Lotta biologica

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Lotta biologica

Matteo Lorito e Felice Cervone

di Matteo Lorito e Felice Cervone

Lotta biologica

sommario: 1. Introduzione. 2. Lotta biologica a Insetti e Acari: a) nemici naturali; b) insetticidi di origine naturale (bioinsetticidi) e ormoni; c) lotta 'genetica'. 3. Lotta biologica a Batteri, Funghi, Virus, Nematodi e malerbe: a) microrganismi antagonisti; b) pratiche agronomiche; c) manipolazione genetica di piante e microrganismi e uso di composti di origine naturale. 4. Lotta biologica a Vertebrati. 5. Prospettive future.□ Bibliografia.

1.Introduzione

A partire dagli anni ottanta del XX secolo, la definizione di lotta biologica è stata molto ampliata, fino a includervi non solo interventi in agricoltura, ma anche in medicina, compresa quella veterinaria, e in altre scienze che hanno a che fare con patogeni od organismi nocivi di varia natura (pests). Attualmente può essere designato come lotta biologica l'impiego di qualsiasi entità biologica vivente, o derivata da organismi viventi, che riesca a contenere l'attività di un patogeno o di un parassita. Talvolta vengono inclusi nella lotta biologica anche gli interventi realizzati con metodi biologici per contrastare l'effetto di una malattia causata da agenti abiotici come freddo o siccità. A seguito di questo ampliamento, i confini del concetto di lotta biologica tendono a divenire sempre più vaghi e quindi a comprendere addirittura casi come, ad esempio, la pratica dell'agricoltore che manualmente e senza l'uso di prodotti chimici o macchine rimuove le malerbe dal proprio campo.

C'è oggi un rinnovato e crescente interesse verso questa scienza complessa e multidisciplinare che coinvolge medicina, biologia, biotecnologie, agronomia, veterinaria ed ecologia. La lotta biologica, utilizzata inizialmente per combattere Insetti, Acari ed erbe infestanti (v. Van Driesche e Bellows, 1996; v. Tremblay, 19996), è stata poi estesa ad altri invertebrati, a patogeni vegetali e ad alcuni vertebrati (v. Cook, 1993; v. Harman e Kubicek, 1998). Un'accurata introduzione è stata fornita da Sergio Bettini (v. lotta biologica, vol. III), il quale, peraltro, riprende la definizione decisamente limitativa di Bryan P. Beirne, secondo cui lotta biologica è "l'uso da parte dell'uomo di organismi viventi al fine di limitare o evitare i danni provocati da organismi nocivi". Questa definizione, che esclude di fatto l'uso di mezzi fisici o chimici, appare oggi ancora più riduttiva se si considerano gli importanti progressi compiuti nell'uso di derivati biologici da organismi viventi. Attualmente si tende a comprendere nella lotta biologica non solo l'impiego di sostanze derivate da macro- e microrganismi, ma anche quelle derivate, sia per estrazione che per sintesi, da piante e altri organismi superiori.

Questo ampliamento del concetto di lotta biologica deriva anche dallo sviluppo dei metodi di coltivazione definiti 'biologici' e che confluiscono in quel calderone di tecniche, procedimenti, definizioni e normative conosciuto in Italia come 'agricoltura biologica'. Questa espressione rappresenta una traduzione poco felice dell'inglese organic farming, anch'essa - a dir la verità - poco corretta, visto che è difficile immaginare un'agricoltura non biologica o una inorganic farming. È ormai nozione diffusa che l'agricoltura biologica ammetta l'impiego di metodi esclusivamente naturali per la produzione agricola e in particolare per la difesa dai patogeni. Molto complessa è l'associazione concettuale tra agricoltura biologica e lotta biologica. Qualcuno assume in maniera semplicistica che la lotta biologica rappresenti il metodo di controllo dei patogeni praticato nell'agricoltura biologica; in realtà, alcuni dei metodi, come ad esempio la lotta 'genetica' e la lotta integrata, sono al momento del tutto inaccettabili per l'agricoltura biologica, mentre alcune delle pratiche utilizzate e consentite, quali l'uso dello zolfo e del rame per combattere i fitopatogeni, indipendentemente dall'impiego di metodi biologici, non rientrano nella lotta biologica. Anche l'uso di una pratica chimica può eventualmente confluire nel concetto di lotta biologica, a condizione che abbia un impatto ambientale non superiore a quello dell'applicazione di organismi viventi e loro derivati, e che agisca positivamente sull'ecosistema, ad esempio favorendo la presenza e l'azione di Funghi e Batteri benefici e antagonisti di microrganismi patogeni.

