LORENZO Veneziano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LORENZO Veneziano

Giorgio Tagliaferro

Non si hanno notizie documentate che permettano di precisare con certezza l'identità di questo pittore, la cui firma appare su alcuni dipinti datati fra il 1356 e il 1372.

La critica ha progressivamente abbandonato l'ipotesi che si trattasse del medesimo Lorenzo, pittore abitante a Venezia in parrocchia di S. Marina, che nel 1379 versava un contributo di 400 lire a sostegno della guerra di Chioggia contro i Genovesi (Cicogna), nonché dell'omonimo "pictor sanctorum" che il 4 giugno 1365 veniva eletto erede universale dal padre Nicolò, esercitante la medesima professione (Fulin; Caffi). In realtà è possibile che l'identità di queste due persone coincida poiché nelle ultime volontà dettate il 26 genn. 1374 da Margherita, seconda moglie del defunto Nicolò, è nominato fedecommesso il cognato maestro Lorenzo, pittore abitante a S. Marina, che aveva sposato la sorella Elena (Arch. di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore, Notai, Francesco de Recovrati, Testamenti, b. 163, cc. 83v-84r: citato, con data errata, in Guarnieri, 2003). A sua volta, un "Lorenzo de li santi" da S. Marina, pur non essendo qualificato pictor, risulta iscritto tra i confratelli della Scuola di S. Cristoforo dei Mercanti, la cui "mariegola" (matricola) del 1377 contiene due miniature talvolta riferite a L. (Guarnieri, 2003, pp. 8 s., 11, n. 26; Id., 2004). Nonostante tutto, manca un aggancio sicuro con L.; così come non è supportata l'identificazione alternativa con un Lorenzo pittore, sposato ad Agnese e abitante a S. Luca, che il 23 luglio 1371 citava a giudizio il "consanguineus" Nicoletto Acotanto (Cecchetti). Seguendo la prima traccia, è stato inoltre suggerito che Pietro, figlio in prime nozze di Nicolò "de li santi" e dunque fratello del presunto L., fosse padre del noto pittore Nicolò di Pietro (Testi; Guarnieri, 2004). In tal caso L. verrebbe a inserirsi all'interno di una genealogia di pittori avente un ruolo centrale nello sviluppo dell'arte veneziana fra XIV e XV secolo.

L'incertezza dei dati biografici non agevola una piena valutazione della formazione e degli esordi artistici di L., che appare in possesso di un lessico già maturo nella sua più antica opera conservata. Si tratta del polittico firmato e datato 1357 (Venezia, Gallerie dell'Accademia), proveniente dall'altare maggiore della chiesa veneziana di S. Antonio Abate, che un'iscrizione dichiara essere stato commissionato dal patrizio Domenico Lion (si riferisce probabilmente al completamento del dipinto la data 1359 che si legge nello scomparto centrale, corretta però al 1358 sulla base di riflettografie: Guarnieri, 2001).

Se le proporzioni allungate dei santi laterali nel registro inferiore hanno incoraggiato un confronto con le austere figure di impronta bizantina tipiche dell'estrema attività di Paolo Veneziano, l'Annunciazione della tavola centrale e i Profeti del registro superiore manifestano una sensibilità più moderna e un'apertura verso nuovi orientamenti avviati nell'entroterra padano. L'intensità espressiva dei volti, l'articolazione dinamica dei panneggi, l'abbandono delle lumeggiature alla bizantina e delle tracce di fondi scuri nelle carni a favore di una qualità cromatica schiarita e armonizzata con la luce in funzione della resa plastica, con accostamenti timbrici raffinati e delicate sfumature del tono locale, sono caratteristiche che sembrano postulare la conoscenza diretta di modelli veneti ed emiliani, sollevando la questione cruciale dell'educazione pittorica di L. e implicando un esame critico del contesto veneziano di metà Trecento nel suo complesso.

