LEONE XI

Enciclopedia dei Papi (2000)

Leone XI

Matteo Sanfilippo

Alessandro de' Medici nacque a Firenze il 2 giugno 1536 in un ramo collaterale di quella famiglia. Era infatti figlio di Ottavio di Lorenzo de' Medici e Francesca di Jacopo Salviati, a sua volta sorella di Maria (la moglie di Giovanni delle Bande Nere) e nipote da parte di madre di Leone X. Non si sa molto sulla sua infanzia e adolescenza, se non quello che riporta un manoscritto, solo parzialmente decifrabile perché danneggiato, della Biblioteca Casanatense di Roma (Vita del cardinale di Firenze).

Sembra che, rimasto orfano di padre in una casa di tutte donne, fosse affascinato dall'insegnamento del domenicano Vincenzo Ercolani della chiesa di S. Marco. La madre, temendo che l'unico figlio maschio entrasse in religione, chiese aiuto a Cosimo I, cugino in secondo grado del giovane Alessandro. Il duca se lo tenne vicino, ma non volle immischiarsi nelle scelte del parente, il quale continuò a scontrarsi con la madre, che accusava inoltre di condurre un tenore di vita superiore alle disponibilità familiari.

Nel 1560 Alessandro accompagnò il duca a Roma e si fermò dal cugino Giovanni Battista Salviati, che lo presentò a Filippo Neri, dal quale fu molto colpito. Rientrato a Firenze proseguì a frequentare la corte e ambienti religiosi. La madre spirò nel 1566, lasciandolo libero di disporre della propria esistenza. Alessandro decise allora di prendere gli ordini con il consenso di Cosimo I, del cardinal Francesco Salviati e di Antonio Altoviti, arcivescovo di Firenze. Si dedicò quindi agli studi ecclesiastici, ma non avanzò particolarmente nella vita speculativa, essendo, scrive il suo biografo, di carattere eminentemente pratico.

Fu ordinato sacerdote da Altoviti il 22 luglio 1567 e nello stesso anno fu nominato da Cosimo I cavaliere di S. Stefano. Si ritirò poi nelle immediate vicinanze di Firenze, ma il duca lo richiamò per designarlo ambasciatore a Roma, il 10 giugno 1569, desiderando di avere qualcuno della famiglia accanto al proprio figlio, il cardinal Ferdinando. Alessandro non conosceva, però, l'ambiente romano e Francesco de' Medici si preoccupò di raccomandarlo alla benevolenza di Guglielmo Sirleto (4 giugno 1569, B.A.V., Vat. lat. 6183, c. 50). Inoltre fu posto sotto la protezione del cardinale Francesco Pacheco, che, assieme a Michele Bonelli, lo presentò a Pio V, cui il fiorentino fece buona impressione. Iniziava così sotto i migliori auspici - Medici fu anche nominato protonotario apostolico il 20 giugno 1569 - una permanenza destinata a durare sino al febbraio 1584. Il neoambasciatore si dovette subito mettere all'opera per giustificare la posizione della Corona francese nella guerra di religione in corso. Il 3 agosto di quell'anno segnalava al suo duca che il papa era estremamente mal disposto verso il re francese, perché quest'ultimo non aveva schiacciato gli ugonotti dopo la vittoria di Jarnac.

Ben presto Medici si rivelò assai abile negli intrighi. Diffuse, per esempio, la voce che Francesco Gerini, suo segretario, fosse scontento di come era trattato; di conseguenza nemici del duca Cosimo lo contattarono e lo misero al corrente delle loro manovre contro Firenze. In effetti l'ambasciatore dovette spesso fronteggiare situazioni scabrose. Per esempio, dovette smorzare lo scandalo dell'arresto nel contado di Vitorchiano di "un soldatello, o per dir meglio ladroncello, Aretino" - riporta il manoscritto - che dichiarò di essere stato inviato dal principe fiorentino per organizzare l'uccisione del cardinal Alessandro Farnese. Questi organizzò un processo a Viterbo, dove fece confessare al presunto reo altre "cose impossibili a essere vere". Infine Medici riuscì a convincere Pio V e il cardinale Farnese che si trattava di una montatura.

Nei primi anni dovette soprattutto affrontare gli attacchi spagnoli alla politica filofrancese di Firenze. Tale opposizione crebbe quando Cosimo I tentò di far avere a Caterina de' Medici la dispensa per il matrimonio di Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV, e Margherita di Valois, sorella di Enrico III. Il 28 agosto 1571 Alessandro de' Medici, su consiglio di e accompagnato da Antonio Maria Salviati (fratello del già menzionato Giovanni Battista), si presentò a Pio V, sollecitandone l'intervento, ma in questo e in successivi incontri (14 settembre, inizi ottobre, 10 e 19 ottobre) il papa dichiarò che avrebbe acconsentito soltanto se il Navarra e l'ammiraglio Gaspard de Coligny, il vero leader degli ugonotti, si fossero convertiti.

In quei mesi l'ambasciatore fiorentino a Roma, coadiuvato anche dal suo omologo in Francia, Giovanni Maria Petrucci, si adoperò per scalzare il nunzio pontificio a Parigi, Flavio Mirto Frangipani. Questi era infatti giudicato il principale ostacolo al matrimonio in questione e Alessandro riteneva che fosse lui ad aver convinto il papa a tenere duro, persino se la Francia avesse attuato le minacce di scisma ventilate da Caterina de' Medici. Petrucci diffuse quindi la voce che Frangipani era uomo dei Guisa e di Filippo II; Alessandro de' Medici fece sapere alla Curia romana che lo stesso era invece troppo legato a Caterina de' Medici per badare agli interessi del papa e che era avverso a Firenze perché del partito di Ferrara. Le accuse erano troppo disparate, ma i Fiorentini volevano allontanare ad ogni costo il loro avversario. D'altronde nelle loro manovre giocavano anche motivi di tornaconto privato: Antonio Maria Salviati contava infatti di prendere il posto di Frangipani. Nel frattempo Alessandro de' Medici sperava di minare anche la credibilità degli inviati spagnoli, tanto più che il papa teneva i Fiorentini all'oscuro di quanto si discuteva nella lega formata per contrastare i Turchi. Entrambe le manovre fallirono quando la vittoria di Lepanto rafforzò la posizione spagnola e ridusse il credito fiorentino in Curia. Il 19 ottobre Alessandro de' Medici dovette così rivelare al duca che la fiducia del pontefice in Frangipani era solidissima (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filza 3290, c. 382v).

