GRANATA, Leopoldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRANATA, Leopoldo

Maurizia Alippi Cappelletti

Nacque a Lungro, nel Cosentino, il 10 ott. 1885, da Giuseppe e Antonietta De Diaco. Compì gli studi secondari e universitari a Cagliari e si laureò in scienze naturali nel 1908, allievo interno di E. Giglio Tos nell'istituto di zoologia. Seguì quindi a Firenze il maestro che nel 1911 lo nominò aiuto nel suo laboratorio di zoologia e anatomia comparata presso l'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, passando quindi assistente di D. Rosa, quando, nel 1914, Giglio Tos fu trasferito a Pavia. Richiamato alle armi nella prima guerra mondiale come ufficiale del genio, nell'agosto 1916 fu ferito in battaglia a Villa Vasi, presso San Mauro nel Carso goriziano, meritandosi la medaglia d'argento e la croce al merito. Tornato a Firenze nel 1919, riprese l'impegno universitario come aiuto di D. Carazzi presso la cattedra d'anatomia comparata, istituita dopo la trasformazione dell'Istituto di studi superiori in Università. Dopo la libera docenza, ottenuta nel 1915, divenne per concorso professore di zoologia, prima a Cagliari nel 1926 e l'anno successivo a Pisa, finché dal 1936 fece ritorno definitivamente a Firenze, dove morì il 7 febbr. 1940.

Iniziò subito il suo itinerario scientifico come protistologo e non abbandonò più questo campo di studi se non per alcune ricerche di sistematica e di citologia entomologica.

Nel 1908 studiò la morfologia e il tipo di riproduzione di un parassita intestinale del millepiedi comune, il Pachyiulius communis, che chiamò Capillus intestinalis e del quale cercò di definire la difficile posizione sistematica, assegnandolo inizialmente agli Emosporidi e, quando ulteriori indagini tassonomiche lo consentirono, agli Eccrinopsis (Di un nuovo parassita dei millepiedi, Capillus n.g. intestinalis n.sp., in Biologica, II [1909], 1, pp. 3-15, e Affinità e posizione sistematica di Capillus intestinalis mihi parassita di Pachyjulius communis Savi, in Monitore zoologico, XXX [1919], pp. 167-171).

Continuò poi a esplorare il vasto e peculiare mondo dei Protozoi del quale, insieme con altri autori, concorse a rivelare la grande eterogeneità, tanto da convincersi a considerare questo tipo un sottoregno o, addirittura, a sostituirlo con almeno tre gruppi, distinti e di pari rilievo sistematico.

Si occupò soprattutto degli Sporozoi, tutti parassiti, dei quali non era facile stabilire le affinità sia all'esterno sia all'interno del gruppo di appartenenza. Gli autori di riferimento erano prevalentemente F.R. Schaudinn, lo scopritore dell'agente eziologico della sifilide, il Treponema pallidum, e M. Hartmann, autore di fondamentali ricerche citologiche e fisiologiche sulla fecondazione e sessualità dei Protozoi. Non sempre il G. condivideva le loro proposte sistematiche ma le metteva in discussione confrontandole con le proprie.

Privi di organi di movimento ben caratterizzati, a differenza dei Protozoi di altre classi, gli Sporozoi non sembrano costituire un gruppo naturale, e perciò lo Schaudinn aveva proposto di dividere questa classe in due, quelle dei Neosporidi e dei Telosporidi, ciascuna più omogenea al suo interno, e distinta dall'altra dalla morfologia e dal tipo di riproduzione. L'alternanza di generazioni, agamica e gamica, presente in entrambe, avviene nell'una durante l'accrescimento, nell'altra a conclusione del ciclo vitale. Ma dai Neosporidi nel cui raggruppamento lo Schaudinn comprendeva Aplosporidi e Cnidosporidi, altri autori, e fra questi il G., con più sottili ricerche, credettero di dover separare gli Aplosporidi più affini ai Micetozoi.

Restavano pertanto assegnati ai Neosporidi i soli Cnidosporidi, ma anche la connessione di questo gruppo con gli Sporozoi derivava, secondo il G., da valutazioni non rigorose delle caratteristiche degli elementi propagatori.

