GAVOTTI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAVOTTI, Lorenzo

Dario Busolini

Nacque a Savona nel 1595, figlio di Girolamo, esponente di una illustre famiglia locale che sarà ascritta al patriziato genovese nel 1626. Avviato alla carriera ecclesiastica, si recò giovanissimo a Roma, dove già risiedevano alcuni suoi parenti, per studiare e introdursi negli ambienti di Curia. Nel 1614 aiutò A. Pozzobonelli per l'invio di 8200 scudi d'oro alla nunziatura di Colonia come sussidio di Paolo V al duca Wolfgang Wilhelm di Neuburg.

Nel 1617 prese i voti entrando nell'Ordine dei chierici regolari teatini, che, terminata la sua formazione, lo destinò alla chiesa di S. Andrea della Valle, della quale divenne parroco. Conservò questo incarico fino al 20 giugno 1633, quando Urbano VIII gli conferì il vescovato di Ventimiglia, con l'obbligo di istituire le prebende teologali e della penitenziaria prescritte dal concilio di Trento. Prese possesso della diocesi il 2 luglio e vi rimase per diciassette anni. Durante questo periodo fece la visita pastorale, celebrò tre sinodi diocesani (1635, 1638 e 1642, al primo dei quali intervenne il clero locale al completo) e invitò l'amico Angelico Aprosio a predicare in cattedrale, sostenendolo nell'erezione dell'attuale Biblioteca civica Aprosiana. Svolse inoltre qualche attività di rappresentanza: nel 1634 ricevette a Genova gli inviati spagnoli diretti dal papa; nel luglio 1641 si recò a Monaco, accompagnato da una parte del capitolo, per celebrare le nozze di Aurelia Spinola con il principe ereditario Ercole Grimaldi.

Il 28 ott. 1643 Urbano VIII, preoccupato del prolungarsi della guerra di Castro, inviò il G. nunzio in Svizzera per bloccare il paventato passaggio attraverso le valli dei Cantoni di truppe assoldate in Germania dai Farnese.

In effetti, dal suo arrivo a Lucerna fino alla morte del papa, l'anno successivo, il G. si occupò soprattutto di problemi politico-militari, cercando di rafforzare le relazioni tra i Cantoni cattolici e il loro peso all'interno della Confederazione, allo scopo, appunto, di impedire a eserciti protestanti il passaggio attraverso i passi alpini svizzeri, per quanto tale minaccia fosse più apparente che reale. Comunque, i Cantoni riaffermarono la loro fedeltà alla S. Sede, fornendole anche aiuti; il Vallese, in particolare, rinnovò il patto di alleanza con la Confederazione per una durata ventennale anziché decennale come in precedenza.

L'avvento di Innocenzo X segnò un periodo di maggiore tranquillità, che permise al G., confermato nella nunziatura, di diversificare maggiormente i suoi interventi: già nel novembre 1644 consigliò ai cattolici dei Grigioni il ricorso all'ambasciatore francese per difendersi dalle pretese dei protestanti, sebbene proprio all'alleanza delle armi francesi con questi ultimi in Germania egli imputasse i successi della Riforma in Alsazia e in Svizzera. Nonostante le impotenti proteste degli Spagnoli di Milano, il G. proseguì in questa pragmatica politica, chiedendo a Roma denaro per orientare i governanti dei Cantoni cattolici in senso favorevole agli interessi della Chiesa e cercando alleanze che ne facessero aumentare il peso nell'ambito della Confederazione.

Con pazienza il G. riuscì a raffreddare l'annosa lite che opponeva i cantoni di Altdorf, Schwyz e Unterwalden al vescovo di Como L. Carafino, la cui diocesi comprendeva anche territori ormai protestanti. Attento a non perdere il voto dei cattolici nelle assemblee confederali, facendo mostra di prendere le parti degli Svizzeri, biasimò il comportamento poco prudente del Carafino, ottenendo così nel luglio 1645 il dissequestro dei beni da loro confiscati al vescovo. Un anno dopo prese le difese del vescovo di Coira, sospettato a Roma di condotta scandalosa e cedevolezza verso gli eretici, facendo presenti le difficoltà derivanti dal risiedere in una città quasi interamente protestante. Da Lucerna inoltre seguì costantemente l'andamento della guerra dei Trent'anni in Germania e, in modo particolare, gli avvenimenti di Innsbruck, della Baviera, di Weimar e dell'Alsazia; si interessò ancora (questa volta per Venezia e Modena) al reclutamento di soldati da impegnare contro i Turchi.

