LESSICOGRAFIA

Enciclopedia Italiana (1933)

LESSICOGRAFIA

Gino FUNAIOLI
Bruno MIGLIORINI

Lessicografia classica. - Nell'antica letteratura rimastaci il nome non esiste. I Greci chiamavano λέξεις i lessici; λεξικον, nel bizantino Fozio è usato a indicare un'opera lessicografica del sec. V d. C. Della prima età imperiale è λεξικογράϕος e forse anteriore λεξιγραϕος. Raccolte di parole dialettali o antiquate si dissero in ogni tempo γλῶσσαι, appellativo che valse anche per lessico in genere. I Romani per lessicografia non hanno una designazione comprensiva. Dictionarium o dictionarius, vocabolarium o vocabolarius vengono dal tardo Medioevo o dal primo Umanesimo; glossarium per elencazione di glossae o parole meno usate è in Gellio e si diffonde poi molto tardivamente in senso più lato. Per il resto, nella miglior latinità appariscono glossa, glossae, glossemata nel significato di vocabolario o enumerazione di voci oscure, con o senza la loro spiegazione. Dalla glossografia propriamente detta trae le sue linfe native la lessicografia. L'antichissima scuola greca sentì il bisogno, interpretando Omero e altri poeti, di chiarire ai discenti le espressioni che in quelli occorrevano o rare o non più vive o derivate da altro dialetto. Di qui il sorgere e il prosperare della produzione glossografica: non certo da segnalarsi per rigore di metodo o sicurezza di risultati, ché ha puro carattere empirico, ma avviatrice comunque alla lessicografia, fino al punto che direttamente a vecchi glossarî si riallacciano poi certe opere lessicografiche per scrittori dialettali, e di là varie cose ci sono restate nei compendî posteriori sino ai Bizantini. Alto interesse per il linguaggio in sé suscitarono le indagini dei filosofi e sofisti del sec. V a. C. sulla sua origine e sulla sua essenza: natura o convenzione umana lo ha creato? Questo è il problema. Se natura, dal vocabolo si possono trar deduzioni sull'essenza della cosa e viceversa. L'etimologia filosofica mira, bensì, alla conoscenza della cosa anziché del nome che la designa; comunque, qui sono i principî dell'etimologia, con Eraclito, con Platone, con altri, e da ultimo gli stoici escogitano un sistema etimologico vero e proprio. I sofisti giungono anche a porre con Prodico di Ceo le basi della sinonimica. L'impulso a render ragione di tutto intero il linguaggio passa da queste correnti spirituali alla filologia alessandrina, con la quale il lessico nasce come vocabolario o generale, o singolare d'uno scrittore o d'un dialetto, o biografico, mitologico, geografico: insomma, nelle forme più diverse. Già i primi alessandrini lavorano in tal senso; Omero naturalmente vi ha la parte del leone. I titoli che scamparono dal naufragio, da cui questa letteratura fu travolta, sono particolarmente γλῶσσαι, ma anche λέξεις, e per Fileta di Coo (sec. IV-III a. C.) ἄτακτα o ἄτακται γλῶσσαι, dove si rivela l'assenza d'un organico criterio dispositivo, si tradisce un'indigesta et incondita moles. Uomini quali Zenodoto di Efeso, Licofrone di Calcide ed Eratostene di Cirene si muovono sulla stessa linea; più e meglio sappiamo di Callimaco, che compose un lessico ordinato per materie, le 'Εϑνικαὶ ὀνομασίαι, un'opera che studiava le denominazioni di ricche categorie di cose in differenti provincie: mesi, isole, città, fiumi, venti, uccelli, ecc.; giacché sembra che una parte almeno dei lavori, appunto ad esse categorie intitolati, i quali Suida dà per autonomi, fossero piuttosto una suddivisione delle 'Εϑνικαὶ ὀνομασίαι,. Scientificamente la lessicografia si inaugura con le λέξεις d'Aristofane di Bisanzio nel sec. III-II a. C., o che si trattasse di un'opera sola o che di più. Si citano di lui le 'Αττικαὶ λέξεις e le Λακωνικαὶ γλῶσσαι, o titoli d'appellativi riguardanti le varie età umane, le parentele, le apostrofi alle persone nel discorso, un titolo altresì di parole rare o con significato raro, la cui esistenza presso i classici era tenuta dubbia. Da ciò ch'è sopravissuto di Aristofane, segnatamente nella letteratura bizantina e in un codice del Monte Athos rintracciato da E. Miller, ci si fa una idea del metodo e della qualità di queste sue ricerche: d'ogni singola voce si determinava il significato e via via il mutamento del significato con documentazioni tolte dai glossografi e dagli scrittori, con speciale rilievo delle differenze d'uso tra Omero e gli attici. Così la lessicografia è fondata per tutti i tempi; il modello per l'avvenire rimane qui, e si capisce che Aristofane fosse poi tanto sfruttato. Certo, nell'interpretazione verbale d'Omero egli non fa che aprire le vie all'allievo Aristarco, del quale solo è il vanto d'aver penetrato tutto intero, col sicuro senso linguistico che gli era proprio, il valore del vocabolario omerico, di averlo tradotto nella κοινή e illustrato, se pure non in lessici, ma in commentarî. A ogni modo, con Aristofane per la prima volta il tesoro linguistico greco si passa vastamente in rassegna e si espone agli studiosi con solide norme. La scuola degli aristofanei, che si protrae fino al sec. I a. C., continua l'opera del maestro: Callistrato prima; di qualche generazione più giovani, Artemidoro e Diodoro di Tarso. Gli aristarchei pure vogliono qui il loro posto: per es., Apollodoro di Atene ed Eliodoro. I lessici oramai fioriscono. Tra gli scrittori studiati primeggia sempre Omero, e avanzi notevoli di codeste elaborazioni abbiamo nel lessico omerico di Apollonio Sofista (circa fine del sec. I d. C.); ma con Didimo il Calcentero e in parte con Teone d'Alessandria (sec. I a. C.) lo sguardo si allarga ai tragici, ai commediografi, alla poesia intera, né si trascurano prosatori come Ippocrate, uno dei più illustrati lessicograficamente a opera di medici e di filologi. Tra i dialetti prevale, s'intende, l'attico; ma si fanno lessici di ogni dialetto greco, attingendo assai più dalla letteratura che dalla vita. Tutta questa operosità va a compendiarsi nelle numerose opere lessicali di Trifone d'Alessandria, un contemporaneo di Didimo, e con maggiore ampiezza nel lessico dal titolo di Λειμῶν (Pratum) dell'alessandrino Panfilo (intorno al 50 d. C.), ch'era disposto per cose e dotato di ricchi riscontri letterarî, massime omerici: il Leimōn alla sua volta fluiva al tempo di Adriano nella Λέξις παντοδατή (cioè miscellanea) di Diogeniano, che ordinava la materia in ordine alfabetico e passava il meglio a Esichio d'Alessandria, pare del secolo V, un epitomatore ma anche un ampliatore di Diogeniano, il cui lessico è di pregio inestimabile per la conoscenza del greco in genere, e più dei poeti e dei dialetti. Con Filosseno e con Trifone d'Alessandria, tra la fine della repubblica romana e il sorgere dell'impero, s'inaugura, per quanto sappiamo, la letteratura grammatico-lessicale περὶ ελληνισμοῦ, sul retto uso del linguaggio, che si riconosce nella lingua viva di Atene e di Alessandria. Con Filosseno altresì si tenta di fissare in un sistema l'etimologia della parola e di toglier via con ciò le arbitrarietà tra cui essa si era sbizzarrita. In base all'analogia e in contrapposto all'anomalia stoica si deriva, se non intero, il più del tesoro linguistico, da un migliaio di radici verbali monosillabiche, e si cerca nei prototipi radicali la spiegazione della parola. Queste nuove vedute etimologiche non sono senza effetti per la lessicografia, quantunque essa di solito miri ad accumular materiali dalla scuola filologica degli analogisti egualmente che dalla filosofica degli anomalisti, senza curarsi troppo di contrastanti principî. E tale resta il carattere dei tardi dizionarî etimologici di Orione e di Oro nel sec. V, dell'Etymologicum Genuinum, del Gudianum, del Magnum, di quello di Simeone, del Lexicon Vindobonense nel corso dell'età bizantina. Lo sviluppo definitivo della lessicografia è determinato dall'atticismo, una corrente letteraria classicheggiante che si contrappone all'asianesimo già assai innanzi che prendesse il sopravvento nei lessici, il che fu dal periodo di Adriano in poi, quando si scriveva oramai quasi generalmente una lingua che non era più la parlata, nemmeno di Atene o di Alessandria, e quindi nasceva la necessità d'insegnare col vocabolario la buona lingua attica, quella degli ottimi autori, e di mettere in guardia contro l'uso ellenistico e giornaliero. I vocabolarî atticistici, in quanto ne possediamo resti, ci mostrano come fosse lontana la lingua letteraria dalla κοινή o comune. Se prima nei lessici si studiava prevalentemente il linguaggio poetico, come si vede per esempio dalle ricche liste di voci che ancora Ateneo sul terminare del sec. II d. C. deduce da Panfilo e dai contemporanei di lui, con gli atticisti entrano largamente in campo i prosatori: Platone, gli oratori attici, Tucidide, Senofonte, accanto ai tragici e ai commediografi di Atene, con svariato apprezzamento a seconda dei singoli atticisti. Iniziatore di siffatti antibarbari greci a scopi praticodidattici, in ordine alfabetico, è sulla via aperta sotto Augusto da Cecilio di Calatte, Minucio Pacato, detto anche Ireneo, della seconda metà del sec. I d. C. Seguono, imperando Adriano, Elio Dionisio d'Alicarnasso e Pausania: punto di partenza della produzione lessicale atticistica ulteriore, come quella di Arpocrazione o di Giulio Polluce. Di contro sorge una tendenza antiatticistica che si riflette pur essa naturalmente nel lessico. La cultura bilingue dell'epoca dà vita altresì a glossarî greco-latini e latino-greci. Nei secoli IV e V non si arresta l'attività lessicale, ma non presenta indirizzi e ricerche nuove; finché, indagini di secoli vanno a sboccare nelle grandi compilazioni bizantine, nei già citati Etymologica, nei glossarî, nelle opere di Fozio, Suida, ecc.: per noi, autentiche miniere di cognizioni, le migliori, insieme col lessico di Esichio di Alessandria e con alcune cose atticistiche.

