Erotica, Letteratura

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Erotica, Letteratura

Carlo D'Amicis

Incerta tra un'accezione letterale, che tenderebbe a includervi tutto ciò che riguarda la sfera dell'eros, e una troppo angusta, dove è ammessa solamente la descrizione esplicita dell'atto sessuale, la l. e. ha sempre faticato a definirsi.

Paradossalmente, questa ricerca d'identità non ha coinvolto gli autori che con la l. e. si sono cimentati. Anzi, quanto più la loro vena creativa si è rivelata originale, contribuendo a formare una pur controversa idea di canone, tanto più la definizione di scrittore erotico li ha definitivamente connotati. Da Saffo fino a G. Bataille, H. Miller e A. Nin, passando per G. Boccaccio, P. Aretino e i libertini del Settecento, gli scrittori che hanno raccontato l'erotismo sono sempre stati confinati in uno scaffale a sé. E quando hanno meritato la definizione di artisti a tutto tondo, è sempre parso che il riconoscimento arrivasse nonostante l'erotismo e mai attraverso.

Tuttavia, la pruderie di critici e lettori non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Né si possono invocare i limiti della ricerca. Se nel tempo la l. e. è diventata un settore a tenuta stagna, lo si deve piuttosto a un limite endemico, o quantomeno a una convinzione che, inscalfibile fino al secolo scorso, tuttora resiste. Quella cioè che un racconto erotico, per essere considerato tale, debba assolvere a una funzione afrodisiaca, eccitare i sensi, esaltare gli appetiti sessuali. Viene così minacciata la vocazione della letteratura a proporsi come espressione verbale radicalmente libera, pura, gratuita, svincolata da qualunque finalità che non sia la narrazione e la costruzione di un rapporto originale, privo di pregiudizi, tra l'opera e ogni singolo lettore.

Ma se una letteratura umoristica, o quella che si definisce consolatoria, non potranno mai derogare alla funzione di suscitare l'ilarità del lettore o di rassicurarlo, negli ultimi decenni, grazie anche all'elaborazione teorica di scrittori come D.H. Lawrence, A. Moravia, M. Vargas Llosa, l'erotismo ha scardinato il limite della propria, più o meno coinvolgente, rappresentazione per diventare una chiave interpretativa e metaforica del reale, un modo di esplorare non soltanto le relazioni tra i sessi, ma anche i rapporti di classe, le convenzioni, gli intrecci tra istinto e ragione.

Tutt'altro che estranei a questo processo, come a molti altri che riguardano l'arte del Novecento, sembrano essere stati dapprima l'avvento della psicoanalisi e, successivamente, tutti quei fermenti che sfociarono nella contestazione giovanile e nei movimenti controculturali. Ecco quindi che da una parte, attraverso la lezione freudiana, la l. e. abbandona progressivamente la sua tradizione più gaudente e giocosa, già rintracciabile in Aristofane e Plauto, per approdare a una visione più cupa, nella quale l'eros non si discosta mai troppo dal thanatos. Dall'altra, assorbe su di sé il mito contemporaneo della rottura, della provocazione, della trasgressione e si contrappone a quella malinconica e restrittiva idea di sesso che fece dire a B. Croce: "Si è posto il valore della vita nella voluttà e nell; ed ecco l'erotismo si mostra alla fine come egoismo a due, lontananza, indifferenza o inimicizia di anime nel contatto di corpi: solitudine".

Al contrario, seguendo S. Freud e la liberazione sessuale, intorno all'eros iniziano ad affollarsi implicazioni, risvolti psicologi, significati altri.

Al primo filone appartengono autori come Bataille, che nel romanzo Histoire de l'ceil (1928; trad. it. Critica dell'occhio, 1972), pubblicato con lo pseudonimo di Lord Auch, ma anche nel saggio L'érotisme (1957; trad. it. 1957), evidenziò il morboso rapporto tra un'ossessione quasi mistica del corpo e una voluttà di morte; l'ebreo statunitense Ph. Roth, che nel suo Portnoy's complaint (1969; trad it. 1969) affidò, tra comicità e tragedia, le repressioni sessuali del protagonista direttamente al suo psicoanalista; Moravia, che già in Agostino (1944) e in La disubbidienza (1948) approfondì temi edipici e anticipò quelle problematiche psicoanalitiche sulla sessualità poi sviluppate in L'attenzione (1965), Io e lui (1971), La cosa (1983), L'uomo che guarda (1985).

Al secondo filone sono riconducibili gli scrittori americani Miller che, con Opus pistorum (scritto nel 1941, ma pubblicato soltanto nel 1983; trad. it. 1984) e la trilogia The rosy crucifixion, composta da Sexus (1949; trad. it. 1965), Plexus (1952; trad. it. 1956) e Nexus (1960; trad. it. 1961), associò il sesso e l'arte come strumenti di una liberazione antiborghese; Ch. Bukowski, erede dell'anticonformismo beatnik e cantore di un sogno americano fatto di alcol e sesso allegro; la scrittrice Nin, alla quale si deve l'opera forse più nota e celebrata della letteratura erotica del Novecento, la raccolta di racconti, risalente al 1969 ma comparsa soltanto nel 1977, a pochi mesi dalla sua morte, Delta of Venus (trad. it. 1978).

