ORENGO, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORENGO, Lorenzo

Francesco Franco

– Nacque a Genova il 29 novembre 1838, da Luigi e da Teresa Ottone.

A partire dai primi anni Cinquanta si formò all’Accademia ligustica con Santo Varni, frequentandone contemporaneamente lo studio e raffinando la tecnica della scultura in marmo con l'aiuto di Carlo Rubatto.

Tipico esponente, al pari di Varni, del realismo borghese dell’Ottocento, impegnato nella realizzazione di opere di genere e di decine di monumenti sepolcrali in marmo per i cimiteri liguri (Sborgi, 1997, p. 83), è uno dei protagonisti della corrente del cosiddetto realismo analitico, per la meticolosità nel definire i più piccoli dettagli dell'anatomia umana, dei panneggi e degli accessori di costume.

Nelle sue frequenti partecipazioni, fra il 1863 e il 1898, alle esposizioni della Società promotrice di belle arti di Genova, era solito esporre sia abbozzi in gesso delle opere, che poi avrebbe tradotto in marmo, sia statue già vendute ai committenti, quasi sempre appartenenti all'alta borghesia e alla nobiltà. Dalle note nei cataloghi dell'istituzione si evince che ritraeva spesso dal vero i suoi modelli, non disdegnando, in alcuni casi, l'esecuzione delle opere basandosi su precedenti ritratti fotografici e frequentemente, per ottenere maggior realismo nella rappresentazione dei defunti, prendendo il calco direttamente sul volto, secondo una prassi consolidata. Questi elementi, insieme a una scelta di temi rappresentativi dei valori tipici della società contemporanea (famiglia, lavoro, religione e onestà), senza un eccesso di allegorie e simboli di ascendenza classica, lo portarono rapidamente a essere uno fra gli scultori maggiormente richiesti nel Cimitero monumentale di Staglieno (ubicazione di tutte le opere citate, se non espressamente indicato; Monumenti..., 2003, p. 18).

Negli anni Settanta, per avere una maggior libertà espressiva nella realizzazione delle opere commemorative, si batté con successo, insieme ad altri artisti, per ottenere il permesso di collocare sculture che potessero valicare i bordi delle lesene nei porticati di Staglieno, come emerge per esempio dal Cippo Paolo Antonio Nicolay del 1873 (porticato superiore di ponente; Sborgi, 1997, pp. 226 s.). Nel 1875 realizzò Adamo (Pantheon, cappella dei suffragi), senza dotarlo di ombelico (in quanto creato da Dio e non generato da un parto), in atteggiamento penitente, posto su una sottile base con inciso il motto: «Sol per mia colpa qui la morte impera» (Resasco, 1904, pp. n.n.). La statua incontrò il favore del pubblico, ma non del suo autore – perennemente scontento del proprio lavoro – che la considerò di medio livello, tanto che forse non le dedicò neppure una ripresa fotografica, nonostante avesse sempre l'abitudine di immortalare le sue opere (Resasco, 1892, p. 190 s.).

Nel 1881 realizzò il lavoro più noto, il Monumento a Caterina Campodonico, conosciuto anche come Paisanna o La venditrice di noccioline o di ciambelle (porticato inferiore di levante), dal quale emerge l’esaltazione del realismo dei particolari, spinto fin nei minimi dettagli, come nel merletto finemente traforato e nelle nappe della veste, nelle rughe e nelle sopracciglia singolarmente definite (Sborgi, 1997, p. 150 s., 155), oltre che, naturalmente, nelle ciambelle e nelle collane di noccioline, simboli di un lavoro umile, faticoso e onesto assurto a esempio morale per la collettività. A quanto si evince anche dall'epitaffio in rima scolpito sulla base del monumento, composto in vernacolo da Giambattista Vigo, un carbonaio poeta (Resasco, 1904, p. 266; 1896, pp. 76 s.), l'opera evidenzia il fenomeno per il quale, sulla scia della moda diffusa presso l'alta e la media borghesia, le classi sociali meno privilegiate incominciavano a destinare i risparmi del lavoro di una vita alla propria rappresentazione marmorea da tramandare ai posteri: facevano iniziare il ritratto diversi anni prima del trapasso (Sborgi, 1997, pp. 151, 155), sapendo che sarebbe stato collocato in un luogo che per la cultura dell'epoca rappresentava uno status symbol irrinunciabile.