In conclusione, possiamo assumere che tutti quei metodi basati sull'uso di Virus, Batteri, Funghi, Protozoi, Nematodi e Vertebrati capaci di combattere un agente nocivo e/o patogeno, oppure sull'uso di molecole derivate da una qualunque entità biologica, rientrano nel concetto di lotta biologica. L'attività di questi agenti biologici può esplicarsi sia direttamente sull'agente nocivo, sia indirettamente, tramite un'alterazione dei fattori ambientali - ad esempio, l'ecosistema di una pianta coltivata - che riduca l'insorgenza di uno stato patologico. Sicuramente le tecniche molecolari sviluppate negli ultimi venti anni del XX secolo sono state utilissime ai fini dello sviluppo della lotta biologica, e oggi sappiamo molto di più sui meccanismi di interazione tra gli organismi patogeni/parassiti e i loro ospiti. Ciò amplia la varietà e il numero di agenti efficaci che possono essere individuati in natura e consente di sviluppare nuove biotecnologie per il controllo dei patogeni e degli organismi nocivi basate sull'uso di agenti vivi, dei loro metaboliti e dei loro geni e/o prodotti genici.

Nella trattazione che segue, pur considerando il recente sviluppo del settore, seguiremo l'approccio di Bettini, che esclude gli organismi nocivi e patogeni per l'uomo e per gli animali, anche per evitare che l'argomento si ampli al punto da risultare impossibile affrontarlo in questa sede. L'obiettivo del presente contributo rimane quindi quello di presentare i metodi e i concetti della lotta biologica applicati alla difesa delle piante coltivate e forestali.

2. Lotta biologica a Insetti e Acari

Gli Insetti rappresentano una importante forma di vita sul nostro pianeta, con milioni di individui per ogni ettaro di superficie e circa un milione di specie già descritte. Tra tutti gli organismi viventi gli Insetti sono i maggiori consumatori di piante, essendo incredibilmente adattabili e capaci di vivere negli ambienti più difficili. Una gran parte degli Insetti è utile alla specie umana, sia direttamente, fornendo prodotti utili (miele, seta, cera, ecc.), sia indirettamente, tramite l'impollinazione delle piante o l'antagonismo verso specie patogene. Tuttavia, si calcola che circa l'1° degli Insetti sia nocivo: qualche centinaio di specie non solo costituisce una minaccia costante, ma provoca perdite economicamente significative alla produzione agricola. Gli Insetti nocivi sono fra i bersagli principali contro cui sono stati sviluppati efficienti metodi di lotta biologica; finora sono state combattute circa 700 specie di Insetti dannosi, appartenenti agli ordini Omotteri, Ditteri, Imenotteri, Coleotteri e Lepidotteri. I metodi utilizzati comprendono l'introduzione di nemici naturali e di piante resistenti, l'autocidio basato sull'uso di maschi sterili, l'applicazione di feromoni, di sostanze ormonali e di sostanze vegetali tossiche repellenti (fagodeterrenti) o attrattive (fagostimolanti). Generalmente, il successo della lotta biologica dipende da come gli Insetti si muovono su scala planetaria in conseguenza del trasferimento continuo di materiale vegetale, nonché dalla frequenza con cui si possono introdurre parassitoidi e predatori capaci di ridurre la loro densità. Ermenegildo Tremblay (v., 19996) raggruppa i metodi biologici di lotta agli Insetti sotto la seguente definizione: "Per essere considerato biologico un metodo deve implicare una manipolazione, talora complessa, di rapporti biologici interspecifici (cioè tra specie dannosa e i suoi antagonisti naturali) o intraspecifici (cioè nell'ambito della stessa specie dannosa)". Questa definizione, anche se esclude l'uso di sostanze naturali e di ormoni, include le nuove biotecnologie basate sull'uso di piante resistenti e la manipolazione dei processi copulatori tramite feromoni sessuali, l'uso di maschi sterili e geni letali.

a) Nemici naturali

Per una trattazione dei metodi di lotta biologica classica si fa riferimento a diversi volumi disponibili sull'argomento (v. Van Driesche e Bellows, 1996; v. Tremblay, 19996) e al precedente articolo di Bettini (v. lotta biologica, vol. III). Le tecniche classiche prevedono l'uso di nemici o limitatori naturali, a cui si può aggiungere l'introduzione di piante resistenti. Utilizzando queste tecniche e appropriati periodi di quarantena e di conservazione è possibile controllare, in parte o completamente, più di 200 specie nocive.

