LENZI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LENZI, Lorenzo

Stefano Simoncini

Nacque a Firenze il 23 ott. 1516, da Antonio di Piero e Costanza di Taddeo Gaddi, sorella di monsignor Giovanni e del cardinale Niccolò Gaddi. Suoi fratelli furono Alessandro, nato il 22 ott. 1523, e Antonio, nato il 26 maggio 1529 (Cecchi, 1990, p. 11).

La famiglia dei Lenzi ebbe ruolo non secondario nella vita pubblica fiorentina fin dal periodo comunale. Per ventitré mandati, tra il 1480 e il 1530, un Lenzi fece parte dei tre maggiori. L'ascesa sociale della famiglia nella seconda metà del Quattrocento portò alla costruzione del palazzo Lenzi, nell'attuale piazza Ognissanti. Francesco Lenzi, zio del L., fu membro degli Otto di guardia e di balia nel 1529 (Varchi, 1838-41, II, p. 203); il padre Antonio fu "proposto" della Signoria nel 1528 (ibid., I, p. 474) e nutrì fieri sentimenti repubblicani; atteggiamento, questo, che dopo l'avvento del principato mediceo si sarebbe tradotto nel L. - in sintonia con l'opportunismo politico del cardinale Niccolò Gaddi - nel legame con il fuoruscitismo fiorentino.

Agli zii materni Giovanni e Niccolò Gaddi, entrambi stabilmente insediati nella Curia romana, il primo come decano dei chierici di Camera, il secondo nel Collegio cardinalizio, il L. fu debitore della propria formazione. Giovanni, che animò in Roma una cerchia di letterati e artisti (tra i quali L. Martelli, B. Varchi, P. Aretino, B. Cellini, I. Sansovino) e investì cospicue sostanze nell'acquisto di libri e per finanziare edizioni di classici e di moderni, provvide alla prima educazione del L., affidandolo, intorno al 1525, alle cure di Annibale Caro, che a partire dal 1529 si sarebbe trasferito a Roma come segretario del prelato. Le Lettere familiari di Caro sono tra le fonti più importanti per la biografia del L. e attestano il perdurare dei rapporti tra i due nell'intero arco della loro vita. Legame più stretto e altrettanto durevole ebbe il L. con Varchi. Il primo incontro tra i due, celebrato da Varchi in un sonetto (1859, II, p. 837 n. 36; ma si veda anche p. 878 n. 311), si colloca alla fine di agosto 1527, allorché il L., undicenne, si trovava con Caro e il fratello minore - probabilmente Alessandro - presso Bivigliano, nella villa di Ugo Della Stufa, per sfuggire alla peste. Trovandosi anche Varchi nelle vicinanze, ebbe modo di conoscere e di frequentare in quel soggiorno Caro e il suo giovanissimo discepolo.

Della infatuazione di Varchi per il fanciullo si ha una singolare testimonianza pittorica nel Ritratto di Lorenzo Lenzi, eseguito dal giovane Agnolo Bronzino non oltre il 1528 (Milano, Civiche Raccolte d'arte del Castello Sforzesco). Nel celebre dipinto il L. è immortalato con un libro aperto, che presenta affrontati due componimenti: il sonetto XCVI del Canzoniere petrarchesco e un sonetto di Varchi, dedicato allo stesso L. (1859, II, pp. 832 s. n. 7), entrambi imperniati sulla celebrazione delle virtù della persona amata attraverso il simbolismo del lauro, cui anche il nome del L. rimanda. Varchi gli dedicò buona parte del suo primo canzoniere, sublimando la passione che nutriva nei suoi confronti attraverso gli stereotipi petrarcheschi e danteschi.