In questa prima fase della sua carriera, Alessandro fu molto legato al cardinale Ferdinando de' Medici, con il quale ebbe una consuetudine quotidiana. Tuttavia il suo maggior referente romano fu Filippo Neri, con cui riannodò i contatti non appena arrivato a Roma. L'ambasciatore mediceo divenne allora ospite abituale dell'Oratorio e si legò fortemente a quell'ambiente, tra l'altro molto favorevole alla Francia, nonostante non condividesse le simpatie di Filippo Neri per il Savonarola. Alessandro de' Medici ebbe di conseguenza l'onore nel 1575 di posare la prima pietra della Chiesa Nuova, della quale celebrò anche la consacrazione nel 1599. Assieme al cardinale Federico Borromeo si preoccupò inoltre di far riesumare le spoglie dell'amico e maestro, inizialmente poste nella tomba comune della Congregazione, per metterle in luogo più acconcio. Nel 1599 ordinò una nuova ricognizione della salma e mise alla mano sinistra del morto un anello ornato da uno zaffiro. In seguito proseguì a proteggere l'Oratorio e da molti continuò a essere considerato un uomo del sodalizio oratoriano. Secondo una tradizione, che si appoggia sugli Annali di Cesare Baronio, Filippo Neri gli avrebbe predetto la tiara, ma anche un breve pontificato. I suoi primi passi non gli valsero l'assoluta confidenza granducale, né quella del cardinale Ferdinando e, quando morì Pio V, Cosimo decise d'inviare a Roma Bartolomeo Concini, suo primo segretario, e Belisario Vinta. Concini alloggiò presso l'ambasciatore, ma, a dire di quest'ultimo, non tenne conto dei suoi suggerimenti. Alessandro de' Medici non cercò di imporsi, tanto più che egli sperava come il duca nell'elezione del cardinale Ugo Boncompagni. Utilizzò quindi le proprie conoscenze per coadiuvare gli sforzi di quello che sarebbe divenuto Gregorio XIII e boicottare la campagna avversa condotta dal cardinal Farnese.

Dopo l'elezione sia Concini, sia Ferdinando de' Medici si attribuirono ogni merito: in particolare il cardinale di casa Medici si disse sicuro della riconoscenza del nuovo pontefice. Alessandro, relegato in secondo piano, era meno convinto della possibilità di avvantaggiarsi dell'ascesa di Gregorio XIII e sfruttò la propria amicizia con Diomede Leoni, vecchio e astuto curiale, per entrare in contatto con Matteo Contarelli, il nuovo datario. Ebbe così un duplice accesso privilegiato al pontefice, che gli confermò subito stima ed amicizia. Tale favore gli venne presto utile, quando si aprì la successione alla diocesi pistoiese: Ferdinando infatti non vedeva di buon occhio la nomina del cugino e cercò di dissuaderlo dall'accettare una diocesi che definì troppo poco importante. Ad Alessandro parve invece un'ottima occasione, che gli avrebbe forse permesso di abbandonare la posizione di ambasciatore, che lo esponeva troppo spesso alle sfuriate di Firenze e del cardinale de' Medici. Riuscì quindi a farsi nominare a Pistoia con il pieno assenso del papa (9 marzo 1573).

Alcune lettere scambiate in occasione della nomina permettono di verificare l'ascendente di Alessandro sulla comunità fiorentina a Roma. In particolare Giorgio Vasari scrisse a Vincenzo Borghini che l'ambasciatore aveva ottenuto la diocesi grazie all'appoggio del pontefice e che egli ne era molto contento perché il Medici "e [sic] omo che Dio lo farà salir più alto" (Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, pp. 760-61).

Medici dovette comunque rimanere a Roma, ma governò la diocesi tramite Bastiano de' Medici e fece rigidamente applicare i decreti tridentini, in particolare costringendo i parroci a rispettare l'obbligo di residenza. Soppresse inoltre la tassa vescovile sui benefici vacanti. Riuscì infine a diminuire le tensioni tra la propria diocesi e la prepositura di Prato. Doveva, però, occuparsi per poco tempo di Pistoia. Il 27 dicembre 1573 Francesco de' Medici scriveva infatti a Gregorio XIII, comunicandogli la grave malattia di Altoviti, l'arcivescovo. Due giorni dopo ne annunciava la morte e sottolineava che Cosimo I avrebbe accolto con piacere la nomina di Alessandro (A.S.V., Segr. Stato, Firenze, 2, cc. 566, 571-74). Il 4 gennaio 1574 il cardinale Tolomeo Galli rispose a nome del papa che a Roma tutti concordavano con la scelta del duca (ibid., 191, c. 238). In realtà il cardinale Ferdinando de' Medici non era affatto d'accordo, tanto più che ormai considerava Alessandro non soltanto come il controllore impostogli dal padre e dal fratello, ma anche come un pericoloso concorrente. Ancora una volta, però, la volontà granducale trovò riscontro nel rapporto privilegiato tra l'ambasciatore fiorentino e Gregorio XIII: il 15 gennaio 1574 Alessandro fu quindi traslato da Pistoia a Firenze. Anche in questo caso fu obbligato a restare a Roma, tuttavia amministrò senza problemi la diocesi, continuando a utilizzare Bastiano de' Medici come vicario. In particolare si preoccupò della riforma del clero regolare e di quello secolare e già nel 1575 promosse una visita pastorale, condotta da Paolo Ceccarelli, cancelliere pistoiese.

