LUCHI, Giuseppe Antonio, detto il Diecimino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUCHI, Giuseppe Antonio, detto il Diecimino

Belinda Granata

Nacque a Diecimo, non lontano da Lucca, il 17 luglio 1709 da Luca e Maddalena di Bartolomeo Paolucci.

Trasferitosi a Lucca nel 1725, secondo le fonti (Trenta, 1822, p. 169), fu inizialmente e per brevissimo tempo allievo di G.C. Martini, pittore tedesco originario della Sassonia. In seguito, o forse contemporaneamente all'apprendistato presso Martini, il L. seguì gli insegnamenti di D. Brugieri, che sarebbero risultati determinanti per la formazione del suo linguaggio pittorico.

Brugieri è noto per essere stato uno dei protagonisti delle vicende artistiche lucchesi tra Sei e Settecento. Formatosi a Roma, in un primo momento presso L. Baldi e in seguito nell'ambito della scuola di C. Maratta, riportò da questa esperienza una marcata adesione verso il classicismo di origine reniana, che fu per i pittori lucchesi il principale e costante riferimento pittorico, in netta antitesi con il barocco romano, conosciuto e studiato, ma poco seguito. Successivamente Brugieri trascorse due anni a Bologna presso il pittore G.G. Dal Sole che, reduce da un soggiorno veneto, lo indirizzò verso una maniera pittorica ampia e sciolta, basata sull'uso di un colore brillante e ricco.

L'esperienza con Brugieri tracciò in modo preciso il percorso artistico del L., che ripercorse le tappe del maestro raggiungendo nel 1729 Bologna, dove studiò con D. Creti, e nel 1731 Venezia, dove operò nella bottega di G.B. Tiepolo, rimanendo lontano dalla città natale per circa un decennio. La data del suo rientro, fissata dalle fonti al 1738, va anticipata di almeno due anni visto che la sua presenza a Lucca è documentata nel dicembre del 1736 quando figura tra i fondatori dell'accademia del nudo (Ciardi - Tosi, p. 11).

Non ci sono prove che attestino un'attività pittorica del L., in patria e fuori, anteriore all'inizio del sesto decennio del secolo. Nessuna delle date apposte su suoi quadri è precedente al 1750, anno in cui dipinse la Madonna col Bambino e i ss. Sebastiano e Rocco, oggi nella chiesa di S. Cassiano di Moriano.

L'opera, pur non appartenendo a una produzione propriamente giovanile, dato che segue di quasi un quindicennio il rientro del L. in patria, è da considerarsi, secondo gli studi più recenti, il suo primo dipinto documentato. Nella tela, ricordata da Trenta (1822, p. 170) insieme con lo stendardo realizzato per la chiesa di S. Quirico di Moriano, convivono diverse influenze, che vanno dalla riproposta di modelli chiaramente ispirati a celebri capolavori della pittura bolognese, a più libere anacronistiche reinterpretazioni neomanieriste, individuabili nelle anatomie deformate del s. Sebastiano in primo piano raffigurato in una posa rigida e forzata.

L'opera pittorica del L. si concentra principalmente nel sesto decennio del Settecento, ma appare oggi scandita in maniera rada e legata a una produzione essenzialmente di carattere sacro. Secondo le fonti, invece, la sua dovette essere un'attività ben più prolifica e regolare, che interessò diversi generi oltre a quello, che risulta oggi prevalente, della pittura religiosa come dimostrerebbero due dipinti pendants (uniche testimonianze finora note di una produzione profana dell'artista) con Prometeo che anima col fuoco la statua d'argilla e Sansone e Dalila (Lucca, Museo nazionale di Palazzo Mansi), entrambi provenienti dalla collezione Massoni.

Una delle opere più complesse realizzate dal L. alla fine degli anni Cinquanta è il dipinto con la Madonna col Bambino e i ss. Giusto, Clemente, Lucia e Caterina d'Alessandria nella chiesa dei Ss. Giusto e Clemente di Partigliano.

In esso le suggestioni neovenete convivono con elementi legati ancora una volta al classicismo bolognese, aggiornati in particolare sulla lezione di G.M. Crespi. L'opera mostra un deciso scarto culturale nei confronti del linguaggio pittorico contemporaneo diffuso nell'Italia centrale e si diversifica sia rispetto alla corrente romana, ancora influenzata dalla pittura di Maratta, sia da quella fiorentina, memore ancora delle imprese di P. Berrettini da Cortona e di L. Giordano. La composizione si articola in ritmi semplici e ordinati, scanditi dai gesti delle figure le quali, abbandonata l'intensità espressiva barocca, appaiono bloccate in una gestualità rigida e solenne, accentuata dall'innaturale allungamento dei corpi e da un luminismo di ascendenza tiepolesca. Si tratta tuttavia di analogie esterne, strutturali, fondamentalmente estranee alla forza innovatrice del linguaggio di Tiepolo, elaborate dal L. esclusivamente in funzione di una ricercata monumentalità.