Scrive la Nin nella prefazione: "Nel periodo in cui stavamo tutti scrivendo pornografia a un dollaro la pagina, mi accorsi che per secoli avevamo avuto solo un modello per questo genere letterario: quello maschile […]. In questa collezione di racconti erotici, scrivevo per divertire, sotto pressione da parte di un cliente che mi chiedeva di "lasciar perdere la poesia". E così mi pareva che il mio stile fosse un prodotto della lettura dei lavori maschili. Per questa ragione, per un lungo periodo ebbi la sensazione di esser venuta meno al mio io femminile. E misi da parte i racconti erotici. Rileggendoli ora, che son passati molti anni, vedo che la mia voce non era stata messa completamente a tacere. In molti passaggi avevo usato intuitivamente un linguaggio femminile, considerando l'esperienza sessuale dal punto di vista di una donna. Alla fine decisi di permettere la pubblicazione dei racconti perché mostrano i primi sforzi di una donna in un mondo che è stato di esclusivo dominio maschile".

Alla Nin, che, nata in Francia, tornò a vivere a Parigi proprio negli anni in cui Colette indignava i salotti francesi con Le pur e l'impur (1932; trad. it. 1980), il suo libro dedicato a "quei piaceri che chiamiamo, alla leggera, fisici" va quindi ricondotto un fenomeno tipico di questi ultimi decenni: l'insorgere, cioè, di una l. e. femminile, inequivocabile espressione del processo di emancipazione che ha reso finalmente le donne soggetto attivo del discorso intorno alla sessualità. Esemplare, non tanto dal punto di vista della qualità letteraria quanto dell'evoluzione del costume, l'enorme successo conseguito a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del 20° sec. dalla scrittrice francese E. Arsan con il personaggio di Emmanuelle, ambigua e perversa eroina della rivoluzione sessuale. Sulla sua scia, ma ancora compromessa con le problematiche dell'esistenzialismo femminile, Isadora Wing è la bella e spregiudicata protagonista del romanzo che nel 1973 portò al successo la scrittrice americana E. Jong. Nella sua Fear of flying (1973; trad. it. 1975) si identificarono milioni di lettrici. In questo contesto non meraviglia il dibattito che negli anni Settanta suscitò tra le femministe un libro come Histoire d'O (1954; trad. it. 1971), oggetto di incuriosito scandalo fin dal suo primo apparire in Francia a firma di una non meglio nota Pauline Réage e con prefazione di J. Paulhan. Caduta l'ipotesi che dietro lo pseudonimo si nascondesse lo stesso Paulhan (o altri del suo livello) e chiarita l'identità dell'autrice - Dominique Aury (1906-1998), potente segretaria della Nouvelle revue française e di Paulhan amante -, restava infatti da spiegare come potesse essere opera di una donna un libro che a chiare lettere riproponeva il consunto cliché della femmina oggetto, disponibile e sottomessa al desiderio e alle fantasie maschili fino al masochismo: omaggio della Aury all'amante per trattenerlo a sé o sottile celebrazione di un inconscio femminile che si ribella all'addomesticazione del desiderio imposta dalla civiltà?

Nello stesso periodo, perfino nella letteratura a fumetti il disegnatore milanese G. Crepax portò al successo Valentina, un personaggio sognante e al tempo stesso iperrealista, destinata a diventare in breve tempo il simbolo di una femminilità moderna ed emancipata.

Insomma, nel giro di pochi decenni da maschilista e fallocratica la l. e. è diventata (e lo sarà sempre di più) genere femminile per eccellenza. Ma è difficile stabilire quanto il fenomeno sia dovuto a un'urgenza espressiva delle scrittrici e quanto vada invece ricondotto alla domanda del lettore maschio, che si scopre maggiormente incuriosito dall'immaginario dell'altro sesso che dal proprio. Forse più la prima ipotesi della seconda, se è vero, come indica una ricerca effettuata recentemente da una casa editrice italiana specializzata nel settore, che tre lettori di l. e. su quattro sarebbero donne.

Il fenomeno della l. e. femminile, in ogni caso, non si ferma agli anni Settanta. Al contrario, gli esiti più importanti raggiunti dal genere nell'ultimo scorcio del Novecento vanno ricondotti a scrittrici. Con Le boucher, romanzo breve del 1988 (trad. it. 1989), la giornalista francese A. Reyes ha amplificato il tema della carne ambientando tra quarti di bue e tagli di prima scelta la storia della seduzione di una tremula cassiera da parte del suo principale. Il libro è stato tradotto in venticinque lingue.

