LOCOMOTIVA

Enciclopedia Italiana (1934)

LOCOMOTIVA (fr. locomotive; sp. locomotora; ted. Lokomotive; ingl. locomotive engine)

Filippo TAJANI
Giuseppe BIANCHI

È la macchina più nota, con la quale nacque la trazione meccanica. Può considerarsi l'emblema del secolo XIX, dominato dal perfezionamento dei mezzi di trasporto.

I primi tentativi di locomozione meccanica si può dire che risalgano al 1769, quando N.-J. Cugnot (v.) riuscì a far camminare un carro munito di una primordiale macchina a vapore; ma vere locomotive si possono dire soltanto quelle costruite in Inghilterra nei primi dell'Ottocento. Anzi per trovare una macchina che meriti di essere considerata il prototipo della locomotiva moderna occorre portarsi al 1829. Fu in quell'anno che, a seguito di un concorso indetto dalla Ferrovia Liverpool-Manchester, G. Stephenson vinse il premio con la sua celebre "Rocket" (il razzo). Altro inventore, T. Hackworth, presentò allo stesso concorso una locomotiva nominata "Sans pareil" nella quale si nota una particolarità mancante alla macchina dello Stephenson: le ruote accoppiate mediante una biella. Questo piccolo espediente, decisivo per l'applicazione della locomotiva all'esercizio delle ferrovie con le sue diverse esigenze di velocità e di sforzo di trazione, permettendo in confronto alle macchine con ruote libere il trasporto di carichi maggiori, rappresentò, si può dire, l'inizio della specializzazione delle locomotive fra quelle per servizio viaggiatori e quelle per servizio merci: veloci, ma con limitato sforzo di trazione le prime; lente, ma capaci di grande sforzo le altre.

Descrizione e classificazione delle locomotive. - La locomotiva si può considerare composta di tre parti: la caldaia, il carro e il meccanismo. La caldaia ha due particolari caratteristici: il focolare interno con tubi a fumo o bollitori e il tiraggio forzato, ottenuto utilizzando il vapore di scarico. Questo, uscendo ad una pressione superiore di poco all'atmosferica presso l'estremo del fascio tubolare sotto il fumaiuolo, crea la depressione necessaria per aspirare l'aria sotto griglia e mantenere la combustione. Il fumaiuolo delle locomotive non ha, perciò, funzione analoga a quella degli alti camini degli impianti fissi e quindi ha potuto essere pressoché abolito a misura che la macchina è cresciuta di mole.

La caldaia della locomotiva consta anch'essa di tre parti: focolare e suo involucro o portafocolare, corpo cilindrico con tubi bollitori, camera a fumo. Tutto lo spazio compreso tra il focolare e il suo involucro, oltre quello del corpo cilindrico, dedotti i tubi, è pieno di acqua e vapore (fig. 1).

Il focolare ha la forma di una cassa parallelepipeda cui manchi la parete di fondo, composto cioè di cinque lamiere fra loro chiodate; due costituiscono i fianchi, una il cielo, quella anteriore (detta tubolare) porta i tubi e quella posteriore è munita della porticina di caricamento o boccaporta. Alla parete di fondo è sostituita la griglia che sopporta il carbone lasciando passar l'aria per la combustione. Sotto la griglia è una cassa di lamiera, che raccoglie la cenere e si chiama cinerario, munita di apertura per l'entrata dell'aria.

Le pareti del focolare sono in lamiera di rame, metallo che, pur presentando limitata resistenza meccanica, meglio del ferro sopporta l'azione del fuoco e, più esattamente, l'azione dei gas della combustione, i quali possono essere corrosivi, specialmente se il carbone ha un piccolo contenuto di zolfo. Oggi però si fanno anche focolari di acciaio, specialmente in America ove se ne apprezzano i vantaggi dal duplice punto di vista dell'economia di spesa e della leggerezza (lo spessore delle lamiere di acciaio può essere limitato a 7 od 8 millimetri soltanto, mentre per quelle di rame occorrono spessori da 14 a 17 mm.) senza dare eccessiva importanza alla loro minore durata. In America la locomotiva riceve una lavorazione grezza, in maniera da costar poco, il che compensa della più breve vita della macchina e permette di rinnovare spesso la dotazione, approfittando dei perfezionamenti che la tecnica man mano consiglia.

Il portafocolare è costituito anch'esso da cinque lamiere in ferro o acciaio dolce. Il collegamento del focolare col portafocolare è ottenuto per più vie. In primo luogo col cosiddetto quadro di base in ferro forgiato sul quale sono inchiodate dalla parte interna le lamiere del focolare, dall'esterna quelle dell'involucro; in secondo luogo col quadro della boccaporta; infine con una serie di tiranti di rame avvitati sulle due pareti affacciate. Questi tiranti debbono avere una certa flessibilità a causa della diversa dilatazione del rame rispetto al ferro e nella parte superiore prendono forme più complicate, intese a irrigidire la parte piana (cielo del focolare) e ad assicurarne il collegamento con la parete esterna, quasi sempre a vòlta.

Nei focolari delle locomotive si possono bruciare tutti i carboni fossili industriali della categoria litantrace. I più adatti sono quelli mediamente grassi, i quali bruciando non si agglomerano troppo, ché in caso diverso farebbero ostacolo al passaggio dell'aria. È preferibile il carbone in pezzi, ma si adoperano anche i toutvenant o carboni misti che contengono dal 30 al 40 per cento di minuto. Con i minuti, spesso sottoposti a lavatura per separarli dalle materie inerti, commisti all'8% di pece minerale, si fabbricano mattonelle che hanno il vantaggio di occupare minore spazio nel deposito e nel trasporto e perciò si adoperano in una certa proporzione con i carboni naturali.

La griglia delle locomotive non è diversa dalle comuni: di solito essa è inclinata verso la parte anteriore, il che porta al vantaggio di accrescerne, sebbene di poco, la superficie e di favorire l'alimentazione rendendo altresì più regolare e più completa la combustione.

Un accessorio molto importante del focolare è il voltino, cioè un piccolo arco in mattoni refrattarî, portato da due ferri d'angolo applicati alle pareti laterali del focolare, inclinato verso la piastra tubolare e situato sopra la griglia ad un'altezza sufficiente per permettere il caricamento, ma sotto il più basso dei tubi a fumo. Scopo del voltino è di ottenere una combustione più perfetta obbligando la fiamma a rovesciarsi anziché andar subito nei tubi, trascinando materia ancora incombusta. Ma oltre il vantaggio di aumentare il rendimento termico della caldaia, il voltino presenta quello importantissimo di preservare la connessione dei tubi a fumo con la piastra tubolare per il fatto che, immagazzinando calore in considederevole copia, quando il fuoco viene spento, piastre e tubi ricevono calore irradiato dal voltino e quindi il loro raffreddamento avviene in modo graduale, restando evitato il distacco dei tubi dalla piastra.

Il corpo cilindrico della caldaia, così detto dalla sua conformazione, è costituito di tre o quattro lamiere (avvolte nel senso della laminazione con chiodature longitudinali e trasversali) e contiene i tubi bollitori attraverso i quali passano i prodotti caldi della combustione cedendo il calore che va all'acqua, da cui i tubi sono circondati, e trasformandola in vapore. I tubi sono congiunti alle due piastre estreme che costituiscono la parete anteriore del focolare e quella posteriore della camera a fumo. Si facevano una volta in ottone, metallo che meglio resiste alle corrosioni delle acque dure, ma oggi che le locomotive si alimentano con acque assoggettate a depurazione preventiva, si preferiscono i tubi di acciaio ottenuti coi sistemi moderni di laminazione (Mannesmann, ecc.). Il diametro interno dei tubi va da 35 a 50 mm. con uno spessore di 2,5 a 3 mm.; la distanza fra i loro assi va da 60 a 70 mm.

La camera a fumo è il prolungamento del corpo cilindrico. Vuota di tubi e di acqua, in essa sí forma la depressione necessaria per l'aspirazione dell'aria. Porta in alto il piccolo fumaiuolo e al suo centro sbocca il tubo di scarico del vapore. I tubi che vengono dai due cilindri si riuniscono in uno solo, spesso a bocca variabile. La variabilità dell'orifizio di scarico permette di far variare l'attività della combustione, rendendola maggiore col ridurre l'apertura e accrescere quindi la velocità del getto. Però quando si provoca un tiraggio più forte si ha l'inconveniente di accrescere la contropressione nei cilindri; ne risulta così un aumento nella potenza della macchina a spese di un abbassamento del coefficiente di rendimento. Del resto nel funzionamento normale non vi è alcuna necessità di far variare l'orifizio di scappamento; invero, quando la velocità di marcia è elevata, i colpi di scappamento si succedono con maggiore frequenza, ma minore è la quantità di vapore erogata per ciascuno di essi; il contrario avviene quando la velocità è limitata. Stabilendosi così una certa automaticità di funzionamento, la produzione oraria di vapore della caldaia in funzione normale risulta costante.

Le caldaie delle locomotive sono munite di iniettori per l'alimentazione dell'acqua portata dal tender, di presa di vapore manovrabile a distanza e spesso di surriscaldatore, oltre ai soliti accessorî delle caldaie a vapore: tappi fusibili, tubi di livello, ecc.

Il meccanismo delle locomotive è costituito da almeno due cilindri posti uno a destra l'altro a sinistra sul davanti del telaio, con le manovelle disposte a 90 gradi perché, se una manovella si trovi al punto morto, l'altra sia nella posizione più propizia al moto. Dei due cilindri uno può essere a bassa, l'altro ad alta pressione. Le macchine moderne sono quasi tutte a duplice espansione (compound) e quattro cilindri, due ad alta e due a bassa pressione: in questo caso si fa in modo che le manovelle di una coppia di cilindri posti dalla stessa parte restino a 180° una dall'altra e si ha così che, mentre delle due manovelle di un lato una si trova in fondo di corsa marcia avanti, l'altra in fondo di corsa marcia indietro, le manovelle del lato opposto si trovano normali alla direzione della corsa, ma una diretta per la marcia avanti, l'altra per la retrograda.

La distribuzione del vapore ha luogo con cassetto semplice, spesso cilindrico. La variazione dell'espansione e il mutamento della direzione di marcia si ottengono con un glifo di tipo noto (Stephenson, Gooch, Allan, Heusinger; è preferito quest'ultimo). Il glifo è comandato con una leva, detta d'inversione. Si cominciano a usare le distribuzioni perfezionate a valvole, che consentono una certa economia nel consumo di vapore; è già molto introdotto il sistema di distribuzione a valvole dovuto all'italiano Caprotti.

