GHIBERTI, Lorenzo

Enciclopedia Italiana (1932)

GHIBERTI, Lorenzo

Lionello Venturi

Scultore, orafo, architetto, pittore e scrittore d'arte, nato a Firenze nel 1378, ivi morto il 1° dicembre 1455. Fu educato nell'arte dell'oreficeria da Bartolo di Michele, visitò Roma verso la fine del'300 ove provò grande ammirazione per le pitture di Giotto e di Cavallini e si sentì attratto alla pittura. Da Rimini dove si era recato al principio del'400, come aiuto di un pittore, tornò a Firenze, avuta notizia del concorso per la seconda porta del Battistero. Lo vinse, pure avendo come competitori Iacopo della Quercia e Filippo Brunelleschi. Nel 1403 gli fu allogata l'esecuzione della seconda porta, compiuta nell'aprile del 1424. Benché egli si fosse obbligato a non accettare altri lavori finché questa non fosse terminata, eseguì le statue di San Giovanni (1419), di San Matteo (1422) e altri lavori di minore importanza.

Nel 1425 gli fu allogata l'esecuzione della terza porta, terminata nel 1452, alla quale specialmente egli deve la sua fama. Durante la lunga esecuzione di questa porta egli compì altri importanti lavori, dei quali i più notevoli sono i due bassorilievi per il fonte battesimale in S. Giovanni a Siena, la statua di S. Stefano per Orsanmichele, l'arca di bronzo per le reliquie di S. Zanobi nel duomo di Firenze. Infine il Bode ha rilevato l'influenza del G. sulle terrecotte fiorentine della prima metà del'400, attribuendo al maestro e alla sua bottega parecchie statuette e bassorilievi rappresentanti la Vergine col Bambino, di cui i più notevoli esempî sono un busto al Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino, la statuetta del Louvre e due statuette nel Victoria and Albert Museum di Londra. Negli ultimi anni della sua vita scrisse I commentari (ed. J. von Schlosser, Berlino 1912) nei quali si propose il compito di raccogliere le antiche norme sull'arte e di giungere a nuove invenzioni; ma non riuscì ad attuare questo compito. Egli espone le notizie raccolte da Plinio e da Vitruvio, e le premesse scientifiche dell'arte figurativa scarsamente mantenendo contatto fra queste e l'arte, perché esse erano per lui un aggregato esteriore erudito, anziché una necessità vitale. La necessità teorica e il conseguente rigore di ragionamento, le due qualità che portarono il Brunelleschi alla scoperta della prospettiva e l'Alberti a una nuova teoria della pittura, proprio quelle qualità in cui si può riconoscere l'energia razionale degli antichi, sono perfettamente estranee al G., anche se egli vi aspira. Ma anche nei Commentari il G. compensa la deficienza teorica con una coscienza della grande arte toscana del Trecento, per cui ha un posto a parte anche nella storia della critica d'arte. Come lo scrittore si commuove soprattutto per le opere dei pittori trecentisti, così lo scultore si riallaccia ai Fiorentini del'300. Di fronte ad Andrea Pisano, Lorenzo Ghiberti presenta un'accentuazione dell'ondulamento lineare gotico, quale si vede in Lorenzo Monaco di fronte, per esempio, ad Agnolo Gaddi, accentuazione propria dello stile gotico internazionale del principio del Quattrocento. Caratteristico è il fatto che nel momento in cui altri distruggeva per sempre la linea gotica, proprio a Firenze, unico fra gli scultori, il G. si ponesse per la strada opposta a quella che rappresentava l'avvenire.

Le immagini della prima porta del G. non solo sono più rilevate di quelle di Andrea Pisano, ma anche rilevate in modo più vario: qui è basso, lì è mezzo, là è alto rilievo, e talvolta, nelle teste sporte in avanti, è persino il tutto tondo. E precedenti di tali tendenze si trovano a Firenze, non in Andrea Pisano e nell'Orcagna, bensì nei ririlievi decoranti il fonte del Battistero fiorentino. Il fondo è considerato dal G. come unito perché tutte le piante, tutte le architetture, tutte le rocce o onde che egli ha posto sopra o sotto le figure non costituiscono fondo. Sono elementi di scena, come le figure, sporgono, colmano i vuoti, raddrizzano gli equilibri, chiudono, uniscono, concentrano la scena. Linee sul piano o piani nella profondità si muovono all'unisono, si curvano, s'intrecciano. Il loro scopo è di giungere alla apparizione rapida delle immagini per cui esse siano insieme intense e leggiere, vibrino come corde nervose e si atteggino a eleganze squisite. Perciò, sebbene sia di bronzo, l'immagine di S. Giovanni Evangelista impressiona come un lampo improvviso, perciò le scene del Presepe e dell'Adorazione dei Magi sono danze di linee e di piani che rendono tutto lieto, tutto giovane, tutto un idillio attorno al fanciullo. Ogni sentimento si trasmuta in grazia; e persino la crudezza tagliente della linea intorno al Crocifisso non è priva di grazia. E però la superficialità stessa dei sentimenti facilita al G. la piena e perfetta realizzazione d'immagini e di composizioni, compiuta con una sensibilità e con una finezza che sono una eccezione nell'arte di tutti i tempi, con una spontaneità creativa che gli ha permesso di raggiungere il suo capolavoro.

