TOLSTOJ, Lev Nikolaevič

Enciclopedia Italiana (1937)

TOLSTOJ, Lev Nikolaevič

Giovanni Maver

Tanto il padre, quanto la madre di T. appartenevano all'alta aristocrazia. Sin dai tempi di Ivan il Terribile i Tolstoj avevano coperto importanti cariche militari e amministrative. Gran signore e dissipatore impenitente fu il nonno di Leone, il governatore di Kazan′ Il′ja Andreevič (1757-1820) che, per alcuni suoi tratti, servì da modello a Il′ja Andreevič Rostov di Guerra e Pace. Non meno evidente è l'affinità tra i figli dell'uno e dell'altro: tra Nikolaj Il′ič Rostov del romanzo e Nikolai Il′ič Tolstoj (1795-1837) che, dopo aver preso parte alla campagna del 1812-13, sposò, nel 1822, la principessa Marija Nikolaevna Volkonskaja e nel 1824 si stabilì nel podere di Jasnaja Poljana portatogli in dote dalla moglie. Qui, il 28 agosto, vecchio stile, del 1828 nacque - quarto dei loro figli - Lev Nikolaevič.

Dalla nobiltà dei suoi tempi il padre di T. - sereno, allegro, geloso della propria dignità e indipendenza - non emergeva per qualità particolari; la madre, invece, figlia di Nikolai Sergeevič Volkonskij), alto dignitario militare e civile (la vita e il carattere di tutt'e due hanno più di un riscontro nelle figure di Nikolai Andreevič Bolkonskij e di sua figlia Maria - in Guerra e Pace), aveva aspirazioni culturali e spirituali non comuni: era profondamente religiosa, amava la musica, raccontava volentieri favole, teneva un proprio diario, meditava sull'Èmile di Rousseau ed educava i suoi figli con sistematicità pedantesca e sentimentale. Parecchie sue qualità T. deve ai genitori, e alla madre molto più che al padre; ma si tratta soprattutto di eredità, poiché egli perdette la madre a soli due anni, e a nove anni era già orfano anche di padre.

Affidato alle cure di parenti buone e colte, e dal quinto anno anche di precettori tedeschi e francesi, T. trascorse l'infanzia e la fanciullezza a Jasnaja Poljana, a Mosca e a Kazan′: era un ragazzo allegro, bizzarro talvolta, molto sensibile e affettuoso. Nel 1844 s'iscrive all'università di Kazan′, frequentandovi, ma senza interesse speciale per gli studî universitarî, prima la sezione orientale della facoltà di filosofia, e poi la facoltà di giurisprudenza. Alla vita gaia, spensierata e non certo virtuosa che conduce in quegli anni, egli cerca sin da allora di reagire: e vi oppone un ideale di perfezione morale che però non si scompagna dall'ambizione di primeggiare in ogni campo. Nell'incertezza di sé, egli cerca appoggio in letture intensive (Rousseau, la Bibbia) e più ancora in un'ingenua sistemazione preventiva delle proprie occupazioni ("Giornale delle occupazioni quotidiane", 1847), in un insistente dettar norme a sé stesso, e, infine, in quella tipica forma di autocontrollo che è il Diario (marzo-giugno 1847), alla quale ricorrerà anche negli anni successivi: sporadicamente tra il 1850 e il 1888, senza interruzione dal 1888 sino alla morte.

Nella primavera del 1847 abbandona Kazan e ritorna a Jasnaja Poljana con un copiosissimo programma di lavoro. Non vi resiste a lungo; nell'ottobre del 1848 è a Mosca; poco dopo a Pietroburgo, dove tenta di riprendere i suoi studî giuridici; poi di nuovo a Jasnaja Poljana e nella vicina città di Tula. Sono tre anni (1848-1851) di vita trascorsi quasi intieramente fra piaceri mondani: in gozzoviglie, con zingari, nel giuoco di carte e nelle cacce. Ma dei proprî stravizî egli ha una consapevolezza sempre più esacerbata; e quasi un antidoto contro di essi gli appaiono i primi tentativi letterarî (del 1851 sono: Istorija včerašnego dnja, Racconto della giornata di ieri, ed. postuma 1926; e i primi capitoli di Detstvo, Infanzia, pubbl. nel 1852) e la partenza per il Caucaso (aprile 1851), dove al principio del 1852 entrò nel servizio militare. Il lungo soggiorno nel Caucaso si risolse per T. in una scuola di vita e d'arte. Non che gli mancassero, nelle diverse guarnigioni, occasioni a rinnovati bagordi; ma la possibilità d'isolamenti completi, ora desiderati e ora inevitabili; la partecipazione ad alcuni fatti d'arme e la dimestichezza con genti primitive, soldati e indigeni, lo misero a contatto con quella pienezza e immediatezza di sentimenti e d'istinti, con quella naturalezza e verità che egli da anni era andato cercando. Sicché il ripensare la propria vita e l'intimo aderire a cose viste e vissute sboccarono in una serie di schizzi e di racconti Nabeg (Incursione, 1853), Kak gibnet ljubov′ (Come muore l'amore, post. 1926), Utro pomeščika (Il mattino del possidente, scr. nel 1852, pubbl. nel 1856), Zapiski markera (Memorie di un "marqueur", scr. nel 1853, pubbl. 1855), Otroočstvo (Fanciullezza, 1854) Rubka lesa (Il taglio del bosco, 1855), Kazaki (iniziato nel 1852, pubbl. nel 1863).

