LORENZO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LORENZO

Gianluca Borghese

La sua data di nascita non è nota. Nel 489, quando Teodorico re degli Ostrogoti giunse in Italia per abbattere il governo di Odoacre con l'approvazione dell'imperatore romano d'Oriente Zenone, L. era stato da poco eletto vescovo di Milano (di cui fu il primo presule con questo nome), e non tardò a schierarsi dalla parte degli Ostrogoti.

A Odoacre che assediava la città L. non volle infatti aprire le porte, ma Milano finì comunque per cedere alla violenza dell'esercito di Odoacre o, secondo altri, di un'armata di invasori burgundi che approfittarono dello scompiglio generale per inserirsi nel conflitto, saccheggiare la città e catturarne parte degli abitanti, L. compreso.

Tornato a Milano dopo una dura prigionia, L. la trovò spopolata e semidistrutta e ne promosse attivamente la ricostruzione.

Nel 493-494 accettò di accompagnare il vescovo di Pavia Epifanio, di cui evidentemente condivideva gli intenti, a Ravenna presso la corte di Teodorico per spingere il re a riconsiderare la sua decisione di privare della cittadinanza romana gli oppositori sconfitti, negando loro in particolare la capacità di testare. L'editto in questione, precedentemente emanato, fu poi effettivamente revocato in seguito a una stringente perorazione di Epifanio.

Tra il 497 e il 499 L. accolse come diacono nel clero della sua Chiesa Magno Felice Ennodio, futuro vescovo di Pavia ed elegante scrittore e poeta latino. Per un certo tempo L. lo ebbe per segretario e di questo loro periodo vissuto insieme rimane traccia nell'opera di Ennodio, che ha tramandato la maggior parte delle notizie sul conto di Lorenzo.

Ennodio chiama L. parens, ma non è certo che essi fossero effettivamente imparentati, dal momento che Ennodio dichiara più volte in termini simili la propria affinità e parentela anche con altri personaggi, alludendo però più a un legame propriamente spirituale che a un vincolo di sangue; ciò sarebbe tanto più probabile in rapporto al vescovo L., un superiore ecclesiastico di Ennodio, per il quale questi poteva ben provare rispetto filiale.

Nel novembre 498 la contemporanea elezione a vescovo di Roma di Simmaco e del presbitero Lorenzo fu all'origine dello scisma noto come laurenziano, nel quale L., come molti altri vescovi, si trovò ben presto coinvolto.

Lo scontro si svolgeva su piani diversi ma convergenti: su un piano esterno e generale vi era la contrapposizione tra l'ortodossia calcedonese, prevalente in Occidente e sostenuta da Simmaco, e le tendenze monofisite allora caldeggiate a Costantinopoli dall'imperatore Anastasio cui il partito di Lorenzo era strettamente legato; su un piano interno alla Chiesa di Roma, si scontravano invece opinioni diverse sul ruolo dei laici nelle elezioni papali e il controllo delle proprietà ecclesiastiche. Simmaco, forte di un'elezione sostenuta da un più ampio consenso popolare, indisse un concilio nel 499 per ottenere la sanzione ufficiale della legittimità della sua posizione, cosa che gli riuscì, restando per il momento vincitore.

Tuttavia, dopo la Pasqua del 501 l'opposizione antisimmachiana si riaccese. Per tenere testa al crescente numero degli oppositori, Simmaco indisse un secondo concilio, volto a radicalizzare posizioni già sancite da quello del 499, e nel quale L. svolse un ruolo rilevante.

Fu data lettura innanzi tutto di un documento emanato nel 483 dal prefetto del pretorio Cecina Decio Basilio a tutela del diritto di intervento dei laici nelle elezioni papali e recante norme sulla inalienabilità dei beni ecclesiastici. Il primo a esprimersi contro la validità di tale scriptura fu proprio L., negando la possibilità in generale che un laico potesse legiferare in materie di competenza ecclesiastica e criticando il documento in particolare perché privo della sottoscrizione del papa, che avrebbe almeno attestato l'adesione della Chiesa romana alle decisioni adottate per essa da altri. Fu questa in sostanza anche la conclusione testimoniata dagli atti del concilio, ove si escluse la partecipazione laica all'elezione del papa e, se si confermò l'inalienabilità dei beni ecclesiastici, lo si fece comunque con l'intento di eliminare anche sotto questo aspetto l'ingerenza dei laici.

