LEMNO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1961)

Vedi LEMNO dell'anno: 1961 - 1973 - 1995

LEMNO (Λῆμνος, Limnos)

L. Bernabò-Brea
Red.

Isola dell'Egeo settentrionale, antistante alla costa della Troade con cui è stata culturalmente collegata nella preistoria.

Le antiche civiltà dell'isola sono state esplorate dagli scavi condotti dalla Scuola Archeologica Italiana dal 1926 in poi. L. ha avuto una precocissima e splendida Età del Bronzo intimamente connessa a quella di Troia e di Lesbo (Thermi). Dei diversi abitati di questa età già identificati nell'isola (Poliòchni, Axia, Trochalià, Vriòkastron, Mikrò Kastelli) solo il primo è stato ampiamente scavato (v. poliochni). Di L. anteriormente al VI sec. a. C. non abbiamo dati storici, ma solo un ricchissimo patrimonio di leggende. Da queste ci rendiamo conto che nella protostoria L. per lingua e civiltà non è greca.

Per i poemi omerici (Od., viii, 281, 294; Il., i, 594) gli abitatori di L. sono i Sintii, certo da riconnettere alla omonima popolazione della Tracia. Per gli storici (Herod., vi, 131; Thucyd., iv, 109, cfr. Aeschyl., Choephor., 631) è invece abitata dai Tirreni o Pelasgi, quei Tirreni che esercitando la pirateria catturano la nave di Dioniso e furono da lui trasformati in delfini (Inno omerico, vii, 6). L'isola, di cui Polibio (xxxiv, 11, 4) riporta l'antico nome di Aithalia, prende il nome di L. da una dea (Steph. Byz., s. v.) assimilabile alla Grande Madre asiatica, a cui si dava il nome di Megàle Theòs, e a cui si prestava un rito crudele, primitivo, comprendente sacrifici umani, che la avvicinava all'Artemide Tracia o Brauronia. Infatti gli antichi la identificavano con Bendis, la dea tracia guerriera e cacciatrice, che a sua volta si confonde con Artemide. E forse originariamente affine a L. è quella dea Chryse, venerata nella misteriosa vicina isola omonima, che compare nel mito di Filottete e che era invece assimilata ad Atena. Ma i culti principali sono quelli di Efesto (che aveva il santuario presso Mòsychlos, ove era caduto quando Zeus lo aveva scagliato giù dall'Olimpo e ove ardeva un fuoco ctonio che un dèmone teneva sempre acceso e che Prometeo avrebbe rapito per darlo agli uomini) e dei Cabiri (v.).

Fra le molte leggende del periodo tirrenico le più note erano quelle relative al massacro da parte delle donne lemnie di tutti gli uomini per vendicarsi dell'abbandono conseguente alla δυσοσμία con cui erano state punite da Afrodite (la sola Hypsipyle avrebbe salvato il padre, il re Toante, nascondendolo entro una larnax e affidandolo ai flutti, e l'isola sarebbe stata poi ripopolata da una nuova generazione in seguito all'arrivo degli Argonauti) e quella relativa al massacro da parte degli uomini lemnî delle donne ateniesi da essi rapite sulle coste dell'Attica e dei figli avuti da esse. Per cui erano proverbiali i crimini lemnî (Λήμνια κακά). Altra notissima leggenda è quella di Filottete (v.) abbandonato dai Greci, naviganti verso Troia, a L. o nella vicina leggendaria isola di Chryse, che Pausania (viii, 33, 4) dice esser stata inghiottita dal mare.

Già gli antichi mettevano in rapporto i Tirreni di L. con quelli della penisola italiana (Etruschi) e quest'idea trova sostenitori anche oggi. Con gli Etruschi si vollero cercare affinità linguistiche basandosi sulla toponomastica e sull'unico monumento importante della lingua lemnia, la stele di Kaminia, a cui si aggiungono solo poche iscrizioni frammentarie su cocci da Efestia.

L'arte del periodo tirrenico ci è nota oltreché dalla detta stele anche, e soprattutto, da ceramiche dipinte e terrecotte figurate provenienti in gran parte dalle stipi di santuarî di Efestia e Myrina.

Le ceramiche in particolare mostrano la singolare sopravvivenza di un repertorio decorativo curvilineo di lontana origine micenea nella tarda Età Geometrica. Fra le terrecotte sono notevoli oltre ad idoli, sfingi e sirene e a figure femminili liricini, alcuni modelli fittili di case e di fontane.