In Roma non è dissimile l'evolversi della lessicografia. Dapprima ci sono tentativi etimologici, se pure al di fuori d'ogni influsso filosofico, e glossemata, un portato dei bisogni della scuola. Col nascere della filologia e precisamente, pare, col suo creatore stesso, L. Elio Stilone, maestro di Varrone, si fa avanti l'etimologia stoica e si applica al latino. Per gli stoici la lingua era un prodotto di natura e l'etimologia di conseguenza un veriloquium, diceva cioè il suo vero significato della parola e attraverso la parola, della cosa; con che però, si obiettava, tutti i popoli dovrebbero parlare un medesimo linguaggio. Elevandosi il latino a lingua culturale accanto al greco, Stilone, per primo a quanto si vede, affronta l'obiezione e la risolve comparando il latino col greco e quello facendo una derivazione di questo, nella qual dottrina poteva convalidarlo l'opinione già da tempo invalsa che gl'Italici fossero di fatto originati da stirpi elleniche. Questa teoria etimologica, importante per la lessicografia, ebbe poi voga tra Greci e Romani. Insieme, Stilone trattava da filologo l'interpretazione verbale dei prischi documenti linguistici, traendo partito dai dialetti italici e accomunando nell'esegesi alle parole il contenuto, giusta la maniera dei dotti d'Alessandria. Con Stilone si dischiude ai Romani il tesoro del loro idioma, e la vecchia glossografia anonima viene a fiorire in una nuova forma erudita, da Aurelio Opillo alla generazione di Varrone e a Varrone stesso, anche se egli forse non compose nulla di propriamente lessicale. Nel De verborum significatum di Verrio Flacco, il più insigne filologo dell'impero d'Augusto, tali studî assurgono ad opera monumentale, degna di stare a fianco della miglior lessicografia greca. Noi non abbiamo Verrio che attraverso l'epitome di Festo (sec. III d. C.) per le lettere M-T, e attraverso il compendio che di Festo fece Paolo Diacono dedicandolo a Carlo Magno per le lettere A-Z, con gli aiuti che si aggiungono da altre fonti, particolarmente dai glossarî del sec. VII-VIII sfruttati da W. M. Lindsay nell'edizione verriana dei Glossaria latina, vol. IV (Parigi 1930). Vi si trovano dati d'incalcolabile valore per il lessico come per le antichità romane: l'elemento etimologico vi abbonda; poeti e prosatori vi sono citati e illustrati; anche letteratura anonima, non esclusa la giuridica; dovunque ci si appella, nominatamente o no, a glossografi, a precedenti esplicatori di vocaboli. L'ordine alfabetico non si estende per lo più oltre la lettera iniziale delle parole. Gran che differente non doveva essere neppure un altro libro di Verrio: De obscuris Caionis. In rispondenza agli scritti greci Περὶ ἑλληνισμοῦ, fin dal sec. I a. C. sorgono a Roma i consimili De latinitate, miranti a normalizzare e regolarizzare la lingua. Pansa è qui ai primi posti, e più tardi, verso il cadere del sec. II d. C., Flavio Capro sembra aver dato un vero thesaurus totius latinitatis (K. Barwick, Remmius Palaemon, Lipsia 1922, p. 205). Assai presto cominciano anche i glossarî bilingui, di doppia natura: gli uni registrano idiomata o divergenze lessicali e sintattiche del latino col greco; gli altri servono ad apprendere il greco. Meno tangibili sono le tracce di lessici esclusivamente latini per i primi quattro secoli dell'impero. Ma larghi interessi glossografico-lessicali mostrano parecchi grammatici, quali, oltre Svetonio (sec. I-II d. C.) che si occupa egualmente di greco e di latino, Gellio, o i grammatici del Corpus del Keil; e una preziosa quanto vasta compilazione di cose reali e lessicali è la Compendiosa doctrina di Nonio Marcello (sec. III-IV). Né sono da dimenticare le cosiddette differentiae verborum, distinzioni di sinonimi o di voci comunque ravvicinabili: un genere, i cui germi si trovano già in Varrone, in Verrio e sporadicamente ancor prima, ma che in questo periodo prende corpo e forma. Sul tramonto del mondo antico e al principio del Medioevo, la congerie lessicale romana dalla letteratura glossografica, dalla lessicografica, dall'esegetica, da altre fonti va ad assottigliarsi nelle Etymologiae d'Isidoro di Siviglia (sec. VI-VII) e nei copiosi glossarî latini o greco-latini a noi pervenuti e stampati a Lipsia dal Goetz nel Corpus glossariorum latinorum, oggi di nuovo dal Lindsay in collaborazione con altri (Parigi 1926 segg.). Dei bilingui siano ricordati il latino-greco dello pseudo Filosseno e il greco latino dello pseudo Cirillo, importantissimi; dei latini, Fulgenzio, Placido e il Liber glossarum fin giù al Glossarium Salomonis (sec. X-XI), a Papia (sec. XI), alle Glosse di Paolo, alla Panormia di Osbern di Glocester (sec. XII), alle Derivationes di Uguccione da Pisa (sec. XII-XIII), al Catholicon di Giovanni da Genova (sec. XIII), ecc. ecc.