Fra il 1885 e il 1887 realizzò la Tomba Whitehead e Bentley (sezione protestante), commissionata, dopo la morte del marito, da Julia Morison Bentley, moglie dell'ingegnere Benjamin Whitehead. L'uomo è rappresentato accanto al suo banco di lavoro, al fine di caratterizzare efficacemente la sua professione (nel piedistallo, in bassorilievo, è raffigurata una macchina idraulica di sua invenzione), mentre la moglie è ritratta in abbigliamento borghese da passeggio, secondo la moda dell'epoca, indugiando sui particolari del tessuto dei vestiti e delle applicazioni di merletto traforato, ancora visibili anche se l'aggressione delle intemperie sul marmo sta compromettendo il realismo iperdefinitorio di molti particolari dei tessuti e dei volti.

Nel Cippo Adolfo Giordano (1887; porticato superiore di levante) emergono i principali elementi del chiaro lessico espressivo che Orengo utilizzava costantemente nelle tombe dei bambini: la martingala, il fiocco e la grande cartella. La Tomba Pierino Beccari (galleria retrostante il Pantheon), del 1888, presenta la consueta iconografia dell'angelo dotato di grandi ali che conduce per mano nell'aldilà l'infante. La scultura è dominata dalla figura del chiasmo: sia nell'intreccio delle mani, fulcro estetico in cui convergono le linee verso il cielo, sia nella contrapposizione dello sguardo dell'angelo verso l'alto, in opposizione a quello tristemente basso del bambino, attaccato alla sua vita terrena di scolaro precocemente strappata (evidenziata dall'abbigliamento spesso utilizzato dall'artista con pochissime varianti).

Al 1890 risale la Tomba Giuseppe Ratto (porticato superiore di levante), in cui, come di consueto, il linguaggio iconografico è specificamente legato alla vita del defunto, effigiato con la toga (Sborgi, 1997, p. 119) e una bilancia, posta non come un'astratta allegoria della giustizia, ma come un oggetto ben definito (disposto con i piatti affastellati uno sull'altro): un simbolo volto a connotare la professione di avvocato del committente, patrocinatore dei poveri, come indicato dalla scelta di porre una vedova accasciata a terra, accanto a un'orfanella (Resasco, 1904, pp. 301 s.; 1892, pp. 193 s.).

In alcuni lavori degli anni Novanta il verismo di Orengo si fa ancora più crudo, come emerge dalla Tomba Mantero (1895; porticato inferiore a sud) in cui la figura dell'angelo, da personaggio consolatorio che accompagna il defunto, diventa, sulla scia della cultura simbolista e decadentista, un essere che medita il mistero della morte, con lo sguardo rivolto non più al cielo, ma alla terra. In questo periodo Orengo evitava di ingentilire i volti e le masse, al punto che i contemporanei definirono il suo stile un verismo alla Zola (Sborgi, 1997, p. 143): si vedano il Cippo Maine (1892; porticato inferiore a sud) e la Tomba Pescia (1897; boschetto irregolare).

Morì a Genova il 25 marzo 1909.

Fonti e Bibl.: Genova, Archivio storico di stato civile, leve dal 1814 al 1865, O. L.; F. Resasco, La necropoli di Staglieno…, Genova 1892, pp. 31, 37 s., 41 s., 44, 75-77, 189-194, 324 s.; Id., Staglieno. Camposanto, Milano 1904, pp. 266, 301 s.; F. Sborgi, La scultura a Genova e in Liguria. Dal Seicento al primo Novecento, II, Genova 1988, ad ind.; Dizionario degli artisti liguri, pittori, scultori, ceramisti, incisori dell’Ottocento e del Novecento, a cura di G. Beringheli, Genova 1991, p. 253; V. Vicario, Gli scultori italiani dal Neoclassicismo al Liberty, II, Lodi 1994, pp. 737 s.; A. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell'Ottocento e del primo Novecento, I, Torino 1994, s.v. (con bibl.); F. Sborgi, Staglieno e la scultura funeraria ligure tra Ottocento e Novecento, Torino 1997, pp. 83, 119, 143, 150 s., 155, 226 s. e ad ind.; Monumenti e statue di Staglieno, Genova 2003, pp. 18, 56, 94; M.F. Giubilei, Galleria d'arte moderna, Repertorio, II, Firenze 2004, pp. 625, 880.

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