L'uso di nemici naturali può basarsi su tre strategie: la ricostituzione e conservazione degli equilibri naturali, l'introduzione di nuove specie di nemici naturali e l'applicazione del metodo 'inondativo'. Nel primo caso si cerca di recuperare gli equilibri naturali, alterati dalla pratica agricola o da altre attività antropiche, ricostruendo un corretto rapporto tra i fitofagi e i loro antagonisti che vivevano nello stesso areale. A tal fine in genere l'antagonista viene trasferito nell'area in cui la sua vittima si è sviluppata indisturbata, oppure in quei microambienti, come le serre, dove è richiesta la sua azione. Con questa tecnica è possibile oggi controllare cocciniglie e aleurodidi degli agrumi, afidi del melo, cocciniglie del pesco e molte altre specie nocive. Il buon esito dell'intervento dipende dalla possibilità di recuperare i nemici naturali delle specie dannose, e quindi richiede un'approfondita conoscenza sia dei rapporti interspecifici che dell'ecologia delle aree di interesse. L'ovvia limitazione del metodo sta nel fatto che alcune tra le specie indigene e molte delle specie esotiche importate non hanno nemici naturali efficaci. Inoltre, affinché l'intervento funzioni in maniera duratura, bisogna ridurre la possibile influenza sull'agente di biocontrollo sia di pesticidi chimici che di pratiche agronomiche, quali sovescio e distruzione dei residui di vegetazione, fatte in momenti non opportuni. La presenza dell'agente di biocontrollo viene talvolta sostenuta attraverso la creazione di rifugi fisici e aggiungendo sorgenti di cibo. Per le specie nocive esotiche o introdotte è in genere difficile trovare nemici naturali efficaci nell'area interessata, e quindi si ricorre all'immissione di nemici naturali importati dalle aree di origine delle specie nocive. Quando l'efficacia dei nemici naturali non è soddisfacente, si ricorre al metodo 'inondativo', che prevede la riproduzione in laboratorio dell'agente di biocontrollo e il suo rilascio in quantità inversamente proporzionale alla capacità di riprodursi nell'habitat di applicazione. Il metodo ha buone potenzialità, nonostante i problemi relativi ai costi e alla qualità ed efficacia dei formulati dei prodotti industriali.

Nemici naturali di Insetti ed Acari si possono ritrovare in molti gruppi tassonomici di Insetti le cui proprietà biologiche e dinamiche di popolazione sono diverse. La conoscenza delle loro caratteristiche biologiche è di fondamentale importanza non solo per il successo dell'applicazione, ma anche per lo sviluppo di strategie basate sull'uso diretto dei loro geni e dei loro prodotti, quali metaboliti, enzimi e tossine. L'uso dei parassitoidi - che sono Artropodi i quali completano il loro ciclo in un solo insetto ospite, uccidendolo - è probabilmente il metodo più diffuso. L'ordine più utilizzato è sostanzialmente quello degli Imenotteri e in misura minore quello dei Ditteri. Particolarmente utili sono i ragni, che però, essendo in genere non specifici, non si possono utilizzare in maniera mirata contro un singolo insetto. Un certo successo, infine, ha avuto l'uso di Coccinellidi e acari predatori per il controllo di altri acari fitofagi, e quello di mosche e scarafaggi contro le lumache fitofaghe.

Uccelli insettivori, piccoli Mammiferi, Rettili, Anfibi e Pesci sono stati in alcuni casi utilizzati come predatori di insetti fitofagi. Mentre Uccelli e Mammiferi sono particolarmente utili in aree forestali (v. Van Driesche e Bellows, 1996), i pesci insettivori possono essere utilizzati anche nei giardini delle case, per esempio per il controllo delle larve di zanzara. Per le zone di interesse agrario sono utilizzati più comunemente Batteri, Funghi, Protozoi, Virus e Nematodi. È ormai consolidato l'uso dei vari Bacillus thuringiensis, B. papilliae e B. sphaericus, sui quali è disponibile una grande quantità di informazioni; numerosi prodotti in commercio sono a base di loro spore e/o cellule. Il B. thuringiensis uccide le larve dei Lepidotteri grazie all'azione della tossina Bt, dotata di elevato potere tossico a livello intestinale; sono stati isolati ceppi capaci di uccidere anche larve di zanzara e di coleotteri.

L'uso di Batteri vivi è possibile grazie alla facilità di coltivare i vari Bacillus e alla loro capacità di formare spore durevoli, caratteristica importante per ottenere formulazioni commerciali utilizzabili su larga scala.

Per quanto riguarda i Virus, sono almeno una ventina le famiglie patogene per gli Insetti: fra queste maggiore attenzione ha ricevuto quella dei Baculovirus, vista la loro selettività nell'attaccare solo Insetti (Lepidotteri e Imenotteri). Recentemente sono stati sviluppati Virus commerciali contro i dannosi bruchi Heliothis spp. e Cydia pomonella, ma il loro utilizzo trova un fattore limitante nella necessità di allevarli in presenza dell'ospite. Più facili da allevare sono invece i funghi entomopatogeni appartenenti alle sottodivisioni Zygomycotina o Deuteromycotina, e in particolare ai generi Verticillium, Beauveria o Zoophthora spp., usati da tempo contro gli afidi. I formulati commerciali basati su questi funghi sono utili per il controllo di alcuni Coleotteri e Lepidotteri, specialmente in ambienti umidi.