Gli umanisti hanno la prima opera latina originale nelle Elegantiae di L. Valla (1444): se non un lessico sistematico, un'indagine comunque linguistico-stilistica di molto valore, e di non minor fortuna - un epitome alfabetico ne fece Erasmo di Rotterdam -, la quale di fronte al latino scolastico rinviava nettamente alle schiette scaturigini antiche. Originali sono anche i lessici ortografici del Barzizza e del Tortello, alcuni lavori di A. Mancinelli e un vocabolario italiano-latino di Niccodemo Trincadino. Né mancano lessici di singoli autori. Per il resto, in tanto accrescersi di materia, fino al '500 avanzato c'è poco che tenti di sostituire o allargare ciò che viene dalla tradizione. Il Breviloquus di G. Reuchlin (1475 o 1476) si basa su Papia, Uguccione e i soliti compendiatori; e ancora Ambrogio Calepino (1502), pur non poco ampliando, sembra più compilare che produrre di suo. A maggior ragione ciò vale naturalmente per il greco, fino alle 'Εκλογαί di Varino Favorino, l'allievo del Poliziano, stampate nel Thesaurus cornucopiae di Aldo Manuzio (1496), e al Lessico di Favorino stesso (Roma 1523). Il primo dizionario greco, a parte quello perduto di Guarino, esce a Milano nel 1478; fondamentali per l'incipiente lessicografia greca sin oltre a mezzo il '500 sono il lessico del piacentino Giov. Crestone (Milano 1480), probabile autore anche dell'altro di Milano, e quello di Aldo (Venezia 1497). In essi è la forma più elementare, la voce greca col suo significato e basta.