Il carro delle locomotive possiamo considerarlo composto di telaio e rotiggio. Il telaio è costituito da due fiancate in grossa lamiera d'acciaio, opportunamente intagliate (sistema europeo) oppure di grosse sbarre di ferro forgiato o acciaio fuso (sistema americano). Gli assi sono dritti quando i cilindri rimangono all'esterno del telaio, a gomito se i cilindri sono interni al telaio. Essi sono tutti o in parte accoppiati (v. appresso). Gli assi non accoppiati si dicono portanti e hanno di solito ruote a raggio minore, oltre a disposizioni che ne consentono lo spostamento rispetto al telaio. Tale spostamento ha lo scopo di ridurre la base rigida della macchina e consentire il passaggio in curve di raggio limitato. Spesso due assi portanti sono fra loro collegati in guisa da costituire ciò che dicesi un carrello, piccolo telaio che gode rispetto al telaio principale di un doppio movimento relativo, uno di rotazione intorno a un perno congiungente i due telai, l'altro di spostamento laterale in quanto il bossolo del perno, bossolo legato al carrello, può oscillare in un piano trasversale alla macchina. Questo collegamento di natura pendolare fa nascere una forza di richiamo (componente della gravità) che riporta in modo automatico il carrello, spostatosi nelle curve, alla sua posizione normale in mezzería.

Il numero di assi accoppiati dev'essere tanto maggiore quanto più elevato è lo sforzo di trazione che si vuol raggiungere. Per le macchine destinate ai treni viaggiatori non si va al di là dei tre assi accoppiati; per quelle da treni merci si raggiungono cinque, eccezionalmente sei assi accoppiati. Le prime hanno ruote a grande raggio (m. 1,90 ÷ 2,20), le seconde di piccolo raggio (m. 1 ÷ 1,50).

Di solito il peso della locomotiva è uniformemente distribuito sugli assi. D'altra parte il peso massimo per asse è fra le caratteristiche costruttorie di ciascuna linea. Ma si può fare una distribuzione differente fra peso gravante sugli assi accoppiati, utile per l'aderenza, e peso gravante sugli assi portanti, a ciascuno dei quali si assegna un peso minore che per gli assi accoppiati. Il peso su ciascun asse accoppiato deve essere identico.

Ma mentre il numero totale degli assi ci dà indizio della mole e quindi della potenza della locomotiva, è la ripartizione degli assi fra portanti e accoppiati che ci avverte se la potenza della macchina vuole essere spesa per ottenere grande sforzo (molti assi accoppiati) a velocità ridotta, oppure un'alta velocità con sforzo di trazione piuttosto basso (pochi assi accoppiati). Perciò il mezzo più adatto per classificare un tipo di locomotiva è quello di indicarlo con tre numeri, il primo dei quali dia la quantità degli assi portanti anteriori, il secondo degli assi accoppiati, il terzo degli assi portanti posteriori. Né ha importanza il fatto che alcuni, come gl'Inglesi, ricorrano al numero delle ruote (esempio: 4 − 6 − 2) mentre in Italia si preferisce il numero degli assi (2 − 3 − 1) e che i Tedeschi al posto del numero degli assi accoppiati pongano una lettera (A per 1, B per 2, C per 3, ecc.), infine che gli Americani usino dei nomi pittoreschi a significare una data combinazione di assi e quindi di numeri (così il tipo 2 − 2 − 1 è detto Atlantic, quello 2 − 3 − 1 Pacific, 0 − 4 − 0 Sigl, 1 − 4 − 1 Mikado, ecc.).

La fig. 2 rappresenta la locomotiva italiana per treni diretti di più recente costruzione.

Funzionamento della locomotiva. - Premesse queste note descrittive sulla locomotiva, ne esamineremo più a fondo il funzionamento attraverso lo studio della sua caratteristica meccanica, cioè della curva che lega lo sforzo alla velocità, ovvero la potenza alla velocità, che è la cosa stessa, perché la potenza è appunto il prodotto dello sforzo per la velocità. In generale, la potenza delle macchine varia sempre, più o meno, al variare della velocità; ma per gli usi di trazione sono preferibili le macchine in cui la potenza si mantiene più che è possibile costante. Difatti le macchine a potenza costante spiegano all'inizio del moto, quando cioè, la velocità è bassa, un altissimo sforzo che permette, intanto, di avviare a pieno carico, come è indispensabile, anche un convoglio pesante, consentendo altresì un avviamento rapido la cui influenza può essere di grande effetto sulla velocità media, specialmente nel caso di treni a fermate frequenti. La locomotiva ha avuto così grande successo negli impieghi di trazione appunto perché gode di tale importante prerogativa.

Se chiamiamo con Ni la potenza in cavalli indicati di una locomotiva, si avrà, come per qualsiasi macchina, Ni = F • V/270 in cui F è lo sforzo in kg. misurato ai cilindri e V la velocità periferica delle ruote in km./ora. Se sussistesse l'ipotesi di Ni costante con la velocità, la curva rappresentativa dello sforzo sarebbe un'iperbole equilatera, di facile tracciamento, conosciuta che fosse una coppia dei valori F e V. Ma anche la potenza della locomotiva varia con la velocità e perciò la caratteristica è una curva iperbolica che si distacca molto dall'equilatera.

D'altra parte, se chiamiamo con Q la quantità oraria di vapore prodotta dalla locomotiva, con q la quantità di vapore consumato per cavallo ora, sussisterà anche l'eguaglianza Ni = Q/q. Abbiamo visto che la quantità di vapore prodotta per ora non ha ragione di variare se la condotta del fuoco avviene in modo regolare e potremo quindi ritenerla proporzionale alle due dimensioni fondamentali della caldaia, la superficie della griglia e la superficie di riscaldamento, avvertendo che, per la connessione esistente fra tali due quantità, potrà talvolta comparire nella funzione il loro rapporto. Resta a fare la determinazione quantitativa del valore di Q.

Si può all'uopo scrivere:

in cui G è la superficie della griglia, c il calore medio specifico dei gas della combustione, H la quantità in kg. di gas prodotta dalla combustione di un chilo di combustibile, B la quantità di combustibile bruciato in un'ora su un metro quadrato di griglia in kg., λ il numero delle calorie occorrenti per produrre un kg. di vapore, Tf e Tc rispettivamente la temperatura di combustione del forno e quella nella camera a fumo in centigradi. I valori sperimentali di queste quantità si possono così fissare; c fra 0,24 e 0,27; H fra 13 e 16 kg.; B fra 500 e 300 kg. per carbone inglese da 7000 a 8000 calorie, Tf fra 1300° e 1640°, Tc fra 350° e 360°.

Riuscendo poco agevole stabilire il valore di Tc variabile, fermo Tf, con la lunghezza dei tubi bollitori, conviene trasformare la formula antecedente introducendo il rapporto fra la superficie della griglia G e la superficie di riscaldamento G′ e sostituendo a Tc la temperatura Tα dell'acqua in caldaia con un coefficiente b che affetti il rapporto G/G′.

Si ha così una nuova formula:

Eguagliando i due valori di Q come risultano da (1) e (2) si ottiene:

Fissando Tα = 200° ÷ 175° come temperatura media in caldaia per le basse pressioni in uso (16 a 14 kg. per cmq.), adottando per G/G′ un rapporto variabile da 50 a 70, risulta b eguale a 7. Il valore di cHB/λ(TfTα) quando s'introducano valori medî corrisponde a 4250 che si riduce a 3800 (circa il 90%) nel caso di vapore surriscaldato e la produzione oraria di vapore ottenibile con continuità sarà espressa in generale da:

in cui a = 4250 per vapore saturo e 3800 per vapore surriscaldato.

Ci resta da determinare il valore di q alle diverse velocità. Si tenga presente che una medesima velocità si può effettivamente ottenere con diverse aperture di regolatore e diversi gradi di ammissione nei cilindri. Ma poiché, riducendo l'apertura del regolatore, si abbassa la pressione del vapore con danno del rendimento della macchina, ammetteremo che il regolatore sia costantemente mantenuto tutto aperto, come, salvo eccezioni, si fa in pratica.

Mediante il rilievo dei diagrammi d'indicatore noi possiamo, sperimentando su una locomotiva, rilevare come varia lo sforzo in funzione della velocità ai varî gradi di ammissione. Vedremo che, fermi restando la pressione di lavoro e il grado di ammissione, al crescere della velocità lo sforzo diminuisce. A velocità elevatissima lo sforzo tende ad annullarsi. La riduzione dello sforzo in funzione della velocità è tanto più rapida quanto più elevato è il grado di ammissione. Se, facendo il prodotto sforzo × velocità, tracciamo le curve della potenza alle diverse velocità, vediamo ch'esse passano per un massimo che corrisponde a una velocità piuttosto elevata, dipendente dalle dimensioni della locomotiva.

Perché ciò avvenga è facile comprendere. Quando il vapore entra nei cilindri, trovandoli a temperatura inferiore alla propria, ne riscalda le pareti e subisce un principio di condensazione. Più tardi, verso la fine dell'espansione e durante lo scarico, la pressione e la temperatura essendosi abbassate, l'acqua che si era condensata nel periodo di ammissione si rievapora, riprendendo alle pareti il calore che aveva ceduto condensandosi. I cilindri, dunque, funzionano alternativamente da condensatori e da generatori, e gli scambî di calore che si verificano così periodicamente in senso inverso fra vapore e metallo si traducono in un trasporto inutile dalla caldaia all'atmosfera di un certo numero di calorie che avrebbero potuto essere trasformate in lavoro meccanico se, durante le fasi attive della distribuzione, esse non si fossero, per così dire, nascoste nello spessore delle pareti. Il fenomeno, d'altronde molto complesso, è stato paragonato a una marea di calore, il cui flusso corrisponde all'ammissione, il riflusso allo scappamento. Le pareti dei cilindri possono anche assomigliarsi a una pompa aspirante e premente, che periodicamente sottrae calorie alla caldaia per mandarle in pura perdita nell'aria.

Per ridurre queste perdite, sono stati escogitati alcuni rimedî non tutti convenienti alla locomotiva, cui però sono stati applicati i due principali: la doppia espansione e il surriscaldamento.

Quando la caduta totale di temperatura è suddivisa fra due cilindri successivi, l'importanza delle perdite di cui innanzi dicevamo è ridotta alla metà di quella che si avrebbe in un cilindro unico equivalente. Se le perdite dovute alle condensazioni si sommassero, è chiaro che il vantaggio sarebbe nullo; vi sarebbero anche delle ragioni perché diventasse negativo. Ma non è così; è la stessa quantità di vapore che si condensa e si rievapora successivamente in ciascun cilindro. Sono le stesse calorie che, successivamente cedute e riprese alle pareti del cilindro ad alta pressione, servono dopo a riscaldare quelle del cilindro a bassa pressione. In cambio di una pompa che aspira le calorie dalla caldaia per disperderle nell'atmosfera, se ne hanno due, accoppiate in serie: esse non cumulano la loro portata e la perdita totale cui dànno luogo è presso a poco la metà di quella che si avrebbe con la pompa unica che sostituiscono.