Tra le opere documentate di questo periodo, in cui ricorrono sigle di chiara matrice veneta, emergono la Natività commissionata nel 1751 dalle suore del monastero di S. Anna a Pisa, e l'Immacolata con i ss. Giuseppe, Bernardino da Siena, Maria Maddalena e Margherita, eseguita nello stesso anno per la chiesa di S. Francesco a Pontremoli, dove si trova ancora oggi, purtroppo danneggiata da restauri ottocenteschi che ne hanno compromesso gran parte del disegno e del colore originale. A testimonianza della raggiunta maturità artistica del maestro si collocano le tele del Compianto della Madonna sul corpo di Cristo del 1752, unica sua opera conservata a Diecimo, ma proveniente dal convento delle "suorine delle ostie" di Lucca, e dell'Annunciazione oggi all'Istituto di sostentamento per il clero, in origine posta sul primo altare laterale della chiesa di S. Cristoforo (Giorgi).

Entrambi i dipinti sono caratterizzati da un'estrema eleganza e semplicità compositiva che, unitamente a un ricercato virtuosismo grafico e luministico, contribuiscono a creare suggestivi effetti scenografici. Il linguaggio adottato, in cui sono ravvisabili, specie nel Compianto, chiari riferimenti alla pittura di A. Allegri detto il Correggio, riprende formule e stilemi aggiornati sugli esempi coevi di G.D. Lombardi e di F.A. Cecchi e preannuncia l'imminente percorso della pittura lucchese che nei modelli bolognesi avrebbe avuto il principale referente culturale.

Delle opere documentate appartenenti alla fine degli anni Cinquanta rimangono il S. Vincenzo Ferrer del 1756, proveniente dalla chiesa di S. Romano e oggi nel Museo nazionale di Villa Guinigi a Lucca, debole citazione dal S. Vincenzo di F. Solimena all'Ermitage di San Pietroburgo, e una Madonna col Bambino eseguita nel 1759 per la chiesa di Guamo.

La Madonna in gloria tra s. Antonio da Padova e s. Rocco, oggi a Benabbio nella chiesa di S. Maria Assunta, è l'ultimo dipinto documentato, siglato e datato 1773, eseguito probabilmente dopo il ritorno del L. a Diecimo, un anno prima della morte; qui l'artista ripropone l'identico schema compositivo della tela di S. Cassiano di Moriano, ma attraverso un linguaggio più intenso e maturo in cui scompare qualsiasi atteggiamento in chiave popolaresca.

Fra le opere perdute menzionate dalle fonti vi sono Elia e l'angelo, nel distrutto oratorio di S. Giovanetto a Lucca (Arch. di Stato di Lucca, Carte Trenta, 12, c. 925); otto quadri, tra cui una Conversione di s. Paolo per Giacomo Giuseppe Parensi (ibid., c. 926); il Martirio di S. Bartolomeo per la chiesa di casa Trenta a Montramito, segnalata come sua ultima opera; nonché numerosi dipinti, di cui non viene fornito il soggetto, destinati a committenti privati. Attualmente vengono riferiti alla sua mano il grande affresco con Gesù in casa di Levi nel refettorio dell'antico monastero di S. Frediano a Lucca, non segnalato da Trenta nelle sue opere, ma indicato da T.F. Bernardi nella sua guida manoscritta della città, e un bozzetto con la testa della Vergine Maria in collezione privata da mettere in relazione con la dispersa Madonna con Bambino e i ss. Giuseppe e Francesca Romana di Borgo a Mozzano. Attualmente la critica, sulla base di fonti documentarie, assegna alla mano del L. una ventina di dipinti, di cui nove risultano siglati e datati sul retro della tela (Ciardi - Tosi).

Il L. morì a Diecimo il 12 maggio 1774.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Carte Trenta, 12, cc. 922-926; Archivio Guinigi, 66: Libro di scritture attenenti all'eredità del fu nob. signore Alessandro Guinigi, dall'anno 1748 al 1807, c. 23 (per un pagamento al L.); Lucca, Biblioteca statale, Mss., 3299: T.F. Bernardi, Lucca pittrice nelle sue chiese, f. 13, c. 6r; T. Trenta, Guida del forestiere per la città e il contado di Lucca, Lucca 1820, pp. 74, 87; Id., Dissertazioni sullo stato dell'architettura, pittura, e arti figurative in rilievo in Lucca ne' tempi bassi, in Memorie e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca, VIII, Lucca 1822, pp. 169 s., 180; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, pp. 209 s.; E. Ridolfi, Guida di Lucca, Lucca 1877, p. 152; T. Del Carlo, Storia popolare di Lucca, Lucca 1880, p. 419; P. Campetti, Catalogo della Pinacoteca comunale di Lucca, Lucca 1909, p. 79, n. 198; Id., Guida di Lucca, Lucca 1912, p. 86; I. Belli, Guida di Lucca, Lucca 1953, pp. 118, 176, 290; G. Giorgi, S. Cristoforo, Lucca 1970, p. 12; B. Cherubini, I Bagni di Lucca, Lucca 1981, p. 131; F.M. Pellegrini, Borgo a Mozzano e Pescaglia nella storia e nell'arte, Lucca 1987, p. 63; I. Belli Barsali, Lucca. Guida alla città, Lucca 1988, p. 151; S. Meloni Trkulja, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 639; R.P. Ciardi - A. Tosi, G.A. L. il Diecimino. Pittura a Lucca nel '700 tra Bologna e Venezia (catal.), Lucca 1993; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 435 (s.v. Lucchi, Giuseppe Antonio).

CATEGORIE
TAG

Borgo a mozzano

San pietroburgo

Bagni di lucca

Annunciazione

Alessandria