Con lo svilupparsi e l'approfondirsi della filologia s'inizia l'era della lessicografia scientifica; di che il vanto spetta ai francesi Roberto e al figlio Enrico Estienne (Stefano), grandi editori di testi antichi (a Parigi dal 1529, a Ginevra dal 1551) e creatori, Roberto del Thesaurus linguae latinae (1531-1543), Enrico del Thesaurus linguae graecae (1572). Il materiale ivi è tratto direttamente dalle fonti, e Roberto parte da Plauto e da Terenzio; notati e documentati sono, anche nelle unioni sintattiche, i varî concetti racchiusi nella parola, via via come si evolvono: il metodo è sicuro, gigantesche le conoscenze. Il Thesaurus di Enrico ha dominato i secoli e nell'ultima rielaborazione parigina (1831-1865) costituisce tuttora il repertorio linguistico più vasto che ci sia: oggi, s'intende, incompiutissimo, dato l'indirizzo classicistico dei suoi rifacitori, nelle edizioni di Londra (1816-28) e di Parigi, e dato poi l'enorme materiale sopraggiunto dai papiri e dalle iscrizioni. Un supplemento importante ne è il Glossarium mediae et infimae graecitatis di C. Du Cange (Lione 1688). Il Thesaurus di Roberto Stefano ebbe un complemento ancor più degno, per la media e infima latinità, dal Du Cange medesimo (Parigi 1678, ed. Henschel, Parigi 1840-50; ed. Favre, Niort 1883-1888; ed. nuova in preparazione per parte dell'Unione accademica internazionale); ed esso fu rifatto a Londra da eruditi inglesi nel 1734-35, a Basilea da A. Birrius nel 1740-43, a Lipsia da I.M. Gesner nel 1749. Soppiantato venne soltanto dal Lexicon di E. Forcellini, allievo di I. Facciolati, a Padova, un lavoro di lunga lena, notevole per le norme seguite del pari che per l'estensione e l'originalità degli elementi prodotti: tantoché ebbe tre revisioni, da Furlanetto (1827-31), da V. De-Vit (1858-79), e da F. Corradini e G. Perin (1864-98), l'ultima delle quali ci dà, essa sola, l'intero onomastico latino. Nel secolo scorso e nel nostro sotto l'impulso del metodo storico e della nuova filologia, è stata una fioritura di lessici greci e latini; da rilevare, gli etimologici col nascere della vera scienza etimologica. Un elenco ne dànno H. Schöne, Repertorium griechischer Wörterverzeichnisse (Lipsia 1907); P. Rowald, Repertorium lateinischer Wörtewerzeichnisse und Speciallexica (Lipsia 1914); P. Faider, Répertoire des Index et Lexiques d'auteurs latins (Parigi 1926). Dei greci ricorderemo Passow-Rost-Palm e Liddell-Scott rispettivamente nelle ricognizioni di W. Crönert (Gottinga 1912 e segg., rimaste incompiute) e di H. S. Jones (Oxford 1925 segg.); e poi il lessico di A. E. Solhocles per l'età romana e bizantina (Cambridge 1914), di F. Preisigke per i papiri (Berlino 1925 segg.), di E. Hatch e H. A. Redpath per il Vecchio Testamento (Oxford 1897; suppl., 1906), di J. H. Moulton e G. Milligan per il Nuovo (Londra 1914 segg.), Pape-Benseler per l'onomastica (Brunswick 1911), di É. Boisacq per l'etimologia (Heidelberg-Parigi 1916). Alle piene esigenze della lessicografia risponde oggi, sotto tutti i lati, etimologico, semasiologico, morfologico, sintattico, fraseologico, insomma storico-culturale e filologico, il Thesaurus linguae latinae (Lipsia 1900 segg.), ideato da varî, praticamente avviato da E. Wölfflin col suo Archiv für lateinische Lexikographie (Lipsia 1884-1908): un grandioso monumento del sapere, di cui si vagheggia da un pezzo l'equivalente per la lingua greca. L'etimologia e la storia della parola latina ora è dottamente illustrata nel Dictionnaire étymologique de la langue latine di A. Meillet e A. Ernout (Parigi 1931), accanto al quale è da citare A. Walde, Lat. etym. Wörterbuch, 3ª ed., in corso di stampa (Heidelberg 1930 segg).

Bibl.: H. E. Meier, Opuscula academica, II, p. 10 segg.; L. Cohn, in Müller, Handbuch, II, i, 4ª ed., p. 679 segg.; K. Krumbacher, Geschichte der byzantinischen Literatur, 2ª ed., Monaco 1897, p. 561 segg.; R. Reitzenstein, Etymologica, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 807 segg.; J. Tolkiehn, Lexikographie, in id., ibid., XII, col. 24-32 segg.; F. Heerdegen, in Müller, Handbuch, II, ii, 4ª ed., p. 687 segg.; H. Funaioli, Grammaticae romanae Fragmenta, I, Lipsia 1907, passim; G. Wissowa, Glossographie, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, co. 1433 segg.

Lessicografia moderna. - Gl'inizî della lessicografia delle lingue moderne sono costituiti, come per le lingue antiche, da glosse volgari, interlineari e poi raccolte in elenchi. Nelle glosse di Reichenau (sec. VIII) il termine classico è interpretato con un termine latino più usuale (per es. levam: sinistram); in quelle di Kassel (sec. VIII o IX) il termine latino, spesso tinto di volgarismo, è glossato in tedesco (oculos: augun; puledro: folo). Il numero dei glossarî rimastici è abbastanza grande, specie per i secoli XIV e XV. Lo scopo è pratico: quelli che dànno le corrispondenze fra il latino e il volgare mirano a usi scolastici, quelli che traducono da un volgare in un altro costituiscono un primo "manuale del viaggiatore".

Da queste raccolte discendono da un lato i vocabolarî bilingui, fondati sull'ordinamento alfabetico, dall'altro le nomenclature e i manuali di conversazione, fondati su aggruppamenti metodici.

Per trovare i primi vocabolarî alfabetici di una lingua moderna, in cui i termini siano spiegati nella lingua stessa, dobbiamo scendere fino al sec. XVI in Italia, e ancor più giù in altri paesi. Diremo più sotto dei lessici italiani del sec. XVI: essi furono tutti oscurati dal Vocabolario degli accademici della Crusca (iniziato nel 1591 e pubblicato per la prima volta nel 1612), che per oltre due secoli rappresentò, e non solo in Italia, il lessico modello. In primo luogo è accolta la lingua letteraria, ma con abbastanza larghe concessioni alla lingua dell'uso e alle lingue speciali (arti e mestieri). Si definiscono i varî significati della parola, e se ne dà la traduzione in latino e in greco: si citano per ciascun significato esempî scelti anzitutto dai tre grandi Trecentisti, ma poi anche da altri autori, secondo un elenco che si venne durante le successive edizioni fissando (e irrigidendo).

I principali vocabolarî europei dei secoli XVII e XVIII s'accostano qual più qual meno al tipo di vocabolario fissato dalla Crusca, cioè al dizionario precettivo. Quello dell'Académie française (1ª ed., Parigi 1692) vuole anch'esso codificare il buon uso, ma mentre in Italia le principali autorità sono i grandi scrittori del passato, la Francia di Luigi XIV è convinta di essere nella pienezza dei tempi, e l'Académie trae da sé stessa l'esemplificazione: "le Dictionnaire de l'Académie a été commencé et achevé dans le siècle le plus florissant de la langue francaise, et c'est pour cela qu'il ne cite point, parce que plusieurs de nos plus célèbres orateurs et de nos plus grands poètes y ont travaillé".