Il partito favorevole al presbitero Lorenzo, nonostante l'apparente successo di Simmaco, ottenne però che da Ravenna il re Teodorico inviasse un visitator, figura con poteri sospensivi del papa dalle sue funzioni, convocato alla corte ostrogota per chiarire la sua posizione.

È in queste circostanze che L., per l'intermediazione e con la cauzione di Ennodio, un sostenitore di Simmaco molto più deciso dello stesso L., prestò al papa un certo numero di cavalli per il viaggio e la somma di 400 solidi. Risultò poi molto difficile recuperare il denaro prestato, per cui L. dovette sollecitare ripetutamente Ennodio a intervenire presso personaggi del seguito papale (quali Luminoso, Dioscoro e Ormisda) e presso Simmaco stesso per ottenere il rimborso della somma, che non si sa se fu mai restituita.

D'altro canto il papa, giunto a Rimini, interruppe il viaggio per tornare a Roma perché, sembra, si sentiva minacciato e temeva qualche tranello da parte del re ostrogoto. Proprio questo comportamento compromise la sua credibilità agli occhi di Teodorico, che nell'estate 502 convocò un concilio a Roma, il terzo sotto il pontificato simmachiano, per giudicare la condotta del papa.

La successione dei tre concili così tracciata dalla storiografia più recente ribalta l'ordine stabilito a suo tempo da Th. Mommsen per il quale, mantenendo ferme le stesse date, il secondo concilio (del 501) era stato quello voluto da Teodorico per giudicare il papa, mentre il terzo (del 502) era stato quello indetto da Simmaco per rafforzare le disposizioni già adottate nel 499.

Il terzo concilio ebbe un andamento accidentato per le condizioni in cui versava Roma, ormai paragonabili a quelle di una guerra civile, ma si concluse in definitiva con l'assoluzione di Simmaco secondo il principio per cui il papa non poteva essere giudicato, neppure in contumacia, dal concilio, che al contrario si pronunciava a favore della reintegrazione di Simmaco nelle sue funzioni (23 ott. 502).

L., presente anche in questa occasione, attese alle sessioni conciliari senza lasciarsi intimidire dal clima in cui si svolsero e sottoscrisse le risoluzioni finali, mentre altri vescovi preferirono abbandonare i lavori prima della conclusione e tornare alle loro sedi. Ciò gli valse il pubblico elogio di Teodorico, che d'altro canto si era rifiutato di spostare a Ravenna la sede dei lavori dell'assemblea, benché gli fosse stato ripetutamente richiesto.

Ennodio, in diversi carmi e in una dictio da lui composta per l'anniversario dell'elezione episcopale di L., ha lasciato un ritratto edificante del vescovo, dedito a risollevare le condizioni di Milano con iniziative caritatevoli e un'intensa attività di restauro e sviluppo dell'edilizia sacra. Sorsero così la cappella di S. Sisto presso S. Lorenzo, una basilica dedicata ad alcuni santi (forse Babila e Romano) e una casa con oratorio annesso, probabilmente da identificare con il palazzo episcopale, mentre la basilica di S. Calimero fu restaurata: tutti casi in cui gli edifici preesistenti erano in rovina. Un battistero, invece, fu da lui adornato con pitture e marmi preziosi.

Secondo alcune testimonianze indirette L., uomo colto educato secondo i modelli di istruzione tardoantica, fu a sua volta ispiratore di una scuola episcopale di eloquenza affidata alla guida di Ennodio e presso la quale si formò anche un altro protetto di L., il poeta Aratore.

Non è nota la data di morte di L.: i più antichi cataloghi dei vescovi milanesi, di cui ci si serviva per celebrarne annualmente il ricordo, si limitano a precisare la durata del vescovato, 22 anni, il giorno della morte, 25 luglio, e il luogo di sepoltura, la cappella dei Ss. Ippolito e Cassiano (presso la basilica di S. Lorenzo). L'anno di morte, non dichiarato, dovrebbe invece collocarsi tra il 507 e il 510-511.

L. divenne oggetto di un culto popolare che tra il XVI e il XVII secolo fu riconosciuto dagli arcivescovi di Milano Carlo e Federico Borromeo, ma non compare oggi nel catalogo ufficiale dei santi milanesi.

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