Invece di ridurre le perdite di condensazione alla metà, si ridurrebbero al terzo, al quarto, ecc., se, in luogo di suddividere la caduta di temperatura fra due cilindri, la si dividesse fra tre, quattro o più cilindri successivi. Ma nel caso della locomotiva, poiché l'addizione di ogni cilindro in più porta con sé necessariamente l'aggiunta di nuovi organi di trasmissione e di distribuzione, il cui movimento assorbe sempre una frazione non disprezzabile del lavoro sviluppaio dal vapore (si arriva così rapidamente al limite per il quale ciò che si guadagna sul lavoro utile si perde sul lavoro indicato), non si è mai andati oltre la doppia espansione.

In differente modo agisce il surriscaldamento. Fornendo al vapore saturo delle calorie supplementari, se ne diminuisce considerevolmente il coefficiente di conduttività e di trasmissibilità del calore alle pareti del cilindro. In luogo di mettere in presenza, nell'interno del cilindro, due corpi, uno metallico, l'altro allo stato di vapore saturo, che hanno la tendenza a cedersi scambievolmente calore, si ha un fluido meno sensibile ai cambiamenti di temperatura e che meno si presta agli scambî di calore. Tuttavia, anche quando è spinto a 100° e più in là dal punto di saturazione, il surriscaldamento non basta ad impedire le condensazioni ma le ritarda, le limita e procura così un'economia di combustibile paragonabile a quella che si ottiene con la doppia espansione. Nulla osta - e lo si fa quasi sempre nelle costruzioni moderne - che i due provvedimenti siano applicati alla stessa macchina per cumularne i vantaggi.

Conviene, dunque, esaminare il consumo di vapore separatamente per ogni tipo di macchina. Da estesi esperimenti sarebbe risultato che il minimo consumo di vapore per cavallo-ora è il seguente: a) per locomotiva a semplice espansione kg. 11,5; b) per locomotiva a doppia espansione a 2 cilindri kg. 10,3; c) per locomotiva a doppia espansione a 4 cilindri kg. 9,7; d) per vapore surriscaldato a semplice espansione kg. 6,7; e) per locomotiva a vapore surriscaldato e doppia espansione kg. 6,2.

Questi valori di q furono ottenuti in corrispondenza a un dato rapporto fra la pressione media e la pressione in caldaia. In tal modo, mentre da una parte si otteneva la potenza massima, dall'altra si conosceva la pressione media, che ci dà il valore dello sforzo medio Fm = pmd2l/D corrispondente alla detta potenza. Dalla relazione Ni = VmFm/270 si ricava il valore di Vm, che è la velocità più conveniente dal punto di vista del consumo di vapore.

La velocità più conveniente corrisponde a una pressione media che è di kg. 3,6 nelle locomotive a semplice espansione, di kg. 3,4 nelle locomotive a doppia espansione, sinché la pressione in caldaia p non supera 12 kg. per cmq.; cresce di o,03 per kg. nel caso di pressioni in caldaia superiori ai 12 kg/cmq. Si può scrivere Fm = 3,4 ÷ 3,6 [i + o,03 (p − 12)] d2l/D.

Noti che siano, per le precedenti formule, Fm, Vm, la caratteristica meccanica risulta dall'espressione:

Le curve caratteristiche così ottenute ci dànno lo sforzo e la potenza ai cilindri. Ma occorre anche la nozione dello sforzo e della potenza alla periferia delle ruote e al gancio. Le quantità alla periferia servono per porre lo sforzo in relazione con l'aderenza e quelle al gancio per il calcolo delle prestazioni, cioè del carico che la locomotiva può rimorchiare alle diverse pendenze ed alle diverse velocità.

Per passare dallo sforzo nei cilindri, cioè indicato, allo sforzo periferico, occorre tener conto delle perdite nel meccanismo che generalmente si valutano al 10 per cento. Per valutare lo sforzo al gancio, si deve sottrarre dallo sforzo alla periferia la resistenza dovuta alla locomotiva che, oltre a trascinare il treno, deve trascinare sé stessa. Siccome però una misura alla periferia è difficile, richiedendo grandi impianti di prova, così si fa direttamente il passaggio dallo sforzo indicato allo sforzo al gancio ed anzi le formule con cui si calcola la resistenza delle locomotive (v. trazione) comprendono di solito le perdite del meccanismo. Lo sforzo al gancio può, del resto, essere facilmente dedotto da misure dirette con dinamometri montati su carri dinamometrici che permettono di registrare gli sforzi e metterli in relazione con contemporanee misure di velocità per dedurre la potenza, come si dirà ora.

Si ricordi, poi, che la caratteristica meccanica, rappresentata, come abbiamo visto, da un'iperbole, subisce nel periodo iniziale una deformazione dovuta all'aderenza. Infatti alle piccole velocità lo sforzo risulterebbe teoricamente infinito, ma in realtà è limitato dalle dimensioni dei cilindri e subisce anche la limitazione dell'aderenza. Lo sforzo nei cilindri ha un valore massimo che abbiamo visto potersi così valutare: F = 0,85 pd2l/D essendo p la pressione di timbro e 0,85 un coefficiente che tien conto della perdita di pressione quale si verifica nel percorso del vapore dalla caldaia al cilindro. In una locomotiva ben costruita lo sforzo massimo di cui innanzi è sempre superiore all'aderenza media, che può con qualche espediente, p. es. con spargimento di sabbia, essere accresciuta, mentre lo sforzo dipendente dalle dimensioni dei cilindri e dalla pressione di timbro, non potrebbe in alcun modo subire aumento. In realtà lo sforzo iniziale deve essere riportato al valore dell'aderenza mediante la riduzione della pressione di timbro, ciò che si ottiene strozzando il vapore, cioè aprendo e chiudendo più volte il regolatore.

Ciò posto, lo sforzo all'inizio rimane pressoché costante e all'incirca eguale al limite rappresentato dall'aderenza raccordandosi, poi, all'iperbole che rappresenta le variazioni dello sforzo al variare della velocità e quindi del vapore nei cilindri. Riportiamo nella fig. 3 le curve dello sforzo e della potenza al gancio desunte mediante misure dinamometriche per una locomotiva americana doppia (cioè con due caldaie e due meccanismi sullo stesso telaio snodato) di recente costruzione, che è pure un esempio delle maggiori potenze finora raggiunte con la locomotiva. Si nota sulla figura che la potenza massima raggiunta è di circa 3600 cavalli, corrispondente alla velocità di 67 km./ora, mentre lo sforzo al gancio è ancora di kg. 10.000 alla velocità di 90 km./ora.

Esperimenti sulle locomotive. - Ha grandissima importanza lo studio sperimentale della locomotiva, cioè la ricerca del valore dello sforzo e della potenza in funzione della velocità, del consumo di vapore per cavallo-ora, ecc. Si ricorre per tale scopo a una serie di apparecchi di cui daremo sommaria notizia. Essi consistono in un sistema (dinamometro) per la misura degli sforzi di trazione e di compressione trasmessi dal gancio della locomotiva, di un tachimetro per la misura della velocità, di un ergometro per la misura del lavoro meccanico sviluppato nella trazione, dell'anemometro per la determinazione della pressione del vento e di altri apparecchi accessorî. Descriveremo i principali di detti apparecchi, lasciando da parte quelli che s'incontrano in applicazioni analoghe.

Per la misura degli sforzi di trazione e di compressione si ricorre ad apparecchi idraulici nei quali le reazioni dell'asta di trazione e dei respingenti sono trasmesse a un pistone che si muove in un cilindro pieno di liquido appropriato e fissato al telaio del carro. La pressione idraulica generata dal pistone nel cilindro si propaga attraverso un sistema di tubi sino al pistone di un altro piccolo cilindro registratore, il cui movimento è limitato da una molla antagonista esattamente calibrata. Lo spostamento del pistone nel cilindro registratore è, dunque, proporzionale allo sforzo di trazione sull'asta o di compressione sui respingenti, tenuto conto della sezione dei due stantuffi idraulicamente collegati e della flessibilità della molla applicata al cilindro registratore.

Di tachimetri esistono tipi svariatissimi. Quello più adoperato, sui carri dinamometrici (tipo Amsler) è costituito da una sfera di acciaio (fig. 4) che rimane a contatto con quattro rotelle A, B, C, D, di cui le due prime sono conducenti e hanno i due assi a 90° fra loro e posti in uno stesso piano passante per il centro della sfera. Le altre due rotelle sono condotte e restano in un piano normale al primo: sono per di più congiunte fra loro da un quadro E, suscettibile di girare intorno a un asse passante anch'esso per il centro della sfera. Se A e B compissero lo stesso numero di giri, la sfera girerebbe intorno a un asse che si manterrebbe in posizione simmetrica rispetto alle due rotelle, ma se queste hanno velocità differenti, la sfera girerà intorno all'asse xx, la cui posizione è determinata dal rapporto fra le due velocità periferiche di A e di B.

A sua volta il quadro E con le rotelle C e D si sposterà in guisa da restare nel piano perpendicolare a xx, non potendosi produrre tra sfera e rotelle strisciamento, ma solo rotolamento che dà luogo al minimo attrito. Lo spostamento del piano in cui resta il quadro sarà, dunque, identico allo spostamento della sfera e ce ne potrà fornire la misura.

Se diamo alla rotella A una velocità costante e prestabilita v1 e alla rotella B la velocità del treno v2 facendola mettere in moto da un asse del carro dinamometrico, questa velocità v2 sarà proporzionale a tg α. La rotella A è mantenuta a velocità rigorosamente costante da un piccolo motore elettrico munito di regolatore a forza centrifuga e la misura di tg α moltiplicata per una costante (vi) ci darà in ogni momento la velocità istantanea del treno.

Il nome di ergometro è dato in generale a un apparecchio che registra il lavoro meccanico compiuto da determinate forze; ma nel caso della locomotiva conviene tener conto separato delle forze dovute alla resistenza al moto dei veicoli da quelle dovute alla pendenza e all'inerzia per poter determinare, quando occorre, l'entità delle resistenze in funzione della velocità.

Sia M la massa di un treno che percorre una salita di pendenza tg α e supponiamo ch'esso subisca contemporaneamente un'accelerazione a: lo sforzo totale sarà F = M (a + g tg α) e il lavoro corrispondente L = M ʃ (a + g tg α) ds.