Al principio del 1854 T. fu trasferito nell'esercito del Danubio che raggiunse nel marzo dopo una breve licenza trascorsa, assieme con i fratelli, a Jasnaja Poljana e a Mosca; prima però della fine dell'anno si trovava già, su propria richiesta, tra gli assediati di Sebastopoli. Visse l'assedio da combattente valoroso e da osservatore perspicace e spregiudicato; e fissò le sue impressioni nella breve trilogia Sevastopol v dekabre 1854, Sevastopol v mae 1855 g. e Sevastopol v avguste 1855 g. (pubbl. 1855-56). Dopo la caduta della fortezza, T. fu mandato a Pietroburgo, dove i circoli letterarî e mondani lo accolsero come uno dei più grandi scrittori russi. Fu qui, in mezzo a coloro che lo festeggiavano, che T. manifestò una delle più profonde caratteristiche del suo ingegno e del suo temperamento: la sua aggressività di fronte a giudizî e opinioni universalmente riconosciuti, quando questi non si accordavano con le sue convinzioni personali. Lo stesso bisogno di coerenza, chiarezza e giustizia egli tentò di apportare in quest'epoca nel suo rapporto con i proprî contadini: ma il suo progetto di liberarli dalla servitù della gleba urtò contro il rifiuto da parte dei contadini stessi, i quali speravano dal governo una soluzione più radicale del problema di quella proposta loro dal proprio padrone. La sua attività letteraria continuava intanto alacremente (Junost′, Giovinezza, pubbl. 1857); Vstreča v otrjade s moskovskim znakomym, Incontro nel distaccamento con un conoscente di Mosca, 1856; Dva gusara, Due usseri, 1856; Metel′, La tormenta, 1856), ma egli non riusciva ancora a sistemare definitivamente la sua vita. L'amicizia per Valeria Arsen'eva non condusse al matrimonio (il breve romanzo è rivissuto in Semejnoe ščaste, Felicità domestica, 1859) e T., ottenuta l'accettazione delle sue dimissioni dall'esercito, partì per l'estero (1857). Passò qualche mese a Parigi e in Svizzera, ma né la vita né le istituzioni occidentali ebbero per lui un'attrattiva speciale; e dopo soli sei mesi ritornò in Russia. Alternò di nuovo soggiorni in campagna, dove cominciò a interessarsi maggiormente della vita dei contadini e della direzione dei suoi beni, con soggiorni a Mosca, dove manifestò vivo interesse per la vita letteraria e musicale. Ma sono interessi e occupazioni piuttosto passeggeri; al loro posto subentra un'esperienza nuova: l'istituzione, a Jasnaja Poljana, di una scuola per bambini e adulti. Educatore tenace di sé stesso, T. vuole esperimentare la sua passione pedagogica sui figli del popolo. L'attività letteraria (degli ultimi due anni, oltre la Felicità domestica, sono: Luzern, 1857, Albert, 1858 e Tri smerti, Le tre morti, 1858) rimane quasi completamente sospesa tra il 1859 e il 1862; l'unica opera di questo periodo Polikuška (scritto 1860, pubbl. 1863) ha questo di caratteristico che è il primo tentativo di T. di un racconto di contenuto e tono popolari. Lo stesso secondo viaggio all'estero, intrapreso per visitare il fratello ammalato, riuscì in buona parte un viaggio d'istruzione pedagogica. Questa volta però egli rimase all'estero più a lungo, e fu, oltreché in Germania, Svizzera e Francia, anche nel Belgio, a Londra e in Italia. Al ritorno a Jasnaja Poljana T. è tutto fervore pedagogico: riprende, arricchito di nuove esperienze, il suo posto di maestro, e pubblica una rivista mensile Jasnaja Poljana nella quale fissa, difende e illustra il proprio modo di concepire l'educazione e l'istruzione (O narodnom obrazovanii, Dell'istruzione popolare; Vospitanie i obrazovanie, Educazione e istruzione, ecc.).