Erodoto (vi, 140) ci dice che L. fu conquistata da Milziade, ma è incerto se si tratti di Milziade I, alla metà del VI sec. a. C., o di Milziade II, e anche in questo secondo caso resterebbe incerta la data (verso il 513 o durante la rivolta della Ionia) poiché mal si concilia questa notizia con quella della conquista di L. e Imbros da parte dei Persiani forse verso il 512. In seguito alla conquista di Milziade le isole di L. e Imbros entrano a far parte dell'impero di Atene con cui restano strettamente legate fino al III sec. d. C. Fanno parte della lega delia, ricevono cleruchìe attiche (e i cleruchi di L. intorno alla metà del V sec. dedicano sull'acropoli di Atene la famosa Atena Lemnia, opera di Fidia). Le iscrizioni ci dimostrano che la costituzione delle città di L. è modellata fedelmente su quella di Atene. Cleruchi di L. combattono fra gli Ateniesi nella guerra del Peloponneso. Le isole si staccano da Atene solo per brevi periodi: dopo la guerra del Peloponneso (e sono poi riconquistate da Conone) poi fra il 318, quando vengono occupate da Antigono (invano Demetrio Falereo cerca di riconquistarle nel 314) e il 307, quando Demetrio Poliorcete le restituisce ad Atene, per ritoglierle forse dopo Ipso (301). Nel 287-6 le occupa Lisimaco che le amministra per gli Ateniesi, ma dopo Corupedio (282) Seleuco le ridà ad essi. Sembra siano state occupate dai Macedoni durante la guerra cremonidea (266/5 - 263/2) e poi nel 202/1 da Filippo V, a cui le tolsero i Romani, che le perdettero subito dopo, quando le occupò Antioco il Grande. Ritornarono definitivamente ad Atene dopo Pidna nel 166 a. C. a cui rimasero fino a Settimo Severo. Durante il II e III sec. d. C. si distingue la famiglia lemnia dei Filostrati, di cui ben quattro membri sono famosi come retori e sofisti.

In età storica due sono le città dell'isola: Myrina ed Efestia; esse pagavano separatamente tributo ad Atene: Myrina la metà di Efestia (talenti uno e mezzo anziché tre). Myrina, corrispondente all'attuale capoluogo Kastron, è situata in posizione fortissima su un promontorio scosceso della costa O, fiancheggiato da due buoni ancoraggi. Se ne riconoscono resti delle mura e tagli nella roccia del pendio S, corrispondenti a case, scale e strade. Saggi del Pandelidis trovarono un cospicuo gruppo di terrecotte figurate arcaiche di una divinità femminile e numerose iscrizioni onorarie sul probabile sito di un tempio (Fredrich, in Ath. Mitt., xxxi, 1906, pp. 6o e 241). Le iscrizioni (M. Segre, in Annuario Atene, xv-xvi, 1932-33, p. 294, n. 4 e 5) attestano un santuario di Artemide.

Per Efestia, sita in posizione meno forte, ma con retroterra più ricco, nella baia di Purnià, sulla costa N, v. efestia.

A S-O di Efestia, non lungi dal castello medievale di Kókkino, era il Mosychlos (vedi sopra: leggende) ove si raccoglieva una terra rossa a cui si attribuivano virtù terapeutiche per aver guarito Efesto e Filottete. Munita del sigillo di Artemide (Λήμνια σϕραγίς = terra sigillata) era largamente esportata e continuò a essere in commercio in Oriente fino al secolo scorso con sigillo dell'amministrazione turca. Ne parlano Dioscoride (Περὶ ὕλης ἰστρικῆς, v, 113) e Galeno (xii, 169, cfr. xiv, 8) che fu a L. due volte, nel 162 e 165 d. C., quando però il fuoco ctonio era estinto da molti secoli.

A N di Efestia, in località Chloe, sulla sponda E del golfo di Purnià, fu identificato e scavato dalla Scuola Italiana (1937-39) il Kabirion (G. Libertini, in Annuario Atene, 1939-40, p. 223), santuario risalente all'età tirrenica e allora certo più importante di quello di Samotracia, che lo superò invece in età ellenistica. (Non a L., ma a Samo si riferisce l'erronea notizia del Labirinto costruito da Rhoikos e Theodoros data da Plinio, Nat. hist., xxxvi, 90).

