Giuridico-amministrativo, linguaggio

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

giuridico-amministrativo, linguaggio

Michele A. Cortelazzo

Definizione

Il linguaggio giuridico-amministrativo è il linguaggio settoriale (➔ linguaggi settoriali) di cui sono tipicamente costituiti i testi prodotti in campo giuridico: testi normativi, come leggi, decreti, regolamenti; testi applicativi in ambito processuale, come sentenze, ricorsi, e amministrativo, come ordinanze, certificati; testi interpretativi, come monografie, articoli in riviste specialistiche.

Il riferimento ai testi (➔ testo, tipi di) e non direttamente al linguaggio settoriale e a sue caratteristiche generali è necessario data la marcata varietà interna della lingua giuridica. Da una parte, i diversi tipi di testi nei quali viene utilizzata la lingua giuridica si rivolgono a pubblici diversi (per es., le leggi a un pubblico indifferenziato, le discussioni dottrinali agli esperti, i testi processuali contemporaneamente a esperti e cittadini coinvolti, le comunicazioni amministrative a un pubblico non esperto); dall’altra, i diversi tipi di testo hanno finalità diverse (astratte e generali alcuni, specifiche e applicative altri). Ancora, la diversità degli argomenti trattati nei diversi settori del diritto (diritto penale, civile, amministrativo, ecc.) comporta ulteriori differenze sia in relazione al lessico sia in relazione alle forme testuali, in gran parte codificate, utilizzabili.

In sintesi, si può affermare che ogni realizzazione della lingua giuridica fa riferimento a un inventario comune di termini tecnici o parole specifiche, costrutti sintattici, configurazioni argomentative, preferenze stilistiche e di registro; ma ci sono anche particolarità relative ‘orizzontalmente’ ai suoi diversi sottosettori e ‘verticalmente’ ai suoi diversi ambiti d’uso comunicativo. Tuttavia c’è una caratteristica più astratta che differenzia il linguaggio giuridico da altri ambiti settoriali: nel campo giuridico la lingua non è solamente uno strumento per esporre, argomentare, narrare, descrivere; è un elemento costitutivo del diritto. Il diritto si costruisce grazie alla lingua: per es., un reato è tale solo se lo instaura la legge, che è un prodotto linguistico; nella nostra società, un comportamento si configura come reato esclusivamente in seguito a un atto di parola, il testo della legge, non per un sapere condiviso, non per tradizione, non in nessun altro modo. Anche in ambito processuale, un fatto della realtà extralinguistica, che possa avere la forma di un reato, ha bisogno, per divenire di pertinenza del diritto, di essere narrato (per es., dalle testimonianze) o descritto (per es., dalle perizie), altrimenti resta un fatto della realtà extragiudiziaria.

Il testo giuridico

Il testo giuridico viene individuato da una parte dal contenuto, dall’altra dalle caratteristiche del circuito comunicativo nel quale il testo si inserisce, definito dal grado di vincoli che l’emittente pone alla libertà di interpretazione da parte del ricevente (Sabatini 1990): da questo punto di vista il testo giuridico si presenta come un tipo di testo con discorso molto vincolante, cioè con robusti vincoli all’interpretazione (anche se questo non esclude quel processo fondamentale del procedere giuridico, costituito dall’interpretazione delle fonti del diritto; si tratta, comunque, di un’interpretazione regolata da forti restrizioni).

Vincolante è anche la strutturazione dei testi giuridici, che rispondono, più che in altri ambiti settoriali, a precisi e prevedibili schemi altamente codificati. La stabilità della struttura è frutto di una tacita adesione a modelli consolidati più che di una normazione esplicita: per es., nel caso delle sentenze, il codice prescrive obbligatoriamente solo i segnali di apertura (l’intestazione «in nome del popolo italiano» e l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata) e di chiusura (data e firma del giudice) e la menzione di alcuni elementi contenutistici (generalità dell’imputato e delle altre parti private, imputazione, esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, dispositivo, con l’indicazione degli articoli di legge che sono stati applicati).