Efficaci agenti di biocontrollo sono anche alcune specie di Protozoi del genere Nosema, capaci di controllare cavallette e altri fitofagi di graminacee (v. Van Driesche e Bellows, 1996). Infine, sono stati trovati alcuni Nematodi che si comportano quasi come parassitoidi, uccidendo gli ospiti durante lo sviluppo anche con l'ausilio di un batterio simbionte capace di infettare e uccidere l'insetto (v. Tremblay, 19996).

b) Insetticidi di origine naturale (bioinsetticidi) e ormoni

Nell'ultimo ventennio, grazie a una migliore comprensione delle basi molecolari delle interazioni tra Insetti e altri organismi, la disponibilità di geni e molecole ad attività insetticida è molto aumentata. Oggi si conoscono meglio i meccanismi fisiologici e ormonali attraverso i quali agiscono le molecole che controllano il comportamento e il metabolismo degli Insetti fitofagi. Un esempio è costituito dal citato batterio entomopatogeno B. thuringiensis, il cui uso ha rivoluzionato i metodi e le prospettive di controllo degli Insetti fitofagi. Il gene che codifica per la tossina Bt, conosciuto come gene cry, rappresenta una famiglia di geni che comprende almeno 130 membri (per ulteriori dettagli si rimanda al sito Internet http://www.biols.susx.ac.uk/home/Neil_Crickmore/Bt/). La tossina Bt (o δ-endotossina), con tutte le sue numerose varianti, viene oggi microincapsulata e applicata in agricoltura per il controllo non solo dei Lepidotteri, ma anche di una gran varietà di altri Insetti. La trasformazione in endotossina, a partire da un precursore proteico presente nell'intestino, viene effettuata da una proteasi; l'endotossina, poi, provoca paralisi masticatoria e lisi dell'epitelio intestinale. Sono oggi disponibili sul mercato numerosi prodotti, il cui principio attivo è rappresentato dalla tossina Bt; questi 'bioinsetticidi' vengono utilizzati spruzzando il formulato direttamente sulla pianta, e sono efficaci nonostante una certa fotosensibilità della tossina. In alternativa al Bacillus, negli ultimi anni sono stati individuati molti altri microrganismi che producono molecole insetticide (v. Pennacchio e altri, 2001). Alcuni Streptomyces presenti nel terreno producono un gruppo di insetticidi e acaricidi, le avermectine, che sono efficaci contro i fitomizi. Le avermectine hanno una bassa tossicità per i Mammiferi ma riescono a bloccare completamente il sistema nervoso centrale degli Insetti.

Anche alcuni veleni di origine animale risultano utili: ad esempio, la nereistossina, prodotta da un Anellide, è capace di alterare la trasmissione nervosa e paralizzare gli Insetti. Una varietà di molecole di origine vegetale, tra cui gli inibitori di proteasi e di α-amilasi e alcune lectine, è invece in grado di interferire con i processi digestivi e di assorbimento di nutrienti nei fitofagi (v. Pennacchio e altri, 2001).

Buone fonti di bioinsetticidi sono rappresentate dagli scorpioni, dai ragni e dai parassitoidi, specialmente alcuni Imenotteri (v. Tremblay, 19996). Le secrezioni di un parassitoide sono tipicamente una miscela di molecole capaci di produrre modificazioni metaboliche che, più o meno lentamente, portano alla morte dell'insetto.

L'identificazione e l'applicazione dei cosiddetti feromoni (o ferormoni) contro gli Insetti rappresenta uno degli esempi più riusciti di lotta biologica in agricoltura. La specificità e l'efficacia di queste sostanze fanno sì che il loro uso sia virtualmente privo di impatto ambientale negativo. Il metodo consiste sostanzialmente nell'isolare gli attrattori sessuali di specie nocive allo scopo di allestire trappole capaci di eliminare i maschi dal processo riproduttivo. Non è possibile in questa sede trattare in modo esauriente l'argomento e i complessi problemi relativi alla classificazione, alla definizione e all'applicazione dei potenziali feromoni, per la quale rinviamo a Bettini (v., 1979). Ci limiteremo a osservare che sono oggi disponibili in commercio sostanze feromoniche per il controllo dei Lepidotteri, il cui uso è pienamente integrato nella pratica agricola comune.

Alcune sostanze ormonali estratte da Insetti, piante e altri organismi alterano la crescita, la muta, la diapausa, la metamorfosi, l'assimilazione dei nutrienti (fagostatici) e la riproduzione di insetti nocivi, e pertanto sono entrate da anni nella pratica agricola. Le più studiate sono l'ormone della crescita (ecdisone) e l'ormone giovanile (allatostatine), che regolano sviluppo e riproduzione. Queste sostanze sono capaci di indurre mute ripetute nelle forme giovani, di prevenire l'impupamento normale e di impedire la schiusa delle uova. Alcuni derivati di questi ormoni hanno raggiunto la fase di produzione industriale e commercializzazione (v. Tremblay, 19996).

Sono oggi noti molti peptidi ad azione ormonale che alterano, a dosi bassissime, quasi tutti i processi fisiologici e comportamentali degli Insetti. Ad esempio, sono disponibili peptidi in grado di bloccare l'effetto dell'ecdisone, la sintesi dell'ormone giovanile o la mobilità intestinale (proctoline), oppure di stimolare l'attività del muscolo cardiaco (β-casomorfine) o dei muscoli viscerali (pirochinine). Tuttavia, le attuali conoscenze sulla specificità, efficacia, stabilità e sostenibilità dell'impatto comportato dall'uso su vasta scala di tali molecole sono talmente scarse da non lasciarne ancora prevedere le possibilità applicative.

c) Lotta 'genetica'

