LINGUE

Enciclopedia Italiana (1934)

LINGUE

Carlo Tagliavini

. Il problema di una classificazione di tutte le lingue del mondo si pone solo in epoca moderna.

Anche quando, per la tendenza enciclopedistica della seconda metà del Settecento e dei primi decennî dell'Ottocento, si compilarono opere descrittive che abbracciavano l'insieme delle lingue conosciute (Linguarum totius orbis vocabularia comparativa, Pietroburgo 1786-1789, compilato dal Pallas per ordine di Caterina II; L. Hervás y Panduro, Catalogo delle lingue conosciute e notizia della loro affinità e diversità, Cesena 1784 [cfr. XVIII, p. 480]; J. Chr. Adelung, Mithridates oder allgemeine Sprachenkunde mit dem Vater Unser als Sprachprobe in beynahe fünfhundert Sprachen und Mundarten, Berlino 1806-17 [cfr. I, p. 498]), non si ebbe che in minima parte l'idea di una classificazione modellata su quella delle scienze naturali. L'Adelung disse chiaramente nella prefazione del suo Mithridates: "L'essenziale è stato per me di penetrare nella struttura interiore ed esteriore di ciascuna lingua, poiché solo in questo modo può riconoscersi ciò che vi è di particolare in ognuna e la loro diversità". Ideale questo che è più psicologico che glottologico. L'Hervás, invece, ambiva dimostrare "la successiva discendenza che dalle prime genti disperse traggono le nazioni e i regni poi formati" (Catalogo d. lingue cit., p. 9); ma il dotto gesuita spagnolo, che sotto molti aspetti è superiore all'Adelung, aveva anche per ideale di "determinare il numero di lingue matrici conosciute" (Catalogo, p. 254). In tal modo egli precorre, sia pure rudimentalmente, la classificazione genealogica. Essa però, come vedremo più oltre, era stata abbozzata anche prima, da singoli ricercatori, limitatamente ad alcuni gruppi molto omogenei. Purtroppo il criterio della classificazione genealogica venne sacrificato a vantaggio di quello della classificazione morfologica.

Il criterio della classificazione morfologica fu introdotto dai fratelli Schlegel; esso fu esposto per la prima volta da Federico Schlegel nel celebre libro Über die Sprache und Weisheit der Indier (Heidelberg 1808) e, con maggiore chiarezza, dal fratello A. Guglielmo nelle Observations sur la langue et la littérature provençales (Parigi 1818). Secondo gli Schlegel le lingue umane possono essere divise in tre classi:1. lingue senza alcuna struttura grammaticale; 2. lingue che usano degli affissi; 3. lingue a inflessione. Queste ultime sarebbero le più perfette; secondo A. Guglielmo Schlegel le lingue a inflessione "si potrebbero chiamare le lingue organiche, perché esse racchiudono un principio vivente di sviluppo e di accrescimento e perché esse sole hanno, per dire così, una vegetazione abbondante e feconda" (Observations, p. 14).

Quanto alla prima classe, gli Schlegel dànno come esempio il cinese, lingua perfettamente monosillabica; per la seconda, A. Guglielmo Schlegel osserva: "il carattere distintivo degli affissi è che servono a esprimere le idee accessorie e i rapporti, unendosi ad altre parole, ma che presi isolatamente racchiudono ancora un senso completo" (loc. cit.). La differenza dunque fra le lingue della seconda classe (che saranno più tardi dette agglutinanti) e quelle della terza (che saranno dette flessive) sta solo nel fatto che in queste ultime i suffissi, per usare le parole dello Schlegel, "considerati separatamente non hanno nessun significato". Le lingue del terzo gruppo sono poi soggette a una bipartizione: "Le lingue a inflessione si suddividono in due generi, che chiamerò le lingue sintetiche e le lingue analitiche. Intendo con lingue analitiche quelle che sono costrette all'uso dell'articolo dinanzi ai sostantivi, dei pronomi personali davanti ai verbi, che hanno ricorso ai verbi ausiliari nella coniugazione, che suppliscono con preposizioni alle desinenze dei casi che loro mancano, che esprimono il grado di comparazione degli aggettivi con avverbî e così di seguito. Le lingue sintetiche non si servono di tutti questi mezzi di circonlocuzione. L'origine delle lingue sintetiche si perde nella notte dei tempi; le lingue analitiche, al contrario, sono di creazione moderna; tutte quelle che noi conosciamo sono nate dalla decomposizione delle lingue sintetiche" (Observations, p. 16).

Anche F. Bopp (v.), il quale doveva, specialmente con la sua Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Gotischen, und Deutschen (Berlino 1833-57), porgere non solo il fondamento della linguistica indoeuropea, ma anche il modello della grammatica comparata di un gruppo di lingue genealogicamente affini, non si propose il problema di una classificazione genealogica delle lingue del mondo in tanti gruppi, che fossero, in qualche modo, paralleli all'indoeuropeo. Infatti, quand'egli estese, più tardi, le sue ricerche al georgiano e alle lingue maleo-polinesiache (Die kaukasischen Glieder des indoeuropäischen Sprachstamms, Berlino 1847, e Über die Verwandtschaft der malayisch-polynesischen Sprachen mit den Indisch-Europäischen, Berlino 1841), commise l'errore di considerare queste lingue come ramificazione della famiglia indoeuropea. Quale sistema di classificazione generale però il Bopp accettò, in linea generale, quello degli Schlegel, le opere dei quali ebbero tanto influsso su di lui.

Il Bopp (Vergleichende Grammatik, par. 108) distingue tre specie di lingue: 1. lingue senza vere e proprie radici e senza possibilità di composizioni, quindi senza organismo e senza grammatica (per es. il cinese); 2. lingue con radici monosillabiche che sono suscettibili di composizioni e quasi solamente con questo mezzo formano il loro organismo e la loro grammatica (per es. il sanscrito); 3. lingue che oltre alla composizione hanno anche una modificazione interna delle radici (per es. le lingue semitiche).