I testi giuridici si organizzano sulla base di una precisa tipologia. Secondo il catalogo proposto da Mortara Garavelli (2001: 19-34), i tre campi dei testi normativi, applicativi, interpretativi si articolano in un’ampia gamma di forme testuali, alcune diverse già sul piano della strutturazione del testo, altre identiche da quel punto di vista, ma diverse sul piano della procedura che le ha generate o sugli effetti che producono (per es., una legge e un decreto legge sono testualmente identici, ma vengono prodotti da emittenti diversi e vigono per un arco di tempo diverso). I testi normativi comprendono costituzioni, convenzioni, leggi, decreti legge, decreti legislativi, codici, regolamenti, statuti; ma anche, ora che tra le fonti del diritto entrano i testi prodotti dall’Unione europea, le direttive e i regolamenti europei. Possono essere assimilate ai testi normativi, anche se in realtà sono testi amministrativi, le circolari. I testi applicativi comprendono gli atti processuali (sentenze, ordinanze e decreti del giudice; requisitorie dei pubblici ministeri, orali o scritte a seconda di quanto prevedono i codici, informazioni di garanzia, impugnazioni; comparse, istanze, memorie, atti di citazione prodotti dagli avvocati, oltre alle arringhe, tipicamente orali), gli atti amministrativi (decreti, ordinanze, avvisi, verbali, ordini di servizio, proposte, pareri, visti, certificati, iscrizioni in pubblici registri), gli atti giuridici privati (contratti, testamenti, procure, copie autentiche, preliminari di acquisto, appalti, lodi). Infine, compongono l’insieme dei testi interpretativi i testi che, nel loro complesso, compongono la cosiddetta «dottrina»: monografie, trattati, manuali, enciclopedie, articoli in riviste, commentari, note a sentenza (una forma testuale esclusiva dell’ambito del diritto).

Le caratteristiche linguistiche

Il livello morfosintattico

I testi giuridici sono caratterizzati da impersonalità, concisione e ricercata distanziazione dalla lingua comune. Al raggiungimento di questi obiettivi concorrono soprattutto le caratteristiche morfosintattiche (sulle quali cfr. Mortara Garavelli 2001: 155-176; Rovere 2005). Contribuiscono all’impersonalità, oltre all’uso del si impersonale (la cui presenza è però limitata), l’uso del passivo, spesso con l’utilizzazione della modalità deontica («Il ricorso va dunque rigettato …»), con la conseguenza di avere spesso come soggetto non un agente animato, ma un oggetto inanimato; l’uso del si passivo, spesso accompagnato da un verbo modale («Tale motivazione non può non condividersi»); l’uso di soggetti astratti e collettivi per indicare, in forma generale e oggettivizzata, lo scrivente («Osserva il Collegio che il ricorso è fondato …»). Anche l’uso dell’imperfetto narrativo o del perfetto semplice per la narrazione di un fatto contribuisce, al contrario del perfetto composto, ad allontanare la narrazione dalla soggettività.

Rispondono a esigenze di concisione (che spesso danno al testo un forte tasso di densità semantica) fatti che si collocano a livelli gerarchici diversi. Innanzi tutto, la condensazione sintattica, in base alla quale si producono periodi lunghi, ricchi di frasi incassate, con incisi e apposizioni nominali, e implicite:

… ciò anche se si fosse condivisa la tesi difensiva circa l’irritualità di un’audizione testimoniale e stante altresì l’irrilevanza, ai fini del decidere, delle testimonianze che si chiedeva di escutere in sede di rinnovazione parziale del dibattimento, in quanto o concernenti momenti antecedenti al fatto o comunque non attinenti alla fase finale della condotta posta in essere da costui.

La condensazione sintattica trova la sua espressione più piena e più tipica nello stile detto commatico, che prevede la corrispondenza tra capoverso e frase, intesa come unità che va da punto fermo a punto fermo: tipico dei testi normativi (nelle leggi il comma è costituito, tranne poche eccezioni, da una sola frase), lo stile commatico si estende a tutti i tipi di testo giuridico, anche a quelli, come ad es. i testi accademici, nei quali risulta privo di alcuna giustificazione funzionale. Elemento importante della condensazione sintattica, come anche in altri linguaggi settoriali, è la nominalizzazione tramite nomina actionis (➔ azione, nomi di; ➔ nominalizzazioni), che permette di inglobare in un’unica frase più proposizioni («deducendo l’illegittimità del diniego di rinvio per comprovato legittimo impedimento professionale» rispetto a «deducendo che fosse illegittimo negare il rinvio poiché il difensore era impedito da una comprovata ragione professionale»).

Su un piano più circoscritto, vengono motivati da ragioni di sinteticità costrutti come l’enclisi del clitico al verbo reggente (trattasi, concessegli; ➔ clitici), soprattutto nella perifrasi costituita da un infinito retto da un verbo modale («ordinanza che deve trascriversi in margine»); la sovraestensione dell’infinito in frase completiva («il difensore chiede applicarsi all’imputato la diminuzione della pena»); l’uso di frasi ridotte participiali («nei limiti per cui si ritiene già raggiunta la prova»), anche ricorrendo al participio presente, che nell’italiano corrente ha perso la sua natura verbale (invece, in ambito giuridico: «induzione in errore di chi dovrà commettere il fatto costituente reato; ➔ participio).