Il L. perse il padre al principio del 1529 e fu affidato insieme con i fratelli alla tutela dello zio paterno Francesco. Lo stesso L. attesta in un suo componimento latino che Varchi è stato per lui come un padre: "Praeceptis monitisque tuis, carissime Varchi, / Nam mihi defuncti patris es ipse loco" (Liber carminum, p. 57, carmen XLI, vv. 1-2). Tra 1531 e 1532 il L. lasciò Firenze per recarsi a Bologna, dove intraprese lo studio del diritto, mantenendosi con una pensione mensile di 5 scudi, elargita da monsignor Giovanni Gaddi. Per l'intero periodo di formazione del L., Caro si adoperò insieme con Varchi come mediatore nel rapporto tra il giovane e i Gaddi suoi protettori, soprattutto allo scopo di consolidarne la posizione attraverso il conseguimento di benefici presso il cardinale Niccolò. Ne è testimonianza l'epistolario di Caro, soprattutto le lettere relative al successivo soggiorno padovano del L., che iniziò non più tardi dell'estate del 1535. Da una lettera del L. a Varchi (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. I, 132, cc. 75-76) sembra che il L. procurasse a Varchi libri da Venezia, e da tre lettere di Bembo a Varchi e a Cellini (P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, III, Bologna 1992, nn. 1702 [a Cellini], 1706, 1730 [a Varchi]) si evince una certa familiarità del giovane con l'umanista veneziano, in quanto tramite nei rapporti di lui con i suoi amici fiorentini.

Nell'estate del 1536 il L. suscitò lo sdegno dello zio cardinale per imprecisate dissolutezze e per aver contratto debiti, ma dopo pochi mesi l'incidente si appianò, grazie anche all'intercessione di Caro e di Varchi. Quest'ultimo nel 1537, dopo la rotta di Montemurlo, seguì in esilio in Veneto Piero Strozzi, come precettore dei suoi fratelli minori, ricongiungendosi così all'amico L. e agli altri giovani fiorentini che in Padova attendevano agli studi, tra cui Taddeo Gaddi, cugino e convivente del L., Alberto Del Bene, Ugolino Martelli e Puccio Ugolini. Il L. fu membro attivo dell'Università legista (Piovan, p. 174 n. 15) e partecipò insieme con Varchi all'Accademia degli Infiammati, di cui fu tesoriere e sporadicamente lettore. In questo periodo il L. si trovò coinvolto in contese studentesche sfociate in "un'importantissima questione d'arme, nella quale furno feriti assai" (La vita di Benedetto Varchi, p. 419), cosicché, per ragioni prudenziali, nuovamente si trasferì, insieme con Varchi, Alberto Del Bene, Carlo Strozzi e U. Martelli, a Bologna, dove l'anno successivo conseguì la laurea in utroque. Infine, il 5 dic. 1544, a coronamento degli sforzi dei suoi amici, il L. fu nominato vescovo di Fermo per designazione del cardinale Niccolò, il quale tuttavia serbò l'amministrazione dei beni e delle rendite, nonché la giurisdizione del tribunale vescovile.

Dopo il rientro di Varchi a Firenze, poco sappiamo delle vicende del L., ed è lo stesso Varchi che in un'altra sua elegia (Liber carminum, VII, pp. 23 s.) pone in immediata successione alla laurea la partenza, "per ordine dello zio materno", per la corte di Francia insieme con il figlio del poeta Luigi Alamanni, Battista. Ma Lestouquoy ipotizza che la partenza per la Francia fosse avvenuta il 4 apr. 1547, al seguito del legato Girolamo Capodiferro. Prima di questa data il L. fu probabilmente anche a Firenze: sappiamo infatti da una lettera di Varchi all'Aretino che, insieme con Cellini e Bronzino, egli fu estromesso dall'Accademia Fiorentina in seguito alla riforma del 1546. Tra 1548 e 1549 alternò soggiorni a Roma e a Fermo, come si apprende dalle lettere di G.B. Busini: è probabilmente un periodo di inattività, se è vero che durante la Quaresima del 1549 "va ogni dì alli stazzoni col suo cardinale, che non sa che si far altro" (Busini, p. 187). Nel 1554 fu nominato governatore di Orvieto, ove lo raggiunse Varchi. Dall'ottobre dell'anno seguente passò, in qualità di vicelegato, al governo di Bologna, dove pure lo seguì Varchi, cui elargì nell'occasione un sussidio.

