LEGATUS TOTIUS ITALIAE

Federiciana (2005)

Legatus totius Italiae

PPaolo Cammarosano

La funzione di generale rappresentanza dell'autorità imperiale, già espressa in età carolingia dall'istituzione dei missi, ricevette un impulso nuovo e una definizione maggiore con i sovrani tedeschi, con gli Svevi in particolare, e sotto Federico II raggiunse decisamente i caratteri, al tempo stesso, della stabilità e della massima estensione di competenze.

Durante il regno di Federico I il termine legatus era subentrato definitivamente al precedente missus, ed era comparsa, sia pure in maniera attestata ancora sporadicamente, la designazione dell'Italia come ambito di tale potere imperiale delegato. Al 16 febbraio del 1213 risale la prima nomina di un legato generale: come sarebbe accaduto normalmente anche in seguito, si trattava di un alto ecclesiastico, il vescovo di Trento Federico, definito inizialmente come legato per la Lombardia, la Marca di Verona, la Tuscia e la Romagna, in seguito con la formula più semplice e comprensiva di legatus totius Italiae.

Dopo una fase di transizione seguita alla morte di Ottone IV nel 1218, e una copertura in forme vicariali, l'ufficio di legatus a latere ‒ altra modalità di designazione di quello che era comunque a tutti gli effetti il legatus totius Italiae ‒ fu attribuito il 17 aprile del 1220 a un altro prelato tedesco, Corrado vescovo di Metz e Spira e cancelliere imperiale (v. Corrado di Scharfenberg). Il diploma di nomina di Corrado è di particolare interesse perché definisce compiutamente la pienezza dell'autorità conferita: nelle mani del legato si sarebbero dovuti prestare i giuramenti di fedeltà e le promesse di obbedienza, le stipulazioni di pace, le sottomissioni di città, borghi, castelli e villaggi, quelle di marchesi, conti, capitanei e valvasores; egli avrebbe avuto il potere di esigere penalità e punire i malfattori, di attribuire o restituire possessi, di nominare i notai. A solennizzare la compiutezza del trasferimento di autorità dall'imperatore al legato, il dettato di nomina sanciva l'inappellabilità di quanto il legato avesse disposto (quicquid dixerit vel fecerit).

Le necessità e le opportunità della dominazione federiciana in Italia avrebbero condotto Corrado lungo un itinerario fitto di città, castelli e abbazie, da Verona a Mantova, a Brescia, Borgo S. Donnino, Reggio, Modena, Bologna, Imola, Piacenza, Pontremoli, Siena, Sutri, Poggibonsi, San Miniato, Fucecchio, poi nuovamente a Bologna, a Reggio, per l'avvio di un ritorno verso nord nel febbraio del 1221, a Lodi e poi a Como, da dove Corrado avrebbe ripreso il cammino per un rientro in Germania, avvenuto nella primavera del 1221. Se formalmente Corrado mantenne il titolo ancora qualche tempo dopo aver lasciato l'Italia, la legazia fu ovviamente riorganizzata, e non solo nel senso di un mutamento di titolare ma con una suddivisione di ambiti: si ebbero un legato per l'Italia settentrionale (cioè la Lombardia, la Romagna e la Marca trevigiana) e uno per la Tuscia, ciò che significava tutta l'Italia centrale con eccezione dei domini della Chiesa di Roma. Nel primo ufficio venne nominato nell'aprile del 1222 Alberto arcivescovo di Magdeburgo, mentre l'autorità imperiale sulla Tuscia fu affidata a un laico, Gunzelin di Wolfenbüttel. A questa divisione dell'ufficio di legato fecero seguito ulteriori segmentazioni nello spazio e nel tempo: l'arcivescovo Alberto fu insignito dell'ufficio di conte di Romagna e cumulò con questo titolo quello di legato imperiale, ma venne affiancato dal 1226 da un principe laico, Tommaso di Savoia, indicato nelle fonti come legato imperiale per tutta l'Italia e titolare della Marca trevigiana; a Gunzelin, invece, subentrò in breve volgere di tempo un nuovo legato di Tuscia nella persona di Alberto, vescovo di Trento. Poi si succedettero nella legazia dell'Italia settentrionale Gerardo di Salm, conte di Catanzaro, e Simone di Chieti (Teate); e della legazia della Tuscia fu insignito nel 1223 Rainaldo duca di Spoleto (v. Rainaldo di Urslingen), caduto in disgrazia e imprigionato dopo otto anni, al quale venne fatto subentrare Geboardo di Arnstein, indicato più tardi come legatus totius Italiae.

Era insomma un quadro non privo di incertezze e di alternanze, ciò che mostra come il carattere di stabilità istituzionale attribuito all'ufficio di legatus totius Italiae non togliesse la fisionomia di una stretta relazione personale con l'imperatore, di una dipendenza della titolarità da un rapporto di fidelitas che continuava a essere, come anticamente nell'impianto carolingio, il perno dell'alto funzionariato imperiale. Ciò è clamorosamente confermato dalla svolta del luglio 1239, quando l'ufficio ebbe una nuova unificazione e solennizzazione, addirittura nella persona del figlio dell'imperatore, Enzo, re di Sardegna con il nome di Enrico, detentore della rappresentanza su tutta l'Italia fino alla sua caduta in prigionia nel maggio del 1249. La riunificazione della legazia generale d'Italia si accompagnava però a una tendenza organizzativa di segno inverso, maturata rapidamente in seguito alle vittorie imperiali degli anni 1236-1237, che si concretava nella nomina di podestà imperiali in alcune città e soprattutto in un'articolazione delle regioni italiane settentrionali e centrali in vicariati o capitaniati generali (v. Vicariati generali), di ristretto numero, ma che comunque avevano estensioni territoriali minori rispetto alla precedente bipartizione fra Lombardia e Tuscia. L'amministrazione imperiale di alto livello si veniva dunque configurando, nell'Italia del Nord e del Centro, secondo una struttura a due stadi, con un unico legatus totius Italiae e un piccolo manipolo di vicarii o capitanei generales a lui subordinati: tutti sempre, comunque, in rapporto di stretta dipendenza e fedeltà personale nei confronti dell'imperatore.

fonti e bibliografia

Il profilo fondamentale dell'ufficio e la sequenza dei titolari furono delineati da J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, I-IV, Innsbruck 1874 (riprod. anast. Aalen 1961): II, pp. 156-179 (si tratta, all'interno della sez. XXV, Wandernde Königsboten, dei §§ 283-287 sui legati di Federico II e dei §§ 288-292 sui caratteri generali). Nell'apparato di note di Ficker è nominata la gran parte dei documenti (principalmente editi in Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI) relativi ai legati totius Italiae. Il diploma di nomina di Corrado di Metz e Spira si legge in M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896, nr. 71, p. 83.

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