A. F. Pott (v.), dapprima nei Jahrbücher der freien deutschen Akademie di Francoforte sul Meno (1849), poi in parecchie altre sue opere, mantiene una classificazione morfologica, pure aggiungendovi il concetto di normalità e anormalità, tratto dalla classificazione psicologica del Humboldt.

Il sistema di classificazione del Pott è più completo dei precedenti; egli divide le lingue umane in quattro gruppi: 1. lingue isolanti (isolirende), nelle quali la materia (radice, significato principale) e la forma (determinazione, derivazione, sensi secondarî) sono completamente indipendenti; qui egli pone le lingue monosillabiche (cinese, indo-cinesi); 2. lingue agglutinanti (agglutinierende), nelle quali la materia e la forma si uniscono fra loro quasi solo esteriormente (per es. tataro, turco, finnico); 3. lingue flessive (flexivische), nelle quali vi è intima compenetrazione della materia e della forma, le quali vengono a comporre un'unità inscindibile (per es. lingue indoeuropee); 4. lingue incorporanti (einverleibende) nelle quali si annulla la differenza fra parola e frase (per es. lingue americane). Le lingue flessive sarebbero, secondo il Pott, le sole normali; le isolanti e agglutinanti sarebbero intranormali e le incorporanti transnormali. Questa classificazione è assurda nella sua ultima parte, perché prende le mosse da un concetto di normalità che è meramente soggettivo: con ragione A. Trombetti notava che, se il Pott "avesse appartenuto ad una tribù di pellirosse, avrebbe chiamato normali le lingue che qualificò invece come transnormali" (Sullo stato presente della glottologia genealogica, Roma 1915, p. 4).

Le classificazione morfologica, nella formulazione degli Schlegel, fu propugnata in Italia da B. Biondelli (v.) (in Studj linguistici, Milano 1856, p. 14 e segg.); ma fu giustamente criticata da G. I. Ascoli (v.) in Studj critici (vol. I, Milano 1861, p. 6 segg.).

Sotto la formulazione più semplice data da Augusto Schleicher (Sprachvergleichende Untersuchungen, I, 1848, p. 6 segg.; Compendium der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen, Weimar 1861, p. 3, e anche parecchie altre opere) di 1. lingue isolanti; 2. lingue agglutinanti; 3. lingue flessive, la classificazione morfologica delle lingue è divenuta popolarissima e figura ancora oggi in molti testi scolastici, pure non avendo alcun valore linguistico.

A proposito di questa ripartizione, A. Trombetti notava che "tali divisioni non si riferiscono che a stati transitorî di aggregazioni spesso coesistenti e intrecciantisi nelle varie lingue, né colgono affatto l'essenza, onde non hanno più valore della contrapposizione tra vapore acqueo, acqua e ghiaccio" (Elementi di glottologia. Bologna 1922, p. 9). E A. Meillet scriveva recentemente: "La trop fameuse classification en langues isolantes, agglutinantes et flexionnelles, ne se laisse pas poursuivre exactement et, pour autant qu'elle se laisse formuler, elle n'a ni portée scientifique, ni utilité pratique" (Les langues du monde, Parigi 1924, p. 1).

Il carattere di "primitività" attribuito alle lingue isolanti (monosillabiche) da molti seguaci del sistema morfologico e anche da Max Müller (Christianity and Mankind, del Bunsen, III, p. 281 segg.) che le chiama familV languages, cioè lingue di quei popoli che non hanno sorpassato lo stadio dell'aggregazione familiare, è completamente errato. È stato infatti provato che il monosillabismo non è affatto primitivo (v. indo-cinesi, lingue, XIX, p. 129).

Meno fortunato del criterio di classificazione morfologica è stato quello della classificazione psicologica. Il primo sistema di classificazione psicologica si deve a Wilhelm von Humboldt (v.). Nell'introduzione alla sua opera Über die Kawisprache auf der Insel Java [Berlino 1836-37, p. cccxlvii), egli propone di dividere le lingue del globo in due grandi gruppi: lingue meno complete (unvollkommenere) da una parte, e lingue più complete (vollkommenere) dall'altra; il suo schema è press'a poco il seguente:

Come appare da questo schema, la divisione di Humboldt è considerevolmente differente da quella dei fratelli Schlegel; tuttavia, per un errore molto diffuso (che risale ad A. Schleicher), si suole fare risalire a Humboldt la tripartizione delle lingue in isolanti, agglutinanti e flessive,

Ma la classificazione psicologica più celebre è quella dovuta al grande filosofo del linguaggio H. Steinthal (v.); egli distingue forma e materia, come già il Pott, ma non nella parola, bensì nella proposizione; la sua classificazione può essere riassunta nello schema che dà egli stesso (Charakteristik der hauptsächlichsten Typen des Sprachbaues, Berlino 1860, p. 327):

Questa classificazione subisce una rielaborazione e un perfezionamento nella seconda edizione della Charakteristik, curata dallo scolaro dello Steinthal, F. Misteli (Berlino 1893). Quivi troviamo il seguente schema:

F. N. Finck, nel suo noto libretto Die Haupttypen des Sprachbaus (Lipsia 1909) segue a un dipresso (pag. 150 e segg.) la classificazione di Steinthal-Misteli, ma chiama subordinanti le lingue del V gruppo (agglutinanti) e divide il VI gruppo in tre sottogruppi a seconda che si tratti di lingue flettenti la radice (per es., arabo), flettenti il tema (per es., greco) e flettenti un intero gruppo di parole (per es., georgiano).

