GHIBERTI, Lorenzo

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1995)

GHIBERTI, Lorenzo

P. Réfice

Orafo, scultore, trattatista, architetto e pittore fiorentino (1378-1455), autore, negli ultimi anni della sua vita, dei Commentari, che costituiscono, per quanto riguarda il secondo e il terzo libro, una fonte tra le più preziose per lo studio dell'arte del Medioevo.Dopo il primo Commentario, dedicato alla produzione artistica nell'Antichità, il secondo contiene brevi trattati su alcuni artisti, scelti come i più rappresentativi tra quelli del Duecento e del Trecento. Ad aprire la serie è Giotto, la cui opera è fatta coincidere da G. con la rinascita della pittura dopo i secoli di stasi nella produzione artistica, succeduti allo splendore della cultura classica e caratterizzati dalla totale assenza di ornamenti e decorazioni negli edifici religiosi: "Finita che fu l'arte stettero e templi bianchi circa d'anni 600" (Commentari, II, 1; Schlosser, 1912, I, p. 35). A Giotto fanno seguito i suoi discepoli, Stefano, Taddeo Gaddi, Maso di Banco. Chiude la sequenza dei fiorentini Buonamico Buffalmacco, mentre la scuola 'romana' - vale a dire non fiorentina e non senese - è rappresentata da Pietro Cavallini e dagli Orcagna. Sono poi trattati i maestri senesi: Nardo di Cione, Ambrogio e Pietro Lorenzetti, Simone Martini, Lippo Memmi, Barna, Duccio di Buoninsegna.Segue una breve trattazione sui maestri della scultura, nella quale G. cita l'opera di Andrea di Cione e di Andrea Pisano, nominando appena Giovanni Pisano "figliuolo di maestro Nichola" (Commentari, II, 16). Eccezione degna di nota è la lunga biografia (Commentari, II, 17-18) di un maestro "nell'arte statuaria molto perito", fiorito Oltralpe "in Germania, nella città di Colonia", di nome Gusmin, la cui identità e il catalogo delle opere costituiscono un problema storiografico ancora aperto. I dati forniti dallo stesso G. permettono di inquadrare l'attività di Gusmin come scultore, orafo e pittore entro il secondo decennio del Quattrocento e di porre questa in relazione con le committenze della Corona francese, autorizzando l'ipotesi di un'origine fiamminga dell'artista; l'importanza accordatagli da G. è inoltre indizio di come egli ne accogliesse gli influssi nelle proprie opere, in special modo in quelle in metallo (Krautheimer, 1947; 1970). Chiude il secondo Commentario l'autobiografia dello stesso Ghiberti.L'attenzione, più che sulle vicende personali di ciascun artista, è fissata sulle loro opere, che vengono enumerate e descritte, enucleandone le caratteristiche tecniche e stilistiche salienti. È dalla maggiore o minore valutazione di queste che deriva il giudizio complessivo sull'autore. Nella pittura G. mostra di apprezzare il superamento della "maniera anticha cioè greca" (Commentari, II, 9; Schlosser, 1912, II, p. 39), l'adesione alla quale condiziona il giudizio su Pietro Cavallini - benché considerato il più capace nella pittura murale - e su Duccio di Buoninsegna, pur riconosciuto "nobilissimo" (Commentari, II, 15; Liverani, 1964). Ciò che G. loda in sommo grado nei pittori, oltre alla capacità di resa illusionistica dello spazio (Hurd, 1980), è la perizia nel disegno e la ricchezza e l'armonia della composizione, soprattutto se fondate su una solida base di conoscenze teoriche e guidate da un 'ingegno' fuori del comune. Tutte queste caratteristiche si assommano in Ambrogio Lorenzetti, cui sono dedicati due capitoli (Commentari, II, 11, 12), contenenti tra l'altro una meticolosa descrizione delle storie - quasi completamente perdute - affrescate nel chiostro di S. Francesco a Siena, ricche di efficacia didattica grazie alla varietà dei soggetti e della composizione e alla vivace resa coloristica.Il terzo Commentario, concepito con l'intento di individuare le basi teoretiche dell'arte e redatto poco prima della morte di G., arriva ad affrontare essenzialmente le teorie della visione, corredando la trattazione con disegni e schemi esplicativi. Le fonti di G. sono i trattati di ottica antichi e medievali, in particolare le opere di Tolomeo, Alhazen (Ibn alHaytham), Witelo (Federici Vescovini, 1980).La fortuna critica dei Commentari, nel loro insieme, fu segnata dal giudizio negativo datone da Vasari: "Scrisse il medesimo Lorenzo un'opera volgare, nella quale trattò di molte varie cose, ma sì fattamente che poco costrutto se ne cava [...] E ciò fece con molto più brevità che non doveva, non per altra cagione che per cadere con bel modo in ragionamento di se stesso, e raccontare, come fece, minutamente a una per una tutte l'opere sue" (Le Vite, III, 1971, p. 103). L'avversione della critica rinascimentale nei confronti dei lavori teorici di G. può essere in parte motivata dal suo anticlassicismo di fondo, che lo indusse a non rinnegare le fonti medievali dell'arte pittorica e, specie nel terzo Commentario, a respingere la tentazione classicistica di una cristallizzazione della costruzione geometrica prospettica (Maltese, 1980).

Bibl.: J. von Schlosser, Lorenzo Ghibertis Denkwürdigkeiten (I Commentarii), 2 voll., Berlin 1912; R. Krautheimer, Ghiberti and Master Gusmin, ArtB 29, 1947, pp. 25-35; M. Liverani, Lorenzo Ghiberti biografo di Pietro Cavallini, Bollettino dell'Unione storia e arte, n.s., 7, 1964, pp. 73-76; R. Krautheimer, Lorenzo Ghiberti (Princeton Monographs in Art and Archaeology, 31), 2 voll., Princeton 1970; Lorenzo Ghiberti nel suo tempo, "Atti del Convegno internazionale di studi, Firenze 1978", 2 voll., Firenze 1980; P. Murray, Ghiberti e il suo secondo Commentario, ivi, II, pp. 283-292; J.L. Hurd, The Caracter and Purpose of Ghiberti's Treatise on Sculpture, ivi, pp. 293-315; G. Ercoli, Il Trecento senese nei Commentari di Lorenzo Ghiberti, ivi, pp. 317-341; G. Federici Vescovini, Il problema delle fonti ottiche medievali del Commentario terzo di Lorenzo Ghiberti, ivi, pp. 349-387; D. Gioseffi, Il terzo Commentario e il pensiero prospettico del Ghiberti, ivi, pp. 389-405; C. Maltese, Ghiberti teorico: i problemi ottico prospettici, ivi, pp. 407-419; R. Bergotoi, Der dritte Kommentar Lorenzo Ghibertis, Naturwissenschaft und Medizin in der Kunsttheorie der Früherenaissance, Weinheim 1988.P. Réfice

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