Il santuario si sviluppava su due piccoli pianori semicircolari, separati da sperone roccioso, che si estendevano a mezza costa di una collina scoscesa sul mare. Un muro corrente sull'alto della collina lo proteggeva da sguardi profani. L'edificio più antico e più sacro, sul pianoro meridionale, addossato allo sperone, presenta strette analogie con quel più antico edificio del santuario di Samotracia in cui il Lehmann riconobbe l'anàktoron ricordato da S. Ippolito (Refut. omn. haer., v, 8, 9). Il che dimostra una certa uniformità nel rituale. Era un'ampia sala a tre navate a cui si accedeva dal lato O, con una tribuna soprelevata lungo il lato E mentre sulla testata N, al di là di un gradino (forse base di una iconostasi) si aprivano tre ampî recessi. In quello mediano era collocata, assialmente rispetto alla navata centrale, un'edicola fiancheggiata da basi, che nascondeva un maggiore basamento collocato dietro di essa, destinato forse alle "cose sacre" che venivano rivelate all'iniziato e che non erano visibili dalla massa dei fedeli, a differenza di quelle contenute nell'edicola stessa che potevano forse essere mostrate al pubblico durante le cerimonie. Si tratta certo della sala delle iniziazioni o telestèrion.

La metà S del pianoro meridionale è occupata da una grandiosa costruzione di blocchi che si protende con un angolo altissimo nel pendìo, fatta certamente per creare lo spazio ad un edificio totalmente scomparso, forse una stoà per ricovero dei pellegrini.

Tutto il pianoro N è invece occupato da un vastissimo edificio preceduto verso S da un porticato di dodici colonne doriche e con muri costruiti interamente in mattoni crudi su un solo filare di blocchi, che, superstite, ci permette di riconoscere una pianta a più navate. Può trattarsi di un nuovo telestèrion sorto in età ellenistica, quando il vecchio era forse ormai insufficiente a contenere l'aumentata massa dei fedeli.

Le numerose iscrizioni rinvenute (S. Accame, in Ann. Atene, n. 5., iii-v, 1941-43, p. 75 ss.) ci rivelano una organizzazione amministrativa del santuario rispecchiante quelle delle città di Efestia e Myrina, a loro volta modellate su quella ateniese. Abbiamo una assemblea degli iniziati (ἐκκλησία oppure δῆμος τῶν τετελεσμένων) presieduta da proedri delle diverse tribù, uno dei quali funge da presidente mettendo ai voti le deliberazioni. L'assemblea emette decreti. Vi è un economo (ταμίας τῶν ἱερῶν χρημάτων). Sono ricordati (alla fine del V sec.) gli ieromnemoni ed inoltre un βοώνης incaricato di procurare gli animali per i sacrifici e di venderne le pelli, un cosmeta, che doveva occuparsi dell'abbigliamento delle divinità, o più generalmente degli arredi sacri, un sacro araldo (ἱεροκῆρυξ).

Gli eletti talvolta fanno dediche votive agli dèi e sono onorati con decreti dell'assemblea per aver ben adempiuto ai loro uffici. Invece la parte rituale è curata dal sacerdote (ἱερεύς) e dall'indovino (μάντις). La festa principale era quella delle Oree (῾Ωραῖα), che aveva luogo probabilmente in primavera, durante la quale era frequente che avvenissero manomissioni di schiavi proclamate dall'araldo e registrate su una stele. Le cerimonie dovevano svolgersi soprattutto di notte.

Fra le iscrizioni più importanti è una lettera di Filippo V di Macedonia agli Efestiesi, con cui esprime il desiderio di "vedere le cose sacre" e cioè probabilmente di ricevere il grado più elevato di iniziazione, quello di epòptes (Riv. Filol. Class., 1941, p. 179).

Poche sono le altre località archeologiche dell'isola.

Un iscrizione (I. G., xii, 8, 19) ricorda un Herakleion di Komi (piccolo villaggio a S-E di Efestia) amministrato da una confraternita di ᾿Ορχεῶνες.

Tracce di un abitato di età ellenistica e romana, ma forse di origini anteriori, sono in territorio di Kamìnia, presso la chiesetta di Haghios Nikòlaos.

Sempre nei dintorni di Kamìnia sono in contrada Parachìri e in contrada Esòkastron recinti sepolcrali di tipo attico, di cui almeno il primo con tombe della fine del V sec. a. C. È dubbio che al secondo appartenesse originariamente la famosa stele tirrenica (v. efestia) che era utilizzata nella muratura della vicina chiesetta di Haghios Alexandros.