Molto più da vicino si collega alla Crusca il Diccionario della Real Academia Española (1ª ed., voll. 5, Madrid 1726-1739).

Solo col sec. XIX, correlativamente col sorgere della linguistica storica (v. linguistica), si fanno sentire nuove esigenze: il vocabolario si comincia a considerare non tanto come guida al buon uso, quanto come raccolta di una documentazione dell'uso nella sua totalità. Già questo principio informa il Deutsches Wörterbuch dei fratelli Grimm, iniziato nel 1838, cominciato a pubblicare nel 1852 e solo ora non lontano dal compimento; con rigore e monumentalità ancor maggiori nel New English Dictionary, iniziato nel 1858, cominciato a pubblicare nel 1884 e condotto a compimento nel 1928. Esso comprende più di 400.000 vocaboli, più di 500.000 definizioni, 1.800.000 citazioni; ma non solo la sua mole, bensì anche la sua struttura realizza quasi compiutamente le esigenze della lessicografia moderna.

Principale compito dei grandi dizionarî è quello di registrare tutti i vocaboli e le locuzioni che siano o siano stati in uso nella lingua relativa. Accanto alla forma principale, che servirà di lemma alfabetico, saranno registrate le varianti, le quali saranno anche indicate al loro luogo alfabetico, con rinvio alla voce principale.

Del vocabolo saranno definite le varie accezioni. Le difficoltà non mancano, principalmente per la definizione dei vocaboli più semplici: è più facile definire la metempsicosi che il cane. I gravi problemi che si presentano nella classificazione delle varie accezioni trovano una soluzione inadeguata sia nella semplice enumerazione (1, 2, 3, ecc., come nella Crusca), sia in tentativi di raggruppamenti puramente "logici". Da un punto di vista logico, non c'è ragione perché, tra i significati della parola vena, quello di "vaso sanguigno" preceda quello di "filone metallifero" ovvero lo segua; un saldo principio di ordinamento si ha solo quando il criterio logico si faccia coincidere con il criterio storico, cioè come "primo" significato si registri quello che è stato usato per primo. Si abbiano i varî significati di alcool: "spirito di vino" (e composti chimicamente analoghi), "polvere impalpabile". Il significato più ovvio, perché oggi usuale, è il primo, e il lessicografo può esser tentato di classificare così: 1. "spirito di vino" ecc. 2. (antiq.) "polvere impalpabile". Ma la storia dei significati (v. alcool) impone un ordinamento diverso: A. "polvere impalpabile" (significato antiquato), B. 1 "spirito di vino". B. 2 "composti chimicamente analoghi allo spirito di vino". Si applichi questo metodo alla "costruzione" di vocaboli fondata su qualche migliaio di esempî, e si avrà un'idea delle difficoltà con cui lotta il lessicografo.

Attraverso larghissimi spogli di testi, metodicamente condotti sulle edizioni più sicure, si deve giungere a una documentazione tale da rappresentare praticamente la sfera d'uso di ciascun vocabolo, anzi di ciascuna accezione durante i secoli. Particolare importanza ha la documentazione degli esempî più antichi. Si abbia la voce coscritto. L'etimologia", dal lat. conscriptus, ci soddisfa fino a un certo punto: è necessario sapere per quale via la voce latina ha dato origine all'italiana, cioè la storia del vocabolo. È un continuatore diretto di conscriptus, perpetuandosi di generazione in generazione? è un latinismo del Rinascimento? è un latinismo moderno? La data dei primi esempî mostra che si tratta d'un latinismo entrato nella terminologia militare francese durante la Rivoluzione, portato da Napoleone in Italia e subito acclimato. Basterebbe quest'esempio a mostrare l'inopportunità di scindere nei grandi vocabolarî della lingua la storia del vocabolo dalla sua etimologia (v.).

Da che punto si debba far cominciare la raccolta dei materiali, dipende da quella che è stata la storia delle singole lingue. In Italia converrebbe cominciare dai primi documenti del volgare; invece in Francia, dato il notevole stacco fra il sec. XVI e il seguente, pare ragionevole includere solo i termini che sono stati in uso dal sec. XVII al periodo contemporaneo, dandone la documentazione anche per i secoli anteriori; benché poi, quando si voglia raccogliere il lessico del francese antico o del francese medio, si finisca con l'avere o delle duplicazioni o, peggio, delle lacune.

Così pure secondo la storia delle singole lingue dev'essere risolto il problema dei limiti in cui si debbono includere i dialetti.

Un altro dei problemi che il lessicografo deve risolvere è il limite entro cui deve accogliere i termini delle lingue speciali: termini d'arti e mestieri, termini di scienze, ecc. Secondo che il vocabolario si proponga di registrare tutta la nomenclatura chimica ovvero solo quella usuale, la differenza sarà di forse duecentomila termini. E i nomi proprî di persona e di luogo vanno inclusi? Di solito solo in quanto essi o i loro derivati abbiano assunto un significato più largo del nome proprio: così entreranno Don Abbondio e Perpetua, ma non il cardinale Federico, entreranno americano e americanizzare, ma non africano.

Sebbene il fine del dizionario, che è quello di definire, sia diverso da quello dell'enciclopedia (v.), che si propone di descrivere, i limiti sono difficili da segnare, come prova anche l'esistenza di opere ibride, i dizionarî enciclopedici.

Benché più o meno diversi nei fini e nell'esecuzione dai grandi dizionarî, per lo più ne dipendono i minori vocabolarî per uso scolastico e simili: dal New English Dictionary è stata estratta tutta una serie di vocabolarî e vocabolarietti minori.

Il compito dei vocabolarî bilingui (o plurilingui) non è di fornire definizioni, ma traduzioni; e poiché una parola spesso è traducibile in più modi, talora invece non ha che corrispondenti molto approssimativi, il lessicografo deve guidare attraverso queste corrispondenze, accontentando quanto può le esigenze non del tutto identiche delle due serie di traduttori: i connazionali che vogliono tradurre in una lingua forestiera, e gli stranieri che cercano le voci della lingua nazionale.