L. è stato considerato il primo e maggiore innovatore in senso gotico all'interno della scuola veneziana; il giudizio sulla sua personalità è variato a seconda del grado di isolamento assegnato alla realtà artistica locale e nella prospettiva di un superamento della tradizione. È sintomatico che, sebbene siano stati ripetutamente messi in rilievo i rapporti formali con le tendenze più evolute sviluppate in terraferma, non si sia mai avanzato alcun dubbio riguardo all'ipotesi di un suo apprendistato presso Paolo Veneziano, ritenuto un fattore imprescindibile per giustificarne le pur attenuate persistenze veneto-bizantine e nel contempo un punto di riferimento dialettico rispetto al quale mettere in risalto gli aspetti più avanzati della sua arte. Al riconoscimento di queste qualità, d'altronde, è corrisposto un crescente apprezzamento della sua statura artistica, cosicché dopo i primi isolati entusiasmi della critica moderna (Moschetti; Testi) si è proceduto nel secondo dopoguerra a una riconsiderazione del ruolo di L. nello svolgimento della pittura gotica a Venezia e nell'Italia settentrionale. Nell'espressività impressa da L. alle figure sono state rilevate tangenze con la produzione trevigiana di Tomaso Barisini da Modena; mentre il linearismo plastico sembra essere derivato da una conoscenza diretta dell'arte di Guariento di Arpo e dei contemporanei padovani. E, se si sono spesso ravvisati contatti con il naturalismo bolognese di matrice vitalesca, non è senza importanza l'evidente parentela con Giovanni da Bologna, protagonista di un prolungato dibattito critico su una presunta formazione al seguito di Lorenzo.

Questa rete di relazioni ha consentito anche una revisione di taluni atteggiamenti interpretativi che isolavano Venezia dal flusso cortese che già nella prima metà del secolo investiva l'Italia settentrionale, stimolando l'interesse ad affrontare con maggiore profondità gli scambi tra la scuola lagunare e i limitrofi movimenti d'avanguardia (Guarnieri, 1998). In quest'ottica allargata, che include Venezia in una circolazione del gusto gotico lungo direttrici di scala europea, trovano una più coerente collocazione anche quei tratti di fluente narratività nei quali si sono ravvisate possibili reminiscenze boeme (Longhi, 1947; Guarnieri, 1998). Ma, pur nell'accertata congruenza con correnti extraveneziane, resta problematico individuare gli antefatti di un'opera già progredita come il polittico Lion, che tuttora si presenta come un esordio enigmatico proprio per la sua maturità rispetto ai prototipi paoleschi (Gamulin).

Si è tentato di ovviare a questa difficoltà costituendo un gruppo di dipinti che potrebbero appartenere al periodo giovanile di Lorenzo. La diffusa convinzione che si dovesse cercare la sua mano in opere di confine tra la koiné adriatica tardobizantina e gli esiti dell'ultimo Paolo ha concentrato l'attenzione su alcune tavole, tra cui la dibattuta Natività del Museo nazionale di Belgrado (Il Trecento adriatico(, p. 180; Pittura italiana(), la Madonna col Bambino e il committente Pietro de Gigi proveniente dalla parrocchiale di Mazzolano (Imola, Museo diocesano) e i due comparti con la Vergine Addolorata e S. Giovanni Evangelista già in collezione Gualino (Torino, Galleria Sabauda). L'idea di un suo esclusivo alunnato presso Paolo è stata però messa in dubbio (De Marchi, 1995) proprio in considerazione delle forti implicazioni con i modelli guarienteschi e padovani, rispetto alle quali sarebbe insufficiente la sola formazione veneziana. Così, il chiaroscuro costruttivo, l'uso del profilo, il gesticolare energico e le larghe pieghe spezzate dei panneggi sarebbero tratti distintivi dell'arte di L., riscontrabili in alcune opere da collocarsi alla metà del secolo: un dittico raffigurante la Madonna, la Crocifissione e sei Santi (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum), una tavola con la Madonna dell'Umiltà sormontata da una Crocifissione (Londra, The Courtauld Art Gallery), la valva sinistra di un dittico o di un polittico con i Ss. Giuliano, Marco, Bartolomeo e tre Storie di s. Nicolò (Venezia, Civico Museo Correr), due Storie del Battista con Natività (New York, collezione Wildenstein), un S. Giovanni Battista che addita Cristo ai discepoli (Detroit, Institute of arts), una Madonna col Bambino (Mosca, Museo Puškin).