Solo in tempi recenti la lotta 'genetica' a Insetti e Acari ha avuto uno sviluppo importante, a livello sia di conoscenze scientifiche che di applicazioni pratiche (v. Lorito e altri, 2002). Piante transgeniche che esprimono uno dei geni cry sono state introdotte in agricoltura (non in Europa) già a partire dal 1995, e da allora il loro uso è costantemente aumentato; le quantità di mais, cotone, tabacco, pomodoro, soia e patata protetti biologicamente dai geni che codificano per la tossina Bt sono aumentate quasi esponenzialmente, fino ad arrivare agli attuali 50 milioni di ettari coltivati. Queste piante sono resistenti a vari Insetti, quali Ostinia nubilalis, Heliothis zea, Pectinophora gossypiella, Leptinotarsa decemlineata, ecc., e non hanno bisogno di insetticidi chimici (ibid.). Sulla base del successo commerciale, la tecnologia basata sulla tossina Bt sta subendo rapide modificazioni e si va allargando a vari tipi di Insetti, per cui è prevedibile che presto si estenderà alla maggior parte delle specie coltivate e particolarmente a quelle non edibili (ornamentali). Essa ha raggiunto un tale livello di diffusione che già si comincia a temere la possibile insorgenza di popolazioni di fitofagi resistenti.

Fra le strategie transgeniche per ottenere piante resistenti agli Insetti si può comprendere anche quella che induce l'espressione di geni che codificano per regolatori della risposta di difesa della pianta. Un esempio è rappresentato dal gene che codifica per la sistemina, un peptide capace di diffondere e segnalare a tutta la pianta l'attacco di un fitofago e di determinare un accumulo di sostanze di difesa anche nei tessuti non ancora attaccati. In maniera analoga possono essere adoperati i geni dei già citati inibitori di proteasi e di amilasi che conferiscono vari livelli di resistenza nei confronti di numerosi Insetti e Acari. Inoltre, le piante hanno la capacità di reagire all'attacco degli Insetti attirando con metaboliti secondari volatili i nemici naturali dei fitofagi. Si può ragionevolmente immaginare che in futuro sarà possibile modificare geneticamente le piante coltivate in modo da esaltare queste capacità difensive.

Al fine di migliorarne l'efficacia, possono essere manipolati geneticamente anche i Baculovirus, importanti agenti di biocontrollo usati con successo in ambienti agricoli e forestali, o gli stessi Insetti nocivi. A tal fine vengono creati ibridi sterili o ceppi con incompatibilità citoplasmatica: rilasciando in gran numero maschi incapaci di produrre progenie vitale ben presto si determina l'isolamento riproduttivo della specie nociva. Lo stesso scopo si raggiunge causando alterazioni cromosomiche tramite mutazioni con agenti chimici e fisici o attraendo i maschi con feromoni per porli a contatto con agenti sterilizzanti.

3. Lotta biologica a Batteri, Funghi, Virus, Nematodi e malerbe

In patologia vegetale, la lotta biologica contro microrganismi fitopatogeni, Nematodi e malerbe ha rappresentato fino ai primi anni ottanta del XX secolo più un argomento di speculazione accademica che una reale possibilità di intervento su larga scala. Oggi è stata individuata una gran varietà di Funghi, Batteri o Virus utilizzabili come agenti di biocontrollo, e sono state studiate in dettaglio le basi molecolari delle loro interazioni con i fitopatogeni. Sono stati inoltre messi a punto metodi per ottenere fitofarmaci da microrganismi e tecniche agronomiche che facilitano l'attacco da parte di agenti antagonisti dei microrganismi patogeni. Inoltre, tramite trasformazione genetica sono state create piante con aumentata resistenza e microrganismi con migliore attività antagonistica. Infine, sono stati preparati composti di origine naturale che funzionano da induttori delle risposte di difesa (elicitori) e forniscono quindi una sorta di immunizzazione alle piante trattate.

La lotta biologica per contrastare i fitopatogeni si basa essenzialmente sui seguenti meccanismi e processi: 1) l'antibiosi, cioè la capacità di produrre metaboliti dotati di attività antimicrobica e inibitoria nei confronti di microrganismi fitopatogeni; 2) la competizione per il substrato, cioè la capacità di sottrarre nutrienti al patogeno riducendone lo sviluppo o la capacità di colonizzare l'habitat; 3) il parassitismo diretto, cioè la capacità di attaccare direttamente il patogeno; 4) il trasferimento dell'ipovirulenza, cioè la capacità di modificare geneticamente la virulenza del fitopatogeno, riducendone la capacità patogenetica; 5) l'induzione dei meccanismi di resistenza nella pianta, cioè la capacità di interagire direttamente con la pianta attivandone i meccanismi di difesa e aumentandone la resistenza ai diversi patogeni; 6) l'alterazione della comunità microbica, cioè la capacità di interagire con la comunità microbica nel terreno o sul filloplano instaurando condizioni ecologiche sfavorevoli al patogeno (ad esempio, soppressività del suolo); 7) la resistenza transgenica nella pianta, cioè la capacità di aumentare la resistenza alle malattie trasferendo nella pianta geni di resistenza o di difesa; 8) il miglioramento genetico dell'attività antagonistica, cioè la capacità di modificare geneticamente i microrganismi esaltandone le facoltà di contrastare i fitopatogeni.