Con l'adottare questo sistema di classificazione, tutt'altro che perfetto, in un'opera pubblicata nel 1909, e con lo scegliere una lingua vivente per ciascuno degli otto gruppi risultanti, da descrivere come tipica (eschimo, cinese, samoano, subiya, turco, arabo d'Egitto, greco moderno, georgiano), il Finck dimostrò di respingere, o per lo meno di non potere applicare praticamente, quella classificazione psicologica delle lingue del globo che con tanta ricchezza d'immaginazione aveva proposta pochi anni prima. L'ideale del Finck è sempre stato quello d'indagare i motivi psicologici delle differenze linguistiche. Nel suo libro Die Klassifikation der Sprachen (Marburgo 1901) egli divise tutte le lingue umane in sette gruppi, ciascuno caratterizzato dal grado di equilibrio dei sentimenti dei parlanti e precisamente dall'equilibrio fra percezione (Empfindung) e sentimento (Gefühl); identificando nella seguente tabella l'Empfindung con A e il Gefühl con B, abbiamo:

Questa schematizzazione è purtroppo lontana da ogni verità scientifica ed è stata severamente criticata da J. Van Ginneken, dal Trombetti e da altri glottologi. Anche il tentativo di fusione della classificazione psicologica con quella morfologica di R. de La Grasserie (De la classification des langues, in Internationale Zeitschrift für die allgemeine Sprachwissenschaft, V, pp. 297-308) presenta molti punti deboli.

Dimostrata l'insufficienza dei sistemi di classificazione a base morfologica e psicologica (o psico-morfologica), l'unico sistema di classificazione linguistica che si basi su un solido fondamento e che risponda alle esigenze scientifiche è la classificazione genealogica; in essa non si prendono in considerazione solo alcuni caratteri esterni o interni della lingua, i quali possono essere, come si diceva poco fa, accidentali e transitorî, ma un carattere che è immanente, immutabile e che risponde a una realtà storica. Nella classificazione genealogica noi consideriamo affini (meno bene: parenti) due o più lingue, quando esse sono la continuazione di un'altra, sia essa conosciuta sia solamente postulata.

Noi consideriamo, per es., affini l'italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il romeno, ecc., perché possiamo dimostrare che queste lingue sono la continuazione di un'altra e cioè del latino (v. neolatine, lingue). In questo caso la lingua base (il latino) ci è conosciuta, se pure piuttosto sotto il suo aspetto letterario che sotto quello comune o parlato (meno bene: volgare), che forma la base delle attuali lingue neolatine; ma noi diciamo anche che il serbo-croato, lo sloveno, il bulgaro, il cèco, lo slovacco, il russo, il polacco, ecc. sono affini tra loro, perché sono la continuazione di una sola lingua (protoslava) che, se anche non ci è conosciuta da nessun documento, si può con sicurezza postulare (benché sia impossibile ricostruirla). D'altro canto è noto che le lingue slave, celtiche, germaniche, indo-iraniche, italiche, elleniche, ecc. sono affini tra loro, perché continuano tutte una lingua postulata che chiamiamo proto-indoeuropea (v. indoeuropei, XIX, p. 134). Naturalmente il grado di affinità delle lingue indoeuropee fra loro è minore di quello di due lingue dello stesso sottogruppo (per es., di due lingue slave o germaniche, ecc.), sia per la diversità dell'epoca della separazione dal ceppo unitario (protoindoeuropeo nel primo caso, proto-germanico e proto-slavo nel secondo), sia per diversi altri fattori che hanno agito sulla formazione delle singole lingue (reazioni etniche dovute al sostrato, influssi estranei, ecc.).

Alla formazione di un gruppo linguistico in una classificazione genealogica si giunge attraverso l'esame degl'idiomi che lo compongono; si comprende quindi che l'appartenenza di una lingua x a un gruppo y già precedentemente costituito, o a un gruppo y′ da costituirsi, si determina solo quando si possa provare che la lingua x possiede un buon numero di caratteristiche (fonetiche, morfologiche e lessicali) che sono proprie ed esclusive del gruppo y, oppure quando si possa provare che la lingua x insieme con le lingue x′, x″,..., xn possiede una somma di caratteristiche che non si trovano negli altri gruppi, all'infuori di quello che si costituisce con l'insieme di queste lingue e che è y′. Si deve poi provare che i riscontri degli elementi della lingua con quelli delle lingue del gruppo y o delle lingue x, x′, x″,..., xn fra loro non sono disordinati, ma si possono raggruppare intorno a determinati schemi e seguono certe norme che, più o meno propriamente, chiamiamo leggi.

Gli elementi lessicali hanno, per la classificazione genealogica, un'importanza minore di quelli morfologici e fonetici; infatti in questi sono più frequenti gli accatti da altre lingue dovuti a cause che si spiegano per rapporti storici; per es. l'inglese non cessa di essere una lingua germanica, sebbene il suo lessico contenga un numero grandissimo di elementi latini e neolatini, e il romeno non cessa di essere una lingua neolatina malgrado i numerosi elementi stranieri incorporati. Fra gli elementi morfologici giovano più alla comparazione i tipi anormali che quelli normali: per es., lo schema del latino sum,....est, sumus,....sunt, che ha riscontro nell'antico indiano ásmi, ...ásti, smás (smási), ...sánti; nel greco εἰμί, ἐστί, dor. εἰμές, εἰσί (dor. ἐντί); nello slavo antico jesmĭ, ... jestŭ,... jesmŭ, ....sątŭ; nel gotico im, ...ist, sijum,...sind, ecc.

Si è detto che le comparazioni non debbono disporsi capricciosamente, ma secondo determinati schemi: per es., la parola italiana latte corrisponde al francese lait, allo spagnolo leche, al romeno lapte, ecc. e deriva dal latino lacte (nomin. lac). In questo caso a un -ct- latino intervocalico corrispondono: -tt- in it., -it- in franc., -ch- (= č) in spagn., -pt- in rom. Noi possiamo provare che la corrispondenza non è casuale, perché i medesimi esiti si hanno in tutte le parole in cui il nesso lat. -ct- si trova nelle medesime condizioni, per es.: lat. octo, it. otto, franc huit, spagn. ocho, rom. opt; lat. nocte, it. notte, franc. nuit, spagn. noche, rom. noapte; lat. factu,. it. fatto, franc. fait, spagn. hecho, rom. fapt.