Una terza via è infine quella veronese, battuta da chi ha accettato l'attribuzione a L. della Croce stazionale di S. Zeno (L. Cuppini, 1958), della Madonna dell'Umiltà con i ss. Domenico e Pietro Martire e due committenti scaligeri in S. Anastasia (cfr. Simeoni), nonché dell'Incoronazione della Vergine e dell'Adorazione dei magi in S. Fermo (sostenuta da M.T. Cuppini, 1961, 1970; ma risolutamente respinta da Arduini), tutte messe in relazione cronologica con una tavola firmata "Laurentius pinxit" e datata 1356, segnalata a Verona nel Settecento ma non più rintracciata (Maffei). Anche questa ipotesi, postulando un soggiorno di L. nella città scaligera entro la fine del sesto decennio, intende fornire una parziale spiegazione alle tracce di un incontro con la cultura della terraferma veneta.

Contiguo al polittico Lion è lo Sposalizio mistico di s. Caterina (Venezia, Gallerie dell'Accademia), firmato e datato febbraio 1360 (1359 more veneto), in cui la schematica rigidità bizantina viene infranta dal movimento del Bambino, trattenuto dalla Vergine mentre si sporge verso la santa. Un vivido naturalismo anima i volti e le fisionomie dei personaggi instaurando tra loro un sottile legame affettivo. Ancora l'azione del Figlio che coglie un frutto dalla Madre rende sciolta la composizione della Madonna in trono col Bambino (Padova, Museo civico), firmata e datata 17 sett. 1361, dove la linea si fa sinuosa inclinando il capo della Vergine e agitando l'orlo inferiore del suo mantello.

Nel dicembre 1366 L. firmava il polittico commissionato da Tommaso e Giampietro Proti (Vicenza, duomo), raffigurante la Dormitio Virginis nello scomparto centrale, la Crocifissione affiancata da S. Caterina e S. Elena in quello superiore, figure di santi e dei due donatori nei registri laterali sovrapposti.

Nonostante il ritorno alle lumeggiature bizantine nel Cristo e negli angeli della scena centrale, si è letto nell'insieme uno spiccato carattere cortese, evidente nelle figure snelle e sottili dei santi, rimpicciolite nelle proporzioni, modellate con un linearismo tagliente, elegantemente colte in pose aggraziate e abbigliate con profusione di dettagli sfarzosi nelle stoffe e negli ornati.

Una fonte seicentesca riferisce di un'ancona firmata da L. e datata 4 luglio 1368, in origine sull'altare maggiore della chiesa di S. Giacomo a Bologna, rimossa nel 1491, ancora conservata nel capitolo del convento nel 1616, e definitivamente smembrata nel 1636 (Filippini - Zucchini).

Nel Settecento lo scomparto centrale con l'Incoronazione della Vergine, recante l'iscrizione con firma e data, si trovava nella collezione Ercolani di Bologna (Filippini; Lanzi). La tavola è stata identificata con quella di medesimo soggetto, ma priva dell'iscrizione, acquistata dal Musée des beaux-arts di Tours (De Marchi, 1996, pp. 64-69), da completarsi con il frammento di Angeli entrato nello stesso museo (Gilet; Picard). Questo riconoscimento, condotto sulla base delle misure complessive, confermerebbe le intuizioni di Volpe che includeva nel complesso anche due tavole con S. Bartolomeo e S. Antonio Abate (Bologna, Pinacoteca nazionale). Secondo la ricostruzione di De Marchi (1995, p. 241 n. 5), vi andrebbero aggiunti due pannelli con S. Sigismondo e S. Caterina già sul mercato antiquario e ora di proprietà della Banca della Svizzera italiana di Lugano (Guarnieri, in Pinacoteca nazionale(), e il discusso S. Leonardo (Siracusa, Museo di Palazzo Bellomo), già attribuito a L. da L. Cuppini (1949), ma non incluso da Volpe nel polittico bolognese.