Ma anche l'attività pedagogica, anziché apportargli la calma, era frutto per lui di nuovi dubbî e di nuovi tormenti. "Forse già allora sarei giunto a quella disperazione alla quale giunsi quindici anni dopo, se per me non ci fosse stato ancora un lato della vita inesplorato che mi prometteva la salvezza - la vita di famiglia". Fu così che dopo brevissimo fidanzamento sposò nel settembre del 1862 la diciassettenne Sofia Andreevna Bers. Col matrimonio si chiude il primo periodo di vita di T. Periodo che egli più tardi giudicò con eccessiva severità, considerandolo tutto intero come un continuo asservimento all'ambizione, alla dissolutezza e alla concupiscenza; e che in realtà era stato permeato anche da qualcosa di più e di meglio: da un bisogno, ora acuto ora assopito, nella vita e nell'arte, di chiarificazione, sistemazione e perfezione, e, insieme, da un desiderio, mal definito ancora, di evasione da sé stesso. La felice vita coniugale, e poco dopo familiare, agì su di lui come diversivo e come farmaco: egli si calmò, raccolse in sé le sue inesauribili riserve di energia e le riversò tutte nell'attività artistica. Ma sotto al magnifico slancio creativo continuò a covare il dubbio sulla legittimità di quella vita e di quell'arte. Sicché la soluzione di continuità tra il periodo che precede e i periodi che seguono è più apparente che reale; e anzi lo stesso apogeo della sua arte, ove lo si inquadri in tutta la sua vita spirituale, si risolve in una grandiosa parentesi.

Un radicale scostarsi dagli schemi retorico-patetici del romanticismo e, in compenso, un riaccostarsi ai procedimenti narrativi più scarni ma nello stesso tempo più sentimentali del tardo Settecento caratterizzano le opere giovanili di T. Predomina in esse un fresco, suggestivo e spregiudicato soggettivismo che spesso rasenta il monologo autobiografico. Ma la sempre crescente avversione per ogni specie di posa conduce T. ben presto a mitigare il suo esibizionismo sentimentale e a sostituirvi, pur continuando a nascondere l'"io" sotto nomi e fogge diverse, una narrazione più asciutta, più aderente a uomini e cose osservati, più curiosa di minuti fatti psicologici. Sovrasta sempre un imperioso bisogno di sincerità; per cui ogni forma di costruttivismo e ogni indulgere alla fantasia sembrano banditi dagli squarci di vita che egli va allineando sotto forma di racconti, di schizzi psicologici, di saggi descrittivi. In visibile disagio quando inventa (Due usseri), il giovine T. ha i suoi momenti più felici quando la materia d'osservazione concorda coi problemi in cui s'incentra la sua vita spirituale: il rapporto dell'uomo con la natura (Cosacchi), l'umanità di fronte alla morte (Sebastopoli. Le tre morti, ecc.). Figure (Eroška nei Cosacchi) e avvenimenti si stagliano allora in una luce calda di afflato lirico, in cui diventa vana la ricerca di riflessi di quelle opere e di quegli scrittori (Rousseau, Sterne, Dickens, Stendhal, Gogol′, ecc.) cui pure T. deve non poco in questo primo periodo della sua attività. Ma egli è ancora scontento di sé: sempre pronto a cogliere sé stesso, anche ingiustamente, in fallo di artificio o di sentimentalismo (da qui la propria condanna dell'Infanzia, della Fanciullezza e persino di quel delizioso presagio di felicità propria che è... La felicità domestica), egli sente il bisogno di rifarsi da capo nel modo di vivere, di sentire, di osservare, di scrivere. Da questo stato d'animo deriva, intorno al 1858, una certa stasi nella sua opera letteraria, e ne deriva anche, in parte almeno, la sua attività pedagogica. Il saggio Chi deve imparare a scrivere e da chi? è quasi un segnale di rottura completa col proprio passato letterario e il preavviso di un nuovo avviamento.