Con le Ricerche, una serie di lavori pubblicati nel Monitore zoologico dal 1922 al 1925, il G. riuscì a definire esattamente il ciclo biologico degli Attinomissidi, che fanno parte degli Cnidosporidi, riesaminandone anche le affinità e le eventuali relazioni filogenetiche. Mise intanto in evidenza la grande varietà delle specie che vi appartengono e che costituiscono una classe naturale perché tutte hanno pareti composte da una, due o tre cellule e formano spore provviste di tipiche capsule polari con filamento estroflessibile, simili a quelle dei Celenterati. Le Ricerche del G. hanno fatto ritenere che il tessuto germinale abbia uno sviluppo indipendente dall'involucro sporale, contiguo con il tessuto assimilatore del pansporoblasto, che poi penetra nelle spore. Dalle spore si sviluppano plasmodi plurinucleati, cui seguono i pansporoblasti. Queste tre forme sono interpretate dal G. come tre generazioni, anziché stadi di un unico ciclo individuale, in ciascuna delle quali sarebbero ravvisabili un soma e un germe distinti, come nelle forme animali più evolute. Esse sarebbero pertanto paragonabili alle generazioni dei Trematodi. Ritenendo di poter estendere queste osservazioni a tutti gli Cnidosporidi, il G. conclude di poter includere questo ordine nel tipo dei Mesozoi, come del resto, insieme con altri, aveva sostenuto C. Emery nel 1909. Il G. echeggiava i quesiti sui Protozoi sollevati dal suo primo maestro Giglio Tos, che anche per gli Infusori o Ciliati aveva prospettato una interpretazione morfologica e fisiologica parallela a quella dei Metazoi.

Quanto agli Aplosporidi, il G. ne descrisse il ciclo biologico così come lo poteva rilevare in Haplosporidium Limnodrili, parassita dell'epitelio intestinale dell'anellide Limnodrilus udekemianus, il cui germe con un solo nucleo genera un plasmodio polinucleato, che si divide in individui mononucleati che formano poi isogameti dalla cui fusione derivano sporoblasti e infine spore. L'autore osserva le modifiche del nucleo durante la riproduzione cellulare, descrive il fuso e la piastra equatoriale, distinguendo le parti acromatiche e cromatiniche, per portare un contributo anche alle ricerche di quegli anni sui cromosomi. Li considerò quindi più affini ai Micetozoi che agli Cnidosporidi.

Tornò sul tema della cariocinesi con un lavoro su Drilosphaera binucleata (Drilosphaera binucleata n.g. n.sp. Nuovo sporozooparassita del Limnodrilus, in Rivista di biologia, I [1919], pp. 594-613), nuovo genere e nuova specie, pur esso parassita di Limnodrilus, in cui scoprì una condizione morfologica che attesta l'esistenza di una transizione da forme con idio e trofocromatina unite nel nucleo, a forme in cui queste sono separate per la migrazione della trofocromatina nel citoplasma a costituire la membrana, mentre l'idiocromatina resta nel nucleo per la cariocinesi.

Lo studio dei cromosomi in quegli anni aveva portato a distinguere nel nucleo due tipi di cromatina, per lo più coesistenti e separati solo durante la divisione; l'una con funzioni generative che si trasmette ereditariamente, l'idiocromatina, l'altra, la trofocromatina, legata ai fenomeni metabolici della cellula. Su questa distinzione si basava una dottrina, il dualismo cromatico, connessa con la teoria del dualismo nucleare e con quella, complessa, dei cromidi. Denominazioni, congetture e ipotesi che oggi possiamo riferire alla presenza e alle attività di riproduzione e trasporto degli acidi nucleici. Il G. concluse che le due cromatine potevano talora essere separate in due diversi nuclei come nel caso dei Ciliati, o in parti diverse dello stesso nucleo, come negli Aggregata (dell'ordine dei Coccidi), oppure diffondersi nel citoplasma a formare idiocromidi e trofocromidi, come nei Rizopodi. È interessante notare che il tentativo di comprendere la funzione dei cromosomi, senza l'ausilio del successivo modello biomolecolare, aveva orientato la discussione sui temi dell'ereditarietà verso interpretazioni alternative delle sequenze morfologiche osservabili, nucleari e citoplasmatiche nelle varie specie e ordini dei Protozoi. Creava ulteriori difficoltà la riluttanza ad accettare che i cromosomi potessero mantenersi individualmente da una generazione all'altra, depositari e determinanti dei caratteri, e non fossero invece espressione del costante aspetto assunto dal substrato in condizioni fisiche che si ripetono.