Il suo governo a distanza, pur apprezzato da molti, non fu, però, esente da critiche: ciò soprattutto perché il nuovo arcivescovo e i suoi uomini entrarono in conflitto con i canonici della cattedrale, dei quali non rispettarono i privilegi, e soprattutto con l'ambiente nutrito di ideali savonaroliani. Su questa opposizione Medici si dilungò in due lettere a Francesco I del 1583 (riportate in C. Guasti, L'officio proprio per fra' Girolamo Savonarola e i suoi compagni, scritto nel secolo XVI, Prato 1860, pp. 19-24), nelle quali sottolineò come i suoi avversari mirassero a indebolire l'autorità ecclesiastica e quella granducale. In questo scontro Medici ebbe l'appoggio di papi e granduchi, nonché quello della curia generale dei Domenicani: nel gennaio 1585 Sisto Fabbri, generale dell'Ordine, condusse una visita per stroncare l'opposizione all'arcivescovo. Tuttavia non riuscì a impedire il ricorrere delle polemiche e il protratto braccio di ferro con oppositori che erano profondamente radicati nella città e nella Chiesa fiorentine.

Nel frattempo Alessandro seppe utilizzare la relazione tra Francesco I de' Medici e Bianca Cappello, per guadagnarsi la fiducia del primo. Naturalmente ciò aggravò il suo dissenso con Ferdinando, il quale mise in giro la voce che l'ambasciatore-arcivescovo non si preoccupava più del benessere della propria città, ma mirava soltanto al cardinalato. Ferdinando inoltre cercò di imporsi come mediatore tra Alessandro e i canonici della cattedrale di Firenze, a tutto svantaggio del primo, tanto che alla fine dovette intervenire Gregorio XIII in difesa del presule. Nonostante l'opposizione del più potente cugino, Alessandro ottenne comunque il cappello cardinalizio il 12 dicembre 1583.

A più riprese Medici aveva tentato di abbandonare Roma: la sua lontananza era infatti in evidente contraddizione con i principi che difendeva, come gli fece notare nel 1582 Carlo Borromeo. Tuttavia ancora nel 1583 Gregorio XIII gli disse esplicitamente che non poteva abbandonare la Città Eterna senza il consenso granducale. Questo infine giunse e il 12 maggio 1584 l'arcivescovo poté prendere possesso della sua diocesi. La sua attività riformatrice divenne allora ancora più veemente (nel 1584-1585 una seconda lunga visita pastorale esaminò anche la situazione di una sessantina di monasteri) e culminò nel sinodo del 1589. In esso e grazie ad esso l'arcivescovo cercò di ridelineare la figura morale del sacerdote in generale e del parroco in particolare. Ribadì inoltre l'importanza dell'Indice dei libri proibiti e impose uno strettissimo, ma di fatto spesso disatteso, controllo sulle botteghe librarie.

Medici passò il resto degli anni Ottanta nella sua diocesi, dove divenne un punto di riferimento per i nunzi pontifici a Firenze. D'accordo con il granduca Ferdinando I, succeduto al fratello, operò per rivalutare il passato religioso della città, tramite la ricognizione delle reliquie dei santi, e contribuì all'introduzione delle Quarantore, cioè dell'adorazione delle specie eucaristiche anche fuori della Settimana santa. Nel 1589 ordinò la terza visita pastorale, delegata al Ceccarelli, che si occupò anche delle pievi e delle parrocchie di campagna, nonché delle Confraternite degli ospedali e degli istituti di carità. Una quarta seguì nel 1593. Non abbandonò comunque lo scenario romano. Sul piano intellettuale intrattenne un lungo carteggio (1584-1585) con Guglielmo Sirleto a proposito della traduzione in volgare del martirologio (B.A.V., Vat. lat. 6181). Su quello politico rafforzò i suoi contatti, cosicché il cardinal Alessandro Peretti, pronipote di Sisto V, lo presentò come papabile nel conclave che elesse nel 1590 Gregorio XIV. Fu riproposto anche nel 1591, quando la ferma opposizione spagnola gli fece preferire Giovanni Antonio Facchinetti (v. Innocenzo IX). In questa circostanza Alessandro decise di appoggiare Facchinetti, scatenando le ire di Ferdinando I, cui il cardinale rispose duramente di non essere il suo "schiavo" (Vita del cardinale di Firenze, c. 95v).

Dal 1590 Alessandro visse di nuovo stabilmente a Roma e la sua posizione divenne centrale sotto Clemente VIII, che lo ascrisse alle Congregazioni dei Riti e delle Strade, lo designò protettore della Confraternita della Dottrina Cristiana e lo fece partecipare, come Alessandro spiegava a Ferdinando il 30 maggio 1592, "a tutte le cose di fabbrica e di palazzo e di suore" (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filza 3766, c. 27). Da Roma comunque premeva su Ferdinando, perché appoggiasse la riforma dei monasteri, soprattutto femminili. In cambio il cardinale agiva nuovamente da intermediario fiorentino nella Città Eterna. Così nel 1592 trattò con Clemente VIII per la riduzione della manomorta ecclesiastica nello Stato mediceo, ma il papa restò fermo sulla sua posizione e il cardinale e il granduca non seppero dargli torto, pur sperando in un qualche contenimento delle sue pretese (R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, V, Livorno 1781²).

Il cardinale Medici riprese inoltre a interessarsi delle questioni francesi, spinto da Ferdinando I e da Filippo Neri. In particolare utilizzò il suo ascendente per chiedere al papa di assolvere dalle censure Enrico IV di Francia, convertitosi a St-Denis il 25 luglio 1593 (Négociations diplomatiques, pp. 249-54). Il pontefice era favorevole a un'apertura alla Francia, ma temeva la reazione spagnola: il cardinale seppe confortarlo e contemporaneamente guidò abilmente il cardinale Jacques Davy du Perron, venuto a Roma per difendere la causa del suo sovrano. Clemente assolse il re francese il 17 settembre 1595, nel corso di una fastosa cerimonia che fece molto colpo (P. Mucante, Relazione della riconciliazione, assoluzione, e benedizione del Serenissimo Enrico IV, Christianissimo Re di Francia, e di Navarra, fatta dalla S. di N.S.P. Clemente VIII nel Portico di S. Pietro, Domenica alli 17 di Settembre 1595, Viterbo 1595). Nel frattempo Medici impedì che i Gesuiti protestassero troppo veementemente contro il re francese, che non aveva concesso al loro Ordine di rientrare Oltralpe.