Ma pochi mesi dopo il matrimonio egli sospende l'attività pedagogica. Il suo cuore e la sua mente sono altrove. "La felicità coniugale mi inghiotte tutto" scrive egli stesso ai primi del 1863. Questa annotazione del diario si trova tra due altre: "Un'infinità di pensieri; ho tanta voglia di scrivere; sono diventato straordinariamente maturo" - "Da lungo tempo non ricordo di aver sentito un desiderio di scrivere così forte, così pieno di fiducia, così sicuro; non ho soggetti... ma a me pare che saprei trattare qualunque argomento". Assistiamo alla gestazione del capolavoro, prima ancora che egli stesso ne abbia presenti i contorni. Ma questi si concretarono qualche mese dopo, quando egli cominciò a sentirsi "scrittore con tutte le forze dell'anima sua", quando cioè all'osservazione quale molla principale della sua creazione artistica, si aggiunse e sovrappose l'invenzione; e l'arte da frammentaria e occasionale, quale, in fondo, era stata fino allora, stava per diventare totalitaria e trascendente. E ci fu allora in lui come una corsa della fantasia verso spazî sempre più liberi: dall'anno 1856 in cui egli intendeva ritrarre il ritorno in Russia di un esiliato "decabrista" (v. il frammento Dekabristy, pubbl. nel 1884), egli passò all'anno stesso della congiura (1825), e da lì ai grandi avvenimenti del 1812 e, infine, per delinearne la genesi, al 1805. L'epoca storica, tramontata, ma ancora viva nella tradizione e negli effetti, rievocò una folla di personaggi delle famiglie. T. e Volkonskij; altri ne aggiunse lo Studio di fonti stampate e manoscritte; altri ancora, specialmente femminili, vi intrecciarono le nuove condizioni di vita matrimoniale. Apparve così, dopo un anno di lavoro intenso, la prima parte del romanzo L'anno 1805 (1865), che nella continuazione, pubblicata tra il 1867 e il 1869, assunse il titolo Guerra e Pace (Vojna i mir).

Ciò che maggiormente colpì e tuttavia colpisce in questa epopea a motivi ricorrenti e pur sempre nuovi, è l'assenza in essa di ogni arbitrio d'arte, il fondersi completo dell'arte con la vita. Sostenute da una prosa tutta sostanza e senza ombra di orpelli, le diverse fila del racconto si annodano e disciolgono con spontaneità assoluta. Tutto vi appare naturale, necessario, fatale. Vi si celebrano con la stessa devozione, umile e solenne, la vita e la morte. I più grandi avvenimenti si affratellano ai più piccoli. Dai protagonisti - Andrea, Pierre, Nicola; Nataša, Maria; Kutuzov, Platon Karataev - alle comparse, tutti hanno una loro inconfondibile individualità, e tutti, a loro volta, sono come assorbiti da un'umanità che è in essi e sopra di essi. Soltanto verso la fine del romanzo si avverte la presenza dell'autore che ha una sua tesi da difendere e da predicare. E questa presenza sarebbe invero urtante, se essa non ci riportasse all'essenza stessa dell'opera: l'uomo non crea nulla, non domina nulla, egli segue la marcia inevitabile dei fatti che si svolgono dinnanzi ai suoi occhi.

Ad opera compiuta, un senso di stanchezza e di scoramento si impadronì dell'animo di T. Ma l'argomento trattato non gli si era fatto subito del tutto estraneo: per un pezzo ancora vagheggiò altri argomenti storici, mentre nel suo modo di concepire la vita egli si venne avvicinando a Schopenhauer, che dopo Rousseau ebbe su di lui, fra tutti i pensatori, la più forte influenza. Il suo interesse per l'arte si manifesta, nel 1870-71, nello studio appassionato del greco e nell'ammirazione per Omero; la ripresa d'interessi pedagogici si concreta nella pubblicazione (1872) di un Sillabario, che contiene, fra l'altro, bellissime parafrasi di favole indiane. Non gli mancano inoltre preoccupazioni per la famiglia; la moglie, sua compagna fedele e collaboratrice preziosa, si ammala gravemente; degli otto figli (se ne aggiungeranno più tardi altri sei), gli ultimi due muoiono all'età di un anno, e a breve distanza, muoiono anche alcuni parenti a lui carissimi.

Eppure, sin dal 1870 egli pensa a una nuova opera e il suo animo è suggestionato dall'idea di scrivere un romanzo che abbia per centro la figura di una donna buona, ma colpevole di adulterio. Nel 1873 il progetto comincia a realizzarsi; ma il lavoro non gli sgorga con quella facilità e quasi elementare spontaneità con cui era proceduta la creazione di Guerra e Pace. T. lavora a scatti, ora con aderenza e amore, e ora con tedio e odio. Tra il 1875 e il 1877 Anna Karenina, come già Guerra e Pace, esce nel Russkij Vestnik (Messaggero Russo); ma T., ad onta dell'enorme successo dell'opera, la sottopone a un'ulteriore revisione per l'edizione in volume (1878).