a) Microrganismi antagonisti

L'uso di microrganismi antagonisti per controllare microrganismi fitopatogeni, Nematodi ed erbe infestanti è cominciato oltre cinquant'anni fa, e oggi abbiamo a disposizione una varietà di formulati a base di Funghi o Batteri antagonisti utilizzabili come bio-fitofarmaci. Per raggiungere uno sviluppo commerciale, un ceppo antagonista deve soddisfare rigorosi criteri di sicurezza riguardanti l'assenza di tossicità e l'incapacità di produrre effetti collaterali indesiderati; un buon ceppo antagonista, inoltre, deve adattarsi facilmente all'ambiente e persistere in campo almeno per la durata di una stagione produttiva. È auspicabile, poi, che il ceppo sia efficace in diverse aree geografiche, che possa essere prodotto in modo facile ed economico, così da rendere i costi competitivi rispetto a quelli dei pesticidi di sintesi, e che mantenga una certa stabilità genetica e biologica durante la conservazione. Sono oggi disponibili sul mercato circa un centinaio di prodotti a base di Batteri, Funghi o lieviti antagonisti legalmente registrati e utilizzabili in agricoltura biologica. Un particolare successo commerciale stanno avendo i batteri Agrobacterium radiobacter e Pseudomonas streptomyces e i funghi Trichoderma spp. e Ampelomyces quisqualis. Il ceppo K84 di Agrobacterium radiobacter, isolato in Australia, rappresenta un caso esemplare, data la sua grande efficacia contro Agrobacterium rhizogenes e altri agrobatteri che causano tumori alle radici e al colletto dei fruttiferi, e in particolare delle Drupacee. L'attività antagonista del ceppo K84 è dovuta a un composto, chiamato agrocina, che blocca la formazione dei tumori; sono stati commercializzati ceppi, a volte geneticamente modificati, capaci di contrastare anche quegli agrobatteri tumorigeni che hanno sviluppato nel tempo resistenza al K84. Molto promettenti sono anche i batteri Pseudomonas fluorescens, P. syringae e varie specie di Bacillus. Questi ultimi sono efficaci anche in condizioni difficili come quelle presenti sulla superficie fogliare e posseggono l'utile caratteristica di formare spore sufficientemente resistenti da essere facilmente utilizzabili in formulati commerciali.

I Funghi più studiati e utilizzati sono quelli del genere Trichoderma e Gliocladium, presenti in circa 50 prodotti attualmente in commercio e impiegati contro tutti i più importanti funghi fitopatogeni terricoli e fogliari, inclusi Fusarium spp., Rhizoctonia spp., Sclerotinia spp., Sclerotium spp., Verticillium spp., Pythium spp., Armillaria spp., Botrytis spp., Penicillium spp. (v. Harman e Kubicek, 1998; v. Harman, 2000). Questi antagonisti, ubiquitari e capaci di colonizzare tutti i tipi di habitat dall'Antartide al Sahara, agiscono sia per parassitismo diretto sul patogeno, sia per antibiosi e/o competizione per i nutrienti. La ricerca genetica ha inoltre mostrato che il loro genoma è una ricca sorgente di geni in grado di migliorare direttamente la resistenza delle piante (v. Lorito e altri, 1998) o di aumentare l'efficacia antagonista di Batteri e altri Funghi antagonisti (v. Lorito e altri, 2001). Impiegati nella lotta biologica sono anche l'Ampelomyces quisqualis, un parassita obbligato di oidi, il Coniothyrium minitans, un antagonista specifico dei funghi scleroziali, e altri ceppi appartenenti ai generi Fusarium, Talaromyces, Pythium, Candida e Phlebia. Questi funghi antagonisti sono stati applicati su fiori di fragola, melo e pero, anche utilizzando le api domestiche impollinatrici come vettori, metodo che è risultato più efficace dei normali trattamenti spray.

Ceppi virali attenuati, o modificati opportunamente per persistere nella pianta in forma latente, sono stati utilizzati come veri e propri vaccini contro i Virus che attaccano agrumi, papaia, cetriolo, pomodoro e zucchino. È ben noto il caso in cui 'l'ipovirulenza' è stata utilizzata per controllare il cancro della corteccia del castagno, una importante fitopatia capace di distruggere completamente il patrimonio castagnifero di vaste aree geografiche. L'ipovirulenza viene conferita da un micovirus (virus persistente che infetta un fungo) presente normalmente in ceppi poco virulenti di Chryphonectria parasitica. Il micovirus può naturalmente essere trasferito da un ceppo ipovirulento a uno virulento e compatibile; in pratica, in seguito ad applicazione diretta del ceppo ipovirulento sulle lesioni di alberi già malati, i ceppi virulenti perdono la loro capacità patogenetica.