Nell'aprile 1646 il G. chiese di essere rimpatriato per ragioni di salute; la domanda venne accolta il 7 novembre, lasciandogli comunque il tempo di erigere un collegio di gesuiti a Soletta e a Bellinzona, di difendere la presenza dei cappuccini a Coira, di sollecitare la residenza di tutti i vescovi svizzeri nelle loro sedi e di farsi portavoce della richiesta di beatificazione di fra Nicolò di Unterwalden.

Quando arrivò a Roma, il G. recava con sé lettere dei Consigli dei Cantoni cattolici indirizzate al papa, che lo lodavano e ne raccomandavano la promozione a un grado più elevato. In Curia rinnovò anche la richiesta degli arretrati dello stipendio che, a suo dire, non gli era stato pagato dalla morte di Urbano VIII. A Roma, comunque, il G. non trovò la promozione che sperava.

Fece ritorno nella sua diocesi ma, sia perché quel ministero non lo soddisfaceva più, sia perché dopo tre anni di assenza aveva perso il contatto con la realtà locale, incontrò difficoltà crescenti nell'attività pastorale, soprattutto con la nobiltà cittadina. La situazione si trascinò fino al 1650, quando, istituite infine le prebende cui era tenuto dal tempo della sua nomina a vescovo, decise di abbandonare Ventimiglia. Tornato a Roma, dopo due anni di attesa ottenne un canonicato in S. Maria Maggiore, rinunciando ufficialmente al suo vescovato il 27 genn. 1653.

Sotto Alessandro VII il G. svolse funzioni di vescovo assistente alla cappella pontificia. Il suo nome è ricordato il 15 nov. 1660, quando benedì la nuova chiesa di S. Ivo alla Sapienza, dove il papa il giorno dopo inaugurò solennemente il primo anno accademico l'8 maggio 1669, data del suo voto affermativo alla causa di canonizzazione di Pietro d'Alcantara e Maria Maddalena de' Pazzi.

Il 2 luglio 1670, ormai anziano, il G. raggiunse l'apice della carriera con la nomina ad arcivescovo di Rodi, in partibus infidelium, carica puramente onorifica che gli permise di trascorrere serenamente gli ultimi anni di vita.

Morì a Roma il 9 ag. 1679 e venne sepolto il giorno 28 nella cappella familiare, realizzata da Pietro Berrettini da Cortona, nella chiesa di S. Nicola da Tolentino.

Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Svizzera, 36, cc. 4-65v; 37; 38; Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 7900, c. 110; F.M. Renazzi, Storia dell'Univ. degli studj di Roma, III, Roma 1805, p. 165; G.B. Semeria, Secoli cristiani della Liguria, II, Torino 1843, pp. 518 s.; G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia, Oneglia 1888, pp. 237 s., 419; G. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, II, a cura di A. Astengo, Savona 1891, p. 281; H. Biaudet, Les nonciatures permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 244, 267; A. Leman, Urbain VIII et la rivalité de la France et de la maison d'Autriche de 1631 à 1635, Lille 1920, p. 340; E. Martire, Per la chiesa della Sapienza. Il tempio, in Italia sacra, I (1926), 1, p. 6; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1961, p. 792; XIV, 1, ibid. 1961, p. 510; M. Monaco, Le finanze pontificie al tempo di Paolo V (1605-1621). La fondazione del primo banco pubblico in Roma (Banco di Santo Spirito), Lecce 1974, p. 178; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, p. 363; R. Ritzler - P. Sefrin, Idem, V, Patavii 1952, p. 333.

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