Il dizionario dialettale (che i Tedeschi chiamano talvolta Idiotikon, gl'Inglesi glossary) talora si propone di guidare all'uso della lingua nazionale, talora piuttosto di raccogliere il tesoro lessicale d'una data località o regione; taluni, come l'ammirevole Glossaire des patois de la Suisse romande (Neuchâtel 1924 segg.) presentano pregi che molti dizionarî nazionali potrebbero invidiare.

All'ordinamento alfabetico si attengono per lo più i vocabolarî speciali: raccolta di termini d'una o più specialità (d'agricoltura, d'architettura, d'amministrazione, di medicina, di marina, ecc.): talora con definizioni d'andamento più o meno enciclopedico, talora con esemplificazione storica, talora con traduzioni. Si possono anche ricordare i vocabolarî di pronunzia, di prosodia, di sinonimia, le raccolte di neologismi e di barbarismi e simili.

Si staccano per lo più dall'ordinamento alfabetico i vocabolarî metodici (o sistematici, o ideologici), i quali presentano il tesoro lessicale d'una lingua, o parte di esso, ordinato per categorie, in modo da suggerire la parola a chi non la ricordi attraverso parole dello stesso ambito concettuale, e da servire all'apprendimento metodico della lingua. Le difficoltà di una classificazione metodica, lievi quando si tratti del mondo materiale e ci si accontenti ai fini pratici d'un onesto pressappoco, diventano gravi quando si voglia estenderla al mondo spirituale e si pretenda rigore filosofico. Una rudimentale classificazione è nella Fabrica del mondo di F. Alunno (Venezia 1546-48). Molto noto e imitato anche per altre lingue è il Thesaurus of English Words and Phrases di P. M. Roget (Londra 1852, e numerose riedizioni).

Diamo qui di seguito un elenco dei principali dizionarî italiani, limitandoci per altri paesi ai massimi vocabolarî nazionali.

Italia. - Nel Trecento e nel Quattrocento si hanno alcuni glossarietti in ordine metodico ovvero bilingui, con interpretazione del latino in volgare (come quello di Gasparino Barzizza), del volgare in un volgare straniero (come i tre glossarî veneto-tedeschi pubblicati da A. Mussafia, Vienna 1873), o di un dialetto italiano in un altro (P. Fanfani ha pubblicato una raccoltina di 167 voci e locuzioni a uso dei Fiorentini che si recavano a Milano). L. Pulci riunì in un Vocabolista, rimasto inedito fino ai nostri giorni (ed. G. Volpi, in Rivista delle bibl. e archivi, XXI, 1908), alcune centinaia di vocaboli in ordine alfabetico, e Leonardo da Vinci raccolse materiali per un vocabolario. Col divulgarsi del toscano in tutta l'Italia, si cerca di accostarsi ai modelli che l'autorità del Bembo ha dichiarato da preferirsi: il Petrarca e il Boccaccio in primo luogo.

Come primo vocabolario italiano a stampa si suol citare il glossario al Decamerone collocato da L. Minerbi in fine alla sua edizione del Decameron (Venezia 1535); l'anno seguente usciva a Napoli il Vocabulario di cinque mila Vocabuli Toschi, non meno oscuri che utili e necessarij, del Furioso, Bocaccio, Petrarcha e Dante, nuovamente dechiarati e raccolti da F. Luna. Seguono le raccolte di A. Accarisio (Vocabolario et orthographia della lingua volgare, Cento 1543), di F. Alunno (Le osservationi sopra il Petrarca, Venezia 1539; Le ricchezze della lingua volgare sopra il Boccaccio, Venezia 1543; La Fabrica del mondo, Venezia 1546-48), di G. Marinello (Prima parte della Copia delle parole, Venezia 1562, poi rielaborato e pubblicato col titolo di Dittionario di tutte le voci italiane, Venezia 1568) e, più fortunato di tutti, il Memoriale della lingua volgare di G. Pergamini (Venezia 1601), che si continuò a ristampare anche dopo che la Crusca ebbe pubblicato il suo lessico.

Le successive edizioni del Vocabolario della Crusca (1ª, Venezia 1612; 2ª, Venezia 1623; 3ª, Firenze 1691; 4ª, Firenze 1729-38; v. crusca) ebbero grande autorità e diedero occasione a molte polemiche: fra i critici basterà ricordare nel sec. XVII P. Beni e G. Ottonelli, nel sec. XVIII G. Gigli.

Alla fine del sec. XVIII e nei primi decennî del sec. XIX l'interesse per gli studî della lingua si fa vivissimo: alle dispute fra neologisti e puristi, fra cruscanti e anticruscanti (basti ricordare la Proposta di V. Monti) fa riscontro una vivace attività lessicografica: lasciando la congerie dei lessici minori, ricordiamo: F. Alberti, Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana, Lucca 1797, più volte ristampato; F. Cardinali e P. Costa, Gran dizionario della lingua italiana, Bologna 1819-28; F. Cardinali, Dizionario portatile, Bologna 1822; J. Facciolati, Ortografia moderna italiana, Padova 1822; A. Bazzarini, Ortografia enciclopedica universale, Venezia 1824-1837; L. Nesi, Dizionario ortologico, Pavia-Milano 1825; C. A. Vanzon, Dizionario compendiato universale (poi: Dizionario universale) della lingua italiana, Livorno 1827; G. Zanobetti, Nuovo dizionario portatile, Livorno 1827 segg.; L. Carrer e F. Federici, Dizionario della lingua italiana (detto dalla casa editrice il Dizionario "della Minerva"), Padova 1827; più ampio e fortunato fra tutti il Vocabolario universale italiano compilato a cura della Soc. tip. Tramater e C., Napoli 1829-40. Si nota ormai in questi lessici una certa larghezza nell'accogliere termini scientifici e tecnici. Una menzione a sé richiedono le opere di G. Gherardini (v.), che propugnano una grafia latineggiante, in contrasto con l'uso ormai invalso.