Era quindi inevitabile che il pontefice pensasse ad Alessandro de' Medici, quando si prospettò la necessità d'inviare in Francia un legato affiancato dal nunzio Francesco Gonzaga. L'anonimo biografo del manoscritto casanatense ricorda che Alessandro non fu particolarmente contento per la nomina in Francia, ma che fece in modo di ottenere in cambio numerosi benefici.

La sua missione aveva fini ad un tempo diplomatici (ricerca della pace fra Spagna e Francia per organizzare una crociata contro i Turchi ed allontanare la Francia dall'Inghilterra e dall'Olanda) e religiosi (restaurare la religione cattolica e appianare le situazioni irregolari provocate dalla vacanza di numerosi seggi episcopali). Per raggiungere questo secondo scopo il legato doveva far ratificare a Enrico IV l'atto d'abiura e ottenere la pubblicazione dei decreti tridentini e il rientro dei Gesuiti in Francia. Entrambi gli obiettivi stavano particolarmente a cuore al papa, che, come mostrano le annotazioni di suo pugno, spesso sostituì il nipote Pietro Aldobrandini nel valutare la situazione e rispondere alle lettere del Medici (B.A.V., Barb. lat. 5827, passim).

Quest'ultimo fu nominato legato "a latere" nel Concistoro del 3 aprile 1596, quando furono anche preparate le bolle con le sue facoltà generali e complementari, cui si aggiunsero il 19 giugno un breve di facoltà complementari e uno per l'assoluzione degli eretici convertitisi. Il nuovo legato ricevette inoltre la croce e il breve d'istruzione e di nomina nel Concistoro del 10 maggio. Partì da Roma il giorno seguente con un seguito di oltre duecento persone. Si fermò a Firenze il 17 maggio e il granduca lo volle ospitare a palazzo Pitti. Il 6 giugno fu invece ospite di Carlo Emanuele I di Savoia, che gli rivelò la sua stanchezza per il continuo guerreggiare, ma adombrò anche il sospetto che Medici portasse l'oro di Ferdinando I a Enrico IV.

A causa della peste il legato non poté passare per Chambéry e il 15 giugno prese la strada per il colle del Monginevro: il 22 era a Lione e il 12 luglio giungeva a Châtre-sous-Montlhéry (oggi Arpajon). Quattro giorni dopo si era insediato a Montlhéry, dove gli venne incontro lo stesso re. Il 21 luglio si rimise in marcia per Parigi, dove entrò solennemente. Nel frattempo era scoppiata la polemica sulle sue credenziali: il re aveva ovviamente dato il suo "placet", ma il Parlamento parigino non voleva accettare i riferimenti al concilio di Trento nelle bolle papali. Il legato fece allora sapere che non avrebbe ratificato clausole restrittive. Di fatto la registrazione e la pubblicazione delle credenziali avvenne infine con riserva. Comunque il re continuò a esprimere pubblicamente il suo favore al legato e il 19 agosto 1596 firmò l'atto solenne della propria riconciliazione con la Chiesa.

Il legato doveva rimanere ancora due anni in Francia. In questo periodo non risiedette sempre a Parigi. Dall'8 dicembre 1596 al 2 febbraio 1597 soggiornò a Rouen assieme alla corte; dall'ottobre 1597 al giugno 1598 si recò in Piccardia, dapprima a St-Quentin e poi a Vervins, dove si spostò la conferenza che doveva portare alla pace omonima. Nel frattempo il papa dovette inviare anche Bonaventura Secusi da Caltagirone, generale dei Minori Osservanti, per coadiuvare gli sforzi del legato. Il francescano si preoccupò soprattutto di tenere i contatti fra Enrico IV, Filippo II e il cardinale-arciduca Alberto d'Austria, governatore dei Paesi Bassi. Intanto Medici, le cui facoltà erano state ampliate nel giugno 1597, risolveva le questioni d'etichetta e di precedenza e metteva d'accordo i plenipotenziari spagnoli e francesi. In particolare presiedette senza segni visibili di cedimento, nonostante i sessantatré anni sonati, i negoziati che si susseguirono dal 9 febbraio al 2 maggio 1598.

Una volta firmata la pace il cardinale e gli ambasciatori si attardarono sino alla fine di maggio a Vervins, quindi Alessandro de' Medici rientrò a tappe a Parigi, dopo aver incontrato il re ad Amiens. La sua entrata a Parigi fu trionfale, ma la sua utilità per Enrico IV era adesso diminuita. Il 5 maggio il sovrano si era dichiarato soddisfattissimo con Francesco Bonciani, rappresentante fiorentino in Francia (Négociations diplomatiques, pp. 358-60), ma ora non aveva certo intenzione d'accontentare Medici per quanto riguardava l'applicazione dei decreti tridentini e il ritorno dei Gesuiti in Francia (lo segnala ancora Bonciani nel settembre 1598, ibid., pp. 363-65). Inoltre il legato si era inimicato Gabrielle d'Estrées, che, giustamente, temeva le sue manovre a pro di un matrimonio che unisse la Corona francese e la famiglia Medici.

