BELLINI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BELLINI, Lorenzo

Giulio Coari
Claudio Mutini

Nacque a Firenze da una modesta famiglia di commercianti il 3 sett. 1643. Studiò presso i gesuiti del collegio fiorentino di S. Giovannino e poi, usufruendo di un posto gratuito di convittore nel Collegio ducale di Sapienza, frequentò corsi regolari presso lo Studio pisano laureandosi in filosofia e medicina il 14 sett. 1663. Esprimerà più tardi la sua riconoscenza per il mecenatismo del granduca nella Gratiarum actio ad Ser. Hetruriae Principem, stampata a Pisa nel 1670 unitamente alla Propositio Mechanica, ove il B., discepolo e collaboratore del Borelli, sottoscrive senza riserve la concezione iatromeccanica del maestro. Oltre al Borelli, sotto la cui guida si iniziarono i primi, felicissimi esperimenti del B. in campo anatomico, il fiorentino ebbe come maestri all'università di Pisa il galileiano e gassendista Antonio Oliva, nonché il matematico Alessandro Marchetti, traduttore di Lucrezio, che favorì direttamente il conferimento al B. del dottorato.

Frutto degli intensi anni di studio presso il Borelli e risultato di una geniale continuazione delle teorie del maestro èun'opera fatta pubblicare dal B. a soli diciannove anni, addirittura con un anno di anticipo rispetto al conseguimento della laurea: Exercitatio anatomica Laurentii Bellini de structura et usu renum ad Cosimum III (Firenze 1662).

Le conclusioni del giovane scolaro del Borelli furono sorprendenti. I reni, secondb la descrizione di Andrea Vesalio, erano tradizionalmente considerati organi carnosi solidi, non intessuti di fibre; lasuccessiva descrizione fattane da N. Higmore nel 1651, che aveva individuato in essi, al limite tra la corticale e la midollare, l'esistenza di una rete vascolare arciforme anastomotica tra sistema arterioso e sistema venoso, mostrava di tener conto soprattutto della circolazione sanguigna, ma considerava ancora la struttura degli organi secondo uno schema sostanzialmente vesaliano.

Nella prima parte della Exercitatio anatomica il B. ricorda brevemente i vari contributi degli studiosi che si erano interessati della struttura dei reni (omettendo, tuttavia, di menzionare B. Eustachi ` donde le scuse che si riterrà in dovere di rivolgere nella prefazione al De gustus organo); nella seconda parte, esaminando lo schema anatomico dei reni tracciato dal Vesalio, rileva come in realtà egli non fosse riuscito a individuare la vascolarizzazione a pieno spessore intuita ma non dimostrata da G. Falloppia, e afferma che mai erano stati osservati i canalicoli che conferiscono ai reni il caratteristico aspetto fibroso; nella terza parte dell'opera, infine, espone le proprie ricerche originali corredate da una pregevole documentazione iconografica. La fondamentale scoperta del B. consiste nell'avere individuato nel rene l'esistenza di un sistema canalicolare terminante in tubuli che sboccano, mediante pori capillari, all'apice delle papille, e attraverso i quali l'urina confluisce nella pelvi. Egli dimostrò la connessione tra tali formazioni tubulari e il sistema vascolare, mostrando di intuire il Meccanismo di filtrazione dell'urina nonché l'esistenza di diramazioni vascolari, che, provenienti dalla rete arciforme, raggiungono la superficie esterna dell'organo.

Meno importante fu la descrizione delle papille gustative liriguali. che il B. fece quasi contemporaneamente a M. Malpighi e c. Fracassati e che pubblicò a Bologna nel 1665 in un'opera dal titolo: De gustus organo novissime deprehenso; praemissis ad faciliorem intelligentiam quibusdam de saporibus.