Prendiamo un esempio dalla grammatica comparata delle lingue indoeuropee: al lat. centum (pron. kentum) corrispondono il gr. ἑκατόν, l'antico irlandese cēt, il gotico hund da una parte, e dall'altra l'antico indiano śatam, il lituano szimtas, ecc. La forma indoeuropea ricostruita è *æmtó-m. Diciamo dunque che alla palatale *æ del proto-indoeuropeo corrispondono in lat. c, in gr. κ, in a. irl. c, nel germ. h (g), ma in antico ind. ś, in lit. sz, ecc. Che le corrisoondenze non siano casuali viene confermato da molti altri esempî, come lat. octo, gr. ὀκτώ, ant. irl. ocht, got. ahtau, ma ant. ind. aśṭāú, lit. asztůni, ecc. (la forma indoeuropea sarebbe *oætõ[u]).

Chiediamo un esempio alla linguistica ugro-finnica: all'ungherese egér "topo" corrisponde il finnico hiire-, l'ostjaco ηgər, il vogulo tεηGər il mordvino šejəå, tšejeå, ecc.; la forma proto-ugrofinnica doveva cominciare con š; le corrispondenze sono: protougr. š: ungh.: scomparei finn. h, ost. l, vog. t, mordv. š, , ecc. Le corrispondenze si trovano anche in molte altre voci: per es., ungh. ár "flusso", ost. lår, vog. tūr, ecc.

L'affinità genealogica si rivela anche per semplice evidenza quando due o più lingue non siano troppo differenziate tra loro; quasi tutte le famiglie linguistiche sono state, in un primo tempo, più o meno perfettamente identificate in questo modo; più tardi è venuta la prova scientifica e si è costituita la grammatica comparata.

L'affinità tra le lingue romanze (eccettuato il romeno che non era ancora conosciuto e che è documentato solo molto più tardi) fu già affermata in modo chiarissimo da Dante nel De vulgari eloquentia (I, cap. 8°) all'alba del sec. XIV; l'affinità fra l'ebraico e l'arabo fu già intravvista dal dotto ebreo Jehuda ibn Qoraish nel sec. X, e l'unità dell'intera famiglia semitica (etiopico compreso) era già chiara nella mente dei grandi orientalisti del sec. XVII, come Ludolf, Bochart, Castel, ecc. Ancora nel sec. XVII M. Fogel aveva veduto l'affinltà tra il finnico e il lontano ungherese, sebbene essa sia molto meno evidente di quella delle lingue semitiche o neolatine (cfr. Setälä, Suomi, III, 5, 183 e segg.); G. Sajnovics e S. Gyarmathi gettavano poi sullo scorcio del secolo XVIII le prime basi della grammatica comparata delle lingue ugro-finniche (cfr. C. Tagliavini, La lingua ungherese e il problema delle origini dei Magiari, Budapest 1932, p. 7 segg., e relativa bibl.). L'affiffnità delle lingue dell'Africa meridionale (più tardi chiamate bantu) fu già veduta nel 1908 dal naturalista tedesco Lichtenstein (v. bantu: Le lingue Bantu). Viene però considerato come fondatore della grammatica comparata F. Bopp (v.), il quale nel suo scritto Über das Conjugationssystem der sansskritsprache in Vergleichung mit der griechischen, lateinischen, persischen, und germanischen Sprache (Francoforte 1816) e specialmente nella Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen und Deutschen (Berlino 1833-57) dava un luminoso esempio, che per lungo tempo servì di modello, di trattazione sistematica della grammatica comparata di un gruppo di lingue genealogicamente affini.

I pregi della classificazione genealogica si sono man mano imposti e si sono venute formando, per opera d'insigni studiosi, le grammatiche comparate di molti gruppi linguistici (lingue neolatine: F. Diez e W. Meyer-Lübke; slave: F. Miklosich e V. Vondrák; indoeuropee: F. Bopp, A. Schleicher, K. Brugmann; semitiche: H. Zimmern e C. Brockelmann; dravidiche: R. Caldwell; bantu: W. H. I. Bleek, J. Torrend, C. Meinhof, ecc.).

Talvolta si è voluto chiedere troppo alla classificazione genealogica e si è cercato di determinare il grado di affinità (parentela) fra due lingue o due gruppi di lingue appartenenti alla stessa famiglia. Il problema è stato posto specialmente quando s' immaginavano le relazioni linguistiche come quelle personali e si costruiva una specie di albero genealogico che si ramificava a destra e a sinistra (Stammbaumtheorie). Ma già nel 1872 Johannes Schmidt, nel suo importantissimo lavoro Die Verwandtschaftsverhältnisse der indogermanischen Sprachen, dimostrò la falsità della teoria dell'albero genealogico e ne propugnò un'altra che fu detta la teoria delle onde (Wellentheorie). Egli ammise che le innovazioni determinatesi nell'indoeuropeo si siano estese a guisa di onde concentriche (come quando si getta un sasso nell'acqua). In tal modo le varie lingue rimasero collegate fra loro, finché il predominio di alcune fece scomparire quelle finitime, mettendo a contatto linguaggi che prima erano distanti. Anche A. Meillet ammise, per le lingue indoeuropee, che "le domaine occupé par la famille a été elargi sans que la position réspective des dialectes ait changé d'une manière essentielle" (Les dialectes indoeuropéens, Parigi 1922, 2ª ed., p. 11). Da ciò deriva l'impossibilità di una classificazione perfetta, per es. delle lingue romanze, come dimostrò in modo mirabile H. Schuchardt, Über die Klassifikation der romanischen Mundarten (Graz 1900).

