LOTTO, Lorenzo

Enciclopedia Italiana (1934)

LOTTO, Lorenzo

Carlo Gamba

Pittore, nato circa il 1480 a Venezia, morto nel 1556 a Loreto. Nella sua tecnica iniziale dai contorni taglienti e dagl'incarnati lievemente velati sul chiaroscuro, egli dimostra di avere impostato l'arte propria su quella di Alvise Vivarini. Tuttavia l'influenza di Giovanni Bellini, preponderante allora in Venezia, si manifesta subito anche su di lui nella solidità e succosità dei ricchi colori specie nei panni e nei dettagli, così come quella del Giorgione nelle ricerche di effetti di luce e di penombra, anche se applicati a una tecnica più antiquata e a una visione cromatica più chiara e già del tutto personale.

Il primo lavoro datato (1500) è un S. Girolamo al Louvre con effetti di nuvole rosate dietro gli alberi già rivelanti un'acuta osservazione paesistica. Dal 1503 il L. risiedeva a Treviso ove, tra altre cose, dipinse a fresco in S. Niccolò i due guerrieri ai lati del mausoleo Onigo e in tavola il ritratto del vescovo di Treviso Bernardo de' Rossi (1505) a Napoli, un'Assunta per Asolo (1506) e una luminosa pala per Santa Cristina. Nel 1508 il L. si trovava a Recanati per collocarvi il magnifico polittico recentemente ricostituito in municipio, nel quale la rigidità delle forme antiquate è animata dalla sensibilità delle espressioni e la crudezza delle vivaci tinte è addolcita da delicati giuochi di riflessi e di penombre.

Invitato a Roma da Giulio II per decorare le stanze nuove del Vaticano in compagnia di altri già illustri pittori, egli vi si trattenne fino verso il 1512 senza che nulla vi rimanga ad attestarne l'attività. Ma gli affreschi di Raffaello nella stanza della Segnatura produssero tale impressione sul papa, che tutti gli altri pittori vennero licenziati e i loro lavori distrutti. Lo stesso L. ne rimase stupito, tanto che si sforzò di assimilare la solidità morbida e luminosa di quella tecnica, atta a rendere con tanta naturalezza il modellato, il movimento e l'atmosfera. Mancando egli però di fondamento anatomico nel disegno, ne risultò quell'ibridismo alquanto squilibrato che si osserva nella Trasfigurazione di Recanati e nella Deposizione di Iesi (1512) ove, malgrado l'eccellente interpretazione cromatica raffaellesca, la costruzione delle figure rimane non sufficientemente determinata e gli atteggiamenti alquanto convulsi e impacciati. Migliore per la disinvoltura del movimento è il S. Vincenzo in gloria frescato in S. Domenico di Recanati ed evidentemente ispirato alla Disputa del Sacramento. Tornato dopo il 1513 nel Veneto, l'artista riprese l'indirizzo originario, onde poté realizzare una propria visione cromatica rispondente perfettamente al proprio impulso creativo.

A Bergamo, ove si trattenne lungamente fino al 1525, manifestò la pienezza del proprio valore. La sua prima opera importante colà eseguita fu probabilmente il Martirio di S. Pietro martire per la chiesa di Alzano, dipinto sotto l'influsso di Palma il Vecchio. Del 1515 è il doppio ritratto dei due Della Torre a Londra, che contiene ancora impronte raffaellesche; ma l'opera mediante la quale il L. poté rivelare il suo genio fu la grandiosa pala di S. Domenico (1517) che, per la grazia sentimentale delle figure e per la dolcezza del colore, ha fatto pensare a qualche rapporto del L. con il Correggio.

Il culmine di questo periodo viene raggiunto nel 1521 con le pale di S. Spirito e di S. Bernardino, per delicatezza di sentimento, per ricchezza di colorito, per luminosità e ariosità dei fondi, nella seconda in particolare per effetti di luce. Non inferiore ad esse dovette essere lo Sposalizio di Santa Caterina (1523) dell'Accademia Carrara, mutilato del paesaggio di sfondo. Dello stesso anno è il ritratto dei due sposi soggiogati da amore, a Madrid. Di questi anni sono pure talune sue opere a fresco: in Bergamo una cappellina in S. Michele in Pozzo Bianco, a Credaro alcuni avanzi di una sagrestia e specialmente a Trescorre la cappella dei Suardi che decorò nel 1524 con storie di Santa Barbara e di altre sante, espresse con uno spirito episodico dei più graziosamente realistici, i disegni per talune storie intarsiate negli stalli di Santa Maria Maggiore.