Seguendo sostanzialmente la concezione atomistica democritea secondo cui le sensazioni si facevano dipendere generalmente da effluvi di atomi che si liberano dai corpi e colpiscono gli organi del senso attraverso meati e canalicoli adatti alla loro forma, il B. sostenne che le cause della sensazione gustativa erano i sali, i quali, liberati dai cibi dall'azione meccanica della masticazione, giungonò fino all'apice delle papille linguali. E credette di dimosirare tale teoria solidistica facendo constatare come i cibi, privati dei sali, perdessero in realtà il loro sapore, e come - di riscontro - fosse possibile suscitare sensazioni gustative tenendo piccole particelle solide (sali) in zone della lingua accuratamente deterse dalla saliva.

Le due opere menzionate, date alla luce nel giro di pochi anni, sortirono l'effetto di destare verso l'attività del B. l'attenzione di studiosi non soltanto italiani, assicurandogli una stima che il fiorentino seppe mantener viva, anche se con qualche sforzo, ancora per un lungo periodo. Vero è però che per quanto si estendeva la fama delle sue ricerche, sogarizialmente legata alle sue opere giovanili, in tanto si andava attenuando l'originalità e l'acutezza degli studi intrapresi nei primi anni, e l'attività scíéntifica doveva sempre più pesantemente ricorrere a un sostegno letterario di cui il B. trovava la base nell'Accademia fiorentina. All'autorità di F. Redi, protomedico dei granduca e scrittore già famoso, che gli fu dei resto sempre amico e utile consigliere, il B. volle affidare la fortuna del De urinis et pulsibus, de missione sanguinis, de febribus, de morbis capitis et pectoris, dato alle stampe a Bologna nel 1683 (ove descrisse - con finalità diagnostiche - il carattere delle urine a seconda delle varie malattie prese in considerazione, ed esanunò anche i vari tipi di febbre con un concetto etiologico che era, per i suoi tempi., del tutto nuovo), mentre allo scozzese A. Pitcairne, professore di medicina a Lovanio. dedicò gli Opuscula aliquot de urinis, de motu cordis, de motu bilis, de missione sanguinis (Pistoia 1695), in cui si occupò - non senza acutezza. - delle coronaropatie - specificandone le cause e descrivendo casi di sclerosi coronarica, di lesione miocardica da minor apporto sanguigno e di embolia gassosa.

Dal 27 maggio 1691 il B. risulta iscritto all'Arcadia e intensifica da questomomento un'attività più propriamente e dichiaratamente letteraria; ma intanto le sue opere scientifiche erano uscite dal ristretto ambito degli studiosi italiani e s'imponevano all'ammirazione degli specialisti di tutta Europa. Ne sono una prova le numerose ristampe dei suoi scritti, sollecitate e curate da studiosi di chiara fama, quali f. Bohn, professore a Lipsia, che scrisse la prefazione all'edizione veneziana (1707) dell'Opera omnia del B.; H. Boerhaave, docente a Leida, al quale si deve la presentazione della seconda edizione di esse (Venezia 1732). G. Blaes, che fece ristampare ad Amsterdam nel 1711 gli studi del B. sui reni e sul senso del gusto (Exercitationes duae de structura et usu renum et de gustus organo), mentre il toscano A. Cocchi provvedeva a raccogliere i Discorsi di anatomia letti dal B. agli accademici della Crusca e a pubblicarli a Firenze dal 1741 al 1744. Amico del naturalista livornese G. Cestoni, oltre che del Redi e del Vallisnieri (al quale dedicò due lettere scientifiche: una su Le vie dell'aria che si trovano all'interno di ogni uovo, pubblicata nel Giorn. de' letterati d'Italia., II [1710], pp. 41 ss., e l'altro Intorno all'ingresso dell'aria nel nostro sangue, ibid., IV, pp. 147 ss.), ottenne da G. M. Lancisi, protomedico del papa, la nomina a primo consultore medico di Clemente XI. E brillante fu anche la carriera accademica che il B. percorse nello Studio pisano, se si pensa che, non ancora laureato, ottenne l'incarico di una lettura straordinaria riservata ai migliori allievi, e fu poi lettore di logica dal 1663 al 1668. Successo al Fracassati nella cattedra di anatomia, la conservò fino al 1703, l'anno precedente a quello della morte, alternando alla stimata attività accadernica. una fortunata pratica professionale, che si concluse con la nomina a protomedico del granduca Cosimo III.