Nella svolta religiosa e politica seguita all'elevazione al soglio pontificio di Paolo IV, il L. entrò nell'orbita politica del cardinal nipote Carlo Carafa, titolare della legazione di Bologna, che nelle sue iniziali mire antimperiali fece leva sull'ambiente dei fuorusciti fiorentini e napoletani. Il L. ebbe un ruolo significativo nelle pressioni esercitate sul duca di Ferrara Ercole II d'Este per assicurare all'Inquisizione esponenti di spicco della cultura modenese sospetti d'eresia, tra cui Ludovico Castelvetro. L'indagine fu probabilmente innescata dall'aspra polemica insorta tra Castelvetro e Caro, che sfociò nell'incriminazione e nella condanna a morte in contumacia di Castelvetro da parte del tribunale di Bologna per l'assassinio di un partigiano di Caro, l'umanista Alberico Longo. Singolare la sincronia tra il datum (1° ottobre) del breve di Paolo IV che sollecitava Ercole II a consegnare i sospetti modenesi nelle mani del vicelegato di Bologna, e l'arrivo del L. in città nei primissimi giorni dello stesso mese (la nomina è dell'11 settembre). Al periodo della vicelegazione risale il magniloquente ritratto del L. eseguito, secondo moduli raffaelleschi, dal toscano Francesco Del Brina (Bologna, Collezione della Banca popolare dell'Emilia Romagna).

La permanenza del L. a Bologna si protrasse almeno fino al gennaio 1557 (dal 26 giugno 1556 come "prolegatus": Hierarchia catholica, III, p. 196 n. 8). Dopo questa data fu impegnato come commissario generale delle milizie pontificie al fianco del duca Francesco di Guisa per contrastare l'avanzata del viceré di Napoli, il duca d'Alba Fernando Álvarez de Toledo, verso Roma, probabilmente per volontà di Carlo Carafa, che organizzò personalmente la difesa della città. Nel settembre dello stesso anno il L., dopo la disfatta di San Quintino e il riorientamento della politica del cardinale Carafa, propenso ora a una vantaggiosa trattativa con il re di Spagna Filippo II, fu nominato alla nunziatura presso la corte di Francia.

Il favore dei Carafa, la sua lontana parentela, attraverso i Gaddi, con la regina di Francia Caterina de' Medici e i suoi legami con illustri fuorusciti fiorentini, tra i quali gli Strozzi e i Gondi, costituirono probabilmente le concause del prestigioso incarico.

Il L. fu in Francia dalla metà di ottobre 1557 all'ottobre 1559, quando, dopo la morte del re Enrico II avvenuta nel luglio precedente, rientrò per breve tempo a Roma, forse chiamato dal nuovo papa Pio IV. Ripartito subito per la Francia (il 1° genn. 1560 era già a Lione), vi restò fino al settembre 1560, nonostante la nomina del suo successore, Sebastiano Gualtieri, avvenuta il 24 aprile precedente. Giunto a Roma intorno al 24 sett. 1560, fu nuovamente inviato presso la corte francese in dicembre, dopo la scomparsa del re Francesco II, per presentare alla regina madre le condoglianze del papa e sostenere l'azione del Gualtieri. Il L. restò presso la corte di Caterina de' Medici fino al momento della sua nomina, il 7 febbr. 1562, a vicelegato di Avignone, ove si trasferì il mese successivo.

La prima fase della nunziatura impegnò il L. quasi esclusivamente nella risoluzione di un delicato caso diplomatico: la liberazione dei due nipoti del papa, Diomede e Pietro Carafa, i quali, trattenuti presso la corte come ostaggi al fine di scoraggiare ogni tentativo di accordo del Papato con Filippo II, poterono ripartire soltanto nel gennaio 1558. Per il resto - stando alla corrispondenza pubblicata da Lestouquoy - il L. ebbe un ruolo trascurabile nel favorire le trattative che condussero alla pace di Cateau-Cambrésis, e la sua attenzione per le questioni religiose, a fronte della costante espansione del calvinismo in Francia, fu in questo periodo molto circoscritta.

La permanenza a Parigi durante il pontificato di Pio IV, tra il marzo e il settembre 1560, si contraddistinse per l'invio di avvisi al cardinale Carlo Borromeo, concernenti le vicende di cui fu diretto testimone, che preludevano allo scoppio della guerra di religione: le esecuzioni, la congiura di Amboise, i propositi e le convinzioni del cardinale di Lorena Carlo di Guisa. In questo periodo il L. fu oggetto di velenosi giudizi da parte dell'ambasciatore toscano Niccolò Tornabuoni, che invitò il duca Cosimo I a sollecitarne l'allontanamento in quanto complice e sobillatore dei fuorusciti fiorentini; l'atteggiamento del Tornabuoni tuttavia mutò radicalmente pochi mesi più tardi, probabilmente su indicazione dello stesso Cosimo I (Correspondance des nonces en France).