Per la determinazione di L si ricorre a un apparecchio (ergometro d'inerzia) costituito essenzialmente da una massa pendolare che è libera di oscillare in un piano parallelo alla direzione della marcia del treno (fig. 5). A convoglio fermo o in caso di velocità uniforme alla pendenza tg α, il pendolo P rimane in posizione verticale, facendo un angolo di 90° + α con la direzione dello spostamento del carro. Se, invece, il treno subisce l'accelerazione a, il pendolo resta indietro rispetto alla sua precedente posizione di equilibrio di un certo angolo β, di modo che la deviazione totale del pendolo per rapporto al piano del carro, allorché questo è contemporaneamente esposto a una pendenza in salita e ad un'accelerazione a è β + α = ϕ. Se m è la massa del pendolo, la forza d'inerzia ma sarà in equilibrio col peso mg e la tensione N dell'asta del pendolo. Sarà allora:

Siccome l'angolo α è sempre molto piccolo, si può fare sen α = tg α e cos α = 1; è quindi g tg ϕ = a + g tg α. Ma abbiamo già trovato F = M (a + g tg α): perciò è anche F = Mg tg ϕ, da cui:

L'ergometro è disposto in maniera tale che il registratore traccia due diagrammi continui sovrapposti le cui ordinate sono proporzionali rispettivamente a tg ϕ ed a ʃ tg ϕ ds, risultato ottenuto nella maniera in seguito descritta.

Una leva capace di girare intorno a un asse verticale T (fig. 6) abbraccia alla sua estremità in forma di forchetta l'asta del pendolo; nella posizione di riposo la leva a forchetta forma con l'asta del pendolo un angolo retto. Ogni deviazione del pendolo in avanti o all'indietro della sua posizione di riposo di un angolo ϕ provoca una rotazione della forchetta di un angolo ψ nel suo piano orizzontale.

Durante lo spostamento dei due organi si ha ad ogni istante la relazione EO??? tg ϕ = ET??? tg ψ. In questa relazione le quantità EO??? ed ET??? sono determinate ed invariabili e possono essere scelte arbitrariamente per la costruzione dell'apparecchio. Si può, dunque, sostituire il rapporto ET???/EO??? con una costante C (costante dell'ergometro) e si avrà quindi:

Per registrare il valore C tg ψ sul diagramma un'asta HI, munita all'estremità della punta scrivente I, è articolata in H alla leva a forchetta TG. L'asta HI è guidata nella direzione del suo asse quindi la punta scrivente I registra sulla carta un'ordinata HK??? = TK??? tg ψ. Questa ordinata è, dunque, effettivamente proporzionale alla forza F.

La valutazione dell'espressione del lavoro L = ʃ tg ϕ ds si ottiene in modo analogo alla registrazione della velocità. Una sfera di acciaio (fig. 7) poggiante su una rotella C nel suo punto più basso è premuta da altra rotella C′ (le due rotelle C e C′ hanno la stessa proiezione sul disegno) contro le due rotelle A e B. Se la rotella B gira, la sfera è trascinata per attrito e prende anch'essa un movimento di rotazione intorno a un asse orizzontale parallelo all'asse di rotazione della rotella inferiore C. Questa rotella gira intorno a un perno orizzontale solidale all'estremità superiore dell'asse verticale passante per il punto T della figura precedente; la rotazione della rotella C intorno all'asse verticale è, dunque, eguale a quella della leva a forchetta, rotazione che a sua volta è determinata dalla deviazione del pendolo e dal valore di ψ. Per ogni rotazione della rotella B l'asse istantaneo di rotazione della sfera prenderà evidentemente una posizione tale che l'attrito al contatto con C risulti minimo, questo avverrà quando l'asse della rotella e l'asse istantaneo di rotazione della sfera saranno paralleli.

Il braccio di leva per il trascinamento della sfera da parte della rotella B è ER = ET cos ϕ. La rotella A è trascinata per aderenza dalla sfera ed il braccio di leva determinante il suo trascinamento è DS = DT sen ψ. La rotella B riceve il suo movimento da uno degli assi del carro: la sua rotazione è, dunque, proporzionale allo spazio percorso dal treno. Se la rotella B compie un arco s della sua circonferenza, la sfera subisce una rotazione corrispondente di un angolo δ intorno all'asse istantaneo ER. Se si ammette che al punto di contatto E non può prodursi alcuno strisciamento ma solo un rotolamento fra superficie che si toccano, la superficie della sfera compirà nel punto E un percorso eguale all'arco descritto da B; si avrà, dunque:

Ma poiché ER??? = ET??? cos ψ, sarà anche:

Chiamiamo ora y il percorso descritto dalla rote la B nella sua rotazione: si avrà DS???δ = y e poiché DS??? = DT??? sen ψ sarà anche y = DT???δ sen ψ. Se ne deduce, DT??? ed ET??? essendo eguali come raggi della sfera, y/s = tg ψ, da cui: y = s tg ψ; dy = tg ψ ds; y = ʃ tg ψ ds.

La rotazione totale della sfera è, quindi, data da A = C ʃ tg ψ ds = ʃ tg ψ ds e viene trasmessa a un'asta dentata munita alla sua estremità di una punta scrivente. Per poter contenere entro il nastro di carta il diagramma, che ha andamento crescente, si ricorre a un dispositivo che inverte il movimento della punta scrivente ogni qualvolta essa uscirebbe dai limiti della striscia. Il diagramma appare, cioè, come una linea a zig-zag.

Lo stesso principio del tachimetro e dell'ergometro può servire alla registrazione della potenza in cavalli. Si ha sempre una sfera di acciaio che riceve movimento da due rotelle A e B, la prima delle quali gira a velocità costante, mentre la seconda compie una rotazione proporzionale all'espressione L = C ʃ tg ψ ds, vale a dire al lavoro in kgm. sull'asta di trazione. L'asse della sfera farà ancora un angolo a, come quello definito per il caso del tachimetro e la velocità sarà ancora proporzionale a tg α. La potenza in cavalli essendo la derivata del lavoro sui tempi, sarà anch'essa proporzionale a tg α, che è pure la derivata dello spazio sui tempi (velocità). La registrazione si fa in modo analogo a quanto abbiamo detto per la velocità.

La fig. 8 rappresenta un esperimento dinamometrico completo.

Locomotive moderne. - La locomotiva a vapore attuale è macchina di forme antiche, volendosi con ciò dire che essa, pur essendo molto cresciuta di mole, non ha seguito l'evoluzione delle altre macchine, evoluzione intesa, in definitiva, ad accrescere il rendimento, oltre che a raggiungere alcuni scopi tecnici (elevazione della velocità, riduzione del peso per unità di potenza, ecc.). Oggi si può ritenere che il rendimento complessivo della locomotiva a vapore, inteso come rapporto fra il lavoro fornito al gancio e l'energia comunicata sotto specie di combustibile al focolare non superi l'8,50%. Bisogna guardarsi dal confondere il rendimento sull'asse delle motrici fisse col rendimento al gancio della locomotiva che, dovendo anzitutto trasportare sè stessa, sopporta la perdita speciale corrispondente alla sua resistenza al moto come veicolo; tuttavia, dal momento che negli impianti fissi alla macchina a stantuffo sono stati sostituiti con vantaggio la turbina a vapore e il motore Diesel, è naturale che vi sia la tendenza ad adattare queste macchine di maggior rendimento alla locomotiva, pur sapendo ch'essa si giova di forme semplici e grossolane, atte a garantire dal pericolo di avarie in marcia. Si aggiunga, restando nel solo campo della macchina a vapore in genere, che si sono ormai andate introducendo pressioni di lavoro molto elevate con vantaggio nel rendimento, mentre la locomotiva è rimasta alle pressioni modeste di 14 a 16 kg. per cmq. Tutto ciò spiega perché negli ultimi tempi si sia fatta una serie di tentativi che potranno portare alla prossima trasformazione di una macchina rimasta pressoché invariata nella sua intima consistenza durante tutto un secolo, in cui, specie nell'ultimo trentennio, le motrici termiche hanno subito perfezionamenti di grandissima portata.

I tipi che hanno formato oggetto dei nuovi studî si possono così classificare: locomotive con condensazione (a turbina); locomotive a elevate pressioni di vapore; locomotive a combustione interna.

L'introduzione del condensatore per abbassare la temperatura finale del ciclo termico non è compatibile con l'ordinario tipo di motore a stantuffo perché i cilindri diverrebbero troppo grandi; è necessario ricorrere alla turbina a vapore. Si può, poi, elevare la temperatura iniziale del ciclo termico adottando alte pressioni di vapore e un surriscaldamento molto elevato; ciò ha indotto i costruttori ad abbandonare la caldaia classica della locomotiva per sostituirla con una caldaia a tubi d'acqua, anche quando si mantiene il motore a stantuffo. Evidentemente i due principî si possono combinare, applicando nel tempo stesso la condensazione col motore a turbina e le alte pressioni.

Quanto a distinguere le caldaie a bassa da quelle ad alta pressione, pur non essendo state finora superate nella pratica corrente le 14 ÷ 16 atmosfere, si può adottare per la bassa pressione il limite delle 25 atmosfere, questo essendo il timbro più elevato compatibile con la caldaia a tubi di fumo. Si riserba la classifica ad alta pressione per le locomotive con pressioni di timbro comprese fra 25 e 225 atmosfere (pressione critica), benché dalle 100 atmosfere in su si possa parlare di altissime pressioni, per ora difficili a raggiungersi, nonostante i progressi della metallurgia. Oltre le 25 atmosfere occorrono caldaie di tipo speciale.

Nel suo aspetto esterno (fig. 9) la turbolocomotiva, di cui esistono più tipi (Zoelly, Krupp, Belluzzo, ecc.), mantiene essenzialmente il carattere costruttivo della locomotiva a stantuffi con tender separato. Nella parte anteriore del telaio sono le turbine e il rotismo di riduzione. Le turbine sono due: una per la marcia avanti, l'altra per la marcia indietro, e restano ai due lati del rotismo. Esse compiono sei a settemila giri al minuto. Nel tipo Krupp (fig. 10) gl'ingranaggi del riduttore sono elicoidali e azionano per mezzo di un asse di rinvio un falso albero disposto all'altezza degli assi accoppiati e collegato nel modo solito con le ruote motrici. Il condensatore è posto dopo le turbine.

La locomotiva a turbina ha bisogno di alcune macchine ausiliarie, consistenti nella pompa di circolazione d'acqua per il raffreddamento. nella pompa di alimentazione e nel compressore d'aria per i freni. Queste tre macchine vengono comandate per mezzo di tre alberi intermedî da una turbina apposita che manda anch'essa il suo scarico in uno dei condensatori. Altra piccola turbina comanda il ventilatore per il tiraggio, Di solito si ricorre a un preriscaldatore dell'acqua di alimentazione, situato nel tender.

L'acqua di alimentazione e il vapore compiono un circuito chiuso, dalla caldaia, attraverso le turbine e il condensatore, con ritorno alla caldaia. Alle perdite che si verificano durante questo percorso, dovute alla valvola di sicurezza, posta sulla caldaia, al vapore che sfugge attraverso le scatole a stoppa, ecc., viene supplito da uno speciale vaporizzatore, il quale fornisce pure il vapore alla condotta del tiraggio.

