GUAZZESI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUAZZESI, Lorenzo

Renato Pasta

Nacque ad Arezzo il 26 genn. 1708 da Gaspare, giureconsulto, docente a Pisa e gonfaloniere di Arezzo, morto nel 1749, e Maria Maddalena di Giuseppe d'Angelo, patrizio pisano. La famiglia era stata insignita della cittadinanza fiorentina (1651), del patriziato di Arezzo (1756) e di Firenze (1782). Il G. studiò nella città natale e nell'ateneo pisano, dove si addottorò in utroque iure (24 maggio 1727) sotto la guida di A.L. Cappucci, avendo a testimoni F. Incontri, nobile volterrano, e A. Marzi Medici, cavaliere fiorentino; nel 1724 era divenuto cavaliere di S. Stefano. Poi fu a Roma per studi di erudizione e antiquaria, che ne connotarono il percorso intellettuale. Dei rapporti con Roma fanno fede 110 lettere a G.G. Bottari (in parte dirette, in realtà, a P.F. Foggini), i legami con G. Garampi, prefetto dell'Archivio segreto Vaticano e poi cardinale, che gli fornì materiali inediti per le sue ricerche, nonché l'ampio carteggio con A.F. Gori, del quale ricordò la "dolcissima compagnia" in una lettera a G. Lami (5 giugno 1742) e che incontrò ad Arezzo nel maggio 1733 (Cristofani, p. 54), mentore spirituale nell'esplorazione dell'antico e dell'"etruscheria": tema del primo lavoro critico del G. (Dissertazione intorno agli anfiteatri della Toscana, e particolarmente dell'Aretino, in Saggi di dissertazioni… lette nella… Accademia Etrusca… di Cortona, II [1738], pp. 79-92).

La sua tesi dell'origine etrusca degli anfiteatri, riconducibile a prestiti di costumi e istituzioni orientali e greci, portò a una breve polemica con S. Maffei, che nelle Osservazioni letterarie (IV [1739], pp. 215-218) la negò, accusando il G. d'aver travisato il punto di vista che egli aveva espresso nel Trattato sugli anfiteatri. Il G. la ribadì nella Raccolta di opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà (XX [1739], pp. 1-87, con numerazione separata); la replica va ricondotta, oltre che a ragioni di forma e personale prestigio, al contrasto che opponeva il veronese Maffei a Gori e ai cultori toscani del mito e dell'eredità etrusca, coinvolgendo anche L.A. Muratori (che però aveva sconsigliato al G. la disputa col grande rivale: lettera da Modena, 2 maggio 1739, in Epistolario, a cura di M. Campori, IX, p. 3884). Il G. non dismise mai l'interesse per il fascinoso mondo etrusco, pur se poi si volse ad altre direzioni: poco prima della morte scrisse a G. Targioni Tozzetti di volersi recare a Luni per verificare condizioni e origine dei monumenti locali, termine settentrionale dell'Etruria (Pisa, 15 apr. 1763). Il vero maestro dal quale apprese "quei mezzi […] che traggon l'uomo dal sepolcro e lo serbano in vita" fu però Gregorio Redi, cui l'unirono il culto per l'antiquaria e la storia patria, la militanza comune nell'Accademia dei Forzati di Arezzo, locale colonia arcade, l'adesione al "buon gusto" muratoriano e il raffinato intendimento delle lettere antiche e moderne. Al nipote del celebre Francesco, restauratore della vita culturale aretina, il G. dedicò un appassionato elogio postumo ripercorrendone la carriera di traduttore dei Salmi e di classici greco-latini e moderni (Orazio e l'Odissea ma anche, nel 1726, l'Andromaca di J. Racine) e le benemerenze di colto e illuminato uomo di chiesa (lettera a Lami del 19 apr. 1748, con richiesta di stampa dell'elogio nelle Novelle letterarie, avvenuta il 10 maggio 1748, coll. 490-495). Il G. dovette a Redi l'incoraggiamento agli studi e l'uso della sua "sceltissima libreria", aperta con generosità agli ingegni non solo locali. Che cosa ciò significasse è facile intuire, se si pone mente alle difficoltà del lavoro critico in località lontane dai centri bibliografici maggiori, evocate nelle lettere del G. a Gori, a Lami, a Targioni Tozzetti: per esse, del resto, Muratori, già in una lettera del 1739 consigliava al corrispondente toscano il trasferimento a Firenze.