Troppo arduo però apparve per molto tempo il compito di dare una classificazione genealogica delle lingue di tutto il mondo. Spetta all'etnografo e glottologo F. Müller il merito del primo tentativo di una tale classificazione, che, già prospettata nella sezione etnografica dell'opera Reise der österreichischen Fregatte Novara um die Erde 1857-59 (Vienna 1868), veniva sviluppata nella sua Allgemeine Ethnographie (Vienna 1873) e assumeva forma definitiva nell'Einleitung in die Sprachwissenschaft (Vienna 1876) che è nello stesso tempo il primo volume del noto Grundriss der Sprachwissenschaft (Vienna 1872-1888). In quest'opera il Müller stabilisce ben 78 gruppi diversi e indipendenti, ma, ammettendo l'eventualità che alcuni dei gruppi stabiliti possano scindersi e che alcune altre lingue possano venire conosciute, egli ritiene che vi siano nel mondo circa cento gruppi di lingue completamente indipendenti fra loro. La vastità della classificazione genealogica di tutte le lingue del globo e il numero così elevato di gruppi indipendenti costituiti lo consigliarono di coordinare la classificazione genealogica con una classificazione antropologica. In realtà il Müller non coordinò, ma subordinò la classificazione genealogica ad una antropologica, non delle più felici: a quella di Ernesto Haeckel.

Il Haeckel, pure ammettendo in origine la monogenesi dell'uomo, partiva da un Homo primigenius alalus; da questo si sarebbero separate parecchie razze che si sarebbero poi estinte, a eccezione di due: la razza umana dai capelli lanosi e quella dai capelli lisci. Da queste due razze sarebbero derivate tutte quelle attuali, che il Haeckel stabilisce in numero di dodici.

Fondandosi su questo sistema antropologico, il Müller dà (Einleitung, p. 74 segg.) la seguente classificazione:

Il Mu̇ller parte dal concetto della poligenesi del linguaggio e afferma in modo categorico "che tutti i tentativi fatti per dimostrare l'unità d'origine del linguaggio sono falliti e che dovranno fallire anche in avvenire, date le grandi differenze che riscontra colui che ha profondamente studiato le lingue che finora si ritengono di diverso ceppo" (Einleitung, p. 57). La subordinazione della classificazione linguistica a quella antropologica fece commettere al Müller errori non lievi; egli non giunse naturalmente a negare il carattere semitico dell'etiopico, sebbene dal punto di vista antropologico gli Etiopi non siano semiti. Ma in questo caso, come in altri simili, si trattava di verità già da lungo tempo dimostrate; quando però il Müller si trovava dinnanzi a lingue poco studiate, la presenza nei parlanti dei caratteri antropologici di una determinata razza gli faceva senz'altro attribuire la lingua al gruppo antropologicamente corrispondente e negare ogni altra possibile parentela. Per es., parlando delle lingue papuane, il Müller prese come modello il mafor della Nuova Guinea (Grundriss der Sprachwissenschaft, I, 11, p. 30 segg.) e, senza possibilità di prova, affermò che le lingue papua sono, a giudicare dalla lingua mafor, del tutto differenti (grundverschieden) dalle maleopolinesiache". Quest'affermazione gratuita era determinata dal suo preconcetto antropologico; nella classificazione di Haeckel i Papua sono posti fra le razze aventi capelli lanosi a ciuffi, e i Maleo-polinesiaci invece fra quelle aventi capelli lisci e rigidi; però, qualche anno dopo, H. Kern (v.) in una comunicazione letta al VI Congresso degli orientalisti di Leida (1884) dimostrò che il mafor concorda in molti punti essenziali con le lingue maleo-polinesiache. Parimenti molti gruppi di lingue americane, ritenuti dal Müller del tutto indipendenti, sono stati riuniti in questi ultimi anni, dagli americanisti, in più ampie famiglie. Il Müller commise un errore metodico assai grave, non considerando che se noi abbiamo i mezzi per dimostrare che due o più lingue sono genealogicamente affini, e cioè che sono continuatrici di una stessa lingua, non ne ahbiamo alcuno che ci permetta di dimostrare che due lingue non sono affini tra loro.

Anche F. N. Finck, nel volumetto Die Sprachstämme des Erdkreises (Lipsia 1909), subordina gli aggruppamenti linguistici alle grandi divisioni antropologiche, scegliendo però un sistema considerevolmente più semplice, e cioè quello di Keane, che divide il genere umano in quattro razze: caucasica, mongolica, americana ed etiopica.

Fra le lingue della razza caucasica, il Finck distingue quattro gruppi principali: 1. indoeuropeo, 2. camito-semitico, 3. caucasico, 4. dravidico. Seguono poi, in appendice, alcune lingue di popoli di razza caucasica, la cui posizione genealogica non è chiara (basco, etrusco, elamico, ecc.). Le lingue dei popoli di razza mongolica sono divise in cinque gruppi: 1. australi (austro-asiatiche), 2. indocinesi, 3. uralo-altaiche, 4. artiche o iperboree, 5. sumero. Le lingue della razza americana sono divise in sei grandi gruppi: 1. lingue della regione del Pacifico settentrionale, 2. lingue della regione dell'Atlantico settentrionale (con sette suddivisioni), 3. lingue della regione centrale (con nove suddivisioni), 4. lingue della regione amazzonica (con cinque suddivisioni), 5. lingue delle regioni della Pampa, 6. lingue della regione andina e del Pacifico meridionale. Le lingue della razza etiopica sono divise in due grandi gruppi: 1. lingue dei Negri africani, 2. lingue dei Negri oceanici.

Anche questa divisione ha il torto di costituire alcuni gruppi che sono basati solo su dati negativi, come, per es., quello formato dal solo sumero. Il fatto che la posizione linguistica del sumero non sia stabilita non porta di necessità la conseguenza che il sumero sia da considerare una Ursprache. Inoltre la subordinazione dei caratteri linguistici a quelli antropologici induce il Finck a separare nettamente, per es., l'ottentotto dal camito-semitico, mentre gli studî del Meinhof, del Trombetti e di altri hanno reso assai verosimile l'appartenenza dell'ottentotto al gruppo camitico.