Ma di questa scontentezza dell'autore, il romanzo, dalla composizione robusta e armonica, non conserva che poche tracce. Se mai, vi si può scorgere il riflesso di uno stato d'animo ben diverso da quello che aveva generato Guerra e Pace. Lì, larghi fiotti di serenità e di amore si erano riversati su personaggi e avvenimenti, qui invece predomina un senso tragico della vita. Eccezioni non mancano; vi sono scene sgombre da qualsiasi turbamento, come, p. es., l'innamoramento e il fidanzamento di Levin e Kiti, così ricco di reminiscenze personali. Ma sul romanzo, sin dalle prime pagine, si addensano le nubi del peccato: Anna e Vronskij ne sono le vittime, e anche, se pure in misura minore, Karenin, nel quale T. ha messo a fuoco il suo odio per ogni forma e artificio. E il romanzo, tutto contemporaneità, è invaso dall'angoscioso dissidio dell'autore, tra una vita che non ha più da essere la sua e una vita nuova che è tuttora allo stato di gestazione. Levin incarna questo periodo di oscillante transizione: l'amore per la vita lo porta sempre di nuovo al cospetto della morte; l'appassionato attaccamento alla verità non lo esime dal vivere in mezzo alla menzogna. Né la lettura dei filosofi, né la convivenza coi contadini riescono a dischiudergli completamente e durevolmente il senso e lo scopo della vita.

Più grave ancora era la crisi di T. stesso. Crollano in lui, una dopo l'altra, le sue ambizioni e le sue speranze. "La mia vita si fermò". Tutto il suo passato non era stato che vanità, falsità, momenti di ebbrezza; miraggi, e non altro, la gioia creativa e la stessa vita di famiglia, nella quale, anni or sono, egli aveva cercato e trovato la serenità e la calma. "Una forza ineluttabile mi sospingeva verso una liberazione dalla vita". Tra la vita e la morte egli optò però, ancora una volta, per la vita. Ma per una vita dalla quale fossero tolte tutte le incrostazioni che vi hanno accumulato il benessere, la civiltà, il falso progresso, le convenzioni; che fosse tutta naturalezza, necessità, lavoro, amore, verità: che, cioè, tutta si risolvesse nella conoscenza di Dio, nella fede in Lui e nella sua legge. Tale gli appariva la vita dell'immensa maggioranza degli uomini, dei contadini che "lavorano tranquillamente, che sopportano privazioni e sofferenze, che vivono e muoiono riconoscendo in ciò non una cosa vana, ma un bene". Ma di fronte a questa constatazione T. non si rassegnò. Non si accontentò di tendere, per sé stesso, alla realizzazione del suo nuovo ideale; ma con l'impeto del suo temperamento battagliero, con la sua inesauribile sete di azione e con il suo incessante bisogno di chiarificazione, egli si sentì investito della missione di difensore e propagatore della verità. Ne derivò, dopo la Confessione (Ispoved′, prima stesura 1879) che è come la pietra miliare sulla via della salvazione, una nutrita serie di studî, saggi e polemiche sull'essenza della religione (V čem moja vera, In che cosa consiste la mia fede, 1884; Christianskoe učenie, La dottrina cristiana, 1897; Kak čitat Evangelie i v čem ego suščnost′, come si ha da leggere il Vangelo e in che ne consiste l'essenza, 1896, ecc.), sul senso della vita (O žizni, Sulla vita, 1887), sulla non resistenza al male (Carstvo božie vnutri vas, Il regno di Dio è in voi, 1891-93; Konec veka, La fine di un'epoca, 1905; Ne ubij nikogo, Non uccidere, 1907), sulla dottrina della Chiesa (Kritika dogmatičeskago bogoslovija, Critica della teologia dogmatica, 1880), sulla rivoluzione (Velikij grech, Il grande peccato, 1905), sulla pena di morte (Ne mogu molčat′, Non posso tacere, 1908; O smertnoj kazni, Sulla pena di morte, 1910), sulla cultura (Tak čto že nam delat′? Cosa dunque dobbiamo fare?, 1885-6). Grazie a questa infaticabile attività, che fu organizzata e disciplinata editorialmente (importante la pubblicazione in Inghilterra delle opere proibite dalla censura russa), dal più tenace e più radicale dei tolstoiani V. G. Čertkov, T. diventa sempre più una formidabile potenza morale in Russia e fuori della Russia. La sua difesa di tutti coloro che sono perseguitati, perché nelle loro azioni seguono soltanto la propria coscienza, si fa sempre più accanita. Ovunque egli cerca il contatto coi sofferenti: a Mosca, dove passa alcuni inverni a partire dal 1882, egli visita le case dei poveri; per meglio conoscere il genuino pensiero del popolo egli ha rapporti continui coi seguaci delle diverse sette russe; organizza aiuti per i colpiti dalle carestie (1892-3); l'insegnamento, il problema della cessione della terra ai contadini, e soprattutto il problema del diritto personale alla ricchezza e del diritto della collettività sulla vita e sulla morte dell'individuo non cessano mai di appassionarlo.

