Lucca

Enciclopedia machiavelliana (2015)

Lucca

Enrico De Luca

Conquistata nel 1314 da Uguccione della Faggiuola, signore di Pisa, con l’aiuto di Castruccio Castracani degli Antelminelli (Istorie fiorentine – da qui in poi abbreviato in Ist. fior. – II xxv-xxx), L. mostrò sin dal principio del 14° sec. evidenti segni di quel declino che, con Dante, può attribuirsi alle divisioni fratricide, sia tra guelfi e ghibellini sia all’interno della parte guelfa. Castruccio, approfittando della caduta di Uguccione (1316) e sfruttando la debolezza delle istituzioni comunali, si fece eleggere capo supremo dell’esercito, poi capitano generale e difensore della città. Divenuto signore di L. (1320), confermò la scelta filoimperiale del predecessore e promosse una politica espansionistica, ai danni soprattutto di Firenze; ma con la sua morte (1328) L. si ritrovò alla mercé delle truppe tedesche mercenarie presenti nel territorio lucchese senza salario, le quali vendettero la città a Gherardino Spinola.

L. venne quindi nelle mani di Giovanni di Lussemburgo, per poi passare ai Rossi di Parma (1333); dal 1335 entrò a far parte dei domini di Mastino della Scala (Ist. fior. II xxxiii 1). L’abbattimento dell’Augusta (1370), fortezza costruita da Castruccio, inaugurò una nuova fase in cui L. si ricostituì in Repubblica, con nuovi statuti (1372). La famiglia dei Guinigi, che aveva svolto un ruolo di primo piano nella L. di fine Trecento, si affermò con Paolo (1376-1432), che, facendosi proclamare nell’ottobre del 1400 ‘difensore del popolo e della città’, inaugurò una signoria trentennale. All’inizio del Quattrocento, sotto la famiglia dei Guinigi, L. non sembrava mostrare velleità espansionistiche, e ancora nel 1422 stipulò con Firenze un patto di alleanza per cinque anni. Tuttavia i buoni rapporti tra L. e Firenze si compromisero presto: Paolo Guinigi si andava avvicinando sempre più a Filippo Maria Visconti che, avendo ormai consolidato il ducato di Milano, poteva apparirgli ora un efficace protettore. È in questo contesto che maturò l’aggressione fiorentina a L. (decisa dai Consigli nel dicembre del 1429), alla quale M. dedica ampio spazio (Ist. fior. IV xviii-xxvi). Nel corso della guerra, una congiura ordita da alcuni cittadini capeggiati da Pietro Cenami depose nell’agosto del 1430 Paolo Guinigi (Ist. fior. IV xxv); poco dopo (ma la guerra si sarebbe conclusa, con alterne vicende, nel 1433), i fiorentini furono duramente sconfitti dalle truppe lucchesi sul Serchio: sconfitta che, secondo M., ebbe a Firenze gravi conseguenze interne e aprì le porte alla rovina della Repubblica e all’ascesa di Cosimo de’ Medici. Gli esiti fallimentari della guerra lucchese diedero infatti la stura a un proliferare interessato di calunnie spesso pretestuose (Ist. fior. IV xxvi), che inasprirono le gravi divisioni cittadine (l’esempio sarà analizzato in Discorsi I viii 21-27, dedicato appunto alla pericolosità delle calunnie).

Una seconda campagna di Firenze contro L. (1437-38), altrettanto inconcludente (Firenze annetté però alcuni castelli di confine, come Monte Carlo e Uzzano), è raccontata da M. in Ist. fior. V x-xiv.

Nei decenni seguenti, L. perseguì una politica neutralista, pur cercando di riconquistare i territori perduti. Tenne perciò un atteggiamento ambiguo rispetto alla ribellione antifiorentina di Pisa: nei Provvedimenti per la riconquista di Pisa (datati da Jean-Jacques Marchand al marzo del 1509: SPM, pp. 411 e 510), M. indica, per es., come un dato ovvio che «si dubita della voluntà de’ Lucchesi» (§ 4).

Nel 1513 a L. si decise di ricostruire la cinta muraria, distruggendo i borghi intorno alle mura medievali per creare la ‘tagliata’ – una fascia di terreno libero di circa 500 m – atta a rendere più efficace la difesa della città in caso di assedio. Sul fronte interno, nel 1522 alcuni esponenti della consorteria dei Poggi tentarono senza successo un colpo di Stato, assassinando il gonfaloniere Girolamo Vellutelli; nel 1531 il malcontento popolare esplose nella cosiddetta rivolta degli Straccioni (cui si riferisce la celebre Orazione di Giovanni Guidiccioni).

