GALATI, lettera ai

Enciclopedia Italiana (1932)

GALATI, lettera ai ('Επιστολὴ πρὸς Γάλατας)

Alberto Pincherle

È una delle più importanti (quarta, secondo l'ordine consueto) delle lettere di S. Paolo nel Nuovo Testamento.

Contenuto. - Il prologo (I, 1-5) ha solo l'affermazione che Paolo deriva la sua qualità di apostolo direttamente da Dio e che Gesù Cristo ha dato sé stesso per i nostri peccati, per liberarci dal secolo presente malvagio" (contrapposto implicitamente al "venturo": I, 4): già i motivi fondamentali di tutta la lettera. Paolo si meraviglia che i Galati si siano lasciati sedurre "così presto" (I, 6) da alcuni, i quali hanno portato lo scompiglio tra loro per rovesciare il Vangelo di Cristo, che è uno né comporta alterazioni (I, 6-9); il suo Vangelo egli lo ha ricevuto non attraverso uomini, ma mediante la rivelazione di Gesù Cristo. Un tempo, egli perseguitò la Chiesa; ma, quando Dio volle che per mezzo suo Cristo fosse rivelato ai gentili, Paolo visse dapprima in Arabia, nel regno dei Nabatei, e a Damasco. A Gerusalemme andò dopo tre anni (o due anni; μετὰ τρία ἔτη, I, 18, secondo il modo di computare degli antichi), e vi passò quindici giorni con Pietro, conoscendo solo fra gli apostoli (in senso lato) Giacomo "il fratello del Signore". Vi tornò quattordici (o tredici; v. sopra) anni dopo, con Barnaba e Tito. Allora Giacomo, Cefa e Giovanni riconobbero a lui e Barnaba la missione di predicare tra i gentili, come Pietro tra i circoncisi, solo raccomandandogli di ricordarsi dei poveri" (II, 10) della chiesa di Gerusalemme; e Paolo resistette ai "falsi fratelli intrusi, che si erano introdotti per spiare la libertà che noi abbiamo in Cristo Gesù, al fine di renderci schiavi" (II, 4) e Tito, benché Greco, non fu costretto a circoncidersi (I, 10- II, 11). E in Antiochia, allorché Cefa, che prima mangiava con i gentili (trascurando le prescrizioni alimentari del giudaismo), se ne separò dopo la venuta di inviati da Giacomo, trascinando seco anche Barnaba, Paolo lo rimproverò pubblicamente: perché, dopo aver riconosciuto che nessuno è giustificato mediante le opere della Legge, bensì mediante la fede, riaffermeremmo il valore della Legge, costituendoci trasgressori? Paolo prosegue (è difficile stabilire dove il discorso a Pietro si distingua dal ragionamento rivolto ai Galati): "io infatti, attraverso alla Legge, sono morto alla Legge, per vivere a Dio. Sono con-crocifisso col Cristo; e vivo, non già io, ma vive in me Cristo" (II, 19 seg.). Ché, se la giustizia dipendesse dalla Legge, Cristo sarebbe morto invano (II, 12-21).

Chi ha dunque ammaliato gli "stolti" Galati, ai quali è stato posto innanzi agli occhi Cristo crocifisso e che hanno ricevuto lo Spirito, non certo in virtù delle opere della Legge, bensì della fede? Infatti in Abramo, che "credette a Dio, e gli fu imputato a giustizia" (Genesi, XV, 6) furono benedette tutte le genti; suoi figli autentici sono coloro che si fondano sulla fede (III, 7). Chi invece si fonda sulle opere della Legge è sotto la minaccia della maledizione che colpisce i trasgressori. La stessa Scrittura dice che "il giusto vivrà in base alla fede" (Abacuc, II, 4), mentre la Legge premia chi l'adempie. Ora, "Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, facendosi per noi maledizione" (II, 13). La Legge, venuta 430 anni dopo, non può distruggere il testamento di Abramo, convalidato da Dio (III, 1-18).

Ma Paolo non vuol togliere ogni valore alla Legge; essa rientra nel piano provvidenziale di Dio; è stata come il pedagogo o il tutore che si dà al minorenne. Giunto alla maggiore età, questi è libero; così l'umanità, un tempo asservita agli "elementi del mondo", ora vive nella fede, nella libertà e nell'unità cristiana. "Quando venne la fine del tempo, Dio mandò il Figlio suo, fatto di donna, fatto sotto la Legge, a riscattare coloro che erano sotto la Legge... Quanti siete stati battezzati a Cristo, Cristo avete rivestito. Non più Giudeo né Greco, non più schiavo né libero, non più uomo e donna: ché tutti voi uno solo siete in Cristo Gesù (IV, 4; III, 27-28). Come mai, allora, voi che un tempo servivate i falsi dei, volete ritornare ai deboli e miserabili "elementi"? (III, 19-IV, 11). Voi mi avete accolto bene, la prima volta. Vi sono dunque diventato nemico dicendovi il vero? Lo zelo che costoro mostrano per voi ha il solo fine di fare che voi li ricerchiate. Ma vorrei che vi prendeste cura di me anche assente, e vorrei essere tra voi ora (IV, 12-20).