La carriera pubblica del G. si svolse invece, nonostante frequenti soggiorni nella dominante, in magistrature periferiche del Granducato: fu vicario di Anghiari (maggio 1741 - ottobre 1743), capitano di Borgo San Sepolcro (novembre 1743 - aprile 1745), commissario di Cortona (maggio 1745 - aprile 1750, novembre 1753 - aprile 1757), vicario della Valdichiana (tra 1750 e 1753 e tra novembre 1757 e 1759). La concluse con il prestigioso incarico di provveditore dell'uffizio dei Fiumi e Fossi di Pisa, ove risiedette stabilmente dal 1760. Si era frattanto accasato con Maria Caterina, figlia del marchese Tommaso Albergotti, erede di una delle principali famiglie aretine, da cui ebbe sei figli (maschi e femmine). Il primogenito Francesco, nato il 23 maggio 1733, cavaliere stefaniano e guardia nobile di Pietro Leopoldo d'Asburgo-Lorena, morì nel 1801. Il cadetto Antonio, eremitano di S. Agostino, il 10 apr. 1761 indirizzò da Ancona una patetica lettera a Voltaire, chiedendogli una sistemazione Oltralpe che lo liberasse dalla sua "oltre ogni credere infelice condizzione", ma ricordando che mai il padre lo aveva spinto a prendere i voti, consigliandogli piuttosto il contrario (ed. Besterman, D9735).

Il cursus honorum del G., di medio livello, iniziò nel 1739 quando partecipò, a Firenze, alla cerimonia d'omaggio a Francesco Stefano di Lorena in rappresentanza di Arezzo; proseguì poi con il favore del potente segretario alle Tratte, C. Ginori, quindi del suo più deciso avversario, E. di Richecourt, capo del Consiglio di reggenza in Toscana, cui il G. dedicò nel 1750 la traduzione dell'Elettra di P. de Crébillon, preceduta da un'altisonante dedica in versi (parzialmente mutata nella riedizione pisana del 1762). Mansioni amministrative e politiche, anche delicate, lo portarono a Volterra (1748) e Vicenza (1749, inviato ad appianare contrasti tra il vescovo locale e i Conservatori di Siena); come commissario di Cortona fu "implicato nel 1754 nella "guerra" che contrappose la Reggenza ai marchesi Bourbon del Monte" (Morelli Timpanaro, p. 69 n.). Tali compiti non sottrassero, però, troppo tempo all'attività letteraria, centro dei suoi interessi. Lo testimoniano i due tomi delle Dissertazioni storico-erudite (Pisa 1761, ivi ripubblicate immutate nel 1766 da A. Pizzorno nel vol. I di Tutte le opere del cav. Lorenzo Guazzesi, dedicato al marchese A. Niccolini, amico e corrispondente del G.), nonché la sobria produzione poetica, incentrata sulle versioni da Plauto e dai tragici francesi (l'Ifigenia di Racine, dedicata a G. Antinori nel 1748; la già citata Elettra e l'Alzira di Voltaire, apparse ad Arezzo, nel 1750 e nel 1751; l'Aulularia, prima impegnativa prova di traduzione del G., pubblicata a Firenze nel 1747, dopo lunghi ritardi, con dedica a Redi cui, dopo la scomparsa, il G. succedette per breve tempo come vicecustode dell'Accademia