Nel carteggio machiavelliano degli anni 1499-1512, sono numerosissime le lettere private e ufficiali in cui si fa riferimento a L. e ai lucchesi: da quella indirizzata a un cancelliere della città (Lettere, pp. 19-20), da identificarsi probabilmente con Iacopo Corbino, che Roberto Ridolfi data intorno al 5 ottobre 1499 (Ridolfi 1954, 1978, pp. 440-41), a quelle della prima legazione in Francia, in cui M. da Nevers e da Montargis informa la Signoria (7 e 11 ag. 1500, LCSG, 1° t., rispettivamente alle pp. 415 e 417) dell’intercettazione di una lettera del lucchese Pietro da Poggio, da cui si ricavano prove dell’ostilità di L. verso francesi e fiorentini. L’argomento è ripreso in altre epistole nelle settimane seguenti (12 e 26 ag.; 3 sett.). Nel corso della seconda legazione a Cesare Borgia, M. riporta (lettera ai Dieci, 6 dic. 1502) una battuta del duca su L. «ricca terra et [...] boccone da ghiotti» (LCSG, 2° t., p. 483). Per mezzo del suo simbolo (la pantera), L. è ricordata in una terzina del primo Decennale: «Et al vostro Leon trasser de’ velli / la Lupa con San Giorgio e la Pantera, / tanto par che Fortuna vi martelli» (vv. 124-26); è citata con Siena (lupa) e Genova (San Giorgio) fra quanti profittarono della crisi del 1494 per sottrarre terre a Firenze (il leone). In particolare, nel 1496 L. si impadronì di Pietrasanta e Motrone.

Come responsabile della milizia sul fronte pisano, M. si recò a L. nel marzo del 1509 (Commissione al campo contro Pisa, i Dieci a M., 6 marzo 1509, e Niccolò Capponi a M., Cascina 6 marzo 1509, LCSG, 6° t., pp. 294-95) per ricevere rassicurazioni sulla sua effettiva neutralità. Molti anni dopo, e in ben altra veste (latore di una lettera dei Signori della Zecca agli Anziani), M. tornò a L., dal 9 luglio al 10 settembre 1520, per conto di un gruppo di mercanti fiorentini, fra i quali i Salviati (parenti del papa Leone X), che vantavano crediti a carico di Michele di Govanni Guinigi, discendente della nobile famiglia lucchese, fallito in modo rovinoso (cfr. LCSG, 7° t., pp. 13943; sul fallimento cfr. anche Tommasini 1911, pp. 1089-95, e Villari 1882, p. 402). Durante il soggiorno lucchese M. compose la Vita di Castruccio Castracani (→) e il Sommario delle cose della città di Lucca (→).

Il Sommario offre un puntuale ritratto della costituzione della Repubblica, con la valutazione dei suoi aspetti positivi e negativi. Per esempio, M. ritiene che la durata bimestrale della carica di gonfaloniere sia insufficiente per potere acquistare «maestà» (§ 41), mentre si esprime a favore della «legge de’ discoli» (§ 53). Nel paragrafo iniziale M. fornisce un’idea della pianta esagonale dell’antica L., contenente un triangolo ai vertici del quale sono situate tre chiese – il duomo di San Martino (14°-15° sec.), San Paolino (16° sec.) e San Salvatore (12° sec.) – che danno nome a tre zone della città; ognuna di queste eleggeva tre dei nove Anziani, i quali, insieme al gonfaloniere, costituivano la signoria.

Nella Vita di Castruccio va notata la precisione topografica con cui M. fa riferimento alla chiesa di San Michele in Foro (§ 7) e alla sua piazza (§ 18), alla loggia del podestà – l’odierno palazzo Pretorio – (§ 18), alla torre degli Onesti presso la chiesa di San Frediano (§ 33), alla porta San Pietro (§ 34), a sud della città, o alla chiesa di San Francesco (§ 142). Nella raccolta finale dei dicta attribuiti a Castruccio, trova collocazione, rielaborato, il severo e sprezzante giudizio di Dante nei riguardi dei lucchesi (Inferno XXI, vv. 37-42): «Dimandando egli qual terra aveva la fama de’ giuntatori e barattieri, gli fu risposto: “Di Lucca”, che per natura erano tutti, eccetto el Buontura» (Vita di Castruccio, § 181).

Nei mesi lucchesi M. fu incaricato di occuparsi di altri due contenziosi riguardanti il conio di monete e il caso di due studenti siciliani che, banditi da Firenze, si erano rifugiati a L. (cfr. LCSG, 7° t., pp. 143-46, e Ridolfi 1954, 19787, pp. 281-85). Risalgono alla permanenza lucchese di M. tre epistole private a lui indirizzate (Lettere, pp. 363-67): del figlio Bernardo (30 luglio 1520), di Filippo de’ Nerli (1° ag. 1520) e di Zanobi Buondelmonti (6 sett. 1520). Nessuna contiene riferimenti a L., se non si vuole considerare tale una salace battuta di Nerli: «avvertitene cotesti signori lucchesi, che attendino a chiavare assai, per fare fanterie, che saranno loro a proposito quanto e fossi e’ torrioni» (Lettere, p. 364).

Bibliografia: P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 3° vol., Firenze 1882; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, 2° vol., t. 2., Roma 1911; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1950; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1962, 19992; S. Bertelli, Machiavelli e la politica estera fiorentina, in Studies on Machiavelli, ed. M.P. Gilmore, Firenze 1972, pp. 29-72; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 2° vol., La storiografia, Bologna 1993; F. Bausi, Machiavelli, Roma 2005.

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