Gli apparecchi ausiliarî delle locomotive a turbina sono dal più al meno grandi consumatori di energia. Inoltre il condensatore non può lavorare in modo così perfetto come nelle turbine di impianti fissi perché la quantità di acqua refrigerante è limitata e quindi si ha un piccolo grado di vuoto. Si sono registrate economie di consumo di combustibile rispetto alla locomotiva a stantuffo perfino del 40%, ma in percorsi con pochissime fermate. In servizî normali l'economia si riduce a metà. La locomotiva a turbina è molto costosa come spesa d'impianto e richiede anche maggiori spese di riparazione.

Per le locomotive ad alta pressione si adottano caldaie a tubi d'acqua di sistemi diversi. La fig. 11 rappresenta la caldaia della locomotiva Schmid-Henschel a pressione di 60 atm., che ha un corpo cilindrico riscaldato indirettamente da una serpentina contenente vapore a 90 kg./cmq.

Il principio delle alte pressioni dà luogo ad alcune complicazioni nella costruzione delle locomotive, minori però di quelle richieste dal principio della condensazione. La vittoria resterà alle forme semplici. La locomotiva ad alta pressione e a scappamento, che non esige apparecchi ausiliarî complicati, sembra destinata a sostituire íl tipo attuale, offrendo un' economia di combustibile che alcuni valutano al 30%.

Il rendimento del motore Diesel è, come si sa, molto elevato. Si può raccogliere sull'albero dal 32 al 35% dell'energia comunicata col combustibile. Nel caso della locomotiva bisogna togliere da questa cifra almeno il 10%, rappresentato dalle perdite fra l'asse motore e il gancio di trazione; ma poi si deve tener conto che l'olio pesante costa, a pari potere calorifico, dal doppio al triplo del carbon fossile. Il motore Diesel esige di per sé alcuni apparecchi ausiliarî (una sorgente di energia per l'avviamento, ecc.) ma, applicato alla locomotiva, presenta dei difetti ai quali non si può ovviare senza aggiungere nuovi apparecchi supplementari, come il refrigerante dell'acqua e soprattutto un mezzo elastico di trasmissione fra l'albero del motore e le ruote motrici. La locomotiva a motore Diesel diviene perciò più complicata, più pesante e più costosa (dal 50 al 100 per cento) di una locomotiva a vapore del tipo abituale. Tuttavia i tipi di locomotive Diesel di nuova costruzione sono già numerosi, con prevalenza di quelli di piccola mole e potenza ridotta, anche sotto forma di automotrici.

Noi ci riferiremo alle vere e proprie locomotive a combustione interna, che si possono classificare secondo il sistema di trasmissione. La più usata è la trasmissione elettrica (il motore Diesel alimenta una dinamo la cui corrente va al motore elettrico) che si presta a una perfetta regolazione. Si è ricorso, poi, alla trasmissione idraulica, che però non ha risposto alle previsioni; in qualche caso le perdite fra il motore e il gancio hanno raggiunto il 58% della potenza indicata.

La trasmissione pneumatica, anch'essa sperimentata, presenta alcuni vantaggi. Anzitutto permette di utilizzare il calore dei gas di combustione e dell'acqua refrigerante per riscaldare il fluido motore, aumentando in questo modo il rendimento termico della macchina. Però presenta numerose difficoltà non ancora risolte. Una macchina da 1000 HP costruita in Germania funziona con l'aria compressa a 7 atmosfere, surriscaldata col calore dei gas di scappamento a 320° circa.

La trasmissione meccanica è stata adottata con successo dal russo prof. Lomonosov su una macchina posta in funzione sulle ferrovie sovietiche. Il rendimento raggiunto sarebbe del 29,4% mentre la Diesel elettrica non ha superato il 25%.

I calcoli di convenienza nel confronto dei varî tipi sono piuttosto difficili perché, oltre a tener conto del costo di acquisto, del rendimento e del costo del combustibile, non bisogna dimenticare le spese dí riparazione. D'altra parte il percorso chilometrico annuale della locomotiva è, in generale, molto scarso, aggirandosi sui 25 ÷ 30 mila chilometri, pari a due o tre ore d'impiego al giorno. Questa osservazione chiarisce perché sono in generale preferibili le macchine di scarso costo di primo impianto anche se di costoso esercizio.

Vanno segnalate altre novità intese a perfezionare la comune macchina a stantuffo.

Un tentativo di perfezionamento che sembra molto promettente, sebbene non si sia ancora diffuso, è quello che fa capo all'impiego del carbone polverizzato. La polvere di carbone viene immagazzinata in un serbatoio a tramoggia situato nel tender al posto delle vecchie casse per il carbone; una coclea cura l'alimentazione in polvere di carbone e un ventilatore dà l'aria che, mescolata al carbone, entra nel fornello attraverso alla piastra forata che chiude una specie di ugello o bruciatore. La regolazione della combustione si ottiene modificando il numero di giri delle coclee (queste sono almeno due, ma se ne possono avere anche più e ad ogni coclea corrisponde un bruciatore) in modo da aumentare o diminuire la quantità di polvere di carbone trasportata e introducendo in conseguenza una diversa quantità di aria. Il movimento del ventilatore e delle coclee alimentatrici è ottenuto per mezzo di una turbinetta a vapore, sull'albero della quale è calettata la parte mobile del ventilatore. I vantaggi che si attribuiscono all'applicazione della combustione a carbone polverizzato alle locomotive consistono nella possibilità di adoperare combustibile di poco prezzo, come lignite, detriti di miniera, ecc., nella facilità di adattamento della combustione alle esigenze dell'esercizio (si può adattare la produzione di vapore alle oscillazioni del consumo e far minore assegnamento sulla caldaia come serbatoio, ciò che porta alla riduzione del volume d'acqua in caldaia), nella rapidità di entrata in pressione, giacché una caldaia a combustione di carbone polverizzato giunge rapidamente ad alta temperatura (si riduce così il periodo preparatorio dell'accensione e si risparmia il corrispondente consumo di carbone: analogo effetto si ha durante le fermate) nel maggior rendimento, nella diminuita fatica del personale.

A parte ciò, si avverte il bisogno di far macchine di mole sempre maggiore perché, accrescendo la potenza di traziooe e perciò la velocità e il peso dei treni, si migliora il rendimento economico delle ferrovie (con la velocità si attiva maggior traffico, coi grandi treni si riduce il costo dell'esercizio). Le locomotive occupano sempre più la sagoma ferroviaria (spazio libero disponibile entro il contorno delle opere d'arte) sino ad assumere forme nuove. La locomotiva rappresentata dalla fig. 12, costruita recentemente in Inghilterra, oltre all'aspetto originale ha particolarità interessanti. Per raggiungere un'elevata pressione di timbro (kg. 31,60 per cmq.) si è ricorso alla caldaia a tubi d'acqua. Sul davanti il fumaiolo è abolito del tutto e il fasciame si protende a forma di ali che portano in alto il fumo e attenuano il rumore del vapore di scappamento, ciò che ha valso alla macchine il nome di Hush-Hush (zitta-zitta). Il corpo cilindrico ha perduto la sua forma abituale occupando tutta la sagoma.

Locomotiva elettrica.

Macchina che utilizza l'energia elettrica per rimorchiare treni ferroviarî per viaggiatori o merci. Una locomotiva elettrica è composta di un telaio d'acciaio portato da ruote di guida e motrici. A queste ultime è trasmesso lo sforzo di trazione dai motori elettrici a mezzo di bielle o ingranaggi. Sul telaio è montata la cabina, nell'interno della quale si trova il complesso degli apparecchi per regolare la velocità nonché quelli di controllo e misura dei circuiti elettrici e delle condutture pneumatiche per i freni. Sul tetto della cabina si trova l'apparecchio, chiamato pantografo, per captare la corrente dalla linea di contatto quando questa sovrasta i binarî, mentre, se esiste una linea di contatto a terza rotaia, l'apparecchio di presa della corrente, chiamato pattino, è fissato alle boccole degli assi delle ruote.

L'idea di realizzare veicoli elettrici si fa risalire all'americano Th. Davenport, che (1834) costruì il primo automobile in cui le ruote erano mosse da un motore elettrico alimentato da una batteria di pile, unica sorgente di energia elettrica allora conosciuta. Nel 1838 lo scozzese Robert Davidson eseguì alcune prove con una locomotiva elettrica del peso di 5 tonn. sulla ferrovia Edimburgo-Glasgow. Nel 1851 C. G. Page e in seguito varî altri fecero tentativi analoghi, rimasti però senza seguito perché mancava allora una sorgente economica di energia elettrica. L'invenzione della dinamo (1864-1870) permise di produrre l'energia elettrica economicamente e con alto rendimento in stazioni fisse. L'idea di alimentare la locomotiva da una stazione fissa servendosi delle rotaie come conduttori, attribuita a Henry Pinkus (1844), perfezionata dal piemontese Alessandro Bessolo (1845), fu applicata praticamente da Werner von Siemens alla locomotiva che figurava all'Esposizione industriale di Berlino nel 1879 (fig. 13). La potenza di tale locomotiva era di 3 HP, la velocità di 7 km/ora; la linea di contatto era costituita da una terza rotaia alimentata da una dinamo alla tensione di 150 volt; la presa di corrente era costituita da un pattino; lo sforzo di trazione era trasmesso dal motore alle ruote a mezzo d'ingranaggi cilindrici e conici. Locomotive elettriche per miniere, e quindi per scopo industriale, furono costruite in America da F. Sprague fino dal 1880 (fig. 14) destinate a sostituire le locomotive a vapore che, a causa del fumo e dei gas sviluppati, davano serî inconvenienti nelle gallerie. Per gli stessi motivi nel 1895 fu iniziato per la prima volta su una linea ferroviaria propriamente detta un servizio con locomotive elettriche nel tunnel di Baltimora e nel 1901 per le stesse ragioni, s'iniziò l'esercizio con locomotive elettriche nel tratto sotterraneo tra le stazioni del Quai d'Orsay e di Austerlitz a Parigi. Spetta invece all'Italia il primato per avere previsto sin dal 1897 (Commissione governativa per lo studio dell'applicazione della trazione elettrica sulle ferrovie) l'impiego di locomotive elettriche in sostituzione di quelle a vapore per i servizî ferroviarî di ogni genere e in vista di vantaggi economici e tecnici, e di avere eseguito, a partire dal 1900, i primi esperimenti su linee di notevole lunghezza (Valtellina, km. 106, e Milano-Varese, km. 60) con locomotive elettriche di potenza notevole (kW 1200).

Parte meccanica delle locomotive elettriche. - A differenza delle locomotive a vapore, nelle quali è stata raggiunta abbastanza presto una notevole uniformità di criterî di costruzione, le locomotive elettriche presentano ancora oggi, dopo quasi quarant'anni dalla loro prima apparizione, diversità notevoli di concezione, sia per quanto riguarda la parte elettrica, sia, in particolare, per quanto riguarda la parte meccanica. Soprattutto esiste una notevole diversità di sistemi per trasmettere il movimento dai motori alle ruote.