dei Forzati). Il paratesto delle dissertazioni, la non folta produzione lirica d'occasione, le dediche delle opere principali mostrano con evidenza il pieno inserimento del G. nel mondo letterario del tempo; fu membro, tra l'altro, dell'Accademia dei Sepolti di Volterra, della Crusca e della Società Colombaria di Firenze (rispettivamente dal 24 aprile e 11 luglio 1751), e lucumone dell'Accademia Etrusca di Cortona (che conserva sue lettere e manoscritti). La frequentazione dei circoli colti del Granducato è anche attestata, in età muratoriana ma già oltre l'apice dell'etruscheria, dai rapporti con mons. F. Venuti, cui dedicò l'Alzira (ma la dedica cadde, forse per la sopravvenuta scomparsa del destinatario, nell'edizione definitiva pisana di Tutte le opere, vol. II, t. III). Uno scarno elenco dei corrispondenti più insigni, sopravvissuto alle perdite dell'archivio di famiglia, include R. Venuti, J. Facciolati, G.G. Bottari, Lami e Maffei, che G. conobbe personalmente (3 lettere, ora scomparse), Muratori (16 edite nel 1854 e, con un'unica integrazione, da M. Campori nel Carteggio, anch'esse oggi non reperibili), F. Valesio, L. Ascoli, il card. D. Passionei (1 lettera), Federico II di Prussia e Voltaire (3, di cui una sola pubblicata, relativa all'invio, il 21 apr. 1763, della Raccolta delle versioni teatrali dal francese del G., riedite l'anno prima a Pisa: ed. Besterman, D11469; non rintracciate sono le altre due missive dello scrittore francese, né le lettere a lui del Guazzesi). L'elenco va integrato con i dati offerti da F. de' Giudici nell'Elogio postumo del G. (Lucca 1765, riedito in Tutte le opere) e dai carteggi con Muratori, Niccolini, A. Calogerà, il senese G.G. Carli e il naturalista riminese G. Bianchi (cui tra 1763 e 1764 comunicò notizie sul soggiorno, la declinante salute e la morte di F. Algarotti a Pisa: M. Collina, Il carteggio letterario di uno scienziato del Settecento (Janus Plancus), Firenze 1957, p. 33 e passim). Di Algarotti il G. fu esecutore testamentario, insieme con il medico G.A. Bottoni, traduttore delle Notti di E. Young e corrispondente di C. Beccaria (Morelli Timpanaro, pp. 70 s. e nn. 139-140, che utilizza il testamento dell'Algarotti; Ed. nazionale delle opere di C. Beccaria, Carteggio, 1760-1794, Milano 1996, pp. 271-273), e all'Algarotti dedicò la seconda edizione dell'Aulularia, preceduta da una bella e ampia prefazione (Tutte le opere, II, pp. IX-XXXII) ricevendone a sua volta la dedica del Saggio sopra il commercio (F. Algarotti, Opere, III, Livorno 1764, pp. 341-348). Di Algarotti curò anche l'epitaffio nel Camposanto pisano su incarico del re di Prussia Federico II, che aveva tempestivamente informato della scomparsa. Sono inoltre attestati rapporti con F.A. Zaccaria e con G.R. Carli, cui fornì materiali integrativi per le aggiunte al trattato Delle monete e delle zecche d'Italia.