Ma in mezzo a questo ritmo acceso di una vita tutta dedita a un apostolato, T. non abbandona l'arte. Matura in lui, in armonia con la sua ideologia, ma non meno in accordo con il suo temperamento artistico, una nuova concezione dell'arte che si concreta nel famoso saggio Čto takoe iskusstvo? (Che cosa è l'arte?, 1897) dove egli si scaglia, con fervore iconoclastico (che diventa ancora più intransigente nel saggio su Shakespeare, 1900), contro quei concetti dell'arte che egli ritiene falsi e contro lo scostarsi dell'arte dalla sua funzione immanente che è quella di realizzare, trasferendolo dal dominio della ragione in quello del sentimento, l'ideale dell'unione fraterna degli uomini.

Questo ideale egli aveva cercato di raggiungere coi raccontini moraleggianti che era venuto scrivendo dal 1881 in poi (Cem ljudi živy, Di che cosa vivono gli uomini, 1881; Gde ljubov tam i Bog, Dove c'è amore, lì c'è Dio, 1885; Tri starika, I tre vecchi, 1886; Mnogo li čeloveku zemlji nužno? Ha bisogno l'uomo di molta terra? 1886, ecc.): modelli translucidi di oggettivazione narrativa in uno stile e in uno spirito limpidamente popolari. E in un certo senso furono proprio questi racconti che dopo quattro anni d'intervallo (1877-1881) riportarono T. all'arte. Poiché proprio attraverso questa piccola breccia passarono, poco dopo, a brevi intervalli, opere di più ampio respiro e di maggiore impegno, nelle quali, ora meno e ora più, la stessa tendenziosità veniva assorbita dalla potenza evocativa dell'arte.

Nello stesso anno (1886) in cui pubblicava i migliori tra i suoi racconti popolari, T. creò due capolavori: il dramma Vlast tmy (La potenza delle tenebre) e il racconto Smert Ivana Iliča (La morte di I.I.). Il genere drammatico non era per T. una novità assoluta (vi si era cimentato, già nel 1863, con due commedie di tipo farsesco: Nihilist e Zaražennoe semejstvo, La famiglia impestata, ed. 1926), e nuovi non erano né il linguaggio schiettamente popolare né il tema stesso. Ciò che sorprende invece nella Potenza delle tenebre sono la straordinaria drammaticità del dialogo e le tinte cupe, in cui vi è avvolta la storia di un peccato che si svolge in un ambiente popolano. Nella Morte di Ivan Il invece, T. pone di fronte al problema centrale della vita un rappresentante di quella classe sociale che egli ha più costantemente e più ingenerosamente odiato: la borghesia. E la sua avversione, mal frenata, riesce in una condanna atrocemente sarcastica di chi, privo di fede e di un sincero rapporto con la vita, non sa morire.