Fino a qualche anno fa, l'impiego degl'ingranaggi si riteneva adatto solo nel caso di potenze poco elevate. Un sistema di trasmissione a ingranaggi, ideato dall'americano Sprague e applicato largamente sin dagli inizî nei veicoli tramviarî, ha potuto essere applicato a locomotive elettriche di notevole potenza (400 e più kW per asse motore) solo in questi ultimi anni, per i progressi realizzati sia nel materiale di cui gli ingranaggi sono costituiti, sia nel procedimento di taglio dei denti. Nelle ricordate prime locomotive del tunnel di Baltimora non si ritenne di adottare né gl'ingranaggi né altri sistemi di trasmissione: gl'indotti dei motori erano direttamente montati sugli assi, mentre gl'induttori bipolari erano fissati al telaio. Nelle prime locomotive della Valtellina (fig. 24) gl'indotti dei motori di trazione erano montati su un asse cavo concentrico all'asse delle ruote. La trasmissione dello sforzo motore tra l'asse cavo e le ruote si effettuava attraverso un parallelogrammo articolato che permetteva gli spostamenti relativi tra la sala delle ruote e il motore sospeso al telaio. In seguito (1903), per rendere più rapido e facile lo smontaggio dei motori, si preferì ricorrere a bielle triangolari che collegano i bottoni di manovella dei due motori di trazione sospesi al telaio e presentano in corrispondenza del perno di manovella di una ruota motrice intermedia ai due motori una finestra rettangolare che permette al cuscinetto di trasmettere gli sforzi orizzontali, ma lascia libertà per gli spostamenti verticali reciproci tra perno di manovella della ruota e biella triangolare dovuti al molleggiamento della sospensione. Le ruote motrici erano accoppiate, come nelle locomotive a vapore, con bielle e manovelle.

Nel 1911 vennero anche adottati sistemi con manovelle, bielle e alberi di rimando (fig. 15 A). Più recentemente (1924-1927) sono state impiegate bielle triangolari articolate prive di finestre rettangolari ideate da von Kando (fig. 15 B, D) e da G. Bianchi (fig. 15 C, E). Per le locomotive con due soli grossi motori di trazione a numero elevato di giri e un numero maggiore di assi motori si sono impiegate trasmissioni miste a ingranaggi, manovelle e bielle del tipo indicato alla fig. 15 F.

Per i notevoli progressi realizzati nella costruzione degl'ingranaggi, per i quali vengono usati acciai ternarî o quaternarî aventi una resistenza alla trazione di oltre 100 kg/mmq., un allungamento superiore al 13% e un valore di resilienza superiore a 10 kgm./cmq., attualmente si è di nuovo data la preferenza alla trasmissione con ingranaggi, anche per locomotive di grande potenza. Il detto sistema, applicato dapprima solo a vetture tramviarie o locomotive di piccola potenza, è ora impiegato anche in locomotive di potenza superiore a 400 kW per asse motore (fig. 18). Con questo sistema una parte del peso del motore grava direttamente sulla sala e quindi sul binario, senza interposizione di molle. Questa circostanza può essere causa di sollecitazioni verticali e trasversali nocive al binario. Per questa ragione il sistema è applicato quando il peso per asse e la velocità della locomotiva sono relativamente piccoli.

Quando il peso per asse e la velocità e la potenza da trasmettere sono notevoli, nelle locomotive di recente costruzione si è adottato il criterio di collegare i motori rigidamente al telaio in modo che il loro peso resta completamente sospeso sulle molle interposte fra telaio e assi delle ruote. La trasmissione del moto si effettua mediante ingranaggi dall'asse dei motori a un asse intermedio, che è pure collegato rigidamente al telaio della locomotiva e da questo alle ruote mediante sistemi con bracci articolati o con molle.

Nella fig. 17 è rappresentato il sistema Westinghouse, secondo il quale il movimento è trasmesso da due motori gemelli mediante ingranaggi all'asse intermedio che è cavo e concentrico all'asse della ruota. La trasmissione dello sforzo a quest'ultima è effettuato da molle a elica interposte tra una serie di bracci sporgenti dall'albero cavo e altri collegati alle ruote. La fig. 19 rappresenta il sistema analogo Sécheron, in cui le molle di una stessa ruota lavorano per metà per compressione e per trazione. La fig. 16 rappresenta il sistema Kleinow, nel quale le molle a elica sono sempre sollecitate a compressione. La fig. 20 rappresenta il sistema Bianchi impiegato nelle locomotive ad alta velocità a corrente continua a 3000 volt, nel quale le molle sono a foglie piatte sovrapposte con staffe sagomate in modo da limitare lo sforzo massimo delle foglie. La fig. 22 rappresenta il sistema Brown-Boveri con asse intermedio esterno alla locomotiva e trasmissione tra questo e le ruote con biellette, la fig. 21 il sistema Būchli con doppio asse di rimando e la fig. 23 un sistema con motori ad asse verticale, ingranaggi conici e asse cavo. La disposizione del telaio e delle ruote delle locomotive sono in stretta dipendenza del sistema usato per trasmettere il movimento dai motori alle ruote. Nelle locomotive munite di bielle, ad es. in quelle trifasi, si ha un unico telaio rigido sul quale sono fissati i motori e montato sugli assi delle ruote come nelle locomotive a vapore. Per locomotive a velocità lenta (50 km./ora) si hanno sino a cinque assi accoppiati e nessun asse di guida (locomotiva E. 550, fig. 26) mentre nelle locomotive a più alta velocità esistono oltre il telaio principale due carrelli di guida simili a quelli delle locomotive a vapore (locomotive E. 360; fig. 25). Disposizioni analoghe si hanno nelle locomotive con trasmissione mista a ingranaggi e bielle.

Le locomotive che impiegano il sistema di trasmissione usato nei tram hanno telai composti di più carrelli collegati tra loro direttamente mediante snodi attraverso i quali passa lo sforzo di trazione ovvero non collegati, nel qual caso lo sforzo di trazione è trasmesso attraverso il telaio della cabina sovrapposta.

Le locomotive che hanno il comando indipendente degli assi possono avere il telaio sia di tipo rigido (locomotive E. 326), sia del tipo articolato (locomotive E. 428) a seconda delle necessità per l'iscrizione in curva.

La tendenza attuale è di costruire locomotive a comando individuale degli assi con ingranaggi, anziché a comando collettivo con bielle e manovelle. Nelle locomotive a comando individuale il numero dei motori è necessariamente eguale almeno a quello degli assi motori della locomotiva o anche doppio nei tipi in cui due motori gemelli agiscono su uno stesso asse. Non mancano esempî di locomotive a comando individuale con 12 motori di trazione.

In base a una convenzione internazionale, si usa indicare la disposizione delle ruote portanti e motrici, quella dei telai e delle cabine nonché il sistema di trasmissione con una notazione simbolica, secondo la quale gli assi delle ruote portanti, a seconda del loro numero, sono indicati con cifre arabiche, gli assi delle ruote motrici sono designati con le lettere maiuscole delle quali l'ordine nell'alfabeto indica senz'altro il numero degli assi quando questi sono accoppiati con bielle mentre, se sono a comando individuale, la lettera è seguita dall'indice 0 in basso. Ad es. la locomotiva della fig. 36 è indicata con la notazione B0B0; quella della fig. 26 con 0 E 0.

Locomotive elettriche di varî sistemi. - A seconda delle caratteristiche della corrente di alimentazione, che è trifase, monofase o corrente continua, gli apparecchi elettrici montati sulla locomotiva differiscono sostanzialmente.

Le locomotive trifasi sono state create con l'intendimento di utilizzare il più semplice tipo di motore: quello asincrono trifase. Una prima applicazione di questo tipo di motore fu fatta nel 1896 alle tramvie di Lugano. Successivamente nel 1899 fu elettrificata la linea Burgdorf-Thun delle ferrovie del Bernina e costruita la prima locomotiva trifase a due assi con due motori a 16 poli della potenza di 110 kW ciascuno. Nel 1901 entrava in servizio la prima locomotiva della Valtellina gruppo E. 430 (fig. 24) dei peso di 48,2 tonnellate, avente lo schema B0B0, della potenza di 440 kW e con velocità di 33 km/ora. Per facilitare il progetto di queste prime locomotive e in particolare l'adozione dei due sistemi ritenuti allora i soli praticamente possibili per trasmettere il moto dai motori alle ruote, quello con motore ad asse cavo e quello a bielle (con i quali i motori hanno necessariamente lo stesso numero di giri delle ruote), la frequenza della corrente fu scelta di 15 periodi (in seguito 16 2/3). In tal modo con diametri di ruote tra 1 e 2 metri il numero di poli dei motori è compreso tra 4 e 12. La tensione della linea di contatto fu scelta di 3000 volt ritenendosi allora di non poter captare con uno strisciante su filo di contatto una corrente superiore a 200 ampère. La fig. 24 rappresenta le locomotive E. 430 aventi la trasmissione con parallelogramma mentre la fig. 25 rappresenta le locomotive E. 360, le prime munite di biella triangolare. Nel 1910 entrarono in servizio le prime locomotive E. 550 (fig. 26) aventi lo schema 0 E 0 del peso di 60 tonn., potenza 1500 ḱW, velocità 25 e 50 km/ora. Lo schema dei circuiti elettrici di queste locomotive che, salvo cambiamenti non sostanziali, è rimasto immutato anche per i tipi di maggiore potenza successivamente costruiti, è rappresentato nella fig. 27.

L'apparecchio di presa di corrente usato nella maggioranza delle locomotive trifasi presenta due striscianti per ogni fase a distanza di 8 a 9 metri in modo da permettere la captazione della corrente senza interruzione anche in corrispondenza degli scambî. Dalla presa la corrente passa all'interruttore che nel tipo più recente serve anche da invertitore cioè scambia tra loro due delle tre fasi di alimentazione dei motori.

Nella generalità le locomotive trifasi hanno due soli motori di trazione che nelle locomotive per servizio merci possono sviluppare due velocità (25 e 50 km./ora) accoppiando rispettivamente i due motori in cascata o in parallelo a mezzo di apposito commutatore (controller) il cui schema è visibile nella fig. 27. Nelle locomotive per servizio viaggiatori, per realizzare quattro velocità di marcia (generalmente 37,5; 50; 75 e 100 km./ora), i motori di trazione hanno gli avvolgimenti costruiti in modo da realizzare due numeri di poli ad es. 6 e 8 ovvero 8 e 12. Per ottenere la velocità più bassa, i motori sono connessi in cascata, come nel caso anzidetto, commutati per il numero di poli più elevato. Per ottenere la seconda velocità, si commutano gli avvolgimenti per il numero dei poli più piccolo e i due motori sono collegati ancora in cascata. Le due velocità superiori sono ottenute collegando i motori in parallelo con gli avvolgimenti commutati prima al numero di poli più elevato e per l'altra velocità a quello più piccolo. Nelle ultime locomotive trifasi gruppo E. 432 (del 1927), i motori di trazione hanno il tipo di avvolgimento Bianchi che permette di ottenere 6, 8 e 12 poli cioè 100, 75 e 50 km./ora, con i motori connessi in parallelo, rendendo così inutile l'accoppiamento in cascata che presenta un fattore di potenza e sforzi di trazione poco elevati. La fig. 28 rappresenta uno dei motori di trazione delle locomotive E. 432; gli avvolgimenti dello statore per mezzo di un commutatore fissato nella parte superiore del motore stesso sono collegati da prima sì da ottenere 12 poli (50 km./ora) e quindi connessi alla linea di alimentazione trifase a 3400 volt. Gli avvolgimenti del rotore fanno capo a 13 anelli collettori collegati al reostato di avviamento. L'avviamento è ottenuto inserendo una resistenza fra i 13 terminali del rotore che fanno capo al reostato a liquido di cui si dirà. Gli avvolgimenti del rotore senza bisogno di alcuna commutazione assumono lo stesso numero di poli dello statore.

