CLAUDIE, LEGGI

Enciclopedia Italiana (1931)

CLAUDIE, LEGGI

Filippo Stella Maranca

. Se ne contano sei: tre ebbero nome dal tribuno Q. Claudio (218 a. C.), dal console C. Claudio (177 a. C.) e dal proconsole C. Claudio (95 a. C.); tre dall'imperatore Claudio tra il 42 e il 49 dell'era cristiana.

La prima, contrariamente all'auctoritas patrum (o, come dice Livio, XXI, 63, adversus Senatum), limitava ai senatori e ai figli dei senatori l'esercizio del commercio marittimo vietando di possedere navi di capacità superiore a trecento anfore. Abolita dalla lex Iulia repetundarum (Dig., L, 5, de vacat. et excus., 3), era certamente in vigore nell'epoca ciceroniana (Cic., Verr., 2, 5, 18, 45). La seconda (ex senatus consulto) impose ai socii immigrati in Roma, a datare dalla censura di M. Claudio e di Tito Quinzio (189 a. C.), di ritornare alle loro città di origine, prima delle calende di novembre del 177 (Livio, XLI, 9, 9). La terza (de Senatu Halesinorum cooptando) prescriveva le norme per la composizione del senato in quella città (Cic., Verr., 2, 49, 122) e forse riproduceva altre norme legislative di carattere locale. Fra le leggi di Claudio imperatore, Dione Cassio (60, 11) ricorda quella de praefectis, probabilmente rogata il 42 nei concilia plebis; per essa i prefetti, avvenuto il sorteggio delle provincie, erano obbligati a raggiungere la loro destinazione prima delle calende di aprile, senza presentare al senato i ringraziamenti che furono vietati. Tacito (Ann., II, 13) parla del divieto di dare in prestito delle somme ai figli di famiglia ma non spiega in qual modo Claudio munia censoria usurpans... nel 47 saevitiam creditorum coercuit con tal legge che precorse certamente il senatoconsulto macedoniano, ma non può con esso confondersi. Le fonti giuridiche (cfr. per tutte Gaio, Inst., I, 157) trattano poi dell'abolizione della tutela agnatizia delle donne (quod ad feminas attinet, agnatorum tutelas sustulit) avvenuta nel 49, anno del matrimonio di Claudio con la nipote Agrippina, la quale si trovava appunto sotto quella tutela che si chiamava, e si usa chiamare ancora, perpetua.

Bibl.: P. Willems, Le Sénat de la Rép. rom., I, Lovanio 1878, p. 202; T. Mommsen, Le droit public rom., V, p. 159; VI, ii, p. 262, Parigi 1891-95; E. Cuq, Inst. juridiques des Rom., 2ª ed., I, Parigi 1904, p. 503; G. Rotondi, Leges publ. populi rom., Milano 1912, pp. 249, 280, 467, 490.

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