La 5ª impressione del Vocabolario della Crusca (v.), straccamente iniziata nel 1842, continuava con lentezza durante i decennî successivi (vol. I, 1863) mentre G. Manuzzi pubblicava il suo Vocabolario della lingua italiana (Firenze 1843; 2ª ed., voll. 4, Firenze 1859), e P. Fanfani il suo Vocabolario della lingua italiana (Firenze 1855). Il grande Dizionario della lingua italiana, iniziato nel 1857 e pubblicato dal 1861 al 1879 a Torino per opera di N. Tommaseo, di B. Bellini e di G. Meini, si adopera ancora con grande profitto, benché la distribuzione del ricco materiale non sia quella che sarebbe desiderabile, e le etimologie siano per lo più discutibili. P. Fanfani, già ricordato, collaborò con G. Rigutini al Dizionario della lingua parlata (Firenze 1875), che risente anche nel titolo (forse anzi più nel titolo che nel testo) del programma manzoniano. Al quale invece s'informavano decisamente il Novo Vocabolario di G. B. Giorgini ed E. Broglio (voll. 4, Firenze 1870-1897) e il Novo dizionario italiano di P. Petrocchi (voll. 2, Milano 1887-91). Il Vocabolario della lingua italiana di G. Cappuccini (Torino 1916), che fa moderatamente posto a varianti largamente accolte nell'uso dei non toscani, e il Vocabolario della lingua italiana di N. Zingarelli (Milano 1917), che accoglie con grande larghezza la terminologia scientifica e tecnica, sono praticamente molto utili. Ma data la loro mole, non sono e non pretendono né l'uno né l'altro di essere quel grande vocabolario, storico insieme e normativo, che la lessicografia italiana, memore dei gloriosi suoi inizî, sarebbe in debito di dare alla nazione.

Francia.- Il Thresor de la langue françoyse, tant ancienne que moderne di Jean Nicot (Parigi 1606), pur ricollegandosi a raccolte del secolo precedente, è il primo vocabolario vero e proprio del francese. Durante la lunga incubazione del dizionario dell'Académie escono (all'estero, perché l'Académie aveva in Francia un privilegio esclusivo) il Dictionnaire françois di P. Richelet (Ginevra 1680) e il Dictionnaire universel di A. Furetière (voll. 3, L'Aia e Rotterdam 1690), successivamente più volte rifatto e diventato il Dictionnaire universel français et latin comunemente detto di Trévoux (ultima ed., voll. 8, Parigi 1771). Il Dictionnaire de l'Académie françoise registra nella prima edizione (Parigi 1694) i termini raggruppati in famiglie, ma nelle successive edizioni (2ª, 1718; 3ª, 1740; 4ª, 1762; 5ª, poi sconfessata, 1798; 6ª, 1835; 7ª, 1878; 8ª, in corso di pubblicazione) si attiene all'ordine alfabetico. Esso si prefigge di dare la norma del "bon usage", e fin dalle prime edizioni ebbe di fatto notevole autorità, specialmente per l'ortografia. Il Dictionnaire de la langue française di E. Littré (voll. 4 e suppl., Parigi 1863-77), dà esempî classici copiosi e ben scelti, e in appendice a ogni vocabolo la storia e l'etimologia: frutto del lavoro di tutta una vita, esso è forse il migliore fra i vocabolarî dovuti all'opera d'un solo autore. Il Dictionnaire général de la langue française di A. Hatzfeld, A. Darmesteter e A. Thomas (Parigi 1890-1900), meno ricco, è frutto d'un'opera utilissima di condensazione e di distillazione: la classificazione logica e la classificazione storica si controllano e si combinano.

Vanno anche ricordati il Dictionnaire de l'ancienne langue française et de tous ses dialectes di F. Godefroy (voll. 10, Parigi 1880-1902) che sarà sostituito dall'Altfranzösisches Wörterbuch di A. Tobler ed E. Lommatzsch (Berlino 1925 segg.); e il Dictionnaire de la langue française du XVIe siècle di E. Huguet (Parigi 1925 segg.).

Per il provenzale antico c'è il Lexique roman di F. Raynouard (voll. 6, Parigi 1838-1844), integrato dal Provenz. Suppl.-Wörterbuch di E. Levy, continuato da C. Appel (voll. 10, Lipsia 1892-1924); per il provenzale moderno il Tresor dou félibrige di F. Mistral (voll. 2, Parigi-Aix 1879-86).

Spagna. - Già nel 1492 Antonio de Lebrija o Nebrija (Nebrissensis) pubblicava un prezioso Lexicon e sermone latino in ispanicum e nel 1611 S. de Covarrubias il Tesoro de la lengua castellana. La Real Academia Española pubblicava in voll. 6 il Diccionario de la lengua castellana con esempî (Dicc. de autoridades; Madrid 1726-39) e lo ripubblicava senza esempî nel 1786 (poi più volte: 15ª ed., Madrid 1925). Importante benché incompleto (lettere A-D) è il Diccionario de la construcción y régimen de la lengua castellana di R. J. Cuervo (Parigi 1886-93).

Portogallo. - Il Diccionario, iniziato dall'Accademia nel 1793, non fu condotto a termine, né bene lo surroga il Diccionario critico da lingua port. di F. Solano Constancio (Parigi 1836).

Romania. - L'Academia Româna pubblica il grande Dicţionarul Limbii Române (Bucarest 1907 segg.; fino al 1931: A-B, parte di C, F-H, parte di I).

Germania. - Ricordiamo fra i precursori soltanto il Grammatischkritisches Wörterbuch der hochdeutschen Mundart di J. Ch. Adelung (1ª ed., voll. 5, Lipsia 1774-86, 2ª ed., voll. 4, Lipsia 1793-1801); citeremo il Deutsches Wörterbuch, che, come si è detto, è il primo grande dizionario nazionale su basi decisamente storiche. Iniziato dai fratelli J. e W. Grimm nel 1838, cominciato a pubblicare a Lipsia in fascicoli nel 1852 (il vol. I è del 1854) procedette piuttosto lentamente, e non senza notevoli diversità fra i varî volumi, affiddati a diversi collaboratori. Vi lavorarono, dopo i fratelli Grimm, R. Hildebrand, K. Weigand, M. Heyne, e parecchi altri: la fine dell'opera è prossima. Fra i vocabolarî di minor mole, basti citare quelli di D. Sanders (voll. 3, Lipsia 1860-65; 6ª ed., Lipsia 1910), K. Weigand (5ª ed., Giessen 1907-10), di M. Heyne (2ª edizione, voll. 3, Lipsia 1905-06), e di H. Paul (Halle 1897; 4ª ed. a cura di K. Euling, Halle 1933 segg.).