Del resto, se volete ubbidire alla Legge, ascoltatela. Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava Agar, l'altro da Sara e secondo la promessa. Agar (il Sinai) corrisponde alla Gerusalemme d'ora schiava con i figli; ma la Gerusalemme celeste è libera. Come il figlio della schiava perseguitava Isacco, così anche ora; ma Dio ingiunse ad Abramo di scacciare Agar e Ismaele. Figli della libera, non vi lasciate risottoporre al giogo (IV, 21-V, 1). Se vi farete circoncidere, dovrete accettare tutta la Legge, cercare in essa la giustificazione, non nella fede. "Noi infatti, nello spirito, in base alla fede attendiamo la speranza della salvezza". Ché in Cristo Gesù non la circoncisione vale, o l'incirconcisione, ma la fede operante attraverso l'amore (V, 5 seg.). "E se io, fratelli, annuncio ancora la circoncisione, perché sono perseguitato?... Oh, se si mutilassero coloro che vi istigano!" (V, 2-12).

Siete stati chiamati a libertà; ciò non vi autorizza alla licenza, a trascurare il precetto dell'amore e della carità, in cui tutta la Legge si compendia. Se veramente procedete nello spirito, si vedrà dai fatti. Chi è nello spirito, non è più sotto la Legge; ma la carne e lo spirito si combattono e le loro opere sono ben note. Riprendete con amorevolezza il fratello che ha peccato, esaminando bene voi stessi. Chi è istruito nella parola, metta in comune col maestro tutti i suoi beni. Ciascuno raccoglie quel che ha seminato; facciamo dunque il bene (V, 13-VI, 10).

"Vedete, con che grossi caratteri vi scrivo di mia mano" (VI, 11). Coloro che, circoncisi, non osservano la Legge, vogliono trar vanto da voi e vi costringono a circoncidervi, solo per non essere perseguitati per la croce di Cristo. "A me non accada di vantarmi se non nella croce del Signor nostro Gesù Cristo, mediante il quale a me è stato crocifisso il mondo e io al mondo... Del resto, nessuno mi procuri fastidî; io infatti porto nel mio corpo i segni di Gesù" (VI, 14; 17). Brevissimo, poi, il saluto finale (VI, 11-18).

La lettera (la cui autenticità, messa in dubbio solo da B. Bauer e da pochissimi altri critici radicali [W. C. Van Manen, D. Völter], si può ritenere fuori di discussione) ha dunque non solo altissimo valore religioso, ma grande importanza storica: sia perché rivela il pensiero di Paolo espresso in maniera più rapida e più direttamente polemica che non in Romani, sia per i dati che fornisce alla biografia dell'apostolo (per questi, v. paolo, santo), sia anche perché ritrae al vivo alcune almeno delle condizioni ideali in cui si svolse la primitiva predicazione cristiana in un tempo in cui l'opposizione (cfr. per es., I, 10 segg. e V, 11) veniva in prevalenza dal giudaismo.

Questioni critiche. - Appunto perciò, importerebbe di conoscere bene i destinatarî. Ciò è reso difficile dal fatto che la provincia romana di Galazia (v.) comprendeva anche regioni come la Licaonia, la Pisidia e la Panfilia, attraversate più volte da S. Paolo nel corso dei suoi viaggi missionarî (Atti, XIII-XIV; XV, 41; XVI, 1). Paolo avrebbe dunque usato il linguaggio amministrativo. Ma questo, quale lo conosciamo dalle iscrizioni, non è uniforme e continua a distinguere le antiche regioni. D'altra parte, gli Atti stessi, che le menzionano espressamente (XIV, 6, 24), ricordano altrove (XVI, 6; XVIII, 23) "la Frigia e la regione galatica"; sembra dunque distinguano tra la Galazia propriamente detta, più a nord, e le sue dipendenze meridionali. Si osserva, per contro, che gli Atti, raccontando il viaggio che condusse Paolo a Troade, non parlano di un apostolato di Paolo nella Galazia vera e propria; e che sarebbe strano che di comunità, onorate da una così importante lettera dell'apostolo, non si ricordasse la fondazione; infine, che la via fino a Troade attraverso la Galazia propria sarebbe stata assai lunga e inconsueta. Ragioni alle quali si è risposto con altre, mentre non sono mancate le repliche; nessun argomento - nemmeno che queste chiese dovessero essere non troppo distanti da Gerusalemme, giacché la venuta dei disturbatori da questa città è una semplice ipotesi, ricavata per analogia da II, 12 - appare decisivo. Tra le due ipotesi, Galatica meridionale (sostenuta soprattutto dal Ramsay e da T. Zahn) e settentrionale, la seconda sembra ora prevalere alquanto.