Infine, a un livello ancora più minuto, si segnala l’omissione dell’articolo (Rovere 2005: 35-53), sia determinativo sia indeterminativo, soprattutto in locuzioni che hanno un certo grado di stabilità (dal diffusissimo proporre ricorso a far pervenire memoria, presentare istanza, rigettare istanza) e in sintagmi preposizionali (risulta in atti, a mezzo lettera raccomandata, con sentenza in data …, mediante ricorso per cassazione).

L’omissione dell’articolo risponde anche alla terza tendenza cui appaiono finalizzate le caratteristiche sintattiche dei testi giuridici, e cioè la sottolineatura del carattere tecnico-specialistico del testo. La mancanza dell’articolo in contesti come quelli citati ha l’effetto di denotare la tecnicità dell’azione rappresentata.

Hanno la stessa funzione di distanziazione dalla lingua corrente altri fenomeni, che possono essere visti anche come scelte di registro: ordini non canonici delle parole, come l’anteposizione dell’aggettivo al nome («adeguata e congrua motivazione», «manifesta ubriachezza», «la contraria motivazione»), in particolare nel caso del participio passato in funzione aggettivale («l’impugnata sentenza»), o l’anteposizione del verbo rispetto al soggetto («Osserva il Collegio che …», «Ciò premesso, ritiene il Collegio …»).

Questi ordini non canonici paiono realizzarsi secondo regole precise, come accade con gli avverbiali strumentali, che «occupano di preferenza la posizione iniziale quando l’agente è rappresentato da una delle parti in causa e il verbo esprime un’azione giuridica riservata ad esse» (Rovere 2005: 132), in contesti come «con ricorso notificato in data 17 maggio 1999 l’appellata impugnava l’aggiudicazione provvisoria», mentre compaiono più spesso tra soggetto e verbo quando l’agente è rappresentato da un’istituzione giudiziaria («La Corte di Appello di Lecce, con decreto 18 dicembre 1955, accoglieva l’impugnazione»).

Il livello lessicale

Mortara Garavelli (2001: 10-17) individua tre categorie alle quali ascrivere il lessico giuridico: tecnicismi specifici, ridefinizioni, tecnicismi collaterali. La prima categoria è quella che riunisce i segni totalmente aggiuntivi rispetto a quelli della lingua comune (parole, cioè, che compaiono esclusivamente nell’ambito del diritto: per es., abigeato, anatocismo, contumacia, fideiussione, incensurato, novellazione, offendicula, rogatoria, sinallagma, usucapione).

La seconda comprende parole della lingua comune che nei testi giuridici acquistano un valore tecnico attraverso processi di rideterminazione semantica, con specializzazioni o estensioni del significato (per es., affinità, confusione, dispositivo, dottrina, esame, fermo, rito, vizio). Il linguaggio giuridico, tra i linguaggi settoriali, è quello nel quale appare più marcato l’uso del lessico comune con valore tecnico, anche se spesso senza che tale valore tecnico sia stato esplicitamente definito, in quanto viene ritenuto portatore di «valori lessicali saputi» (De Mauro 1963: 432).

La scelta, costruitasi nel tempo, di rinunciare alla creazione di una terminologia totalmente diversa dal lessico ordinario presenta innegabili punti di forza (la possibilità, per il parlante comune, di comprendere, sia pure in forma approssimativa, il significato di molte parole giuridiche), ma altrettanto innegabili punti di debolezza (basati sul contrasto tra la vaghezza e la polisemia, tipiche del lessico comune, e la necessità di univoche attribuzioni di senso, tipica del linguaggio giuridico in quanto linguaggio settoriale).

La terza categoria comprende quelle parole specifiche di un settore specialistico che appaiono come «particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica» (Serianni 1985: 270). I tecnicismi collaterali sono tipici soprattutto delle «lingue speciali di più forte caratura intellettuale» (Serianni 2005: 129) e difatti sono fortemente presenti nel lessico giuridico. In quest’ambito si può citare la frequenza di aggettivi di relazione (come criminoso, contravvenzionale, dibattimentale, documentale, giurisprudenziale, motivazionale, peritale, prescrizionale, probatorio, processuale, ad es. in espressioni come associazione criminosa, reato contravvenzionale, udienza dibattimentale, prova documentale, indirizzo giurisprudenziale, ipotesi motivazionale, risultanza peritale, termine prescrizionale, elemento probatorio, acquisizione processuale), la frequenza e la specificità di molti nessi preposizionali (ai sensi di, a carico di, a titolo di, a seguito di, a norma di, in capo a, in ordine a), la particolarità di alcune preposizioni (avverso in luogo di contro, in in complementi di stato in luogo costituiti da nomi di città, avanti che si affianca, senza sostituirla completamente, a davanti), il facile ricorso a nomi generali che hanno subito una netta specializzazione (vicenda e disegno soprattutto in riferimento a crimini e alla loro progettazione; soggetto come individuo titolare di diritti e di doveri), le scelte verbali riferite alle fasi della procedura e alle relative argomentazioni: dedurre «argomentare, ricavare (da)», lamentare «denunciare», presentare (ricorso, istanza) o proporre (ricorso, appello, impugnazione), pronunciare «emettere (una sentenza)».