Seguono poi a breve distanza altre opere: Djavol (scr. 1889, pubbl. 1911) Krejcerova sonata (1889), Otec Sergij (Padre S., 1890-1898, pubblic. 1911) e il pamphlet drammatico di scarsa efficacia Plody prosveščenija (I frutti dell'istruzione, 1890). Di questi La sonata a Kreutzer è la più singolare e la più discussa. Infatti, l'attacco esacerbato contro l'amore sessuale, posto quasi sotto l'insegna del demone della musica (per la quale T. aveva e comprensione e amore), ed espresso nella forrma di un monologo ossessionante, sconcerta più ancora che non avvinca. E T. stesso sentì il bisogno, in una "Aggiunta" pubblicata nel 1890, di giustificare, più a sé stesso che ai critici, la terrificante conclusione cui era giunto. Conclusione che si ritrova anche, ma purificata da ogni asprezza invettiva, tanto nel Padre Sergio, quanto nell'ultima grande opera di T.: Voskresenie (Risurrezione, 1899). La trasformazione del cieco egoismo in un sublime altruismo aveva già formato oggetto del racconto Chozjain i rabotnik (Padrone e servitore, 1895); ma mentre in esso la trasformazione si era operata sotto la spinta di uno slancio istintivo, nella Risurrezione, Nechljudov (il nome, usato da T. già in alcuni racconti giovanili, per indicare alcuni aspetti di sé stesso, appare quasi un legame simbolico tra il suo primo e il suo ultimo periodo di vita spirituale e letteraria) agisce con consapevole tenacia per riscattare, con una nuova vita, gli errori della sua vita precedente. E poiché tutto il romanzo è concentrato esclusivamente in questa "risurrezione" e non vi sono in esso né digressioni, né azioni parallele, esso è più compatto ancora, più intimanente unitario, che non i due capolavori precedenti. Nello stesso tempo le meravigliose analisi degli stati d'animo attraverso i quali, soggiogati dalla verità, passano i protagonisti, e la stessa maestria descrittiva e narrativa, dimostrano che l'arte del vecchio T. non aveva perduto nessuna delle sue grandi qualità, e che, anzi, il suo senso di realtà si era fatto, investito com'era da tutta la sua spiritualità, più lucido, più esclusivo, più imperturbabile.

La Risurrezione è l'ultima opera letteraria di cui T. stesso abbia curato la pubblicazione. Già prima del 1900 la creazione artistica era stata spesso per lui uno svago, dettato bensì da un'intima necessità, ma non più destinato al pubblico. Ora, dopo la Risurrezione, questo rapporto con l'arte, da sporadico, diventa normale. Le ultime sue opere: il commosso dramma della docile accettazione del destino Žgivoj trup (Cadavere vivente, 1900), l'esposizione drammatica del suo intimo problema personale I svet vo tme svetit (E la luce risplende nelle tenebre; data di composizione incerta); il racconto caucasico - chiaro ritorno a materia d'arte giovanile - Hadži-Murat (circa 1904), e alcuni raccontini tra i quali emerge la narrazione della breve vita di Aleša Goršok (1905) - rimasero inedite. In quegli anni T. attribuiva molto maggiore importanza alle sue raccolte Mysli mudrych ljudej na každyj den′ (Pensieri di saggi per ogni giorno, 1908), Krug čtenija (Ciclo di letture, 1a ed., 1906, 2a ed., 1911), Na každyj den′ (Per tutti i giorni, 1909-10): fra le quali però non mancano, accanto a pensieri, favole e racconti di scrittori di tutti i tempi, anche componimenti letterarî proprî.

Così, lavorando incessantemente, sempre traboccante di amore ma anche pieno di aggressività, T. diventa, a cavaliere tra i due secoli, lo scrittore più noto e più celebrato di tutto il mondo. La sua opera multiforme è tutta destinata a instaurare sulla terra "l'ordine nuovo nel quale regnerà la concordia, la verità, la fraternità", e dal quale sarà bandito ogni fariseismo, ogni dogmatismo e ogni orgoglio, individuale e collettivo. Basata su un razionalismo esclusivo, la sua dottrina si risolve in una mistica fede nell'amore operante. E questa fede appunto unisce saldamente tutta la sua attività: dell'età giovanile, della maturità e della vecchiaia. Difatti, dopo che pubblicazioni postume ci hanno dischiuso quasi tutta l'opera di T., ci si convince sempre più che non vi è mai stato in lui un netto distacco tra periodo e periodo, tra arte e pensiero.

Ci fu, sì, un disaccordo tra la sua vita e le sue convinzioni. Anzi questo disaccordo, fino dal 1881, ma in modo acutissimo dopo il 1897, fu il più grande tormento suo e della sua famiglia. Di fronte a questo dissidio scompaiono, nell'ultimo periodo della sua vita, tutti gli altri avvenimenti, compresa l'espulsione dalla chiesa ortodossa (1901). Sempre più chiara gli apparve l'impossibilità interiore di vivere in una sia pure relativa agiatezza (la trasmissione alla moglie dei beni e dei diritti d'autore per le opere anteriori alla crisi, non era che un palliativo e, peggio ancora, un autoinganno), mentre ovunque intorno c'era tanta sofferenza che egli né poteva, né aveva il diritto di lenire con la beneficenza. Ma un po' la propria incertezza, e un po' l'energica difesa degl'interessi della famiglia da parte della moglie, lo distolsero ripetutamente dal passo decisivo. Solo alla fine della sua vita, accompagnato da uno dei suoi discepoli fedeli, egli abbandonò la casa di Jasnaja Poljana per morire, dieci giorni dopo, il 7 novembre v. st. del 1910, alla stazione di Astapovo.