Nel 1905 A. Trombetti, nel suo volume L'unità d'origine del linguaggio, distingueva solo undici grandi gruppi:

Il sistema di classificazione subì qualche mutamento nell'opera I pronomi personali (Bologna 1908), per venire poi definitivamente fissato nel 1912 (I numerali, Bologna 1912, p. 470 segg.). Nell'ultimo periodo della sua attività scientifica (1912-29), il Trombetti riduce i grandi gruppi a nove, nel modo seguente:

Nell'opera Les langues du monde, redatta da parecchi linguisti sotto la direzione di A. Meillet e M. Cohen (Parigi 1924), si distinguono 21 gruppi, alcuni però formati da una sola lingua.

Essi sono: 1. indoeuropeo, 2. camito-semitico, 3. ugro-finnico e samoiedo, 4. lingue turche, mongoliche e tunguse, 5. giapponese, 6. coreano, 7. ainu, 8. lingue iperboree, 9. lingue antiche dell'Asia Minore, 10. basco, 11. lingue caucasiche settentrionali, 12. lingue caucasiche meridionali, 13. lingue dravidiche, 14. lingue sino-tibetane, 15. lingue austro-asiatiche, 16. lingue maleo-polinesiache, 17. lingue australiane, 18. lingue del Sudan e della Guinea, 19. lingue bantu, 20. lingue boscimane e ottentotte, 21. lingue americane.

Essendo i singoli articoli opera di diversi autori, ciascuno vi porta il suo contributo di scetticismo o di fiducia negli aggruppamenti esistenti o in quelli più vasti che si possono intravvedere. Per es., M. Delafosse afferma l'unità delle lingue africane con queste parole: "Bantu o non bantu, al Sudan come sulle coste della Guinea e nelle regioni sub-equatoriali, tutte le lingue parlate dalle popolazioni dell'Africa, che appartengono senza contestazione alla razza nera, come anche da alcune popolazioni più o meno negroidi, sull'origine delle quali si è meno sicuri, costituiscono un insieme, la cui unità diventa sempre più appariscente, man mano che lo studio è spinto più in là e al quale si potrebbe dare, per lo meno provvisoriamente, il nome di famiglia negro-africana" (p. 464). Per converso, il turcologo J. Deny dubita della parentela delle lingue altaiche fra loro ed esclude senz'altro i rapporti di queste con le uraliche, che pure nuovi studî, come quelli di A. Sauvageot, rimettono in onore (v. C. Tagliavini, Dacoromania, IV, 1927, pp. 979-992).

W. Schmidt, nel suo volume Die Sprachfamilien und Sprachenkreise der Erde (Heidelberg 1926), divide le lingue umane in sette grandi gruppi, secondo la loro posizione geografica. In ognuno enumera poi le diverse famiglie linguistiche intese in senso genealogico.

Il primo gruppo comprende le famiglie linguistiche dell'Europa e dell'Asia settentrionale e occidentale (in numero di cinque): 1. indoeuropeo, 2. burushaski (questo gruppo, formato da un'unica lingua, ha soltanto valore negativo), 3. uralo-altaico ed eschimo-aleuto (compreso il giapponese e il coreano), 4. semito-camitico, 5. lingue giapetiche (lingue caucasiche, etrusco, elamico, basco, ecc.). Il secondo gruppo comprende le lingue dell'Africa, per le quali lo Schmidt segue la classificazione del suo allievo A. Drexel; tale classificazione distingue nove gruppi (v. africa, I, pp. 764-65). Il terzo gruppo comprende le lingue dell'Asia orientale e meridionale (sei famiglie): 1. lingue paleo-asiatiche, 2. lingue dravidiche, 3. lingue andamanesi, 4. lingue tibeto-cinesi, 5. lati, 6. lingue austroasiatiche. Il quarto gruppo comprende le lingue dell'Austronesia e dell'Australia (tre famiglie):1. papua, 2. australiano, 3. lingue della Tasmania. Il quinto, sesto e settimo gruppo comprendono le lingue delle Americhe (con un totale di 68 famiglie); per la ripartizione delle lingue americane secondo lo Schmidt v. america, II, pp. 921-923. Lo Schmidt non nega però la possibilità di maggiori aggruppamenti e riferisce anzi in modo obiettivo sugli studî fin qui condotti per provare i nessi genealogici fra alcune delle grandi famiglie linguistiche.

Come si vede, siamo ben lontani dal possedere una classificazione genealogica di tutte le lingue del mondo, che sia universalmente accettata. La classificazione che più si avvicina ai risultati ottenuti dai singoli specialisti è quella del Trombetti, se pure si eccettuano alcuni nessi ch'egli ammise come certi e che molti glottologi non riconoscono (per es., il nesso dravidico-australiano). L'unità di alcuni dei nove gruppi del Trombetti è fuori di dubbio (indoeuropeo, camito-semitico), quella di altri molto probabile (bantu-sudanese, uralo-altaico, caucasico, indo-cinese, munda-polinesiaco). Restano problematici i nessi fra il dravidico e l'australiano (negati dai migliori specialisti) e l'unità del gruppo americano (ammessa come probabile anche da P. Rivet e da qualche altro americano).

Nell'Enciclopedia italiana si sono voluti dare al lettore solo quei dati che sono fuori d'ogni discussione; si è pertanto scelta come base la classificazione del Trombetti per i grandi gruppi linguistici, ma in ciascun articolo si è detto se la costituzione del gruppo linguistico in senso genealogico è universalmente accettata o no (v. indo-cinesi, lingue); si è tenuto distinto per ragioni scientifiche e pratiche il dravidico (XIII, pp. 207-09) dall'australiano (V, pp. 449-52) e specialmente per ragioni pratiche il bantu (VI, pp. 97-100) dal sudanese, il camitico (VIII, pp. 548-50) dal semitico. Speciali articoli hanno tutte le principali suddivisioni dei grandi gruppi e alle singole lingue di maggiore importanza, indicando per ognuna la posizione in seno alle varie famiglie.