L'anno seguente la scrittrice madrilena A. Grandes ha esordito con Las edades de Lulú (trad. it. 1990), romanzo nel quale è possibile leggere, attraverso la sessualità torbida e sfrenata della protagonista, una metafora della Spagna postfranchista, vitale e spregiudicata, ma anche un'amara parabola sul sesso inteso come dipendenza e degradazione. A suo modo romanzo di formazione, Las edades de Lulú vanta numerose traduzioni.

È uscito invece nel 1991 Damage (trad. it. 1991) della scrittrice irlandese, ma inglese d'adozione, J. Hart. Questa volta l'io narrante è maschile, ma a muovere i fili della vicenda, una relazione lacerante e autodistruttiva tra un uomo maturo e la fidanzata del figlio, è comunque il personaggio femminile. Romanzo psicologico virato verso il noir, Damage esprime compiutamente, soprattutto attraverso il tragico finale, la contraddizione di un tempo presente che nell'innalzare a valore la passione e l'erotismo, non può fare a meno di rappresentarne il lato oscuro e il potere distruttivo.

Perfino in un testo apparentemente frivolo e disimpegnato come Afrodita, raccolta di racconti e ricette afrodisiache del 1997 di I. Allende (trad. it. 1998), la scrittrice cilena lega a filo doppio eros e thanatos: "L'intero creato è un processo ininterrotto di digestione e fertilità: tutto si riduce a organismi che si divorano l'un l'altro, si riproducono, muoiono, fertilizzano la terra e rinascono trasformati". Concetto che in una forma decadente, disperata, provocatoria, ma anche lucida e tagliente, farà suo in questo millennio lo scrittore francese M. Houellebecq, esegeta del turismo sessuale e rarissimo esempio di scrittore contemporaneo disposto a rivendicare una visione maschilista e, almeno nelle intenzioni, puramente edonistica dell'erotismo.

Del resto, in questi ultimi anni, il sesso ha ceduto al politicamente corretto e la pornografia è stata sdoganata. Come ha dichiarato A. Grandes "l'erotismo appare in tutti i tipi di letteratura e non si ha più bisogno di pubblicare in una collezione specifica un libro di questo tipo: insomma è un genere morto per troppo successo". Il sesso è dappertutto e non suscita scandalo. Sembrano lontani i tempi di Porci con le ali (1976) di M. Lombardo Radice e L. Ravera o di Seminario sulla gioventù (1984) di A. Busi, oggetto di scalpore fino alle aule dei tribunali. Oggi, al posto di Rocco e Antonia, protagonisti del "diario sessuo-politico di due adolescenti" ambientato al liceo Mamiani di Roma, vi è il melenso e ammiccante ribellismo di Melissa P. con Cento colpi di spazzola (2003). E all'omosessualità come impervio strumento di conoscenza e formazione (in Busi, ma anche in P.P. Pasolini) si è sostituita una letteratura gay militante e omologata, nella quale il sesso viene officiato come uno stanco rituale (sull'argomento v. omosessuale, letteratura).

Non stupisce quindi che l'erotismo letterario viva oggi una fase confusa. Il linguaggio corrente è divenuto più esplicito, il catalogo visivo ha saturato l'immaginazione, la distinzione tra erotico e pornografico, peraltro fondamentalmente artificiosa, appare sempre meno palpabile. Forse per questo la nuova frontiera dell'erotismo letterario sembra inseguire aberrazioni e parossismi, attingendo a un più ampio discorso sul corpo nell'era della tecnologia, della pubblicità e della realtà virtuale. Quasi paradigmatici, in questo senso, I canti del caos (2001) di A. Moresco, dove la scrittura visionaria e ossessiva è asservita a un inferno metropolitano fatto di mercificazione e sopraffazione; Kamikaze d'Occidente (2003), ma anche Amore (1998), Cosa voglio da te (2003), Corpo (2004) di T. Scarpa, nei quali l'erotismo si esprime attraverso l'ambizione a una nudità dettagliata, che analizzi al microscopio tanto gli umori spirituali quanto quelli fisici; La macinatrice (2005), romanzo di M. Parente che ingloba l'erotismo nella deflagrazione di un immaginario occidentale nutrito da Internet, voyeurismo di massa e reality show.

Da queste pagine, quasi sempre torrenziali e sessuolaliche, sembra ormai bandito del tutto il desiderio. Nell'intuire che il tramonto delle passioni è un segno distintivo del nostro tempo risiede il loro valore; nel non riuscire a risvegliarle, un limite comune alla letteratura contemporanea, tanto abile nel cogliere gli elementi di crisi dell'uomo di oggi quanto inetta nell'immaginare come l'uomo di domani saprà superarli.

Bibliografia

A. Sarane, Storia della letteratura erotica, Milano 1990.

R. Stella, L'osceno di massa. Sociologia della comunicazione pornografica, Milano 1991.

G. Almansi, L'estetica dell'osceno. Per una letteratura "carnalista", Torino 1994.

R. Reim, Il corpo della Musa. Erotismo e pornografia nella letteratura italiana dal '200 al '900. Storia, antologia, dizionario, Roma 2002.

P. Adamo, Il porno di massa. Percorsi dell'hard contemporaneo, Milano 2004.

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