Il rinvenimento di una lèkythos funeraria marmorea con scena figurata di tipo attico permise la identificazione di una piccola necropoli presso Rosopùli (Annuario Atene, 1939-40, p. 225). Un'altra lèkythos simile dai dintorni di Efestia è ora al Louvre.

Bibl.: Geografia, esplorazioni, trattazioni d'insieme: C. Rohde, Res Lemnicae, Diss., Breslavia 1829; A. Conze, Reise auf den Inseln des thrakischen Meeres, Hannover 1860; C. Fredrich, Lemnos, in Ath. Mitt., XXXI, 1906, p. 60 ss.; p. 241 ss.; F. L. W. Sealy, Lemnos, in Ann. Br. Sch. Athens, 1918-19, pp. 148-171; C. Fredrich, Lemnos, in Pauly-Wissowa, XII, 1925, coll. 1928-30, s. v. Storia: G. Pantelidis, ῾Ιστορία τῆς νήσου Λήμνου, Alessandria 1876; S. Schebelew, Zur Geschichte von Lemnos, in Klio, II, 1902, p. 36 ss.; C. Fredrich, I. G., XII, 8, p. 6 ss. Culti e leggende: Roscher, s. v.: Argonautai und Argonautensage; Artemis (Orthia, Tauro, Iphigenia); Chryse; Hypsipyle; Mosychlos; Toas; ecc.; Pauly-Wissowa, s. v.: Argonautai; Artemis; Chryse; Lemnios (Hephaistos); Hypsipyle, Megalē Theos, Mosychlos, Nea(i), Philoktetes, Thoas Tyrrener, ecc.; G. Dumezil, Le crime des Lemniennes, Parigi 1924. Culto dei Cabiri: R. Pettazzoni, Le origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio, in Mem. Lincei, 1906, pp. 635-641; id., I Misteri, Bologna 1924; B. Hemberg, Die Kabiren, Upsala 1950; H. Bloch, in Roscher, II, 1884-97, cc. 2522-2541, s. v. Megaloi Theoi; O. Kern, in Pauly-Wissowa, X, 1919, cc. 1399-1450, s. v. Kabeiros und Kabeiroi. Sulla lingua lemnia e la stele di Kamìnia: I. G., XII, 8, i con bibl. fino al 1912; D. C. Swanson, A Selected Bibliography of the Anatolian Languages, in Bull. of the New York Public Library, New York 1949, p. 21; C. Fredrich, Kleinasiatische Sprachdenkmäler, Berlino 1932, p. 144; P. Kretschmer, in Glotta, XXIX, 1942, p. 89 e XXX, 1943, pp. 216; E. Falkner, in Brandestein, Frühgeschichte und Sprachwissenschaft, 1948, p. 91; F. Schachermeyr, in Pauly-Wissowa, XXII, 2, 1954, c. 1946 ss.; G. Bonfante, in Hesperia, XXIV, 1955, p. 101; A. Della Seta, Iscrizioni Tirreniche di Lemno, in Scritti in onore di Bartolomeo Nogara, Roma 1937, p. 119 ss. Sulle iscrizioni: I. G., XII, 8, p. 2 ss. (Fredrich 1909) e Suppl. nn. 337-343 (Hiller von Gaertringen, 1939); M. Segre, Iscrizioni greche di Lemno, in Annuario Atene, XV-XVI, 1932-33, pp. 289-324; S. Accame, Iscrizione del Cabirio di Lemno, ibid., N. S., III-V, 1941-43, pp. 75-105; id., in Riv. di Filol., N. S., XIX, 1941, p. 179; G. Susini, Note di epigrafia lemnia, in Annuario Atene, XXX-XXXII, 1952-54. Sugli scavi italiani a L.: A. Della Seta, Atti della Scuola, in Annuario Atene, VIII-IX, 1925-26, p. 393; X-XII, 1927-29, pp. 711-713; XIII-XIV, 1930-31, p. 499 ss.; XV-XVI, 1931-32, p. 315 ss.; A. Della Seta, Arte tirrenica in Lemno, in Eph. Arch., 1937, pp. 629-664; G. Libertini, ibid., I-II, 1939-40, p. 223 ss.

(L. Bernabò-Brea)

Personificazione. - La personificazione dell'isola appare raffigurata a mezzo busto, con corona turrita e velo, su monete di Efestia.

Bibl.: F. Imhoof-Blumer, Griech. Münzen, Monaco 1890, pp. 6, 530, n. 4, tavv. 1, 3.

(Red.)