Del resto, tra l'ultimo decennio del Seicento e i primi anni del secolo successivo, neanche le muse furono avare di compensi all'attività del letterato. Il Redi, scrivendo il 1° sett. 1684 al Magalotti, annunziava in tono divertito, ma forse sinceramente elogiativo, una recente invenzione poetica dell'anziano scienziato: "Vi sarà a suo tempo una canzone. Ma zitti. Ne ho veduto uno squarcio terribile che rassembra ad una rupe del monte Parnaso svelta dalle forze di qualche terribile terremoto, ed in questa rupe son venute giù a precipizio anche le Grazie tutte belluccie, ma colla veste rotta, e col viso infangato", e Benedetto Menzíni non esitava a considerare la poesia del B. quale testo di lingua nella sua classicistica e cruscante Arte Poetica: "Ho preso questo da un ms. d'uno de' primi lumi delle Accademie d'Italia. Tanto basta il dire del Sig. Lorenzo Bellini, il quale col suo gran nome sa fabbricare a se stesso, come disse il lirico latino: "Memorie d'ogni bronzo assai più eterne".

Nonostante il giudizio elogiativo del Menzini (ribadito da un critico certamente più severo se non più lungimirante: il Crescimbeni), la lirica del B. anteriore alla Bucchereide è produzione di entità assai scarsa, significativa semmai per documentare una ulteriore rivolta accademica alla letteratura barocca, che immancabilmente confluisce, come quella di un Lemene, poniamo, o di un Filicaia (di cui si interessò il B. recitando alla Crusca la Difesa di un sonetto del Filicaia), nella presunta restaurazione arcadica del buon gusto. Considerata nel suo vario intreccio di elementi lirici e freddamente satirici, dìdascalici e burleschi - ove gli esempi più cospicui sono rappresentati da un Capitolo sopra il matrimonio indirizzato alla rimatrice Selvaggia Borghini, e da una serie di sonetti in cui il gusto del paradosso e la rettitudine dell'onesto scienziato convergono nella salace rappresentazione dei medici da strapazzo - le rime del B. presentano già tutte le caratteristiche che saranno della piena generazione arcadica: dalla predilezione per una scrittura occasionale, variamente improntata all'elogio o alla satira linguaiola (di lontana derivazione bernesca), alla cicalata accademica; dall'amore, ancor così tipicamente secentesco, per gli emblemi e le imprese (di cui forniscono notevole testimonianza alcune lettere indirizzate dal B. al Menzini fra il 1690 e il '91) al tentativo di assimilare questo gusto a un programma di poetica arcadica che resta fedele alla concezione di una verità sapientemente velata dalla fantasia dello scrittore: "... dico in primo luogo - scriveva al Menzini il 30 nov. 1691 - che siccome io stimo necessarissimo al ben comporre in qualsiasi genere di composizioni il non parlare così spiattellatamente che il tutto si dica e si dichiari, senzaché, si lasci alcun luogo all'uditore di pensare un tal poco da sé, talmenteché a lui paia di trovare da sé quel ch'ei sente, e non già che gliel dica e che gliel'insegni colui che compose... stimo altrettanto necessario l'obbligarsi a questa legge con una maniera così coperta che l'uditore non se ne avveda, perché ne nasce l'affettazion conosciuta, la quale non solo non diletta, ma forse dispiace, godendo l'animo nostro bensì d'esser ne, componimenti ingannato, ma in guisa che l'inganno non si comprenda".

Date queste premesse, si capisce l'integrale assorbimento dello scrittore al clima arcadico operato dal Muratori (che esaminerà un sonetto del B. nel trattato Della perfetta poesia), intento a salvaguardare uno spiraglio moralistico entro il velo di reticenze "espressive" auspicate dal B., e insieme si intende il reale svolgimento in senso edonistico della poesia del fiorentino, seppur formalmente aderente agli schemi di un genere accademicamente giocoso che si confaceva perfettamente al costume erudito dello scrittore e più al provinciale e conformistico ambiente della Firenze medicea agli albori del sec. XVIII.