Il cardinale aveva dubitato sin dall'inizio di ottenere tutto quanto Clemente VIII si era aspettato: era stato infatti negativamente sorpreso per la resistenza del Parlamento e per l'accordo tra cattolici e protestanti. Ora tuttavia la situazione gli pareva ancora peggiore e nel mese di luglio confessò a Francesco Contarini, ambasciatore veneziano, di sperare soltanto in un pronto rientro a Roma: desiderio che d'altronde nutriva almeno dalla fine dell'anno precedente. In agosto il re lo invitava infine a prendere la strada del ritorno e senza indugio, anche se poi nell'ultima udienza (1° settembre) cercava di addolcire i contrasti. Il legato, riflettendo sulla propria permanenza francese, commentava il 14 settembre che ormai aveva fatto tutto quello che poteva, o meglio tutto quello che il re aveva auspicato che lui facesse: le cose, per il resto, non erano come si sperava a Roma, ma non erano neanche senza speranza.

Il 9 settembre Medici era a Digione, il 13 a Mâcon, il 30 a Thonon. Passò quindi per Lione, il passo del Sempione, la val d'Ossola, il lago Maggiore e Piacenza. Raggiunse infine Clemente VIII a Ferrara, dove fu ricevuto in Concistoro il 10 novembre 1598. Il pontefice non soltanto lo lodò in questa occasione, ma ne scrisse anche al re di Francia (A.S.V., Arm. XLIV, 40, c. 164b); inoltre lo designò quale prefetto della Congregazione dei Vescovi, carica che detenne sino almeno al 1600.

Una volta a Roma, Alessandro non abbandonò le trattative francesi e continuò ad adoperarsi perché Enrico IV sposasse Maria de' Medici, figlia di Francesco I (Négociations diplomatiques, pp. 324-27). Questa iniziativa gli era già valsa le critiche del nunzio Gonzaga e di Orazio Rucellai, che avevano scritto al cardinale Pietro Aldobrandini per sottolineare quanto la lentezza dell'operato di Medici fosse legata al suo desiderio di sistemare gli affari di famiglia. Adesso si adoperò per far sciogliere il matrimonio di Enrico IV e fu proprio lui a presiedere il 10 settembre 1599 la Congregazione cardinalizia che doveva permettere al re francese di risposarsi (ibid., pp. 368-73). Nel frattempo (aprile 1599) era morta Gabrielle d'Estrées e fu perciò facile convincere il sovrano francese a sposare Maria de' Medici. A sottolineare il ruolo del cardinale de' Medici i due sposi gli chiesero nel 1602 di battezzare il futuro Luigi XIII, ma egli rifiutò temendo di offendere i congiunti filospagnoli di Clemente VIII.

In effetti l'anziano cardinale voleva capitalizzare la sua influenza romana. Il 30 agosto 1600 era stato designato cardinale vescovo di Albano e il 17 giugno 1602 di Palestrina; intanto si era tornato a parlare di lui come papabile, grazie anche agli ottimi rapporti con Alessandro Peretti e Pietro Aldobrandini, nipote del papa regnante. Nel frattempo non abbandonò la cura a distanza della sua diocesi e proseguì a interessarsi della riforma dei monasteri, come mostra il suo Trattato sopra il governo dei monasteri (B.A.V., Vat. lat. 10444, cc. 333-48). Nel 1601 organizzò la quinta visita pastorale e nel 1603 un secondo sinodo. Inoltre estese il raggio dei suoi interessi a tutta l'amministrazione dello Stato della Chiesa e si occupò tra il 1601 e il 1604 del sempiterno problema del banditismo (v. le lettere di Iacopo Aldobrandini, nunzio a Napoli, in B.A.V., Borg. lat. 66, passim).

Il peggioramento della salute di Clemente VIII spingeva intanto le grandi potenze a preparare la futura elezione. Il 28 ottobre 1604 Enrico IV di Francia esortò i suoi cardinali a tenersi uniti in caso di conclave e ad appoggiare il suo "congiunto" Alessandro de' Medici oppure Cesare Baronio, amico fedele della Francia (Lettres missives de Henri IV, pp. 315-20). Il 7 marzo 1605 il re tornò sulla questione, prospettando al cardinal François Joyeuse la possibilità di comprare l'appoggio di Pietro Aldobrandini (ibid., pp. 363-64) e il 16 ripeté allo stesso che gli raccomandava "sur toutes choses le cardinal de Florence" (ibid., pp. 375-76). Da tempo invece la Spagna avversava la candidatura del Medici. Filippo III e i suoi consiglieri speravano infatti in Tolomeo Galli, allora settantanovenne, ispanofilo e soprattutto facilmente condizionabile.

Alla morte di Clemente VIII il Sacro Collegio era composto da sessantanove cardinali, di cui cinquantasei italiani, sei francesi, quattro spagnoli, due tedeschi e uno polacco. Nove non parteciparono al conclave, aperto il 14 marzo 1605, e i restanti erano divisi in numerosi partiti: in primo luogo i due gruppi contrapposti formati dai nove cardinali di Sisto V e dai trentotto di Clemente VIII, quindi il gruppetto dei sette cardinali designati da Pio IV e Gregorio XIII e i cinque di Gregorio XIV. Gli uomini del cardinal Peretti si avvicinarono agli spagnoli e Aldobrandini portò i suoi a fianco dei francesi. Quest'alleanza sosteneva l'arcivescovo di Firenze, ma era aperta, su richiesta di Aldobrandini, anche alla possibilità di portare Francesco Blandrata e Paolo Emilio Zacchia. Nel conclave si discussero ben ventuno nomi di papabili, più di un terzo dei presenti. In realtà, però, i veri candidati furono due soltanto, Medici e Baronio. Gli spagnoli ovviamente li avversarono, ma verso il secondo nutrivano un tale odio, soprattutto perché aveva appena sottoposto ad attenta critica il preteso privilegio della Monarchia Sicula, che non seppero fermare l'avanzata del primo. Questi fu infatti abile a difendere il collega e a sfruttare l'occasione per screditare il partito spagnolo. Infine, come d'altra parte si pensava da tempo, Peretti si disse disposto a far convergere i suoi voti su Medici e il cardinale di Firenze superò i due terzi dei voti nella notte tra il 1° e il 2 aprile. Ascese al soglio con il nome di Leone XI.

