LEVITICO ιτικὸν

Enciclopedia Italiana (1934)

LEVITICO (Λευ(ε)ιτικὸν [βιβλίον])

Leone Tondelli

È il titolo dato dai LXX al terzo libro della legge di Mosè o Pentateuco, perché vi si tratta dei sacerdoti e del culto divino. È però titolo non esatto, poiché nel libro non si parla né di Levi né dei Leviti propriamente detti o ministri inferiori del culto, ma solo di sacerdoti, e perciò il libro è meglio chiamato dagli scrittori ebrei Torāth Kohanīm "Legge dei sacerdoti". Le leggi cultuali del Pentateuco non sono tutte in esso racchiuse: infatti varie sono già enunciate nell'Esodo (v.), o ripetute altrove come nel Deuteronomio (v.). Il complesso però presentato dal Levitico è il più copioso e non gli manca una certa unità. Le sue disposizioni si presentano come promulgate da Mosè all'inizio del secondo anno dopo l'uscita dall'Egitto.

Una prima parte (c. I-VII) contiene gli statuti relativi ai sacrifici e loro specie, e alle parti delle oblazioni e delle vittime spettanti ai sacerdoti. I doni sacri (qorban) che Israele offre a Dio si compongono in parte di animali che s'immolano, in parte di materie vegetali: farina, olio, vino, incenso. Donde la distinzione di sacrifizî, i primi, e di oblazioni, i secondi. I primi occupano il posto precipuo nel culto: le oblazioni non fanno spesso che aggiungersi come complemento ai sacrifizî d'animali. Dei sacrifizî vi sono pure forme distinte secondo scopi specifici determinati. La più alta e perfetta espressione del culto sacro, dell'adorazione, è l'olocausto (‛olah o kalil), in cui la vittima è tutta abbruciata sull'altare. Vi sono ancora sacrifizî di pace (shelem) o di lode (thodah), sacrifizî "per il peccato" (ḥaṭṭa'ah), in quanto questo costituisce un'impurità che distrugge il carattere di santità considerato essenziale a ogni israelita (IV e VI, 24-30), e sacrifizî di riparazione (‛asham) (V, 14; VI, 7). Ogni forma ha riti distinti e dà ai sacerdoti diritti diversi che vengono accuratamente determinati. Seguono (VIII-X) narrazioni storiche sulla consacrazione di Aronne e dei sacerdoti, continuandosi nell'esposizione di diritti e di doveri, e nei capi XI-XVI le norme di purità imposte ai sacerdoti. Più che di leggi, si tratta di un rituale o cerimoniale, destinato a regolare minutamente il culto e a dare a esso ordine e proprietà. I diversi riti hanno spesso un significato simbolico ricco di efficacia. La loro conoscenza, necessaria per intendere la vita religiosa ebraica, è supposta anche negli scritti neo-testamentarî, specialmente nella Lettera agli Ebrei, dell'epistolario di S. Paolo. Un gruppo a sé costituiscono le Leggi di santità (H nel linguaggio dei critici, dal ted. Heiligkeitgesetz), che trova un parallelo pel suo carattere di collezione chiusa di leggi nel Libro dell'alleanza dell'Esodo (v.): esso comprende i capi XVII-XXVI, poiché l'ultimo capo è un'appendice. Il nome dato dalla critica recente è derivato dalla frequenza singolare con cui si richiama la santità di Dio come motivo per la santità dei sacerdoti e del popolo. Il contenuto non riguarda infatti solo i sacerdoti; ma colpisce varî delitti contro la moralità con pene severissime.

Nelle teorie più divulgate dei critici il Levitico fa interamente parte del Codice Sacerdotale, una delle precipue fonti che avrebbero servito a formare l'attuale Pentateuco. E carattere sacerdotale ha il libro per il suo oggetto, e anche in parte per le origini, poiché solo i sacerdoti potevano dettare nei particolari un rituale sì minuzioso dei sacrifizî e delle norme della mondezza sacerdotale.

Ma il suo contenuto investe altresì complesse e fondamentali ragioni di ordine politico. Sola, infatti, l'autorità civile poteva apporre alle leggi e fare eseguire le rigorose sanzioni ai delitti contemplati che non sono solo contro il buon costume, ma altresì di contravvenzione all'ordine cultuale. All'inizio, ad esempio, delle leggi di santità si proibisce, pena la morte, che si uccida o bue o pecora o capra, negli accampamenti o fuori di essi, senza che la vittima sia portata come sacrificio avanti il tabernacolo in cui è l'arca santa. Tali determinazioni, specie se non già passate in tradizioni, dovevano almeno essere fatte proprie e appoggiate di forza dall'autorità che reggeva il popolo. L'origine sacerdotale della legge ebraica, che fu tesi corrente alcuni decennî or sono, non ha del resto trovato alcun parallelo nei codici poscia scoperti di Babilonia, d'Assiria, dei Sumeri o degli Hittiti, che hanno origine, anche quando dispongono del culto, dall'autorità regale e non da quella dei sacerdoti.

