RICCI, Lodovico Lorenzo Bonaventura

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCI, Lodovico Lorenzo Bonaventura

Antonino De Francesco

RICCI, Lodovico Lorenzo Bonaventura. – Nacque a Castagneto della Mora, non distante da Modena, il 14 luglio 1742 da Michelangelo e da Teresa Pelliccioni. Presto orfano di padre, venne posto sotto la tutela dello zio Bartolomeo, consigliere di governo del duca Francesco III d’Este.

A Modena, studiò presso i gesuiti e vestì l’abito talare nel 1753 per avere la prima tonsura l’anno successivo. Tentato dalla vita religiosa, venne però distolto dallo zio, che lo avviò presto – secondo la tradizione di famiglia – agli studi di legge. Negli anni successivi, attese agli studi della filosofia e si appassionò all’empirismo: lesse John Locke, Isaac Newton e David Hume, accostando loro da un lato Galileo Galilei e Cartesio, dall’altro Claude-Adrien Helvétius. Nel 1763, abbandonati gli ordini, concluse gli studi universitari e nel 1764 ottenne l’iscrizione al Collegio degli avvocati, passaggio obbligatorio per aspirare a ricoprire i più prestigiosi incarichi di governo. Dal 1766 si avviò alla carriera amministrativa e divenne avvocato della città di Modena. Nel 1772 entrò nel magistrato degli Alloggi e da quel momento la sua carriera nella pubblica amministrazione non parve conoscere interruzioni: nel 1774 venne fatto giudice di autorità e due anni dopo priore della città, con l’incarico di studiare un nuovo metodo di censimento.

Ovunque dette prova di attenzione alle nuove idee riformatrici e il suo tentativo di applicarle nelle funzioni assegnategli gli causò i primi dissapori all’interno della compagine di governo. Già nel 1774 il suo impegno a ricomporre il grave dissesto finanziario del Monte dei pegni cittadino gli causò una lunga causa giudiziaria con l’amministratore i cui abusi aveva provveduto a denunciare. Ne uscì vincitore, ma il duca decise comunque di allontanarlo dalla magistratura degli Alloggi. L’esautorazione segnò tuttavia solo una breve battuta d’arresto nella carriera pubblica di Ricci, perché nel 1783 – alla morte dello zio – egli riuscì a tornare al governo cittadino con la funzione di riformatore civico. A questa stagione datano alcuni suoi studi sui progetti di riordino dell’amministrazione locale reputati di maggiore urgenza. Un trattato, dal titolo De’ tributi, non fu mai portato a termine, ma l’esame delle gravi condizioni in cui versavano le opere pie lo indusse alla stesura di un’opera di grande respiro al riguardo, la Riforma degl’istituti pii della città di Modena, pubblicata nel 1788, il cui successo fu immediato e gli consentì di fare ingresso nel Supremo Consiglio di economia.

Nell’opera, dopo aver ricostruito le origini degli istituti pii, denunciò il sistema centralizzatore che aveva favorito la nascita di una burocrazia profittatrice e mostrò come il sistema finisse per riprodursi indebitamente tramite il ricorso a mano d’opera gratuita che permetteva la costruzione di nuovi edifici destinati ai poveri. Sul punto, Ricci espose le sue ragioni con fermezza: occorreva rivedere l’intero sistema caritativo, perché le specifiche modalità di un soccorso fondato sul privilegio degli organismi caritatevoli non favorisse, anziché contenere, lo sviluppo della povertà.

Le fortune dell’opera indussero il governo ad assegnargli il riordinamento generale dell’estimo delle terre e delle case: un lavoro immenso all’interno del quale si propose uno studio dettagliato del Ducato con l’intento di mettere a punto un sistema di tassazione che risultasse compatibile con le molteplici specificità economiche del territorio. Questo straordinario impegno – che non giunse a realizzazione – consentì non di meno a Ricci di affrontare tutti i principali problemi economici del tempo, tramite ricerche sull’approvvigionamento dei grani, sull’annona, sull’andamento dei prezzi e sull’insubordinazione popolare che era solita tener dietro nei momenti di crisi. In questo quadro, la statistica divenne uno dei punti fermi della sua ricerca e innervò gli studi di geografia economica ai quali si dedicò con grande scrupolo. Questo impegno si tradusse nella stesura di una Corografia dei territorj di Modena, Reggio e degli altri Stati già appartenenti alla casa d’Este, tramite la quale Ricci – dopo aver definito un preciso quadro della situazione socioeconomica del territorio – si riprometteva di collocare ogni successivo intervento riformatore. La discesa di Napoleone Bonaparte in Italia nel 1796 pose però fine al Ducato estense e rese inutile la stampa dell’opera, che infatti vide la luce postuma, ormai nel 1806.