Le proteste spagnole furono veementi: la volontà di Filippo III era stata infatti ignorata, a partire dai suoi uomini. Il re di Francia invece esultò (Lettres missives de Henri IV, pp. 400-04), mentre Giovan Battista Marino esaltò il nuovo pontefice ne Il Tebro festante nella elezione di Leone XI.

Il nuovo papa nominò segretario di Stato il pronipote Roberto Ubaldini, chiamato tra i suoi familiari al ritorno dalla Francia; maestro di camera Pietro Giacomo Cima; tesoriere l'abate fiorentino Luigi Capponi; segretario dei brevi il fiorentino Pietro Strozzi; a capo della Consulta Pietro Aldobrandini (v. la lettera autografa di questi al nunzio di Venezia: B.A.V., Barb. lat. 4697, c. 527); penitenziere Cinzio Aldobrandini e datario il cardinal Arrigoni. Complessivamente favorì i suoi concittadini, mentre non fu invece molto favorevole verso i familiari, ai quali impedì inoltre di presenziare alla presa di possesso in Laterano il 17 aprile.

Una delle prime e delle poche questioni di cui si occupò durante i ventisette giorni del suo pontificato fu l'appoggio degli Imperiali in Ungheria contro i Turchi. Al proposito si dichiarò, per il tramite del cardinale Ludovico Madruzzo (lettera a Rodolfo II del 2 aprile 1605, in Nuntiaturberichte aus Deutschland nebst ergänzenden Aktenstücken. Die Prager Nuntiatur des Giovanni Stefano Ferreri und die Wiener Nuntiatur des Giacomo Serra [1603-1606], a cura di A. Meyer, Berlin 1913, p. 332), pronto a portare soccorso, anche se le casse della Santa Sede erano esauste. Una Congregazione dei cardinali per gli affari ungheresi deliberò in tal senso il 13 aprile 1605 (ibid., p. 337; sull'ammontare degli aiuti all'imperatore, ibid., p. 652). Inoltre, conformemente alla capitolazione elettorale, L. convocò una Congregazione cardinalizia per riformare il conclave: voleva infatti abolire l'uso di eleggere il pontefice mediante l'adorazione pubblica, sostituendola con la votazione segreta. La notizia sorprese i testimoni, soprattutto francesi, che vi videro un modo per liberare il partito aldobrandiniano dal controllo del suo leader, ma anche per rimettere in gioco gli Spagnoli (J. Davy du Perron, Les Ambassades et Négociations, Paris 1623, p. 308). Altre sorprese attendevano i Francesi: L. non si considerava infatti creatura di Enrico IV e comunicò al marchese di Villena, ambasciatore spagnolo, che il re di Spagna avrebbe trovato nel pontefice un vero amico.

Il suo pontificato fu comunque troppo breve per giudicare quale avrebbe potuto esserne il corso. Oltre a quanto appena detto si guadagnò infatti il favore dei Romani, abolendo il 10 aprile il contributo imposto dal predecessore per il mantenimento della truppa, ed emise un'ordinanza per formare una Congregazione cardinalizia per le faccende relative a S. Pietro. Di fatto l'aspetto maggiore del suo brevissimo regno furono i festeggiamenti, che ebbero luogo a Roma e Firenze. A Roma in particolare mosse verso S. Giovanni in Laterano il pomeriggio del 17 aprile 1605, scortato da sessanta nobili romani e quaranta nobili fiorentini, tra i quali i rappresentanti delle famiglie Falconieri, Magalotti, Sacchetti e Strozzi. Nella piazza, passato ponte S. Angelo, trovò l'arco trionfale eretto dalla comunità fiorentina, disegnato e ornato su progetto di Pietro Strozzi. Proprio durante la presa di possesso del Laterano L. prese freddo e cadde preda della malattia che lo portò alla morte dieci giorni dopo (Diarium P. Alaleonis, in B.A.V., Barb. lat. 2816).

Sin sul letto di morte fu incalzato perché concedesse la porpora al nipote Ottaviano de' Medici, ma rifiutò di macchiare la propria fama (parole testuali: ibid.) e sostituì addirittura il proprio confessore, che aveva caldeggiato la candidatura, chiamando per gli estremi sacramenti Pietro de Maria de la Peña, carmelitano spagnolo. La sua morte provocò molto cordoglio a Roma, a Firenze e in Francia. L'elogio funebre fu pronunciato a S. Pietro da Pompeo Ugonio, ma ricevette altri omaggi postumi, pubblicati a Roma e a Firenze. Le sue spoglie furono tumulate in S. Pietro, dove Roberto Ubaldini, divenuto cardinale sotto Paolo V, commissionò ad Alessandro Algardi un monumento funebre nella navata sinistra. Il lavoro arrestatosi alla morte di Ubaldini (1635), fu terminato alla metà del Seicento.

Negli anni successivi alla morte fu ricordato come esempio di carriera percorsa salendo scalino dopo scalino e rispettando, allo stesso tempo, i propri principi e il Collegio dei cardinali (Narrativa delle Azioni memorabili di Papa Leone XI, in B.A.V., Vat. lat. 10420, cc. 55-70). Nella generale approvazione giocò anche la naturale modestia del personaggio, che seppe mantenersi distaccato dagli onori ricevuti. Si vedano al proposito le lettere del 14 marzo 1573 a Pietro Vasari e del 25 gennaio 1574 a Giorgio Vasari per ringraziarli delle felicitazioni per le sue nomine rispettivamente a vescovo di Pistoia e ad arcivescovo di Firenze. In entrambi i casi egli sottolineò come tra amici non ritenesse utile perdersi in complimenti (Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, pp. 765, 823-24). L'unico terreno in cui rinunciò a una condotta modesta fu quello artistico. Appena arrivato a Roma funse da acquirente d'opere d'arte per la famiglia ducale: divenne così un collezionista accanito, che appena cinque anni dopo già possedeva una raccolta rinomata di statue, che pose nella sua villa presso S. Francesca Romana. Commissionò inoltre lavori per le chiese di S. Maria in Trastevere, S. Martino ai Monti, SS. Quirico e Giulitta (restauri esterni e interni), S. Prassede (dipinti dei misteri della Passione nella navata grande), S. Agnese fuori le Mura. A Firenze fece rinnovare il palazzo episcopale nel 1574 e restaurare il duomo nel 1582-1583.