Ma se anche per alcuni dei gruppi principali non è stata ancora dimostrata la parentela genealogica e cioè la derivazione da un'unica lingua, non si può negare che ciò dipenda soprattutto dallo studio ancora poco progredito di alcuni gruppi linguistici. È un fatto notissimo che nelle lingue dell'America Settentrionale si stanno ora facendo dei vastissimi aggruppamenti (per es., la famiglia Hoka); nell'America Meridionale invece i gruppi ampî rimangono pochissimi (Arawak, Caraibico, Tupi-Guarani). Qual'è la causa di questa differenza? La principale è che coi grandi mezzi di cui dispongono le istituzioni culturali degli Stati Uniti (e specialmente la sezione etnografica della Smithsonian Institution) molte lingue dell'America Settentrionale sono state in questi ultimi anni profondamente studiate, e in base ai materiali sicuri raccolti, alle indagini singole, ai varî problemi speciali risolti da una schiera di studiosi di alto valore, la linguistica americana ha fatto moltissimi progressi e ha permesso la costituzione, scientificamente sicura, di grandi aggruppamenti. Vi sono anzi linguisti che credono all'unità genealogica di tutte le lingue dell'America Settentrionale (per es., P. Radin, The genetic relationship of the North American Indian Languages, in Univ. of California, Publ. of Amer. Archaeology and Ethnology, XIV, 1919, pp. 489-502). Nell'America Meridionale invece molte lingue sono ancora troppo imperfettamente conosciute.

Ma, anche per le famiglie la cui costituzione è fuori di dubbio e per cui esiste già una grammatica comparata costruita su solide basi scientifiche, noi non abbiamo alcun mezzo per provare che il grado di classificazione a cui siamo giunti sia il massimo al quale può arrivare l'indagine glottologica.

Valga l'esempio delle lingue uraliche: prima si è costituita la grammatica comparata delle lingue ugro-finniche; poi è stato scientificamente provato che le lingue ugro-finniche sono affini ai dialetti samoiedi e si è costituita la grammatica comparata uralica (cioè ugro-finnica + samoieda. V. uralo-altaiche, lingue; ugro-finniche, lingue).

Come non vi è alcun mezzo per provare che due lingue non sono genealogicamente affini (in un qualsivoglia grado), così non abbiamo nessun mezzo che ci permetta di affermare che i singoli gruppi linguistici (o le singole "Ursprachen") sono assolutamente indipendenti. A parte la concezione prettamente monogenistica del linguaggio alla quale è stata informata tutta l'opera del Trombetti, varî studiosi hanno, già da molti decennî, tentato di dimostrare, con metodi rigorosamente scientifici, l'esistenza di rapporti genealogici fra due o più gruppi linguistici.

Basti qui dare qualche esempio fugace: l'affinità fra il semitico e l'indoeuropeo fu già sostenuta da G.I. Ascoli (Del nesso ario-semitico, Milano 1864. I. Lettera al prof. A. Kuhn, nel Politecnico, XXI; II. Lettera al prof. F. Bopp, nel Politecnico, XXII; Studi ario-semitici, I-II, in Mem. Ist. lomb., X, Milano 1865); da Fr. Delitzsch (Studien über indogermanisch-semitische Wurzelverwandtschaft, Magdeburgo 1873); e da molti altri, fino agli studî di H. Möller (Semitisch und Indogermanisch, Copenaghen 1906; Vergleichendes indogermanisch-semitisches Wörterbuch, Gottinga 1911; Die semitisch-vorindogermanischen laryngalen Konsonanten, Copenaghen 1917). Le comparazioni e il concetto di parentela sono stati estesi anche al camitico negli studî non sempre ortodossi, ma geniali di A. Cuny (Ètudes prégrammaticales sur le domaine des langues indoeuropéennes et chamito-sémitiques, Parigi 1924; La categorie du duel dans les langues indoeuropéennes et chamito-sémitiques, Bruxelles 1930; Contribution à la phonétique comparée de l'indoeuropéen et du chamito-sémitique, in Bull. Soc. ling., XXXII, 1931). E la teoria del nesso indoeuropeo-(camito)-semitico è ormai accettata da linguisti di alto valore come H. Pedersen (Indogermanische Forsch., XXII, p. 341 segg.) e J. Schrijnen (Handleiding bij de studie derverg. indog. taalwetenschap, Leida 1924, p. 32), ecc. D'altra parte un nesso genealogico fra l'indoeuropeo e l'ugro-finnico è già stato sostenuto da molti anni da N. Anderson (Studien zur Vergleichung der ugrofinnischen und indogermanischen Sprachen, Dorpat 1879); da Th. Keppen (Materialy k voprosu o pervonačalnoj rodine i pervobitnom rodstve indo-evropeiskago i finno-ugorskago plemeni, Pietroburgo 1886); da K.B. Wiklund (Le monde oriental, I, 1907, p. 43 segg.); da H. Paasonen (in Finnisch-ugr. Forschungen, VII, p. 13 segg.); e da parecchi altri. Un nesso genealogico fra il gruppo indocinese e il gruppo maleo-polinesiaco non è affermato solo dal Trombetti, ma anche dal sinologo A. Conrady (Aufsätze zur Kultur u. Sprachgeschichte des Orients, E. Kuhn zum 70. Geburtstag gewidmet, Breslavia 1916, p. 475 segg)