Nell'operosità del G. un posto distinto spetta alle traduzioni in verso sciolto dai tragici francesi, come già segnalò L. Ferrari (Le traduzioni italiane del teatro tragico francesenei secoli XVII e XVIII, Paris 1926, pp. 16-18, 95-97, 135-137). Nella prefazione alla Raccolta pisana delle versioni dal francese (riprodotta in Tutte le opere, II) il G. esplicitò i criteri seguiti, legandoli al rispetto della purezza della lingua italiana e al valore civile delle lettere, ma rivendicando anche una misura di libertà interpretativa per meglio rendere senso, costrutto e fine degli originali.

Opera, dunque, non passiva rispetto al testo ma volta ad adeguarne temi e immagini al contesto culturale della ricezione, condizione per l'effettiva immissione di valori ideali e contenuti poetici nel linguaggio tragico italiano e, segnatamente, toscano. Strumento primario ben padroneggiato di tale prospettiva è l'endecasillabo sciolto, spezzato in frequenti enjambements, contrapposto agli "stomachevoli versi martelliani, maraviglioso sonnifero per chi gli ascolta" (Tutte le opere, II, t. IV, p. XXIV), corredato da scelte lessicali e sintattiche che, soprattutto nell'Alzira, versione "accurata, ma non fedelissima" (Ferrari), sottolineano la valenza lirica dell'originale con risultanze poetiche di rilievo. Questa prima versificazione italiana della tragedia conferma la fortuna di Voltaire nella penisola a metà secolo; posta tra la traduzione fiorentina in prosa del p. A.M. Ambrogi (1749), dedicata a Richecourt, e la poco felice versione lucchese del 1756, rientra nell'ambito letterario che avrebbe accolto, nel 1757, i Versi sciolti di Algarotti, C.I. Frugoni e S. Bettinelli. Anche a questa misura stilistica e letteraria è da ricondurre probabilmente l'amicizia con Algarotti, che apprezzò l'Alzira durante l'estremo soggiorno pisano. Quanto al contenuto ideologico del dramma, se l'universalismo dei lumi non è sminuito nella resa del G., il tema del potere e quello religioso sono essenziali come nelle altre tragedie da lui tradotte e la dimensione etica e spirituale del testo, difficilmente identificabile con un "manifesto deista" (S. Rotta), ne conferma la sintonia con gli ambienti non radicali della cultura toscana. Più che dalle tragedie, precedute da una prefazione che ne ricostituisce tradizione testuale e mitografica e individua il percorso della scena classica francese da Racine a Voltaire (ma la selezione accoglie, con l'Elettra, anche uno dei maggiori rivali del philosophe), è però dalla versione da Plauto, pubblicata per prima ma posposta alle altre nelle postume Opere pisane, che più risalta il classicismo del G. e il suo complesso rapporto con la tradizione. Prevalentemente critico-erudita, la prefazione all'Aulularia s'incentra nella difesa della funzione morale della commedia plautina giudicata, sulla scorta di Maffei e Bossuet, superiore al teatro di Molière. L'apologia di Plauto poggia, contro Orazio, su Cicerone (De officiis, l. I) e mobilita erudizione e filologia, dai cinque-seicenteschi (G. Lipsio, A. Turnèbe, C. Saumaise, J. Gronovius) al Muratori della Perfetta poesia, a sostegno del valore stilistico dell'autore, offerto nell'edizione 1766 con testo originale a fronte. Ma la dimensione letteraria appare congiunta al significato civile della scena, al ruolo di educazione/integrazione delle élites - non diversamente da quanto avveniva per Terenzio, riproposto a Roma con concorso "dei principali letterati, di ottimi prelati e savie matrone", e a Firenze "nei conventi claustrali più morigerati" (Tutte le opere, II, t. IV, p. XXII) - per aprire quindi alla più larga discussione sulla possibile riforma del teatro comico italiano: tema non peregrino in anni che videro dispiegarsi il grande esperimento goldoniano, che conferma l'intelligente partecipazione del G. al dibattito colto del tempo.

Nel G. convissero vocazione letteraria e interessi eruditi. Nel 1751, scrivendo a G. Bianchi, rivendicò orgogliosamente, a proposito di contrasti con Lami, redattore delle fiorentine Novelle letterarie, mai pienamente sanati, la propria appartenenza a un ceto diverso da quello dei letterati di professione e il senso altero dell'impegno suo di "servire il principe" (Collina, p. 106). Il suo lavoro di scavo sul passato della Toscana, riconducibile a un otium confacente agli usi dell'aristocrazia colta, fu accolto solo in parte nelle cinque dissertazioni edite in volume nel 1762 e nel 1766. Vi si spazia dal mondo etrusco e preromano alla Roma repubblicana (in particolare alle vicende della seconda guerra punica e della discesa di Annibale in Italia), sino all'esplorazione dei "bassi tempi" e del tardo Medioevo, ripercorsi con larghezza d'informazione in sostanziale fedeltà alla lezione muratoriana e disposti entro una prospettiva di notevole coerenza, che congiunge antiquaria ed erudizione, storia patria e municipale, aprendosi anche a problematiche interpretative più generali.