Dopo il 1525 il L. dimorò a Venezia o a Treviso continuando a lavorare specialmente per la sua clientela marchigiana e bergamasca. Mandò nel 1526 a Iesi una Madonna tra San Giuseppe e S. Girolamo da paragonarsi più d'ogni altra sua cosa al Correggio; nel 1527, alla pieve di Celana, una turbinosa Assunzione; a Ponteranica un polittico; a Recanati, per la Compagnia di Santa Maria sopra mercanti, un'Annunciazione tutta fremente di commozione; a Spalato, per il monastero di Paludi, un ritratto del vescovo Tommaso Negri. Frattanto la sua tecnica, al cospetto di quella del Tiziano, si andava facendo più sciolta, più succosa, più vibrante, mentre la sua immaginazione diventava sempre più tormentata e sensitiva. Tali nuove conquiste si ammirano nella prima pala dipinta dal L. per Venezia, la Glorificazione di S. Nicola da Tolentino, al Carmine, con un paese nel basso tanto lodato dal Vasari.

Poco dopo il 1529, l'artista mandava a Iesi un altro capolavoro: la Disputa di Santa Lucia, con quella predella piena di concitazione che, col suo tocco vibrante, precorre le conquiste pittoriche successive; e così pure un'Annunciazione e una Visitazione. Poi nel 1531 veniva collocata nella sua ricchissima cornice a Monte S . Giusto presso Macerata l'appassionata Crocifissione, una delle opere più grandiose del maestro giunto all'apice dell'arte sua.

Circa il 1535 il L. doveva aver dipinto la bellissima Madonna di Osimo, rubata nel 1911 e non più rintracciata. Dal 1538 incomincia un libro di conti che fino alla morte del L. serve di guida a datarne tanti altri lavori e a conoscere i suoi garzoni che da allora in poi collaborarono col maestro specialmente in repliche. Del 1539 è la gran pala di Cingoli con la Madonna del Rosario; del 1542 la pala di Sedrina nel Bergamasco e il S. Bernardino da Siena nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia, del 1546 la Madonna con Santi di Ancona; del 1549 la già stanca pala di S. Giacomo dell'Orio a Venezia.

Ma da quest'anno il L., già vecchio e dominato da pensieri religiosi, si sentì attratto a ritirarsi a Loreto per terminare i suoi giorni presso la venerata immagine della Santa Casa. A Loreto egli dipinse fino all'ultimo anche opere di gran mole come l'enorme Assunzione di Ancona (1550), ora tutta ridipinta, e la pala d'altare di Mogliano; ma l'occhio e la mano si andavano gradatamente indebolendo, come si vede dalle sue ultime tele con le quali il pio vecchio andava decorando il coro della basilica lauretana. Sono visioni sintetiche ed espressive, ma spente di colore; solo la Circoncisione ha ancora un guizzo potente di genialità e rivela una visione cromatica precorritrice di conquiste venture.

Dell'artista operosissimo, e pure scrupoloso della perfezione tecnica, non è possibile elencare, oltre le opere già ricavate, i molti dipinti sparsi a Roma, a Milano, a Vienna, a Berlino, a Parigi, a Londra, ecc. Ritrattista sommo, pregiato dallo stesso Tiziano, seppe rendere in modo insuperabile i caratteri psicologici, benché quasi sempre colorandoli della malinconia che a lui fu propria: dal giovane con la lampada accesa di Vienna (Galleria), dalla gentildonna dell'Accademia di Bergamo, ai tre ritratti della Galleria di Brera, al gentiluomo col teschio fra i petali di rosa della Galleria Borghese, esiste da lui rappresentato tutto un mondo di persone della vita delle quali si potrebbe indovinare l'intimo dramma: tra queste Michelangelo durante la sua fuga a Venezia nel 1529.

V. tavv. CXXXV-CXXXVIII.

Bibl.: B. Berenson, L. L., 2ª ed., Londra 1905; Bercken, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIII, Lipsia 1929 (con bibl.); L. Coletti, Un ritratto di L. L., in L'Arte, XXXIII (1930), pp. 467-70; K. N. Öttinger, Ein "Konzert des L.", in Belvedere, II (1930), pp. 10-14; V. Moschini, Un altro ritratto di L. L., in L'Arte, XXXIV (1931), pp. 223-31; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932; A. Morassi, Gli affreschi del L. in S. Michele del Pozzo Bianco a Bergamo, in Boll. d'arte, XXVI (1932-33), pp. 160-72; E. Zocca, Divagazioni sulle opere giovanili del L., in Rass. marchigiana, XI (1933), pp. 41-49.

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