Effettuato l'avviamento fino alla velocità di 50 km./ora, per passare alla velocità superiore di 75 km./ora si escludono da prima le resistenze di avviamento del rotore e quindi viene aperto l'interruttore principale, i commutatori dei poli ruotano in modo da realizzare la connessione per 8 poli dopo di che l'interruttore si chiude e il guidatore può di nuovo inserire le resistenze di avviamento per portare la velocità da 50 a 75 km./ora. Analogamente si opera per portare la velocità da 75 a 100 km./ora. In corrispondenza di questa velocità i motori hanno 6 poli e l'avvolgimento dello statore di ciascun motore risulta bifase. Gli avvolgimenti corrispondenti dei due motori sono collegati in serie. Come si è detto, il rotore assume automaticamente lo stesso numero di poli assegnato allo statore: in corrispondenza di 12 poli l'avvolgimento del rotore è bifase; a 8 poli è esafase e a 6 poli ottofase.

Il reostato di avviamento delle locomotive trifasi è costituito da una cassa metallica avente una camera nella quale si trovano delle piastre di ferro costituenti gli elettrodi che sono collegati alle varie fasi dell'avvolgimento del rotore. Come risulta dalla fig. 29, nella camera degli elettrodi giunge dalla parte inferiore una soluzione al 2% di carbonato di soda in acqua. La corrente passa da un elettrodo a un altro attraverso questa soluzione il cui livello rispetto agli elettrodi cresce man mano, riducendo il valore della resistenza inserita tra gli avvolgimenti del rotore. Nella figura risultano gli organi di regolazione e accessori: la pompa che fa circolare la soluzione sodica nella camera degli elettrodi, il refrigerante e relativo ventilatore.

Locomotive trifasi a frequenza industriale. - Come si è accennato, la frequenza di 16,7 periodi per la corrente di alimentazione delle locomotive fu scelta agl'inizî dell'applicazione del sistema trifase per evitare l'impiego d'ingranaggi e ridurre la velocità di rotazione dei motori a essere la stessa delle ruote, in modo da poter usare una trasmissione diretta tra motori e ruote o con albero cavo o con bielle. Il perfezionamento dei materiali e dei procedimenti di costruzione hanno reso possibile realizzare ingranaggi trasmettenti potenze di varie centinaia di kW facendo cessare le ragioni di limitare a 16,7 periodi la frequenza della corrente. Nel 1920 fu decisa, a titolo di esperimento, la costruzione di locomotive trifasi alimentate da corrente a 10.000 volt a 45 periodi. Queste locomotive rispetto alle trifasi a bassa frequenza hanno in più un trasformatore che riduce la tensione da 10.000 a 800 ÷ 1000 volt per l'alimentazione dei motori; la trasmissione è doppia a ingranaggi e a bielle.

Nonostante i numerosi perfezionamenti apportati alle locomotive trifasi permangono due difetti insormontabili: la complicazione della linea di contatto, specie in corrispondenza degli scambî e degli organi di presa di corrente, e l'impossibilità di regolare in modo economico e con piccoli scarti la velocità, come occorre specie per i treni a grande velocità. Principalmente per tali ragioni le locomotive trifasi, dopo essere state impiegate per trenta anni in Italia, saranno sostituite, nelle nuove elettrificazioni, da locomotive a corrente continua.

Locomotive monofasi. - Lo studio delle locomotive monofasi ha trovato le sue ragioni nei vantaggi che presenta la linea di contatto a una sola polarità e tensione elevata in confronto della linea trifase più complicata e di quella a corrente continua che, fino a che la tensione era limitata a qualche centinaio di volt, era pesante e costosa e nel pregio di poter regolare entro ampî limiti la velocità di marcia in modo economico. Le difficoltà maggiori delle locomotive monofasi consistevano nei problemi costruttivi e di funzionamento dei motori di trazione. Il motore monofase a induzione non si può impiegare data la scarsa coppia motrice all'avviamento e la limitata possibilità di sovraccarichi. D'altra parte i motori monofasi a collettore di potenza alquanto elevata non si possono alimentare a 42 o 50 periodi perché la commutazione al collettore e specie lo scintillamento divengono intollerabili. Lo scintillamento è dovuto al fatto che nella spirale messa in corto circuito dalle spazzole al momento della commutazione, il flusso prodotto dal campo principale induce una forza elettromotrice in modo analogo a quanto si avrebbe in una spirale secondaria d'un trasformatore chiusa in corto circuito.

Queste difficoltà apparvero, agl'inizî delle applicazioni della trazione elettrica, così grandi che nei paesi, come ad es. la Svizzera, che hanno poi in seguito largamente applicato il sistema monofase, per le prime applicazioni si preferì ricorrere al sistema trifase. Il primo tipo di motore di trazione monofase con collettore, di funzionamento abbastanza soddisfacente, fu studiato nel 1901 da G. Winter e F. Eichberg, i quali aggiunsero sul collettore due spazzole per ogni coppia di poli disposte secondo la linea dei poli principali (e quindi in quadratura rispetto a quelle che portano la corrente) e riunite tra loro in corto circuito. Il rotore funziona così rispetto all'induttore come il secondario di un trasformatore rispetto al primario, riduce e compensa l'induttanza del primario, e quindi il fattore di potenza resta migliorato.

In ogni modo fino da questi primi esperimenti si riconobbe indispensabile, per ottenere una commutazione accettabile, di abbassare a 25 periodi la frequenza della corrente di alimentazione. Una prima applicazione dei motori anzidetti fu fatta alle automotrici della linea Niederschöneweide-Spindlersfeld in Germania. Successivamente, nel 1905, in seguito a studî compiuti da Ben Echemburg e da altri, la costruzione del motore monofase fece i progressi sostanziali che, senza grandi mutamenti di principio, sono applicati anche oggi.

In sostanza i motori monofasi di trazione presentano le seguenti caratteristiche: frequenza della corrente di alimentazione 16 2/3 periodi (Europa) o 25 periodi (America); il motore monofase di tipo moderno ha un avvolgimento di eccitazione in serie e in più un avvolgimento di compensazione e un altro di commutazione; i tre avvolgimenti montati sono visibili nella fig. 30 mentre nella fig. 31 sono mostrati gli avvolgimenti separati. La fig. 32 mostra lo schema di avvolgimento d'uno di tali motori. In parallelo con l'avvolgimento dei poli di commutazione è una resistenza ohmica con la quale si ottiene che la corrente di eccitazione e il flusso dei poli ausiliarî di commutazione sia direttamente in opposizione rispetto alla corrente del rotore. In tal modo le tensioni indotte nella spira del rotore che è cortocircuitata dalle spazzole, e che risultano dalla somma della forza elettromotrice indotta dalla rotazione e da quella indotta come nel secondario di un trasformatore dal campo principale, vengono presso a poco a equilibrarsi. Per migliorare la commutazione, fino a qualche anno fa, le connessioni tra gli avvolgimenti e le lamelle del collettore erano costituite da conduttori di notevole resistenza ohmica. Attualmente tali resistenze non sono più usate.

Il numero di poli dei motori monofasi è di 12 o 16. La tensione di alimentazione secondo i casi varia da 250 a 600 volt.

Nella fig. 33 è rappresentato lo schema di una locomotiva monofase. Il pantografo - dovendo captare, a parità di potenza della locomotiva, corrente meno intensa che con gli altri sistemi - è di tipo assai leggiero. La pressione dello strisciante contro il filo è compresa tra 3,5 e 7 kg. L'interruttore principale è del tipo in olio, ma sono stati sperimentati anche tipi a soffio d'aria. Il trasformatore è generalmente immerso in olio, che è fatto circolare mediante pompa in refrigeranti esposti all'esterno della locomotiva ovvero interni, nei quali è fatta soffiare aria mediante un ventilatore. Il primario del trasformatore è alimentato dalla linea di contatto, mentre il secondario dispone di numerose prese di tensione per l'alimentazione dei motori (intorno a 600 volt), per il riscaldamento del treno a 1000 volt e per i servizî ausiliari.

La fig. 34 rappresenta l'insieme di un trasformatore col relativo inseritore. Il trasformatore è generalmente piazzato nella parte centrale della locomotiva e in vicinanza sono installati i contattori per la regolazione della tensione di alimentazione dei motori.

Il sistema di comando ha molta somiglianza con quello delle locomotive a corrente continua, soltanto che nelle locomotive monofasi i motori sono sempre connessi in serie o in parallelo. Per evitare che la corrente di alimentazione dei motori venga interrotta quando si passa da una presa a un'altra per regolare la velocità, è necessario intercalare una resistenza sufficiente tra due prese successive del trasformatore in modo analogo a quanto si pratica nei regolatori di tensione delle batterie di accumulatori. In altri sistemi si è riusciti a ridurre il numero delle prese al trasformatore (sei per es.), e per mezzo di bobine ausiliarie o trasformatore di transizione e di contattori si ottengono venti tensioni differenti per alimentare i motori.

Nella fig. 35 è rappresentata una delle più moderne locomotive monofasi del peso di 235 tonn. avente una potenza di 4500 kW e la velocità massima di 100 km./ora.

Locomotive con convertitori a bordo. - Queste locomotive sono alimentate con corrente monofase dalla linea di contatto e con un convertitore speciale a bordo della locomotiva la corrente è trasformata in trifase o in continua per alimentare i motori di trazione. Lo scopo principale è l'impiego di una corrente a frequenza elevata per l'alimentazione, che, come si è detto, non è ammissibile con motori monofasi a collettore.

Recentemente sono state studiate locomotive aventi a bordo, oltre che il trasformatore, un raddrizzatore a vapore di mercurio con griglia polarizzata, il quale alimenta i motori di trazione del tipo a corrente continua.

Questi tipi di locomotive possono essere convenienti su linee nelle quali si effettuano pochi treni. In tal modo la maggiore complicazione delle locomotive compensa la semplificazione che risulta per gl'impianti fissi d'alimentazione.