Se la spedizione di Annibale in Italia e il suo percorso sono un tema che appassionò il G., che al saggio apparso nel 1752 lavorò per anni, discutendone con interlocutori quali Muratori, Lami, Targioni Tozzetti e ponendo a Voltaire un quesito sul passaggio del cartaginese per le Alpi (cfr. Besterman, D11469), e se le vicissitudini della guerra greco-gotica lo portarono a un'acuta disamina del De bello Gothico di Procopio, che colloca correttamente a Gualdo Tadino lo scontro finale tra Totila e Narsete (contro la tradizione allora corrente), il frutto più maturo della sua erudizione è la dissertazione Dell'antico dominio del vescovo di Arezzo sopra Cortona (Pisa 1760), oggetto di violente polemiche di parte cortonese, affidate alla replica di F. Angellieri Alticozzi (Risposta apologetica al libro dell'antico dominio del vescovo di Arezzo sopra Cortona, Livorno 1763-65). Al lavoro, solido nell'impostazione e nella conclusione, il G. si era dedicato dopo il trasferimento a Cortona come commissario (1745); della elaborazione restano tracce negli epistolari di Gori e di Lami, ma ragioni di opportunità personale e politica sconsigliarono a lungo la pubblicazione. L'impegno esegetico fu peraltro agevolato dal riordinamento delle carte della canonica di Arezzo da parte di G. Fossombroni, F. de' Giudici e P. Giannerini, cui il G. dette risalto in una lettera inviata a Lami per la pubblicazione nelle Novelle letterarie e anche a Muratori (Arezzo, 4 maggio 1747). Si trattava di materiali assai ricchi, comprendenti circa 170 diplomi regi e imperiali a partire dal sec. VIII, funzionali, nell'auspicio del G., a una compiuta storia dei "fasti ecclesiastici dell'insigne Chiesa aretina" (ibid.). La dissertazione del 1760 ne trasse la duplice dimostrazione della giurisdizione spirituale e temporale del vescovado di Arezzo su Cortona dall'età carolingia al 1325 e della lunga decadenza della città dopo gli splendori dell'Etruria preromana: con ribadita, sostanziale rottura tra quell'epoca lontana e i più recenti tempi. Sarebbe errato ridurre a semplice disputa campanilistica un'impresa che si muoveva con eleganza nel solco del rinnovamento del metodo storico, sorretta da un razionalismo di stampo illuministico capace di mobilitare risorse epigrafiche, archeologiche, numismatiche, cartografiche, storico-letterarie e archivistiche non solo locali. Ma il senso ideologico del libro urtò gli avversari, poiché l'asserita dipendenza/sudditanza di Cortona da Arezzo nel Medioevo comportava un netto, e certamente voluto, ridimensionamento del prestigio della nobiltà locale. Storia patria e storia municipale rivelavano istanze politiche larghe e contribuivano a un genere diffuso nell'Europa del tempo. Alla più ampia dimensione storiografica appartiene, del resto, la ricostruzione informata delle lotte tra guelfi e ghibellini nella Toscana duecentesca, condotta senza empatia verso le libertà comunali, nonché la equilibrata valutazione del rapporto tra storia, identità urbana e dimensione ecclesiastico-religiosa, di continuo ribadita nella dissertazione. Appartiene invece al piano della polemica la replica degli accademici Etruschi, pur selettivamente rivista da F. Venuti, "esempio di municipalismo quasi fanatico", cui il G. rifiutò di rispondere (L'Accademia Etrusca, a cura di P. Barocchi - D. Gallo, Milano 1985, p. 139; e le lettere del G. a Lami, Pisa, 24 novembre e 22 dic. 1760, 27 luglio 1763).

Il G. morì a Pisa il 6 sett. 1764 e fu tumulato nella locale chiesa dei serviti (S. Antonino).

Le cinque dissertazioni più importanti, poi nel t. I delle Opere (Intorno agli anfiteatri della Toscana e particolarmente dell'Aretino; Intorno ad alcuni fatti di Annibale; Intorno ad alcuni fatti della guerra gallica cisalpina seguiti l'anno di Roma 529; Intorno alla disfatta e alla morte di Totila, re dei Goti; Intorno alla via Cassia per quel tratto, che guidava tra Chiusi e Firenze), furono edite per la prima volta, rispettivamente, nel 1738 e nel 1752 (il saggio sulla via Cassia in Memorie della Soc. Colombaria fiorentina, II [1752], pp. 103-125). Vedi inoltre: Diss. intorno a Marcellino, vescovo di Arezzo, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, XLVII, Venezia 1752, pp. 163 ss.; Sopra un'antica iscrizione etrusca, ibid., XIX, pp. 79 ss., e nei Saggi di dissertazioni… lette nella… Accademia Etrusca… di Cortona, II (1738), pp. 73-77; Lettera intorno al console aretino, in Raccoltadi opuscoli scient. e filologici, XXII (1740), pp. 311 ss.; Lezione accademica sopra il conclave di papa Gregorio X, in Nuova raccolta di opuscoli scient. e filologici, XIV (1768), pp. 409 ss.; Lettere scritte al p. Bernardino… Vestrini sopra un passo di Procopio, Arezzo 1759. Componimenti poetici del G. si rinvengono in Poesie scelte di vario genere, Firenze 1754; vedi anche le principes dell'Aulularia (ibid. 1747, col titolo Il vecchio avaro e dedica dello stampatore a G. Buondelmonti), dell'Ifigenia (ibid. 1748), dell'Elettra (Arezzo 1750) e dell'Alzira (ibid. 1751). Le versioni dal francese compaiono anche in Raccolta di alcune tragedie trasportate dalla lingua francese nella italiana, Pisa 1762.