L'attività del L. successiva alla morte di Francesco II, tra il gennaio 1561 e il febbraio dell'anno seguente, è meno nota: è molto probabile un suo ruolo nel tentativo di trattenere la reggente Caterina de' Medici dal subordinare la difesa della fede alla sicurezza dello Stato. È invece attestato l'impegno del L. per indurre Maria Stuart, la regina di Scozia allora ancora in Francia, a inviare i vescovi scozzesi al concilio di Trento, e la stessa Caterina a esercitare pressioni sul governatore di Saluzzo per impedire l'espatrio degli eretici perseguitati dal duca di Savoia Emanuele Filiberto.

Il 16 apr. 1562 il L., in qualità di vicelegato e commissario generale, giunse ad Avignone, che in quel momento, con lo scoppio della prima guerra di religione nel Contado Venassino, era seriamente minacciata dall'avanzata degli ugonotti. Nominato al prestigioso incarico per volontà del legato di Avignone Alessandro Farnese, il L. organizzò la difesa della città e le spedizioni contro i rivoltosi insieme con il cugino del papa Francesco Fabrizio Serbelloni, governatore generale del Contado e comandante in capo delle milizie. Nell'ottobre 1563, dopo avere ottenuto - su sollecitazione di C. Borromeo e A. Farnese - dal plenipotenziario del re, Honorat de Savoie conte di Sommerive, la consegna del capo degli insorti, il presidente del parlamento di Orange J. Perrin Parpaille, ne fece eseguire la condanna a morte ad Avignone.

Le gesta del L. e le vittorie delle milizie cattoliche vennero enfaticamente esaltate da Varchi negli allora inediti Sonetti contra gli ugonotti (Ferrone, 1993), composti durante l'estate del 1562. Un'immagine non stereotipata del L. in questo periodo avignonese si ricava, invece, dalle lettere di Marco Tullio Garganello ad A. Farnese (La société avignonnaise, pp. 106 s.).

Dopo la ratifica della pace di Amboise, il L. rimase ad Avignone probabilmente fino al 5 febbr. 1566. Nel dicembre 1565 era morto Varchi, che lo aveva nominato esecutore testamentario ed erede di parte della sua biblioteca e di tutte le carte. Forse a causa della sua assenza, il L. non acquisì mai il lascito e fu sostituito nella conservazione delle carte da V.M. Borghini.

L'ultimo incarico del L. fu di commissario generale del corpo ausiliare pontificio, capitanato dal conte Ascanio Sforza di Santa Fiora, che il papa Pio V nel marzo 1569 decise di inviare Oltralpe per dar man forte all'armata del re cristianissimo.

Secondo le istruzioni ricevute (cfr. De Brognoli), il L. avrebbe dovuto impedire, di concerto con il nunzio, ogni accordo e pacificazione giudicati indegni. Nonostante il lungo viaggio (descritto in un diario inedito: Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 5040, cc. 76r-181v) fosse risultato disastroso per le milizie pontificie e toscane, il corpo ausiliare diede un contributo decisivo alla vittoria di Moncontour del 3 ottobre; la pace di Saint-Germain-en-Laye (1570) fu però proprio del genere temuto e deprecato dal papa.

Nominato nel 1570 governatore della Marca, il L. trascorse l'ultimo periodo della sua vita tra Macerata e Fermo, di cui era ancora vescovo. Morì a Macerata il 26 nov. 1571.