Locomotive a corrente continua. - Il motore a corrente continua è stato adoperato nella trazione tramviaria e ferroviaria prima di ogni altro tipo. La tensione di alimentazione dei motori a corrente continua non superò i 600 ÷ 750 volt fino a tanto che i problemi della commutazione non furono completamente noti e risolti con l'uso dei poli di commutazione. Altre difficoltà presentarono in principio gl'interruttori e le altre parti dell'apparecchiatura destinate ad aprire i circuiti a corrente continua, specialmente quando l'intensità superava qualche centinaio di ampère.

La prima locomotiva a corrente continua di potenza notevole alimentata a 650 volt da una terza rotaia è quella già ricordata, costruita nel 1895 in America per la linea in parte sotterranea lunga 6 km. dalla città di Baltimora al fiume Patapsco. Gl'indotti dei motori erano calettati direttamente sugli assi delle ruote e le espansioni polari (due poli) fissate al telaio della locomonva.

Numerose altre locomotive a corrente continua a tensione intorno a 650 volt furono costruite tanto in America quanto in Europa nel primo decennio del secolo. In Italia fu messa in servizio nel 1901 sulla linea Milano-Varese la locomotiva E. 420 (fig. 36) della potenza di 320 kW a due carrelli e quattro motori a sospensione tramviaria. La presa di corrente per terza rotaia è rappresentata nella fig. 37. Per locomotive di qualche migliaio di kW la tensione di 650 volt dava luogo a intensità di corrente assorbita di varie migliaia di ampère creando difficoltà sia per la caduta di tensione in linea, sia per l'apparecchiatura della locomotiva, ingombrante e costosa.

A partire dal 1911 la General Electric Co. di Schenectady N. Y. realizzò una serie di perfezionamenti di carattere essenzialmente pratico, tanto ai motori di trazione quanto all'apparecchiatura elettrica (interruttori e contattori), che permisero nel 1913 la costruzione di locomotive per la linea Butte-Anaconda alimentate alla tensione di 2400 volt del peso di 73 tonn. aventi lo schema B0B0, con quattro motori a sospensione tramviaria a due a due connessi permanentemente in serie della potenza complessiva di 1200 kW.

Nel 1915 seguivano le locomotive della linea Chicago-Milwaukee e St Paul a 3000 volt della potenza di 3000 kW.

Da allora gl'impianti e le locomotive a corrente continua a 1500 e 3000 volt si diffusero dappertutto. In particolare in Italia nel 1920 venne elettrificata la linea Torino-Lanzo a 4000 volt con locomotive e automotrici aventi lo schema B0 − B0 con quattro motori a 2000 volt connessi in serie, e nel 1927 la linea Benevento-Foggia con le locomotive E. 626 di tipo B0B0B0 (fig. 38).

Queste locomotive sono munite di sei motori di trazione; per ottenere una prima velocità i sei motori di trazione sono collegati tra loro in serie, una seconda velocità è ottenuta collegando i motori in serie di tre e le due serie tra loro in parallelo. La terza velocità è ottenuta collegando i motori in serie a due a due e le tre serie in parallelo fra loro. In corrispondenza di ciascuna velocità può essere indebolita la corrente di eccitazione, in modo che in totale si hanno 6 velocità economiche di marcia.

L'apparecchio di presa di corrente (pantografo) è visibile nella figura, il sollevamento è ottenuto mediante aria compressa agente in un cilindro munito di stantuffo.

Per l'interruzione e chiusura dei circuiti vengono usati i cosiddetti contattori. Il contatto mobile è spinto contro quello fisso da uno stantuffo azionato dall'aria compressa (contattori elettropneumatici) o da un'elettrocalamita (contattori elettromagnetici) e aperto per azione di una molla antagonista o di un peso. L'arco che si stabilisce all'apertura dei contatti viene soffiato per l'azione di un campo magnetico creato da una spirale percorsa dalla stessa corrente da interrompere (figura 39). Tre contattori in serie servono a interrompere la corrente totale di alimentazione. In alcune locomotive si usa a questo scopo uno speciale interruttore rapido.

Le resistenze di avviamento sono costituite da griglie di ghisa (fig. 40) che vengono messe successivamente in corto circuito da contattori la cui chiusura avviene in ordine prestabilito determinato dalla rotazione del banco di manovra. Nella fig. 41 è rappresentato il posto di comando di una locomotiva E. 626. Il raggruppamento dei motori in serie, serie-parallelo e parallelo è pure ottenuto con contattori mossi generalmente da un albero a camme che determina la chiusura e l'apertura dei contatti in ordine prestabilito e senza interrompere lo sforzo di trazione.

I motori di trazione di costruzione recente sono tutti muniti di poli di commutazione e qualche volta, oltre a questi, anche di avvolgimento di compensazione. Nelle locomotive a 3000 volt i motori di trazione sono generalmente connessi permanentemente due a due in serie, cioè funzionano alla tensione di 1500 volt per collettore. I progressi che si sono raggiunti nei procedimenti d'isolazione e la conoscenza più precisa dei fenomeni di commutazione permettono oggi di costruire motori di trazione e per servizî ausiliarî a tensione notevolmente più elevata di 1500 volt (ad esempio a 3000 volt) di potenza piccola o elevata, che funzionano con commutazione perfetta anche se muniti di soli poli ausiliari e anche quando la differenza di potenziale tra le lamelle contigue del collettore raggiunge qualche diecina di volt. Nella figura 42 è rappresentato il tipo di motore di trazione in uso nelle locomotive per servizio merci (gruppo E. 626) e nella fig. 43 quello di tipo doppio delle locomotive a grande velocità (gruppo E. 326, E. 428).

La carcassa o induttore è in acciaio fuso e nella quasi totalità dei motori di trazione si hanno quattro poli principali e quattro ausiliarî. Le bobine di eccitazione sono di piattine di rame isolate tra spira e spira con nastro di amianto e verso massa con micacarta, il tutto impregnato con vernici isolanti in modo da ottenere la massima compattezza. Il circuito di eccitazione nella generalità è in serie con quello dell'armatura. Le espansioni polari sono in generale riportate e formate da pacchi di lamierini magnetici di acciaio dolce.

L'indotto è completamente formato di lamierini magnetici (spessore 0,4 ÷ 0,5 mm.). Nelle cave di tipo aperto è montato l'avvolgimento generalmente del tipo "serie". Se la tensione non è superiore a 1000 volt, si usano anche tipi di avvolgimento serie-parallelo con connessioni equipotenziali. L'isolamento delle piattine tra loro nei motori moderni è costituito da strati di nastro di mica-seta o micacarta avvolto a spirale. L'isolamento verso massa è ottenuto con cartocci di mica-foglio protetto da nastro di amianto.

Il numero di giri dei motori di trazione a corrente continua a 3000/2 volt è compreso tra 700 e 1500.

Nelle locomotive ad alta velocità è usato spesso il tipo di motore gemello formato da due motori aventi le due carcasse fuse insieme e i cui indotti trasmettono il moto a un asse ausiliario cavo concentrico alla sala motrice (fig. 43). Questa disposizione è adottata nelle locomotive E. 326 ed E. 428 a grande velocità (130 km./ora) delle ferrovie dello stato italiano. La fig. 44 rappresenta lo schema delle condutture pneumatiche per l'azionamento dei freni e dell'apparecchiatura elettrica. Il sistema più usato per azionare i varî apparecchi elettrici è quello cosiddetto elettropneumatico. I varî apparecchi sono azionati da cilindri e stantuffi nei quali l'aria compressa è ammessa per mezzo di valvole azionate da elettrocalamite. I circuiti secondarî della locomotiva comprendono un gruppo motore generatore che trasforma la tensione della linea di contatto in una tensione intorno a 100 volt, che serve alla alimentazione dei motori dei compressori, alla carica della batteria di accumulatori e all'azionamento dei ventilatori. In recenti locomotive tutti i motori dei servizî ausiliarî sono alimentatì direttamente alla tensione di 3000 V.

Ricupero di energia. - Tutti i tipi di motori di trazione sono suscettibili di funzionare da generatori e permettere la trasformazione dell'energia meccanica di un treno che discende da una stazione più elevata a una più bassa e trasformare questa energia in corrente elettrica che viene immessa nella linea di contatto ed è assorbita da altri treni che contemporaneamente percorrono la linea oppure serve a compensare le perdite nel macchinario delle sottostazioni o centrali. Meglio di tutti si presta a questo scopo il motore asincrono trifase, in quanto che il motore può passare dal funzionamento in trazione a quello in ricupero senza che occorra compiere alcuna manovra. Nelle locomotive monofasi e a corrente continua è invece necessario cambiare le connessioni deì motori di trazione e di apparecchi accessorî per ottenere che i motori possano funzionare da generatori. Un sistema recentemente adottato sulle locomotive monofasi consiste nell'eccitare i motori anziché in serie in derivazione. Nelle locomotive a corrente continua il ricupero di energia è ottenuto generalmente facendo circolare negli avvolgimenti di eccitazione dei motori (che non sono più in serie con quelli dell'indotto) una corrente a bassa tensione fornita da un generatore ausiliario montato sulla locomotiva. La velocità e l'intensità della corrente ricuperata vengono variate regolando l'intensità della corrente di eccitazione. Speciali collegamenti assicurano la stabilità della corrente ricuperata.

Locomotive ad accumulatori. - La trazione elettrica con accumulatori è stata sperimentata a varie riprese, ma con insuccesso per il peso considerevole delle automotrici o locomotive, per la tendenza delle batterie di accumulatori a esaurirsi rapidamente sotto i sovraccarichi, e per la costosa e delicata manutenzione. Si è ancora alla ricerca d'un tipo di accumulatore che riunisca in sé le qualità di capacità elevate, lunga durata, peso ridotto e volume minimo, indispensabili perché la trazione con accumulatori si affermi con successo. Attualmente le batterie di accumulatori a ossidi di piombo pesano in ragione di 50 e 65 kg. per ogni kWh di energia accumulata e quelle al ferro-nichel intorno a 35 o 40 kg. per kWh. La durata di una batteria a piombo è di circa 600 cicli completi di scarica e carica. In qualche caso si arriva a 1000. Le prime esperienze dì trazione ad accumulatori con veicoli su rotaie sono state fatte nel 1887 dalla società dei tram di Bruxelles. In Italia nel 1900 furono fatti esperimenti di carattere ferroviario con automotricì sulle linee Milano-Monza e Bologna-San Felice. Esperimenti del genere furono fatti in tutti i paesi e poi abbandonati per i cattivi risultati forniti dalle batterie. Più recentemente il problema della trazione con accumulatori è stato ripreso e varî servizî con automotrici sono in funzione con un raggio d'azione di circa 300 km. Si sono anche costruite numerose locomotive di manovra ad accumulatori anche di potenza elevata. La fig. 45 ne rappresenta una costruita in Italia.