La Bucchereide, scherzosa risposta alle Lettere sulle terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente buccheri scritte da Lorenzo Magalotti nel 1695 (ma edite postume solo nel 1825), costituisce la sintesi più felice di un intreccio di vari motivi e sollecitazioni -parimenti efficaci nell'animo dello scrittore: dal gusto tutto erudito per la divulgazione di una serie di notizie, ritenute rare e peregrine, alla propensione per una materia esotica, già divulgata con frivola e sensuale disinvoltura dal "filosofo morbido", sino alla avidità, tutta accademica, di mostrare "quanto il nostro idioma possa congiungere con la facilità e la chiarezza del dire, la maestà, la sublimità, l'eminenza" (da una lettera al Menzini dell'8 ott. 1690): un proposito che si sarebbe realizzato, a gara con la dovizia linguistica ostentata dal Magalotti, in una stupefacente mescolanza di varie forme metriche, nel bizzarro e raro accostamento di voci erudite, colloquiali, familiari, com'è vero che il B. tentò di superare il modello esasperando il tono di geniale chiacchierata con una ingegnosa sequenza di digressioni, osservazioni e precetti faticosamente equilibrati tra il serio e il faceto.

Il poemetto, preceduto da una cicalata in prosa che il B. recitò alla Crusca nel 1699, fu pubblicato postumo, a Firenze, nel 1729. Si compone di due proemi, di cui il primo in forma di ditirambo, l'altro diviso in quattro parti di cui tre in ottava rima e l'ultima in vari metri, quasi a voler ribadire la spensieratezza e il senso di estrema libertà con cui l'auiore si era accinto a presentare una materia didascalica. Ma l'opera rimane nel complesso povera cosa: a mezza strada tra il poema eroicomico e il ditirambo, la Bucchereide ripropone gli schemi più stanchi della tradizione tassoniana e insieme collabora a quel generale appiattimento di ideali scientifici che dalla scuola galileiana erano giunti, tra barocco e arcadia, sino ai teorici della saccenteria linguaiuola più tronfia e inconcludente (non a caso, assieme al Redi e al Magalotti, si ricorderà anche del B. Giuseppe Baretti).

Ripensando al capriccioso venticello descritto dal Magalotti, il B. diceva: "Il ponentino e il conte sono tutt'uno". Ma il B. è una tramontana che agghiaccia la già appassita prosa accademica di intrattenimento scientifico. Se ha un senso quest'ultima fatica letteraria del B., esso va ravvisato, più che in certi passi di bravura descrittiva (sopravvalutata, in genere, dalla critica novecentesca), nella povertà assoluta dell'invenzione e in un disimpegno troppo desto ai richiami dell'erudizione per divenire cordiale e piacevole.

Sembra che gli ultimi anni del B. fossero amareggiati da dissapori con il granduca di Toscana, e più dai contrasti con i colleghi accademici, invidiosi della sua enorme fortuna.