Inghilterra. - Godette a lungo di autorità il dizionario normativo di S. Johnson (voll. 2, Londra 1755). Nel 1858, in una riunione della Philological Society si progettò un nuovo grande dizionario, guidato da principî analoghi a quello da poco cominciato dei Grimm, ma con un disegno anche più vasto. S'iniziarono grandi spogli di testi per opera di collaboratori volontarî; ma l'opera entrò nella sua fase risolutiva quando nel 1878 vi s'interessò decisamente J. A. H. Murray. La 1ª sezione del vol. I fu pubblicata nel 1884, il vol. I intero nel 1888; il XII e ultimo volume fu pubblicato nel 1928. Principali artefici dell'opera furono, coi Murray, H. Bradley, W. A. Craigie, C. T. Onions, oltre a una falange di collaboratori e cooperatori. Un volume di supplemento in avanzata preparazione, a cura di C. T. Onions, comprenderà le innovazioni lessicali degli ultimi decennî. Un compendio in due volumi dell'opera maggiore, con la documentazione storica essenziale, è stato pubblicato nel 1933 sotto il nome di Shorter Oxford English Dictionary.

Olanda. - Il Woordenboek der Nederlandsche Taal fu iniziato verso la metà del sec. XIX; il vol. I è del 1882, il XVI (1932) giunge fino a Te-.

Svezia. - L'Ordbok öfver svenska spraket, il cui vol. I si è completato a Lund nel 1898, è giunto con il XII (1933) fino a Ins-. Va anche ricordato il "vocabolario della lingua odierna" di O. Ostergren, Nusvensk ordbok, I-III (Stoccolma 1915-31, in continuazione).

Danimarca. - L'Ordbog over det danske Sprog, iniziato da V. Dahlerup, è giunto, con 12 volumi (Copenaghen 1918-1931), fino a Lu-.

Norvegia. - T. Knudsen e A. Sommerfelt, Norsk Riksmålsordbok, Oslo 1930 segg.

Russia. - Vl. Dal′, Tolkovyj slovar′ živogo velikorusskago jazyka (Diz. esplicativo della lingua viva granderussa), voll. 4, 4ª ed. a cura di Baudouin de Courtenay, Pietroburgo-Mosca 1912; più ricco, ma incompiuto, è il dizionario dell'Accademia di Pietroburgo, Slovarrusskago jazyka, 1891 segg. I. Hrynčenko, Slovar ukraïnskoj movi (Dizionario della lingua ucraina), voll. 6, Kiev 1907-10 (ristampa in 2 voll., Berlino 1924).

Polonia. - S. Linde, Slownik jézyka polskiego (Diz. della lingua pol.), voll. 6, Varsavia 1806-14; 2ª ed., Leopoli 1854-1861; A. Kryński, J. Karlowicz e W. Niedźwiedzki, Slownik jézyka polskiego, voll. 8, Varsavia 1900-1927.

Cecoslovacchia. - J. Jungmann, Slovník českoněmecký (Diz. cèco-tedesco), voll. 5, Praga 1835-39; F. Kott, Čestoněmecký slovník, Praga 1878-1893.

Iugoslavia. - Il grande dizionario dell'Accademia di Zagabria (1888 segg.), Rječnik hrvatskoga ili srpskogajezika (Diz. della lingua croata o serba) è tuttora incompiuto (finora A-P). Per lo sloveno citeremo: M. Pleteršnik, Slovensko-nemški slovar (Diz. sloveno-tedesco), voll. 2, Lubiana 1894-95

Bulgaria. - N. Gerov, Rěčnik na bălgarskij jezik, voll. 6, Filippopoli 1895-1904.

Grecia. - È in corso di stampa, a cura dell'Accademia di Atene, il vol. I di un lessico della lingua moderna (Λεξικὸν τῆς ‛Ελληνικῆς γλῶσσης), con le varietà dialettali e la storia dei vocaboli.

Ungheria. - Gr. Czuczor, J. Fogarasi, A magyar nyelv szótára (Diz. della lingua ungherese), voll. 6, Budapest 1862-74; G. Szarvas e Zs. Simonyi, Magyar nyelvtörnet szótár a legségibb nyelvemlékektől a nyelvujritdsig (Diz. storico della lingua ungherese dai primi documenti fino al rinnovamento della lingua), Budapest 1889-1893.

Bibl.: Manca un profilo generale della lessicografia, e solo parzialmente vi suppliscono le storie della filologia e della linguistica (v. queste voci). Si possono consultare utilmente le prefazioni dei maggiori vocabolarî. Inoltre H. Paul, Aufgaben der wissenschaftlichen Lexikographie, in Sitzungsber. bayr. Ak. (philos.-philol. Kl.), 1894, pp. 53-91; S. Puşcariu, Din perspectiva Dictionarului, Cluj 1922. Sui vocabolarî metodici, v. Ch. Bally, Traité de stylistique française, 2ª ed., I, Heidelberg 1921, pp. 122-139; H. Tiktin, Wörterbücher der Zukunft, in Germ.-rom. Monatschrift, II (1910), pp. 243-253.

Sulla lessicografia italiana delle origini, v. L. Morandi, Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e la prima grammatica italiana; Leonardo e i primi vocabolari, Città di Castello 1908; per le edizioni del Vocabolario della Crusca, v. crusca e bibl. ivi citata.

Per la Francia, v. G. Paris, Mélanges linguistiques, Parigi 1909, pp. 353-419; F. Brunot, Histoire de la langue française, Parigi 1915 segg., III, pp. 81-261; IV, pp. 25-49, 78-82, ecc.; A. François, Les origines italiennes du Dictionnaire de l'Académie française, in Mélanges Bouvier, Ginevra 1920; O. Bloch, La lexicologie française du XVIe siècle à nos jours, in Le français moderne, I (1933), pp. 117-132.

Per l'Inghilterra, v. J. Murray, the evolution of English lexicography, Oxford 1930; The Periodical, 15 febbraio 1928 (fascicolo in occasione del completamento del New English Dictionary); M. M. Mathew, A survey of English dictionaries, Londra 1933.