Fonti e Bibl.: Per le fonti manoscritte più importanti si vedano gli studi di Lestouquoy e Ferrone (1993) e, più in generale, i repertori citati in seguito. Parigi, Bibliothèque nationale, Mss. français, 3226, c.94; 15878, cc. 126, 179, 284; 20529 e 20537 (lettere sparse); B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, Firenze 1838-41, I, p. 474; II, p. 203; Id., Opere… ora per la prima volta raccolte, II, Trieste 1859, pp. 832 s., 837, 878; G.B. Busini, Lettere a Benedetto Varchi, Firenze 1860, ad ind.; Documenti circa la vita e le gesta di s. Carlo Borromeo, a cura di A. Sala, III, Milano 1861, passim; La vita di Benedetto Varchi scritta da Gio. Battista Busini, a cura di G. Milanesi, in Il Borghini. Giorn. di filologia e di lettere italiane, II (1864), pp. 361, 419; La société avignonnaise au XVIe siècle. Correspondance de Garganello (1553-1574), a cura di F. Benoit, in Annales d'Avignon et du Comtat Venaissin, XI (1925), pp. 106 s.; Arch. di Stato di Firenze, Archivio Mediceo avanti il principato, Inventario, I, Roma 1955, ad ind.; II, ibid. 1963, ad ind.; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957-61, ad indices; Liber carminum Benedicti Varchi, a cura di A. Greco, Roma 1969, ad ind.; Correspondance des nonces en France. L. et Gualterio, légation du cardinal Trivultio (1557-1561), a cura di J. Lestouquoy, Rome 1977, pp. 8-11; Arch. segr. Vaticano, Secretaria epistolarum ad principes, Epistolae ad principes, I, Leo X - Pius IV (1513-1565), a cura di L. Nanni, Città del Vaticano 1992, ad ind.; Arch. di Stato di Firenze, Carteggio universale di Cosimo I de' Medici, Inventario, IV, 1549-1551. Mediceo del principato, filze 392-403A, a cura di V. Arrighi, Firenze 1993, ad ind.; VIII, 1554-1557. Mediceo del principato, filze 447-460, a cura di M. Morviducci, ibid. 1998, ad ind.; X, 1558-1561. Mediceo del principato, filze 476-488, a cura di I. Cotta - O. Gori, ibid. 1999, ad ind.; S. Ferrone, Dialoghi poetici fra Tasso e Varchi, in Scritti in memoria di Dino Pieraccioni, a cura di M. Bandini - F.G. Pericoli, Firenze 1993, pp. 175 ss.; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane ed umbre, II, Firenze 1671, pp. 138-149; M. Catalani, De Ecclesia Firmana eiusque episcopis et archiepiscopis commentarius, Fermo 1783, pp. 271-274; V. De Brognoli, Studi storici sul regno di s. Pio V, II, Roma 1883, pp. 63-66; H. Fouqueray, Histoire de la Compagnie de Jésus en France des origines à la suppression (1528-1762), I, Les origines et les premières luttes (1528-1575), Paris 1910, pp. 436, 624-628; C. Hirschauer, Politique de st Pie V en France (1566-1572), Paris 1922, pp. 40 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1951, p. 352 n. 4; F. Cerreta, Alessandro Piccolomini letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena 1960, pp. 264 s.; A. Pascal, Il Marchesato di Saluzzo e la Riforma protestante durante il periodo della dominazione francese 1548-1588, Firenze 1960, p. 193; U. Pirotti, Benedetto Varchi e la cultura del suo tempo, Firenze 1971, ad ind.; F. Piovan, Sul soggiorno padovano di Benedetto Varchi. Documenti inediti, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, XVIII (1985), pp. 174 s.; V. Vianello, Il letterato, l'accademia, il libro. Contributi sulla cultura veneta del Cinquecento, Padova 1988, ad nomen; A. Cecchi, "Famose frondi de cui santi honori…"; un sonetto del Varchi e il ritratto di L. L. dipinto dal Bronzino, in Artista. Critica dell'arte in Toscana, II (1990), pp. 8-19; Id., Agnolo Bronzino. Ritratto di L. L., in L'officina della maniera. Varietà e fierezza nell'arte fiorentina del Cinquecento fra le due Repubbliche 1494-1530 (catal.), Venezia 1996, p. 372; S. Ferrone, Indice universale dei carmi latini di Benedetto Varchi, in Medioevo e Rinascimento, n.s., VIII (1997), pp. 125-195 passim; M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a S. Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino 1997, ad ind.; B. Barbiche, La nonciature de France aux XVIe et XVIIe siècles: les nonces, leur entourage et leur cadre de vie, in Kurie und Politik. Stand und Perspektiven der Nuntiaturberichtsforschung, a cura di A. Koller, Tübingen 1998, pp. 66-68, 71, 88; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di C. Weber, Roma 1994, p. 743.

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