TILLEMONT, Louis-Sébastien Le Nain de

Enciclopedia Italiana (1937)

TILLEMONT, Louis-Sébastien Le Nain de

Alberto Pincherle

Storico, nato il 30 novembre 1637 a Parigi, ove morì il 10 gennaio 1698. Fanciullo d'ingegno vivace, dal padre, Jean Le Nain, consigliere nel parlamento e poi maître des requêtes, fu messo nelle scuole di Port-Royal, ove degli autori classici soprattutto lo entusiasmò Tito Livio, appassionandolo agli studî storici. Educato in ambiente giansenistico, dove da Pascal a Nicole e alla Logica di Portoreale appare costante la preoccupazione di reintegrare il valore e la certezza dei fatti storici, delle verità cioè fondate sul documento - verità semplicemente umane o storiche, e verità divine o rivelate - e non meno viva la preoccupazione di richiamarsi al cristianesimo primitivo, non è meraviglia che il T. incominciasse, già a diciotto anni, a raccogliere dati e testimonianze nei Padri della Chiesa. Il suo temperamento di studioso collimava in ciò con la sua viva e profonda pietà religiosa, nutrita di grande e sincera umiltà, ma insieme restia a sacrificare le sue convinzioni; onde, pur avendo deciso di darsi alla carriera ecclesiastica, anche dopo gli studî compiuti nel seminario di Beauvais, non ricevette il suddiaconato che nel settembre 1672 e il sacerdozio nel 1676. Frattanto era vissuto a Beauvais presso l'amico canonico G. Hermant, amico del grande Arnauld, poi a Parigi presso il condiscepolo Th. du Fossé, quindi in campagna, presso Saint-Lambert, non lungi da Port-Royal. Anzi nel 1677 si fece costruire un piccolo alloggio nello stesso Port-Royal; e due anni dopo, quando l'arcivescovo di Parigi, De Harlay, impose la soppressione del noviziato e l'allontanamento dei "solitarî" dalla celebre abbazia, il T. si rifugiò nel suo piccolo possesso di Tillemont, presso Vincennes, e lo lasciò solo per brevi intervalli: nel 1681 fu in Olanda, ove incontrò l'Arnauld e altri rifugiati. I suoi ultimi anni furono afflitti dalla malferma salute.

Le due grandi opere alle quali il T. deve la sua fama furono pubblicate da lui solo più tardi: l'Histoire des empereurs et des autres princes qui ont régné durant les six premiers siècles de l'Èglise, a Parigi, dal 1690 (i tomi V e VI postumi, 1701-1738, tlad. it., Torino 1929 segg.); i Mémoires pour servir à l'histoire ecclésiastique des six premiers siècles, ivi, dal 1693 (i tomi V-XVI postumi, 1698-1712). Entrambe le opere furono ristampate a Venezia (1732 segg.); i volumi postumi nell'edizione originale furono pubblicati a cura del p. Tronchay, che li accompagnò con una fondamentale Idée de la vie et de l'esprit de M. Le N. de T. (2a ed., Nancy 1706). Ma parti del lavoro erano state da lui comunicate, più o meno complete, ad altri; così aiutò l'Hermant per le Vite di S. Atanasio, S. Basilio e S. Gregorio di Nazianzo; il du Fossé per Origene e per Tertulliano; il Lambert per S. Cipriano; onde tratti interi se ne ritrovano nei Mémoires, il cui libro XIII è il testo originale della Vita di S. Agostino pubblicata in latino, insieme con la loro celebre edizione delle opere, dai Maurini. Anche una Vie de Saint Louis, roi de France, era stata preparata dal T. per il de Saci e poi il Filleau de la Chaise; e fu poi ripubblicata, in base a un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi (ivi 1847-51). E altre opere il T. lasciò inedite.

Si narra che l'Histoire e i Mémoires fossero in origine un'opera sola; ma che, sottoposto il primo volume a un censore ecclesiastico, questi pretendesse tali e tante mutilazioni e modificazioni che il T., aderendo al consiglio degli amici, si sarebbe risolto a separarle, facendo precedere la storia profana. Ed è vero che la storia dell'impero è per lui ancora subordinata a quella della Chiesa; la conoscenza della storia profana è necessaria per conoscere bene l'altra e risolverne le difficoltà.

Ma è stato anche finemente osservato che, se il T. incluse il racconto delle persecuzioni prima nell'Histoire e poi nei Mémoires, ciò vuol dire che la distinzione tra le due storie eia profondamente radicata nel suo animo, se quel problema lo turbava; benché lo stesso fatto si possa addurre a sostenere che tale distinzione non era tuttavia per lui nettissima e che il problema può dunque esserglisi presentato in seguito alla necessità pratica di quella separazione. Il che però non toglie nulla al valore e al significato della separazione stessa, una volta dal T. accettata. E infatti il suo sforzo di stabilire la verità dei fatti in base alle fonti, esposte con la massima fedeltà, con lo scrupolo di non far dire agli autori nulla più di quanto essi dicono (onde quel suo inserire, che ai moderni par pedantesco, tra parentesi quadre ogni asserzione che non sia direttamente contenuta nelle fonti, e quel suo stile arido) presuppone che si dia anche alla storia profana, ricostruita di sulle fonti, un suo grado di certezza. D'altra parte, lo stesso metodo è applicato alla storia ecclesiastica. L'esigenza di ritornare spiritualmente alla Chiesa delle origini porta il T. a fondarsi esclusivamente sulle fonti; e in questa medesima esigenza è la radice di quella separazione tra storia della Chiesa e storia dell'Impero romano in cui, come anche nella preoccupazione filologica dell'esattezza assoluta e nello spirito critico con cui le notizie sono vagliate e composte, è da ravvisare l'inizio della storiografia moderna dell'Impero romano e della Chiesa antica. Sotto questo ultimo aspetto, le due grandi opere del T. rimangono fondamentali e, in alcuni punti, sostanzialmente ancora non del tutto superate.

Bibl.: A. Momigliano, La formazione della moderna storiografia sull'Impero romano, in Rivista stor. ital., s. 5a, I (1936), p. 4 segg. dell'estratto (ivi ogni altra indicazione utile).