Si giunge così, attraverso una ricca serie di ricerche particolari, a restringere sempre più il numero dei grandi gruppi linguistici. Nonostante i dubbî di alcuni glottologi, la linguistica generale comparata si avvia verso questa meta, come ha riconosciuto C. C. Uhlenbeck nel discorso di apertura del primo Congresso internazionale dei linguisti all'Aia nel 1928 (cfr. Actes du premier Congrès international des Linguistes à La Haye, 1928, Leida s. a., p. 72 segg.). Da tutto ciò risulta che la classificazione genealogica risalente dal basso (fasi attuali) all'alto (fase antica e comune), dalla pluralità (un numero x di lingue) all'unità (la "Ursprache"), non può avere limiti che di ordine pratico; nessuno di ordine teorico. Si può quindi ammettere che la soluzione monogenistica, pure non essendo stata scientificamente provata dal Trombetti, è non solo possibile, ma assai probabile, e non si può escludere che in futuro essa possa anche essere provata scientificamente, qualora non si sconfini dal problema linguistico risalendo a periodi contesi alle induzioni della scienza.

Una posizione a parte spetta a H. Schuchardt; egli ammette che accanto a una parentela (affinità) genealogica ve ne sia anche una elementare formata dall'onomatopea e dalle creazioni spontanee del linguaggio (cfr. Schuchardt-Brevier, Halle 1922, p. 194 segg.). Data questa premessa lo Schuchardt concilia monogenesi e poligenesi, la questione, secondo lui, non può essere posta in forma alternativa, di aut-aut, bensì in forma di sia... sia (Brevier, 2ª ed., p. 200).

Il concetto di parentela (affinità) elementare è stato in questi ultimi anni sviluppato in parecchi brevi, ma interessanti lavori di W. Oehl (il più notevole è quello dedicato ai nomi della farfalla, in Miscellanea linguistica dedicata a H. Schuchardt, Ginevra 1922).

Di un'altra parentela occorrerebbe parlare per finire di trattare il problema delle classificazioni, e cioè della parentela (meglio affinità) culturale. La classificazione che si basa sulla parentela culturale è solo parziale e limitata ad alcuni casi; p. es., quando noi parliamo di lingue classiche e di grammatica comparata delle lingue classiche, intendiamo lo studio scientifico del greco e del latino e la grammatica comparata di queste due lingue. Ora greco e latino, da un punto di vista genealogico, sono due lingue indoeuropee, che, nel seno della famiglia, non hanno aspetto; non solo le voci mutuate dal latino al greco, ma i calchi linguistici, l'influsso del pensiero, ecc. sono evidenti a chi conosca la storia del mondo classico. Parimenti noi parliamo di lingue balcaniche (v. balcanica, regione: Le lingue balcaniche) e di filologia balcanica; fra le lingue balcaniche non vi sono speciali rapporti di parentela; il romeno è una lingua neolatina, il bulgaro una lingua slava, ecc. Ma la vita comune, l'unità di cultura, l'influsso bizantino esercitatosi su tutte parallelamente, ecc. portano a una serie di scambî lessicali, di calchi linguistici, ecc., che formano l'oggetto della filologia balcanica.

Da quanto è stato esposto risulta che l'unico sistema di classificazione delle lingue che abbia un valore scientifico innegabile è quello genealogico, perché è l'unico che sia storico. Lo stato attuale d'incertezza intorno ad alcuni dei massimi aggruppamenti dipende unicamente dall'incompletezza delle nostre conoscenze e dalla mancanza d'indagini metodiche in molte parti dello smisurato dominio. Ciò che però è lacuna delle nostre conoscenze di oggi potrà e dovrà essere colmato dalle ricerche di domani.

Bibl.: Oltre a quella citata nel testo, cfr. W. von Humboldt, Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwickelung des Menschengeschlechts, Berlino 1836 (2ª ed., con note di A. F. Pott, Berlino 1876); H. Steinthal, Charakteristik der hauptsächlichsten Typen des Sprachbaues, Berlino 1860; T. Benfey, Geschichte der Sprachwissenschaft u. orient. Philologie in Deutschland seit Anfang d. 19. Jahrhundert, Monaco 1869; L. Adam, Les classifications, l'objet, la méthode, les conclusions de la linguistique, Parigi 1882; F. N. Finck, Die Klassification der Sprachen, Marburgo 1901; id., Die Aufgabe und Gliederung der Sprachwissenschaft, Halle 1905; W. Wundt, Völkerpsychologie, I: Sprache, Lipsia 1900 (4ª ed., 1917); W. Thomsen, Sprogvidenskabens Historie, Copenaghen 1902 (trad. tedesca di H. Pollak, Halle 1927); J. van Ginneken, De huidige stand der genealogische taalwetenschap, in Tijdschrift v. Nederlansche Taal- en Letterkunde, XXVII (1909), pp. 113-160; id., Les faits linguistiques, Bruxelles 1913; id., Enquête sur la typologie des langues, in Anthropos, II (1907); A. Meillet, Le problème de la parenté des langues, in Lingustique historique et linguistique générale, Parigi 1921; id., La méthode comparative en linguistique historique, Parigi 1925; A. Trombetti, Sullo stato presente della glottologia genealogica, Bologna 1914 (e Roma 1915); id., Elementi di glottologia, Bologna 1922; H. Pedersen, Et blik på sprogvidenskabens historie, Copenaghen 1916; Sprogvidenskaben i det nittende aarhundrede, Metoder og Resultater, Copenaghen 1924; E. Schwyzer, Genealogische und kulturelle Sprachverwandtschaft, in Ferstgabe der Universität Zürich, 1914; H. Schuchardt, Sprachverwandtschaft, Berlino 1917 (Sitz Akad. Wiss.); A. Sommerfelt, Quelques remarques sur le problème de la parenté des langues, in Donum Natalicium Schrijnen, Nimega 1929, p. 23 segg.; O. Jespersen, Language: its nature, development, and origin, Londra 1923; E. Kieckers, Die Sprachstämme der Erde, Heidelberg 1932.