Fonti e Bibl.: La biografia è delineata nell'Elogio di G.F. de' Giudici riprodotto in Tutte le opere del cav. L. Guazzesi…, Pisa 1766; ripreso in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri…, IV, Venezia 1837, pp. 211-215 (voce di O. Brizi), integrata da M.A. Morelli Timpanaro, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze, 1715-1766), Roma 1996, pp. 58 s., 70 s. e nn., che contiene anche ulteriori notizie sul G., e da P. Scapecchi, Tipografia, erudizione e libri in un centro "minore" del '700, in Biblioteche oggi, XIV (1996), 8, pp. 52-62.

Non molto offrono le carte di famiglia nell'Arch. di Stato di Firenze, Archivio Bracci-Guazzesi; dati genealogici, cariche e vita pubblica Ibid., Carte Sebregondi, n. 2789, Guazzesi, e Mss., 419, Cittadinanza fiorentina, c. 363. Vedi inoltre: Acta graduum Academiae Pisanae, III, a cura di L. Ruta, Pisa 1980, p. 100; F.A. Massetani, Diz. bibliografico degli aretini ricordevoli nelle lettere, scienze, armi e religione (dattiloscritto, 1936-42, nella Biblioteca Città di Arezzo, Mss., 545). Nuclei epistolari del G. in Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., B.VII.15 (229 lettere ad A.F. Gori), B.I.27.V.19, B.II.27.XIV.27, B.II.27.XVI.21, B.II.27.XVIII.13, B.II.27.XIX.17 (12 lettere ad A.M. Bandini, 1751-63); A.LXXXI.1 (lettera latina a Gori, copia di presentazione del ms. della cinquecentesca Relazione sopra lo stato antico e moderno della città di Arezzo, di G. Rondinelli, Arezzo 1755); Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc., 3733 (76 lettere a G. Lami); Ibid., Biblioteca nazionale, Carteggi vari, 92, 141 e 508, 178; e Carteggio di G. Targioni Tozzetti, Targ., 160 (11 lettere); Ibid., Archivio Niccolini (lettera ad A. Niccolini); Volterra, Biblioteca comunale Guarnacci, lettera a M. Guarnacci; Pisa, Biblioteca dell'Università, Mss., 358.56 (1 lettera ad A. Marchetti, 11 nov. 1721); Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Carteggio di G.G. Carli (E.VII.12); Cortona, Biblioteca comunale e dell'Accademia Etrusca, Mss., 473, cc. 37, 63; 521, cc. 92, 98, 99, 317; 575 (2 lettere del G. a F. Sernini); Rimini, Biblioteca civica Gambalunga, Fondo Gambetti, (106 lettere); Roma, Biblioteca Corsiniana, Mss., 2050, cc. 2-63 (lettere a G.G. Bottari e a P.F. Foggini); Modena, Biblioteca Estense, Archivio Muratoriano, 67.52 (41 lettere a Muratori, 1736-47 e due cc. latine); Autografoteca Campori (16 lettere dal 1748 al 1763); 66 lettere ad A. Calogerà presso la Biblioteca statale M.E. Saltykov-Ščedrin di San Pietroburgo (C. De Michelis, L'epistolario di A. Calogerà, in Studi veneziani, X [1968], pp. 621-704). Inoltre, due lettere del G. a P. Frisi (1764), scritte in qualità di provveditore dell'uffizio dei Fiumi e Fossi di Pisa, sono in Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., Y.148 sup. Per la lettera di Voltaire al G. (Ferney, 18 oct. 1763), cit. nel testo, cfr. The complete works, Correspondence, a cura di T. Besterman, XXVII, pp. 37 s., D11469 (e le lettere tra Voltaire e F. Algarotti, D11465 e D11531, in cui del G. è menzione).

Notizie e accenni al G. sono frequenti nella bibliografia. Oltre a quanto citato nel testo, cfr. G. Natali, Il Settecento, Milano 1961, pp. 516, 581; E. Cochrane, Tradition and Enlightenment in the Tuscan academies, 1690-1800, Roma 1961, pp. 176-179 e passim; S. Rotta, Voltaire in Italia. Note sulle traduzioni settecentesche delle opere voltairiane, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 2, XXXIX (1970), 3-4, pp. 387-444 (in partic. p. 426); M. Cristofani, La scoperta degli Etruschi. Archeologia e antiquaria nel '700, Roma 1983, pp. 54 s., 90, 125; Cultura e società nel Settecento lorenese. Arezzo e la Fraternita dei laici, Firenze 1988, pp. 31, 39 e n., 40 n., 74 (saggio di R.G. Salvadori); Scipione Maffei nell'Europa del Settecento, a cura di G.P. Romagnani, Verona 1998, pp. 270 s., 290, 335.

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