Al gennaio 1370 (1369 more veneto), come indicato dalla consueta iscrizione firmata, risale la Consegna delle chiavi a s. Pietro (Venezia, Civico Museo Correr), tavola centrale di un polittico che è stato ricostruito aggregandovi la predella con Storie dei ss. Pietro e Paolo (Berlino, Staatliche Museen), e quattro scomparti raffiguranti S. Marco e S. Giovanni Battista (laterali di sinistra), S. Bernardo e S. Girolamo (laterali di destra), già conservati nello stesso museo e andati distrutti nel 1945 (Coletti, 1932; Sandberg-Vavalà, 1932).

Se la rappresentazione principale risalta per la monumentalità di Cristo, accentuata dal trono scorciato, nella predella si dispiega una narrazione libera e spedita, con accenti di quotidianità cui corrisponde un'attenzione alla descrizione minuta anche nei particolari del paesaggio. Questa tendenza ad attualizzare l'evento sacro e a connotarlo "in termini di racconti fabulistici" (Flores d'Arcais, 1996, p. 896) è stata messa in relazione con la cultura figurativa bolognese e quindi, data la prossimità cronologica, con la realizzazione del polittico per la chiesa felsinea di S. Giacomo.

Come per il precedente, non si conosce la provenienza del polittico con l'Annunciazione al centro e i Ss. Nicolò, Giovanni Battista, Giacomo e Stefano ai lati (Venezia, Gallerie dell'Accademia).

L'opera segna un ulteriore distacco dall'austerità bizantina, accentuando la resa plastica delle volumetrie e la ricchezza dei colori, accesi e modulati al variare della luce. Di grande interesse sono il notevole valore spaziale assunto dal trono posto di tre quarti e l'introduzione del prato fiorito su cui poggiano le figure, elemento comunemente associato alla cultura d'Oltralpe e che trova qui una delle prime apparizioni in territorio italiano (Guarnieri, 1998).

Stilisticamente affine è il trittico proveniente dall'antico ufficio della Seta, originariamente costituito da una Resurrezione (Milano, Museo del Castello Sforzesco), da due scomparti con S. Pietro e S. Marco, firmati e datati novembre 1371 (Venezia, Gallerie dell'Accademia) e da una dispersa Madonna col Bambino.

Inventariato da Pietro Edwards nell'Ottocento (Malamani), il complesso è stato ricostruito da Longhi (1947) grazie a considerazioni di ordine formale che trovano conferma nelle dimensioni e nella descrizione delle tavole in esame. Proprio l'incongruità delle dimensioni confuta invece la proposta da parte di Longhi di identificare la Madonna col Bambino con quella conservata al Birmingham Museum of art (Travi). La data della realizzazione ha suggerito una relazione fra il trittico di L. e il ciclo di affreschi eseguito nel 1370 da Nicolò Semitecolo nella cappella dei Lucchesi in S. Maria dei Servi, dal momento che la comunità lucchese deteneva un ruolo fondamentale nel mercato della seta veneziano (Il Trecento adriatico(, p. 204).

La monumentalità raggiunta dal trittico della Seta, percepibile tanto nei santi laterali avvolti nei loro manti quanto nei protagonisti della poderosa scena centrale, si unisce alla raffinatezza del ritmo lineare nell'ultima opera firmata da L., la Madonna col Bambino datata settembre 1372 (Parigi, Musée du Louvre).

La tavola, che secondo la ricostruzione di Puppi dovrebbe essere stata dipinta per la chiesa di S. Francesco a Rieti, mostra una composizione serrata, articolata su un'imponente edicola che ospita le figure inquadrandole di prospetto. Il segno del contorno chiude la Vergine nel volume maestoso del suo corpo; ma la linea si incurva tendendo il collo e incurvando la mano che porge una rosa al Figlio, ricadendo in basso nel fitto addensarsi delle pieghe del mantello.

La tenerezza garbata della madre e la dinamica vitalità del bimbo tornano nel comparto di mezzo del polittico proveniente dal monastero di S. Maria della Celestia (Milano, Pinacoteca di Brera), unanimemente attribuito a L. fin dall'inventariazione di Edwards (Bollati; Il Trecento adriatico(, p. 206). La rappresentazione è giocata sul movimento scattante di Cristo bambino, che si aggrappa a Maria allungandosi in direzione opposta, e sulla ricchezza ornamentale dell'ampio trono traforato e decorato, attorno al quale si stipano angeli musicanti e oranti. L'eleganza delle vesti, sontuose anche in alcuni santi laterali, e la presenza del tappeto erboso hanno condotto la critica a giudicare l'opera come il punto d'arrivo di un percorso verso l'acquisizione di un linguaggio pienamente gotico.