La scelta dell'una o dell'altra ipotesi ha un certo peso, benché non decisivo, circa la determinazione della data e per conseguenza del luogo in cui la lettera fu scritta. Chi accetta la teoria settentrionale deve infatti ammettere che Galati sia stata redatta dopo il viaggio di Atti, XVIII, 23 (poiché dalla lettera [IV, 13] appare che Paolo visitò quelle comunità più di una volta), e cioè tra il 58 e il 59 da Efeso o poco dopo. La lettera. cioè, rientrerebbe nel gruppo formato indubbiamente da I e II Corinzi e Romani, con cui presenta numerose somiglianze, forse anche da Filippesi, Filemone, ecc. In favore, si fa valere la coincidenza che Paolo ricorda (II, 10) l'obbligo della colletta per la chiesa di Gerusalemme, mentre in I Cor., XVI, 1, egli dice di aver dato disposizioni in proposito alle chiese della Galazia. Il viaggio ricordato negli Atti [l. c.) potrebbe, secondo alcuni, avere avuto questo scopo. Ma tale data non esclude l'ipotesi meridionale, i cui fautori tuttavia si pronunciano per lo più per un momento anteriore, ritenendola scritta da Corinto, nel 53-54, sia prima sia dopo le lettere ai Tessalonicesi. Ma la difficoltà principale è che nel c. II non si accenna esplicitamente al "decreto apostolico" emanato dal cosiddetto concilio di Gerusalemme (Atti, XV, 23 segg.). Inoltre, il viaggio di Paolo e Barnaba a Gerusalemme in tale occasione è, secondo gli Atti, il secondo, preceduto da quello narrato in XI, 27-30. La difficoltà, che riguarda piuttosto la critica degli Atti (v.) e la biografia di S. Paolo, è affrontata e risolta diversamente. Alcuni, per rimuoverla, hanno collocato Galati prima del concilio: ma le difficoltà sono forse maggiori di quella che si vorrebbe eliminare, e tale teoria ha avuto scarso seguito. E anche la critica più spinta preferisce scorgere in Atti due racconti paralleli, e in sostanza identificare il viaggio e la riunione della lettera con quella da cui gli Atti fanno emanare il decreto.

Fino a pochi anni fa, tutta la critica riteneva d'accordo che la lettera riguardasse interamente e solo la polemica sostenuta da S. Paolo contro i giudaizzanti" che volevano imporre cioè ai cristiani anche convertiti dal paganesimo (tali i Galati appaiono indubbiamente in base a IV, 8) le osservanze giudaiche e in primo luogo la circoncisione. Sul dissidio tra le due correnti aveva anzi imperniato tutta la sua interpretazione del cristianesimo primitivo la scuola di Tubinga. Alcuni esegeti antichi, come Origene e S. Girolamo (da ricordare la sua controversia in proposito con S. Agostino), avevano creduto di poter asserire che il disaccordo tra S. Pietro e S. Paolo in Antiochia era stato simulato, per la maggiore edificazione dei fedeli; altri aveva distinto Pietro (II, 7 seg.) da Cefa (I, 18; II, 9; 11) facendo di questo uno dei settanta discepoli. Ultimamente, il Lütgert e il Ropes, preceduti in parte dal De Wette, hanno sostenuto che la polemica di S. Paolo riguarderebbe non solo i giudaizzanti, ma anche un gruppo di estremisti "radicali", che spingevano la loro affermazione della libertà cristiana degli "spirituali" sino all'indifferentismo etico. Contro costoro, che più avrebbero posto in dubbio la validità del suo apostolato, e l'avrebbero accusato di essersi smentito sottomettendosi alle imposizioni dei giudaizzanti (accusa di predicare ancora la circoncisione: V, 11), Paolo non solo insisterebbe nelle esortazioni morali, ma dimostrerebbe di non aver ceduto a Gerusalemme e di non contraddirsi continuando a dar valore alla tradizione giudaica, pur respingendo la circoncisione; inoltre, affermerebbe recisamente il carattere autonomo del suo apostolato. Secondo lo stesso Ropes, questa teoria elimina alcune difficoltà fin qui inavvertite (p. es., che i giudaizzanti non potrebbero rimproverare a Paolo l'adesione ai loro principî o l'ubbidienza ai loro capi o ispiratori), altre lascia sussistere. Essa indurrebbe ad accentuare ancora l'affinità d'ispirazione e di situazione con I e II Corinzî e - per chi ne accetta l'origine efesina - con Filippesi, ma soprattutto con Romani.

Bibl.: Toussaint, Épîtres de Saint Paul, I, Parigi 1910; E. Tobac, in Dictionn. de théol. cath., VI, i, s. v.; A. Loisy, L'épître aux Galates, Parigi 1916; E. de W. Burton, Galatians (in Intern. critic. comment.), Edimburgo 1921; H. Lietzmann, An die Galater, 3ª ed., Tubinga 1932; M.-J. Lagrange, L'épître aux Galates, Parigi 1926; J. H. Ropes, The singular problems of the Ep. to the Gal., Cambridge Mass. 1929.