La semplificazione del linguaggio giuridico-amministrativo

Per i non addetti ai lavori i testi giuridici e amministrativi appaiono un insieme indifferenziato di periodi molto complessi in cui è difficile orientarsi per recuperare le informazioni e i significati trasmessi. Caratteristiche intrinseche della comunicazione giuridica e amministrativa (che si occupa per forza di cose di temi complessi) e caratteristiche facoltative (la scelta di un registro che punta a marcare la tecnicità del testo attraverso la distanziazione dalla lingua comune) cooperano nell’escludere il destinatario non esperto dalla comprensione del testo.

Dal 1993 (Codice di stile 1993), istituzioni (come il Dipartimento per la funzione pubblica o la Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle Regioni) o singoli studiosi o gruppi di studiosi hanno avviato iniziative per migliorare la redazione delle leggi e per semplificare il linguaggio con cui le amministrazioni pubbliche comunicano con i cittadini, con l’obiettivo di eliminare l’oscurità inutile, derivante da una volontà di distanziazione non finalizzata a un buon funzionamento del testo: sono stati prodotti manuali (in particolare Fioritto 1997), sono state effettuate azioni di formazione, gli addetti ai lavori più interessati all’argomento si sono riuniti in associazioni per condividere i risultati raggiunti (un esempio è la Rete di eccellenza dell’italiano istituzionale). Ma a tutt’oggi «il bilancio è più modesto di come le nostre speranze di anni fa ci facevano pensare» (De Mauro 2008: 25).

Studi

Cavagnoli, Stefania & Ioratti Ferrari, Elena (a cura di) (2009), Tradurre il diritto. Nozioni di diritto e di linguistica giuridica, Padova, CEDAM.

Codice di stile 1993 = Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Cortelazzo, Michele A. (1997), Lingua e diritto in Italia. Il punto di vista dei linguisti, in La lingua del diritto: difficoltà traduttive, applicazioni didattiche. Atti del I convegno internazionale (Milano, Centro linguistico dell’Università Bocconi, 5-6 ottobre 1995), a cura di L. Schena, Roma, CISU, pp. 35-50.

Cortelazzo, Michele A. (2008), Fenomenologia dei tecnicismi collaterali. Il settore giuridico, in Prospettive nello studio del lessico italiano. Atti del IX congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Firenze, 14-17 giugno 2006), a cura di E. Cresti, Firenze, Firenze University Press, 2 voll., vol. 1º, pp. 137-140.

De Mauro, Tullio (1963), Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza.

De Mauro, Tullio (2008), La legge è uguale per tutti?, in Dalla legge alla legalità: un percorso fatto anche di parole. Atti del Convegno (Firenze, 13 gennaio 2006), Firenze, Regione Toscana, pp. 20-23.

Fioritto, Alfredo (a cura di) (1997), Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche, Bologna, il Mulino.

Mortara Garavelli, Bice (2001), Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino, Einaudi.

Ondelli, Stefano (2007), La lingua del diritto. Proposta di classificazione di una varietà dell’italiano, Roma, Aracne.

Rovere, Giovanni (2005), Capitoli di linguistica giuridica. Ricerche su corpora elettronici, Alessandria, Edizioni dell’Orso.

Sabatini, Francesco (1990), Analisi del linguaggio giuridico. Il testo normativo in una tipologia generale dei testi, in Corso di studi superiori legislativi 1988-1989, a cura di M. D’Antonio, Padova, CEDAM, pp. 675-724.

Serianni, Luca (1985), Lingua medica e lessicografia specializzata nel primo Ottocento, in La Crusca nella tradizione letteraria e linguistica italiana. Atti del Congresso internazionale per il IV centenario dell’Accademia della Crusca (Firenze, 29 settembre - 2 ottobre 1983), Firenze, Accademia della Crusca, pp. 255-287.

Serianni, Luca (2005), Un treno di sintomi. I medici e le parole. Percorsi linguistici nel passato e nel presente, Milano, Garzanti.

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