fonti e bibliografia

Le fonti documentarie inedite sono copiosissime. Quelle vaticane sono abbastanza conosciute e citate: B.A.V., Barb. lat. 2412 e 5827; Borg. lat. 66; Vat. lat. 6181, 6183, 10420, 10425 e 10444; A.S.V., Segr. Stato, Spagna, 323-325; Segr. Stato, Firenze, 2 e 191; Segr. Stato, Francia, 44-46; nonché Arm. XLIV, 59; Fondo Pio, 13 e 149; Secr. Brev., 241 e 245; e soprattutto Fondo Borghese, serie I, 646, e serie III, 8a (contenente la corrispondenza originale della sua legazione in Francia). È invece nota, ma poco letta, l'anonima Vita del cardinale di Firenze, che fu papa Leone XI, scritta da un suo famigliare insin'al tempo che fu mandato in Francia da Clemente Ottavo (Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 4201). Allo stesso modo sono repertoriati, ma non sfruttati, gli imponenti fondi nell'Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, specialmente le filze 1177, 1181-83, 1185, 1187, 1193, 1195, 1198, 2634-35, 3289-94, 3474A-3475A, 3476-83 (istruzioni e sue attività come ambasciatore fiorentino a Roma dal 1569 al 1580); 3879 (lettere del cardinale Ferdinando de' Medici ad Alessandro 1570-1587); 3766 e 3880 (lettere tra i duchi e Alessandro cardinale); 1321, 3665 e 3979-80 (relazioni di Antonio Medici, Belisario Vinta e Camillo Guidi sul conclave del marzo 1605). Da non sottovalutare le carte nell'Archivio arcidiocesano di Firenze, in particolare gli atti delle visite diocesane, mentre alcune lettere all'arcivescovo di Firenze sono in Firenze, Biblioteca Marucelliana, ms. A 1/42.

La permanenza in Francia ha lasciato un'altrettanto vasta documentazione, in partic. cinque registri di suppliche e tre di bolle: Paris, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 11805-11812. Nella stessa Bibliothèque sono inoltre da consultare i ms. fr. 3349, 3554, 3557, 3563, 3566-3567, che contengono lettere al o del legato. Negli Archives Nationales di Parigi si trova inoltre traccia della verifica delle bolle di Alessandro ad opera del Parlamento parigino (serie X¹A 1744, cc. 390v-391v).

Sarebbe da valutare anche la consistenza dei documenti spagnoli sulla legazione Medici, per un punto di partenza v. l'Inventario general de manuscritos de la Biblioteca Nacional, IV, Madrid 1958, ad indicem. Una lettera del 1596 è conservata in Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 2745, c. 62.

È di tutto rispetto anche la documentazione edita. Per i due sinodi celebrati nell'arcidiocesi fiorentina, v. i Decreta diocesanae florentinae Synodi celebratae [...] III Id. Iulii MDLXXXIX, Florentiae 1589, e Decreta diocesanae florentinae Synodi celebratae [...] XVIII Kal. Iulii MDCIII, ivi 1603; altro materiale su Firenze è in A. Lapini, Diario fiorentino dal 252 al 1596, a cura di G. Corazzini, ivi 1900, e in Inventario della Curia diocesana di Prato, a cura di L. Bandini-R. Fantappiè, Roma 1999, p. 41.

Per la missione francese e i rapporti con la Francia prima e dopo di essa:

Lettres de l'illustrissime et reverendissime cardinal d'Ossat, évesque de Bayeux. Au Roy Henry le Grand et à Monsieur de Villerois, Paris 1627, pp. 216-17, 302-03 e 329.

P. Dupuy, Preuves des libertez de l'Église gallicane, II, ivi 1731³, pp. 112-15 (sulla verifica delle sue bolle in quanto legato ad opera del Parlamento di Parigi).

[F. Gregori], Relazione del passaggio per gli Stati del duca di Savoja, e degli onori in essi ricevuti dal cardinal Alessandro de' Medici, Torino 1839.

Lettres missives de Henri IV, a cura di J. Berger de Xivrey, VI, Paris 1853, pp. 315-16, 363-64, 401.

Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, V, a cura di A. Desjardins, ivi 1875.

Correspondance d'Ottavio Mirto Frangipani, Premier Nonce de Flandre (1596-1606), I, Lettres (1596-1598) et annexes, a cura di L. Van der Essen, Rome-Bruxelles 1921, pp. 57-8, 250-51; II, Lettres (1597-1598) et annexes, a cura di A. Louant, ivi 1932, ad indicem.

A. Louant, L'intervention de Clément VIII dans le traité de Vervins, "Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome", 12, 1932, pp. 127-86.

Lettres du Cardinal de Florence sur Henri IV et sur la France 1596-1598, a cura di R. Ritter, Paris 1955.

P. Raoul, Histoire des frères mineurs capucins de la province de Paris (1601-1660), Blois 1965, p. 129.

Lettres de Henri IV concernant les relations du Saint-Siège et de la France 1595-1609, a cura di B. Barbiche, Città del Vaticano 1968.

Correspondance du nonce en France Antonio Maria Salviati (1572-1578), a cura di P. Hurtubise, I-II, Roma 1975.

Die Hauptinstruktionen Clemens' VIII. für die Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen 1592-1605, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984. Epistolae ad Principes, III, 1585-1605, a cura di L. Nanni-T. Mrkonji´c, Città del Vaticano 1997.