Tutti i microrganismi patogeni di specie vegetali infestanti e innocui per le specie coltivate sono potenziali agenti di lotta biologica (v. Charudattan, 2001). L'idea di utilizzare Funghi contro le piante infestanti risale addirittura all'Ottocento. Il metodo classico consiste nell'introduzione di un patogeno in una parte limitata dell'area nella quale la pianta infestante, introdotta più o meno accidentalmente, si è moltiplicata provocando gravi danni. Viene così innescato un processo di progressiva diffusione del patogeno che può richiedere anche parecchi mesi prima che si riesca a ottenere un significativo controllo della pianta infestante.

Per le piante infestanti distribuite su aree vaste ma con rese economiche marginali si preferisce adottare una strategia inondativa, vale a dire l'applicazione di grandi dosi di inoculo al fine di ottenere un rapido ed elevato livello di epidemia, i cui costi sono relativamente contenuti. I patogeni utilizzati in questo caso sono per lo più parassiti in grado di produrre grandi quantità di spore facilmente disseminabili e che sopravvivono per lungo tempo anche in assenza dell'ospite. La ruggine Puccinia chondrillina è stata impiegata con successo in Australia contro Chondrilla juncea, pianta infestante di origine mediterranea molto diffusa nelle colture di frumento e nei pascoli. Phragmidium violaceum, un patogeno importato dall'Europa è stato impiegato in Cile contro Rubus constrictus e R. ulmifolius, due specie arbustive estremamente invadenti. Altri interessanti risultati sono stati ottenuti con Puccinia carduorum, fungo importato dalla Turchia per la lotta contro Carduus thoermeri negli Stati Uniti, o con Uromycladium tepperianum per controllare una specie arborea infestante, Acacia saligna, in Sudafrica (v. Julien, 19923).

b) Pratiche agronomiche

Alcune delle più diffuse pratiche agronomiche possono essere inquadrate nella lotta biologica perché alterano gli equilibri ecologici nelle popolazioni dei microrganismi residenti, favorendo gli agenti di biocontrollo fungini e/o batterici. La pacciamatura riscaldante, o solarizzazione, per esempio, è una tecnica che utilizza il calore del sole, che viene trattenuto nel terreno grazie alla copertura con teli di plastica, per ridurre la carica microbica prima dell'inizio della coltivazione. La solarizzazione viene impiegata con successo in molte aree della fascia temperata (specie in Israele e in Spagna) e subtropicale; questo metodo - efficace in particolare per il controllo biologico di funghi terricoli patogeni di patata, cipolla, pomodoro, melanzana, lattuga, anguria, ecc. - è semplice, economico, non ha effetti inquinanti o fitotossici, ma richiede un livello relativamente alto di intensità solare e comporta un'interruzione di diverse settimane del ciclo di coltivazione durante i mesi estivi.

c) Manipolazione genetica di piante e microrganismi e uso di composti di origine naturale

Quel settore della lotta biologica che definiamo 'lotta genetica', ossia l'uso di piante e microrganismi geneticamente selezionati e/o manipolati, potrebbe rivelarsi, in un futuro non troppo lontano, estremamente efficace e sostenibile da un punto di vista ambientale. Se in Europa l'uso di organismi geneticamente modificati (OGM) ha creato finora problemi di accettabilità rendendo per adesso sostanzialmente impraticabile a livello commerciale questo tipo di lotta, negli altri continenti gli OGM sono in uso già da anni e si prevede che avranno un'ulteriore e ampia diffusione in futuro. Pur con la varietà di tecniche oggi disponibili, per manipolare geneticamente una pianta aumentandone la resistenza alle malattie è necessario isolare i geni potenzialmente utili e determinarne esattamente la funzione. Inoltre, grazie alla genetica molecolare e alla genomica funzionale è possibile ottenere mappe complete del genoma dei parassiti e delle piante, individuando quindi virtualmente tutti i geni coinvolti in un determinato processo. Tuttavia, per poter utilizzare questi geni e i loro prodotti in maniera sicura ed efficace è necessario approfondire meglio i processi d'interazione che coinvolgono piante e microrganismi.

Informazioni fondamentali relative alla resistenza genetica delle piante contro le malattie sono state acquisite già verso la metà del secolo scorso, quando Harold H. Flor (v., 1956) dimostrò che la resistenza del lino al fungo patogeno Melampsora lini dipendeva dalla presenza di un gene di resistenza (geni R) nell'ospite. Le ricerche di Flor e di molti altri genetisti hanno fornito le basi teoriche che, molti anni dopo, hanno portato all'isolamento e alla clonazione di diversi geni di resistenza delle piante. Nei meccanismi identificati finora, l'induzione delle risposte di difesa della pianta è innescata dal riconoscimento di specifiche molecole segnale, chiamate 'elicitori', da parte di recettori prodotti dagli stessi geni R; tale riconoscimento determina l'attivazione della cascata di eventi che porta alle risposte di difesa della pianta e all'eventuale inibizione dell'agente patogeno.