Il B. morì a Firenze l'8 genn. 1704.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pisa, Università, F. 9, cc. 686r-688r, 761r (processo di ammiss. del B. nel Collegio duc. di Sapienza), B. Menzini, Dell'arte poetica, Firenze 1688, pp. 945.; Id., Opere, III, Firenze 1731, pp. 281, 282-284, 295-298, 300-304, 312-316; L. Magalotti, Lettere scient. ed erudite, Venezia 1760, p. 162; Id., Delle lettere familiari del conte L. M. e di altri insigni uomini a lui scritte, I, Firenze 1769, p. 149; Lettere sopra i Buccheri con l'aggiunta di lett. contro l'ateismo, scientif. erud. e di relaz. varie, a cura di M. Praz, Firenze 1945, pp. X, XIII, XVI, XXII, 12, 391; M. A. Mozzi, Vita di L. B., in G. M. Crescimbeni, Le vite d. arcadi illustri, I, Roma 1708, pp. 113-122 (rist. in Vite d'illustri Italiani, Ancora 1837, pp. 63-71); Giornale de' lett. d'It., II, Venezia 1710, pp. 1-41; S. Salvini, Vita di L. B., in Notizie istor. d. Arcadi morti, III, Roma 1721, pp. 239-242; G.Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 364-366; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, I, Venezia 1734, p. 127; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 686-691; G. Baretti, La frusta letteraria, I.Bologna 1839, p. 110; A. von Haller, Bibliotheca anatomica usque ad annun MDCC, I, Tiguri 1774, pp. 507-510; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, IV, Pisis1779, pp. 6-71; Id., Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis1795, pp. 229, 481, 538-561, 688, 690; G. Targioni Tozzetti, Notizie d. aggrandimenti d. scienze fisiche accaduti in Tosc. nel corso di anni LX del sec. XVII, I, Firenze 1780, pp. 211, 218, 235, 238, 286-288; D. Moreni, Bibliografia stor. ragionata d. Toscana, I, Firenze 1805, p. 103; G. Tiraboschi, Storia d. letter. it., IV, Milano 1833, pp. 490 ss.; F. Caldani, Voci toscane usate dal celebre L. B. non registrate ne, dizionari d. lingua italiana, Padova 1828; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, IV, Napoli 1846, ad Indicem; G. Atti, Notizie edite ed ined. della vita e delle opere di M. Malpighi e di L. B., Bologna 1847, passim; F.Puccinotti, Storia della medicina, III, Prato 1866, pp. 97, III, 146-151, 177; D. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, Roma 1891, passim; G. Maugain, Etude sur l'évolution intellect. de l'Italie de 1657 à 1750 environ, Paris 1909, pp. 9, 17, 49, 54, 56, 58, 79, 128, 245; Lettere di B. Tanucci a F. Galiani, a cura di F. Nicolini, I, Bari 1914, p. 159; U. Morini, Otto lettere del celebre anatomico e poeta L. B., Pisa 1916; P. Capparoni, Profili biobibl. di medici e naturalisti celebri ital. dal sec.XV al sec. XVIII, Roma 1925, pp. 61-63; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, pp. 160, 552-554; V. Cian, La satira dall'Ariosto al Chiabrera, Milano 1938-3 9, p. 233; E. Viviani della Robbia, B. Tanucci e il suo importante carteggio, Firenze 1942, I, pp. 17, 18, 233; II, p. 158; F. Castellucci, Il "De Febribus" di L. B., in Humana Studia. Contributi d. Ist. di storia della medicina délla R. Università di Roma, Spoleto 1942, pp. 83-85; G. Bizzarrini, L'anatomista e fisiologo L. B. nel terzo centenario della nascita (1643-19431 in Minevra medica, XXXIV, 2 (1943), pp. 450-454; A. Pazzini, Il pensiero medico nei secoli, Roma 1946, pp. 236, 247, 249, 258, 273; A. Castiglioni, Storia della medicina, I, Milano 1948, p. 477; M. Praz, Introduzione al Barocco, in Il Sei-Settecento, Firenze 1956, pp. 44 s.; B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1957, pp. 66, 174 s., 403 s.; M. G. Nardi, La teoria dei sapori nel pensiero di L. B., in Actes du Symposium international sur les sciences naturelles, la chimie et la farmacie du1630 au 1850 Florence, Vinci, 8-10 oct. 1960 n. 12), Firenze 1962, pp. 99-103; H. Acton, Gli ultimi Medici, Torino 1962, p. 137; W. Binni, L'Arcadia e il Metastasio, Firenze 1963, pp. 91 II, 21, 208; F. Grondona, L'esercitazione anatomica di L. B. sulla struttura e funzione dei reni, in Physis, V(1963), pp. 423-463; Enc. Ital., VI, p. 562.

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