Tuttavia, la rivoluzione dischiuse a Ricci un’altra e frenetica stagione di governo, perché l’uomo si mise subito a disposizione del nuovo ordine, cercando di pilotare il passaggio di Modena e Reggio all’ordinamento francese. Proprio perché era stato escluso dalla reggenza estense – che governò la città dal maggio 1796, momento della fuga del duca Ercole III, sino all’ottobre dello stesso anno, quando fecero ingresso a Modena i francesi – Ricci ebbe facile gioco a proporsi come un sostenitore delle nuove idee repubblicane. Eletto rappresentante della comunità di Modena, in quelle vesti trattò con successo la riunione con Reggio ed entrò subito a far parte del Comitato provvisionale di governo. Sorta la Repubblica Cispadana, Ricci venne eletto al Consiglio del dipartimento del Panaro, che presto abbandonò per divenire, nell’aprile del 1797, un componente del nuovo governo. L’incarico fu però di breve durata, perché Bonaparte lo volle subito a Milano con il compito di calcolare – tenuto conto dell’esazione fiscale applicata dai precedenti governi – il tributo diretto e indiretto che si poteva trarre dai territori sotto giurisdizione delle armi francesi. Per l’occasione non gli mancarono le accuse di essere un ben tiepido patriota, ma la fiducia di Bonaparte non venne meno: nel giugno del 1797, al momento della nascita della Repubblica Cisalpina, che inglobava la Cispadana, Ricci divenne ministro delle Finanze.

L’esperienza di governo fu molto intensa: approntò un riscontro di tutte le casse di finanza, lavorò alla compilazione degli stati attivi e passivi, preparò il prestito forzoso e stabilì un estimo sommario. A questo impegno si accompagnò una nutrita riflessione sulla compatibilità della sua esperienza intellettuale con il nuovo ordine: i molti appunti, rimasti manoscritti, mostrano come la mente di Ricci si affannasse circa il modo con il quale l’Italia avrebbe potuto convivere con il governo democratico imposto dalle armi francesi. La risposta non arrivò mai, perché nell’estate del 1798 venne trasferito in Romagna in qualità di commissario del censo.

A Ferrara era impegnato nella risoluzione di un contenzioso amministrativo, quando cadde ammalato. Trasferito a Modena, non si riprese più e dopo un’agonia di alcune settimane morì il 27 gennaio 1799.

Opere. Riforma degl’istituti pii della città di Modena, Modena [1788]; Corografia dei territorj di Modena, Reggio e degli altri Stati già appartenenti alla casa d’Este, Modena 1806.

Fonti e Bibl.: Nell’Archivio di Stato di Modena sono le Carte Ricci, ricchissima raccolta composta delle sue lettere ufficiali, della corrispondenza privata e di molti suoi scritti rimasti inediti.

P. Custodi, Scrittori classici italiani di economia politica, XLI, Milano 1805, pp. 7-10; G. Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, ossia Epilogo critico degli economisti italiani, preceduto da un’introduzione, Lugano 1832, pp. 377-396; A. Setti, L. R. o la beneficenza pubblica nel secolo scorso, in Nuova Antologia, s. 2, 1880, vol. 23, pp. 428-467; A. Graziani, Le idee economiche degli scrittori emiliani e romagnoli sino al 1848, Modena 1893, pp. 92-99; Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche dei ducati dello stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo - F. Torcellan - F. Venturi, Milano 1965, pp. 483-490; L. Pucci, L. R. Dall’arte del buon governo alla finanza moderna, 1742-1799, Milano 1971; A. Balletti, Il pensiero economico nei ducati emiliani e negli stati pontifici dalle origini al 1848, a cura di M. Bianchini, Parma 2008, pp. 205-231.

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