In generale, lo scopo di una selezione e/o manipolazione per la lotta biologica è quello di rendere una pianta resistente nei confronti di uno specifico agente o di conferire a un microrganismo non dannoso un carattere di aggressività verso un microrganismo dannoso. I geni di resistenza, nelle versioni originali o dopo essere stati modificati in vitro allo scopo di ampliare le loro capacità di riconoscimento del patogeno, sono stati utilizzati per ottenere piante resistenti a vari tipi di stress biotici. Piante che non necessitano di trattamenti antiparassitari possono essere ottenute anche utilizzando direttamente quei geni di difesa che vengono attivati successivamente al riconoscimento di un patogeno. Tali geni codificano ad esempio per enzimi litici (chitinasi e glucanasi), che rafforzano la parete cellulare, e/o per enzimi che catalizzano la sintesi di sostanze antimicrobiche.

Anche l'identificazione di geni regolatori dell'attivazione delle difese delle piante è potenzialmente utile per migliorare la resistenza ai patogeni; ad esempio, le vie di trasduzione del segnale che portano all'attivazione dei geni di difesa sono regolate da specifiche molecole segnale, le più conosciute delle quali sono l'acido salicilico, l'etilene e l'acido jasmonico. Il trattamento delle piante con questi composti o con loro analoghi, fra cui anche l'aspirina, induce risposte di difesa efficaci contro vari patogeni.

Va inoltre menzionato un metodo di lotta biologica in forte espansione da un punto di vista sia scientifico che applicativo/commerciale, che si basa sull'utilizzo di sostanze naturali per proteggere le piante da Funghi, Batteri e Virus. Sostanzialmente vengono utilizzati due tipi di approcci, il primo dei quali si basa sull'applicazione di specifici composti di cui è stato accertato il ruolo positivo nell'interazione pianta-patogeno. È questo il caso di specifiche molecole elicitrici utilizzate in forma purificata, come ad esempio i chitosani (polimeri solubili dell'N-acetilglucosammina e parzialmente deacetilati) e le arpine (composti derivati da batteri fitopatogeni) capaci di attivare specificamente meccanismi di difesa della pianta. Il secondo metodo prevede invece l'uso di estratti da specie vegetali non coltivate od officinali, contenenti miscele poco caratterizzate di diversi composti bioattivi. Questi estratti crudi sono proposti anche commercialmente come una sorta di trattamento omeopatico per prevenire e curare importanti fitopatie.

4.Lotta biologica a Vertebrati

Ratti, maiali, conigli selvatici, capre, pecore e opossum rappresentano in alcune aree geografiche i fattori limitanti non solo per le coltivazioni, ma anche per il mantenimento degli habitat naturali originali. La lotta biologica contro questi animali deve tener conto della necessità di proteggere le specie domestiche correlate a quelle nocive, e quindi deve essere altamente specifica. Un buon successo è stato ottenuto con predatori sia indigeni che esotici, oppure utilizzando il virus Mixoma manipolato geneticamente per aumentarne la specificità (v. Vurro e altri, 2001). Contro i Roditori sono state utilizzate speciali strategie basate sull'uso di trappole attrattive e agenti chemosterilizzanti, mentre la dispersione di gufi e civette è stata in qualche occasione utile per controllare i ratti.

5. Prospettive future

L'integrazione fra diversi metodi biologici per la lotta ad agenti patogeni appare oggi la via più facilmente percorribile per realizzare una vera alternativa all'uso dei pesticidi chimici o di altri metodi di elevato impatto ambientale. Infatti, con le dovute eccezioni, i metodi biologici, se utilizzati singolarmente e senza integrazione, raramente raggiungono i livelli di efficacia dei mezzi chimici. Inoltre, l'uso di agenti biologici 'vivi' richiede una revisione dei sistemi di produzione e di distribuzione, oltre che una particolare attenzione nel maneggiare e applicare il prodotto. È importante, quindi, sia un'informazione adeguata, sia un minimo di preparazione professionale per chi intende utilizzare la lotta biologica. Per l'immediato futuro, ancor più prevedibile è il successo dell'integrazione di metodi chimici e biologici. Ad esempio, già si stanno realizzando nuove generazioni di fitofarmaci contenenti principî attivi ottenuti per sintesi chimica combinati con agenti biologici (biomolecole o agenti vivi) in grado di mantenere ed estendere i vantaggi applicativi dei pesticidi pur riducendone le quantità. Alcuni dei nuovi tipi di formulati bio-integrati contengono antagonisti microbici vivi resistenti a un pesticida e capaci di amplificare la sua azione tossica sul patogeno. Altri contengono molecole derivate da microrganismi, che esaltano l'effetto del pesticida oppure stimolano la crescita e l'attività di popolazioni microbiche antagoniste già residenti nei siti di applicazione. Decenni di ricerche ed esperienze applicative dimostrano che la comprensione della biologia delle popolazioni nei vari ecosistemi agrari (v. Thomas, 1999) può fornire metodi di lotta 'rinnovabili' sfruttando l'insita capacità delle piante di resistere agli organismi nocivi e la gran varietà di agenti di lotta biologica che la natura ci offre.

(Gli autori ringraziano sentitamente il dott. Maurizio Vurro, Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bari, e la dott.ssa Sheridan Lois Woo, Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, Università di Napoli Federico II, per aver contribuito alla stesura e alla revisione di questo articolo).

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