Bibl.: Ju. Bitovt, L. N. T. v literature i isskustve (L. N. T. nella lett. e nell'arte), Mosca 1903; A. L. Bem, Bibliograficeskij ukazatel' tvorenij L. N. Tolstogo (Indicatore bibliografico delle opere di L. N. T.), Leningrado 1926; S. Baluchatyj e O. Pisemskaja, Spravočnik po Tolstom (Prontuario tolstoiano), Mosca 1928; V. S. Spiridionov, L. N. T., bio-bibliografija, I, 1845-70, ivi 1933.

Ediz. - Fra le ediz. russe dell'antguerra la più completa è quella curata da P. I. Birjukov (voll. 24, Mosca 1913); attualmente è in corso di stampa con ricco apparato critico la prima grande edizione di tutte le opere di T.: Polnoe sobranie sočinenij, red. V. G. Čertkov, ivi 1928 segg. (l'edizione divisa in 3 serie - Opere, diarî, lettere - consterà di circa 92 volumi).

Biografie e ricordi. - P. I. Birjukov, Biografija L. N. Tolstogo, voll. 4, Mosca 1923 (trad. ted., franc. e italiana a cura di N. Romanowski, I vol., Milano 1926); N. N. Gusev, Zĭzn' L. N. Tolstogo (Vita di L. N. T.), voll. 2, ivi 1927 (tendenziosa); id., Letopis' žizni i tvorčestva L. N. Tolstogo (Cronaca della vita e dell'opera di L. N. T.), Mosca 1936; A. B. Gol'denvejzer, Vblizi T-ogo (Vicino a Tolstoj, ricordi), voll. 2, ivi 1922-23; M. Gor'kij, Vospominanija o L. N. Tolstom (Ricordi di L. N. P., Pietrogrado 1919, trad. ital. Ricordi su L. T., a cura di O. Campa, Firenze 1921); T. A. Kuzminskaja (cognata di T.), Moja žizn' doma i v Jasnoj Poljane (La mia vita a casa e a J. P.), voll. 3, Mosca 1925-26; D. P. Makovickij, Jasnopoljanskie zapiski (Annotazioni di J. P.), 2 fasc. Mosca 1922-23; L. L. Tolstoj, La vérité sur mon père, Parigi 1923; I. L. Tolstoj, Moi vospominanija (Miei ricordi), Berlino 1924; A. Tolstoj, La mia vita col padre, trad. a cura di N. Kessler, Milano 1933; M. V. Muratov, L. N. T. i V. G. Certkov, Mosca 1934.

Monografie e studî. - V. Zelinskij, Russkaja kritičeskaja litratura o proizvedenijach L. N. Tolstogo (Letteratura critica russa sulle opere di L N. T.), 2a ed., Mosca 1902-12, voll. 8; D. L. Merežkovskij, T. i Dostoevskij, voll. 2, Pietroburgo 1901-02 (cfr. la trad. francese del vol. I a cura di Prozor e Persky, Parigi 1903); R. Rolland, Vie de T., Parigi 1911; F. Momigliano, L. T., Roma 1911; R. Löwenfeld, L. N. T., Lipsia 1901; E. Berneker, Graf L. T., ivi 1901; K. Nötzel, Tolstois Meisterjahre, Monaco 1918; St. Zweig, Drei Dichter ihres Lebens, Lipsia 1923; A. Maude, The life of T. Londra 1908-10; B. Ejchenbaum, Molodoj T. (Il giovine T.), Pietrogrado 1922; V. U. L'vov-Rogačeskij, Ot usad'by k izbe, L. T. (Dalla casa padronale all'"izba"), Mosca 1928; Studî di Hessen, Lapšin e Ljackij, in L. N. T. Shornik stati a přechledý bibliografickych (L. N. T. Raccolta di studî e rassegne bibliografiche), Praga 1929; G. Vitali, L. T. pedagogista, Palermo 1915; R. Küfferle, L. T. maestro elementare, Roma 1929; L. Chestov,Les révélations de la mort, Dostoievsky-T., trad. a cura di B. de Schloezer, Parigi 1922; L. Šestov, Dobro v učenii gr. Tolstogo i F. Nietzsche (Il bene nella dottrina di T. e N.), Berlino 1923.