Quando si accinse alla terza porta erano passati circa 23 anni dall'ora in cui si era affacciato alla gloria con la vittoria del concorso. L'ambiente era mutato e si sentì costretto a rinnovarsi, né poteva essere sordo alle innovazioni del Brunelleschi e di Donatello. Egli era certo il miglior tecnico del bronzo che allora vivesse a Firenze, e conservava il suo ingegno agile, pronto e sensibile. E fu così ingegnoso che raggiunse pienamente il suo scopo di meravigliare, di sorprendere con la varietà infinita degli elementi offerti, con la novità di riproduzioni, di paesaggi, di architetture, di quantità enormi di figure. Ma dopo esser giunto alla varietà, alla novità, all'abbondanza, alla grandezza, dopo aver meravigliato i contemporanei, si adagiò in una calma compassata, senza quella vibrazione di vita e di grazia che forma la gloria della porta precedente. Seguendo il principio della prospettiva, il G. immagina figure quasi a tutto tondo in primo piano e poi stiacciate nel fondo. Ma il calcolo, per quanto sottile, per quanto sempre reso duttile dal gusto squisito, ha impedito l'immediata completa unità di visione. Le figure di primo piano hanno un valore di consistenza plastica, dispiegano così bene i loro piani continui, si distaccano tanto dal fondo, che non vi sono più comprese. E d'altra parte il fondo non trova più la sua libera espressione perché impedito dalla plasticità delle figure di primo piano. E cioè due visioni diverse si sono venute a sovrapporre, non a integrare. Il medesimo difetto si ritrova nell'arca di S. Zanobi. Lo studio, il calcolo, l'abilità avevano attenuato l'attività creatrice nelle scene come nelle figure isolate: si confronti con l'evangelista Giovanni della seconda porta una statuetta decorativa della terza: è la sostituzione di un manierismo sapiente alla creazione del genio. Parimenti nelle statue di Orsanmichele: il S. Matteo è del 1422 e il S. Stefano è del 1428; il S. Stefano non è che abile manierismo; il S. Matteo è una visione radiosa. Appunto tra il 1422 e il 1428 era avvenuta la crisi. Eppure attraverso i secoli fu esaltata soprattutto la terza porta, chiamata "del Paradiso". Si può supporre che l'estetica intellettualistica ereditata dal Rinascimento abbia sopravalutato G. artefice e sottovalutato G. artista. Oppure la calma degli atteggiamenti, la complessità dell'effetto, l'ingegnosità delle soluzioni ha avvicinato la terza porta all'ideale tradizionale del classico; e non s'è tenuto abbastanza conto dello sforzo compiuto dall'artista per uscire dalla sua natura spontanea. (V. tavv. CLV e CLVI).

Vittorio, figlio di Lorenzo, nato a Firenze nel 1416, morto il 18 novembre 1496, fu suo aiuto nella terza porta del Battistero. È autore del fregio bronzeo che incornicia la porta di Andrea Pisano del Battistero fiorentino. Con ragione, per affinità stilistiche con codesto fregio, gli viene attribuita la base dell'Idolino nel Museo archeologico di Firenze.

Bibl.: G. Vasari, Le vite, ed. Milanesi, II, Firenze 1878, p. 221 seguenti; C. Perkins, G. et son école, Parigi 1886; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI, Milano 1908, p. 128 segg.; P. Schubring, Die ital. Plastik des Quattrocento, Berlino 1919, p. 21 segg.; F. Schottmüller, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIII, Lipsia 1920 (con ampia bibl.); W. Bode, L.G. als führender Meister unter den florentiner Tonbildnern der ersten Hälfte des Quattrocento, in Jahrb. d. preuss. Kunstsamml., XXXV (1914), p. 71 segg., ripubblicato in Florentiner Bildhauer d. Renaissance, Berlino 1921, p. 73 segg.; id., Gh.'s Versuch seine Tobildwerke zu glasieren, in Jahrb. d. preuss. Kunstramml., XLII (1921), pagine 51-54; O. Wulff, Gh.'s Entwicklung im Madonnenrelief, in Berliner Museen, XLIII (1922), pp. 91-109; L. Venturi, L.G., in L'Arte, XXVI (1923), pp. 233-52, ripubbl. in Pretesti di critica, Milano 1928, p. 95 segg.; H. Kauffmann, Eine Ghibertizeichnung in Louvre, in Jahrb. d. preuss. Kunstsamml., L (1929), pp. 1-10; M. Semrau, Notiz zu G., in Rep. f. Kunstwiss, L (1929), pp. 151-54; H. Gollob, L. Gh.'s künstlerischer Werdegang, Strasburgo 1929.