Si preannuncia infine decisiva l'edizione della Correspondance de la légation d'Alexandre de Médicis (1596-1598) et de l'intérim de Giovanni Bandini (1598-1599), a cura di O. Poncet, Roma, in corso di stampa.

Per i suoi interessi e contatti artistici si tengano presenti:

A. Del Vita, Di alcune lettere di Leone XI, "Rivista di Biblioteche e Archivi", 1924, II, pp. 220-22.

Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, a cura di K. e H.-W. Frey, München 1930, pp. 717-18, 722-23, 733-34, 742-43, 749-50, 756-57, 760-66, 776-77, 823-34.

È abbastanza ricco il corpo delle pubblicazioni relative all'ascensione al soglio e soprattutto alla sua presa di possesso:

[Anonimo], Relazione della solenne cavalcata fatta in Roma il dì 17 aprile 1605 per l'andata di N.S. Leone XI a pigliare il possesso in S. Giovanni in Laterano, [...] con una breve aggiunta delle feste fatte in Firenze, Roma-Firenze 1605.

M. Baccellini, Orazione dell'allegrezze per la creazione di N.S. papa Leone undecimo, Parigi 1605.

F. Bocchi, Oratio de laudibus Leonis Undecimi Pont. Max., Florentia 1605.

G. Calvello, Lacrymae in obitu Clementis VIII, et gaudia in assumptione Leonis XI, Parigi 1605.

[A. Macchia], Relatione del viaggio fatto da N.S. PP. Leone XI nel pigliare il possesso in S. Giovanni in Laterano, Roma 1605.

A. Strada, Ordine tenuto nell'accompagnar N.S. papa XI, per il possesso di S. Giovanni Laterano, ivi 1605; nonché v. F. Cancellieri, Storia de' solenni possessi de' sommi pontefici, ivi 1802.

Non sono poche anche le pubblicazioni apparse subito dopo la sua morte:

M. Cuttini, Oratio funebris de laudibus Leonis XI, ivi 1605.

[C.T. Rinuccini], Descrizione dell'essequie di papa Lione XI, Firenze 1605.

F. Venturi, Oratio habita in maiori ecclesia fiorentina in solemni funere Leonis XI, ivi 1605.

La bibliografia storica è invece scarna, soprattutto per quanto riguarda la sua carriera italiana. Sulla sua permanenza romana, v. A. Cistellini, San Filippo Neri e la sua patria, "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 23, 1969, pp. 106-12 (nonché Id., San Filippo Neri. L'oratorio e la Congregazione oratoriana, I-III, Brescia 1989, ad indicem), e M. Belardini, "La facoltà e auttorità del nuntio apostolico". Amministrazione ecclesiastica e riforma tridentina in Toscana durante i pontificati di Gregorio XIII e di Sisto V (1572-1590), tesi di dottorato, Università di Bologna 1997-98, mentre A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, documenta la sua attività quale arcivescovo di Firenze.

Per il suo collezionismo e più in generale quello della famiglia granducale, v. P. Barocchi-G. Gaeta Bertelà, Collezionismo mediceo. Cosimo I, Francesco I e il cardinale Ferdinando, Modena 1993.

Gli studi sul suo viaggio in Francia sono più numerosi, ma finiscono per trattare quasi sempre gli stessi avvenimenti:

E. Palandri, Négociations politiques et religieuses entre la Toscane et la France à l'époque de Cosme Ier et de Catherine de Médicis (1544-1580), Paris 1908.

V. Martin, La reprise des relations diplomatiques entre la France et le Saint-Siège en 1595, "Revue de Sciences Religieuses", 1, 1921, pp. 371-78; 2, 1922, pp. 233-70.

A.E. Imhof, Der Friede von Vervins, 1598, Aarau 1968.

B. Barbiche-S. de Dainville Barbiche, Les Légats 'a latere' en France et leurs facultés aux XVIe et XVIIe siècles, "Archivum Historiae Pontificiae", 23, 1985, pp. 93-165.

B. Barbiche, Un évêque italien de la réforme catholique sous Henri IV: le cardinal de Florence (1596-1598), "Revue d'Histoire de l'Église de France", 75, 1989, pp. 45-59.

Id., Clément VIII et la France (1592-1605). Principes et réalités dans les instructions générales et les correspondances diplomatiques du Saint-Siège, in Das Papsttum, die Christenheit und die Staaten Europas 1592-1605, a cura di G. Lutz, Tübingen 1994, pp. 99-118.

Id., Un légat en voyage: le cardinal de Florence (1596-1598), in Milieux naturels, espaces sociaux. Études offertes à Robert Delort, Paris 1997, pp. 605-20.

Id., Le grand artisan du traité de Vervins: Alexandre de Médicis, cardinal de Florence, légat ex latere, in La paix de Vervins 1598, a cura di C. Vidal-F. Pilleboue, Vervins 1998, pp. 65-72.

Per i suoi rapporti con la Francia anteriori alla missione in qualità di legato, v. C. Hirschauer, La politique de St. Pie V en France (1566-1572), Paris 1922.

L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, IX-XII, Roma 1929-30, ad indicem, delinea la sua partecipazione ai conclavi, nonché l'andamento della sua elezione; a proposito di quest'ultima v. anche quanto raccolto in Conclavi de' pontefici romani, II, Colonia 1691, pp. 26-107.

Per la scelta dei suoi collaboratori, v. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXXI, Venezia 1856, pp. 491-92.

V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, XI, Roma 1882, p. 351.

Per la sua tomba, v. H.F. Senie, The Tomb of Leo XI by Alessandro Algardi, "The Art Bulletin", 60, 1978, pp. 90-5.

Per il suo ritratto negli appartamenti di Maria de' Medici, v. A. Blunt, Three Paintings for the "Apartment" of Marie de Medicis in the Louvre, "Burlington Magazine", 112, 1970, pp. 166-69.

È infine interessante J. Lionnet, Another Musical Coat of Arms, "Early Music", 15, 1987, pp. 520-21.

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