Con il maestro Giglio Tos il G. aveva in precedenza eseguito lavori sul condrioma nelle sue varie forme, negli spermatozoi di Pamphagus, seguendone i movimenti nella mitosi e chiarendo che ciò che si osservava non era assolutamente un artefatto (I mitocondri nelle cellule seminali maschili di Pamphagus marmoratus Burm, in Biologica, I [1908], 4, pp. 1-115).

Con la nota del 1925, Il ciclo cromosomico degli Sporozoi e la teoria cromosomica dell'eredità (in Rivista di biologia, VII [1925], pp. 556-560), precisò la sua posizione rispetto alla teoria cromosomica dell'eredità prendendo spunto dalle deduzioni di C. Dobell che, dopo aver studiato il complesso ciclo vitale di Aggregata Eberthi, aveva sostenuto l'impossibilità che i caratteri specifici potessero essere rappresentati nei cromosomi. Alla luce dei fatti relativi a organismi aploidi e con ragionamento analogo a quello esposto dal Dobell, il G. ritenne di concludere che la teoria non era insostenibile ma per il momento soltanto indimostrabile.

Nel 1909 illustrò un caso di rilievo per dare soluzione ai problemi connessi con la riduzione cromatinica nella partenogenesi. Le cellule maschili infatti maturano senza ridurre il numero dei cromosomi, in quanto una sola delle ultime due divisioni nucleari interessa il nucleo mantenendo così nei maschi, che sono generati da partenogenesi, il numero aploide. Lo aveva osservato F. Meves nelle sue magistrali ricerche del 1903 sull'Apis mellifica e lo riscontrò anche il G. nell'imenottero Xilocopa violacea (Le divisioni degli spermatociti di "Xilocopa violacea", in Biologica, II [1909], 15, pp. 1-12).

Gli interessi del G. si volsero, seppure marginalmente, anche ad altri argomenti, come l'istologia con lo studio sul tessuto adiposo per stabilirne l'eventuale appartenenza ai connettivi, e per osservare la disposizione delle gocce di grasso e del citoplasma nella cellula (Sulla struttura dei corpi grassi degli Anfibi, in Monitore zoologico, XXXVI [1925], pp. 35-40); alla sistematica dei Metazoi; a specie nuove di Anellidi e di Ostracodi raccolte dalla r. nave "Liguria" durante il viaggio di circumnavigazione e dalla r. nave "Ciclope" nel viaggio nel Mediterraneo.

Opere. Oltre quelle citate nel testo: Alciopidi e Fillodocidi. Raccolte planctoniche fatte dalla r. nave "Liguria", in Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori di Firenze, II (1911), n. 3; Alciopidi Fillodocidi e Tomopteridi raccolti dalla r. nave "Ciclope" nell'Jonio e nel Tirreno, in Memorie del R. Comitato talassografico italiano, memoria XXVI, 1913, pp. 4-22; Ciclo di sviluppo di Haplosporidium Limnodrili n.sp., in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, cl. di scienze fisiche, matem. e naturali, s. 5, XXII (1913), 2, pp. 734-737; Le divisioni dei nuclei in Haplosporidium Limnodrili, ibid., XXIII (1914), 1, pp. 109-112; Ostracodi. Raccolte planctoniche fatte dalla r. nave "Liguria", in Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori di Firenze, 1914, n. 6; Ricerche sugli Attinomissidi, I, Tractinomyxon magnum n.sp., in Monitore zoologico, XXXIII (1922), 11, pp. 174-179; II, Neoactinomyxum globosum n.g. n.sp., ibid., pp. 193-196; III, Sphaeractinomyxon gigas n.sp., ibid., XXXIV (1923), 4, pp. 64-68; IV, Osservazioni sullo sviluppo di Sphaeractinomyxon gigas Gran., ibid., 9, pp. 166-170; I Protozoi e la teoria cellulare, in Annali delle università toscane, n.s., XI (1928), pp. 1-36. Voci Aplosporidi, Attinomissidi, Chitidriopsidi, Emogregarine, Emosporidi, Gregarine, Mesozoi, Neosporidi, Sarcosporidi, Sporozoi, in Enciclopedia Italiana.

Fonti e Bibl.: G. Colosi, Commemorazione, in Atti della Società toscana di scienze naturali. Memorie, XLIX (1940), pp. VII-XV; V. Baldasseroni, L. G., in Rivista di biologia, XXXII (1941), pp. 275-281; G. Cotronei, Biologia e zoologia generale, Roma 1945, pp. 95, 105; U. D'Ancona, Trattato di zoologia, Torino 1953, pp. 474, 481.

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