Sono numerosi i dipinti ascritti a L. per via attribuzionistica, tra cui vanno segnalati: una Madonna della Rosa di ubicazione ignota, ma già in collezione Massari a Ferrara (Guarnieri, 2001) e una Madonna in trono col Bambino (New York, The Metropolitan Museum of art, Lehman Collection: Pallucchini, 1964, pp. 170 s.), assimilabili alla tavola di Padova del 1361; una Madonna dell'Umiltà fra i ss. Marco e Giovanni Battista (Londra, National Gallery: Dunkerton et al.), la cui tipologia ritorna in una Madonna dell'Umiltà fra i ss. Biagio ed Elena (Maastricht, Bonnefantenmuseum) considerata opera di bottega (De Jong-Janssen - van Wegen); due Madonne dell'Umiltà (Trieste, S. Maria Maggiore, e Vicenza, S. Corona: Guarnieri, 1998), avvicinate al polittico Proti; una tavoletta con un Miracolo di s. Nicolò (San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage), confrontabile con la predella berlinese (Kustodieva); un trittico con la Crocifissione, già in collezione Brooke a Londra (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza: Cook), riferito alla fase estrema.

Si è cercato di individuare anche un'attività miniatoria di L. (Guarnieri, in Dizionario biografico dei miniatori), dapprima con l'attribuzione di due miniature della mariegola della Scuola grande di S. Marco (Venezia, Civico Museo Correr), raffiguranti S. Marco che riceve la mariegola dai confratelli e la Flagellazione (Pignatti); poi riconoscendogli due fogli appartenuti forse alla mariegola della Scuola grande della Misericordia, in cui sono rappresentate la Flagellazione (Cleveland, Museum of art) e la Madonna della Misericordia di collezione privata milanese (Todini); infine portando sotto il suo nome un S. Cristoforo miniato a tutta pagina nella mariegola della Scuola di S. Cristoforo dei Mercanti, datata 1377 (Arch. di Stato di Venezia: Guarnieri, 2003). La sola testimonianza grafica ascritta a L. è un disegno di piccole dimensioni, a penna e inchiostro bruno su carta (New York, The Metropolitan Museum of art, Lehman Collection), considerato uno studio preparatorio per un ricamo o per un panno teutonico da utilizzarsi in funzione di antependium (Guarnieri, 2003). Vi è raffigurata la Madonna della Misericordia al centro, affiancata da un Santo profeta e da S. Giovanni Evangelista e da due scene con la Presentazione di Gesù e la Presentazione di Maria al tempio.

Fonti e Bibl.: S. Maffei, Verona illustrata, III, Verona 1732, col. 150; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia(, Bassano 1795-96, II, pp. 8 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, p. 185; R. Fulin, Cinque testamenti di pittori ignoti del secolo XIV, in Archivio veneto, VI (1876), 12, pp. 143-145; B. Cecchetti, Nomi di pittori e lapicidi antichi, in Nuovo Archivio veneto, XVII (1887), 33, p. 61; M. Caffi, Pittori veneziani nel Milletrecento, ibid., XVIII (1888), 35, pp. 60-63; V. Malamani, Memorie del conte Leopoldo Cicognara(, II, Venezia 1888, p. 369; A. Moschetti, Giovanni da Bologna pittore trecentista veneziano, in Rassegna d'arte, III (1903), 2-3, pp. 38 s.; L. Testi, La storia della pittura veneziana, I, Bergamo 1909, pp. 134, 178 s., 208-232; L. Simeoni, La pala scaligera di S. Anastasia, in Atti e memorie dell'Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 4, XXI (1920), pp. 305-308; F. Filippini, La ricomposizione di un polittico di L. 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D'Amico - T. Bošniak, Beograd 2004, pp. 131 s.

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