in alcuni documenti europei, come quello approvato dal Consiglio d’Europa a Oviedo il 4 aprile 1997 (Convention for the protection of human rights and dignity of the human being with regard to the application of biology and biomedicine). Tale documento, nel suo art. 13 (Intervention on human genome), proibisce qualsiasi intervento che modifichi il genoma umano se lo scopo è passarlo alle generazioni successive. In pratica ciò proibisce qualunque tecnica di manipolazione genetica a stadi precoci di sviluppo. I legislatori europei sono chiaramente preoccupati degli usi della tecnologia. A oggi, il governo britannico non ha ancora sottoscritto l’articolo.

Conclusioni

Se da un lato il Minotauro non fa più paura, o almeno non costituisce più un elemento della memoria collettiva, il mondo contemporaneo ha prodotto altre figure mostruose, virtualmente legate a determinati settori della biomedicina che trovano spesso grande spazio nei mezzi di comunicazione. Essenziale in questi casi risulta il lavoro del legislatore che interviene a tutela sia del diritto alla sicurezza e del senso etico sia del progresso della conoscenza attraverso gli strumenti della scienza.

Pertanto è auspicabile che tutto il settore della biologia riproduttiva e della medicina rigenerativa possa trovare il massimo appoggio da parte dei governi, dal punto di vista sia dei finanziamenti sia degli strumenti legislativi atti a perseguire il bene comune.

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