Del resto è a chiedersi, per lo stesso complesso delle leggi di santità, se si tratti, almeno nella forma attuale, di vere leggi o non piuttosto dei libri giuridici, secondo l'acuta distinzione proposta per il Pentateuco dallo Jirku, e risolta da lui nel caso in senso negativo: pensando egli cioè a una semplice compilazione e raccolta di principî giuridici, senza che appaia la mano ordinatrice del codificatore.

L'assegnazione della data d'origine al rituale e alle leggi del Levitico è strettamente legata alla teoria che si segue sulle origini del Pentateuco e degli Ebrei e sull'opera di Mosè (v. queste voci). Si tende ora a riconoscere che le forme del culto israelita sono quasi tutte trasmissioni dei Semiti primitivi. Si possono vedere nelle raccolte apposite del Gressmann o dello Jirku le serie dei monumenti archeologici paralleli apparsi dagli scavi. S'erano cioè andate formando tradizioni cultuali, molto particolareggiate nell'uso, quand'anche non erano scritte. Una loro attuazione ordinata e regolata era però proporzionata al grado di organizzazione civile e sacerdotale, e in tal senso si comprende come il rituale del Levitico risponda a quello del Tempio di Gerusalemme nel periodo del massimo splendore. Nuovi ordinamenti e nuove precisazioni dovettero essere allora introdotte nel culto sacro, e di varie si hanno notizie storiche.

Pure discussa è l'antichità delle leggi di santità. Esse sono collocate ordinariamente dalle scuole critiche tra il sorgere del Deuteronomio fatto risalire a Giosia (621 a. C.) ed Ezechiele, e da alcuni furono attribuite a questo profeta addirittura. Ma in tale periodo, se si eccettui il regno di Giosia, in cui l'idea sacerdotale, unita a quella profetica, ha pieno dominio, non sembra trovarsi altro tempo in cui si potessero attuare leggi simili di difesa sia della moralità sia dell'unità religiosa e cultuale. E parecchi critici tendono ora a fare delle distinzioni anche in quel complesso di norme, di cui alcune sembrano tradire diversa mano e antichità. A cominciare dalla prima di tali leggi, che proibisce, sotto pena di morte, di uccidere qualsiasi animale fuori dell'atrio del tabernacolo e trasforma ogni mattazione in sacrificio, esso non sembra intelligibile fuori delle peregrinazioni dell'Esodo: non solo perché il tabernacolo non si conservò dopo l'erezione del tempio, ma perché nell'occupazione della terra di Canaan le genti israelite si dispersero talmente che una tale legge non solo non era possibile osservarla, ma nemmeno pensarla. E si comprende invece quella norma nell'epoca mosaica, quando lo sforzo del creatore dell'unità nazionale ebraica era teso a formare un'unità di culto attorno all'arca dell'unico Dio, Jahvè. Per creare tale unità ogni severità era opportuna, anche la pena di morte.

Il culto levitico, come le forme analoghe delle religioni pagane, scomparve col diffondersi del cristianesimo. Il concetto stesso di santità su cui esso fortemente insiste e che esercitò indubbiamente una grande influenza nella vita morale e religiosa ebraica, non coincide con quello nostro odierno di sforzo continuo d'ascensione morale e religiosa: santo è ciò che è consacrato a Dio, se non è Dio stesso; che va sottratto quindi all'attività o all'uso profano, e va tenuto segregato da tutto ciò che è impuro e immondo. Una legge rituale doveva del resto necessariamente insistere sull'aspetto esteriore dei rapporti più che sulla vita interiore.

Bibl.: Commenti particolari al Levitico: H. L. Strack, Die Bücher Exodus, Leviticus, Numeri, Monaco 1894; B. Bäntsch, Leviticus, Gottinga 1903; id., Das Heiligkeit-Gesetz, Erfurt 1893; Fr. von Hummelauer, Leviticus, Parigi 1897; A. Dillmann-Ryssel, Die Bücher Exodus und Leviticus, 3ª ed., Lipsia 1897; D. Hoffmann, Leviticus, Berlino 1906; B. D. Eerdmans, Das Buch Leviticus (Alttestamentliche Studien, IV), Giessen 1912; B. Ubach, L'Éxode-El Levític, Monastero di Monserrato 1927. Cfr. bibl. di levi.

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