LUCIANO di Samosata

Enciclopedia Italiana (1934)

LUCIANO di Samosata (Λουκιανός, Lucianus)

Nicola Festa

Scrittore greco del II sec. d. Cristo. Di carattere a preferenza umoristico e satirico; non senza pretesa di rispecchiare l'opinione pubblica e influire sui costumi. Vissuto nel fiorire della seconda sofistica, fu sofista egli stesso, cioè retore soprattutto e conferenziere, finché il suo carattere lo indusse a dare a quella professione un tono comico e bizzarro. La satira, l'invettiva, la dissertazione erudita e superficiale, il dialogo serio e comico, il mimo, o ingenuo o spinto fino alla farsa, l'epistola, il saggio critico, il ritratto biografico sono tante forme letterarie rappresentate più o meno largamente negli scritti di Luciano. L'elemento soggettivo abbonda, ma è esagerato asserire che attraverso i suoi scritti si può ricostruire tutta la sua vita. Grande cautela occorre per fare buon uso dei tratti autobiografici che sembrano sparsi nelle opere di questo Proteo della letteratura. Non sempre è da prendere sul serio quello che dice, e non sempre si trova un indizio certo per distinguere il dato di fatto dalla finzione a fine artistico o dall'artifizio polemico. Inoltre, il valore delle notizie dipende dalla sicurezza maggiore o minore sull'autenticità degli scritti che le contengono. La popolarità di L. nell'età bizantina, alla quale risalgono i nostri codici, ha fatto sì che alle opere genuine si unissero anche scritti di più o meno tardi imitatori, e anche qualche opera di carattere tutt'altro che lucianeo. La critica, troppo severa un tempo, oggi è proclive a soverchia indulgenza. Comunque, la raccolta contiene alcuni scritti innegabilmente spurî, e altri la cui autenticità è assai dubbia.

La vita di L. si svolse in massima parte sotto gli Antonini; l'infanzia e la giovinezza già sotto Adriano. Ma l'anno della sua nascita è ignoto. La data approssimativa probabile è il 120. La patria Samosata, già capitale della Commagene, destinata da Vespasiano a sede della Legio XVI Flavia, dovette essere un discreto centro di cultura provinciale. Se dobbiamo credere al Sogno, L. parve da ragazzo promettere bene come scultore, ma presto i genitori trovarono più conveniente avviarlo agli studî letterarî. Il Sogno è opera dell'oratore già celebre e, secondo egli afferma, pervenuto all'agiatezza, e vuole essere esempio e sprone a giovani poveri, perché non si spaventino delle difficoltà e dei disagi che incontrano nei primi anni. Onori e ricchezze sono lì rappresentati come frutto di viaggi e di prove date della sua bravura in varî centri dell'Impero. L'Apologia (15) accenna a una dimora nella Gallia, a un pubblico incarico e a lauti guadagni. Ma non è chiara la condizione finanziaria di L. nel corso della sua vita. Secondo una notizia accolta nel lessico di Suida, L. avrebbe tentato in Antiochia la carriera di avvocato procuratore; troppo seria e gravosa per il suo carattere. Deve avere più tardi cercato di fare fortuna nella capitale. Nonostante le sue proteste nel De mercede conductis, anzi proprio per quelle proteste, pare ch'egli abbia provato la vita del cortigiano presso qualcuna di quelle famiglie nobili che emulavano il fasto della corte imperiale. Certo entrò in relazione con varî personaggi romani, non escluso qualcuno molto vicino all'imperatore. Un pubblico impiego ebbe negli anni avanzati, qualcosa come un primo segretario del Prefetto in Egitto. Ma è presumibile che missioni e uffici temporanei e affari privati gli giovassero anche negli anni precedenti per sopperire alle esigenze della sua vita.

Niente sappiamo del luogo in cui si sarebbe formata la sua cultura. Dall'accenno in Bis accusatus, 27 (βάρβαρον ἔτι τὴν ϕωνήν) e dal fatto che più volte egli chiama sé stesso "siro", non si ricava necessariamente ch'egli non fosse greco d'origine. Il nome fa pensare a provenienza da un liberto romano, e la famiglia poté essere grecoromana, quantunque residente a Samosata. Vogliono sapere troppo quelli che attraverso certi caratteri della sua produzione letteraria credono di scoprire in lui le note della razza semitica.

Nonostante la sua vita randagia, pare che non abbia abbandonato la sua famiglia paterna: e deve essere rimasto celibe. Nell'Alexander (56) parla di suo padre come convivente con lui, e accenna a condizioni familiari piuttosto agiate. La sua morte avvenne dopo (forse parecchi anni dopo) il 180. La sua produzione letteraria è delle più ricche e variate. Legittimo perciò negli studiosi il desiderio di sapere come essa si svolse, il bisogno di distribuirla in periodi. Uno dei criterî per tale distribuzione si è voluto cercare nell'atteggiamento di L. verso la filosofia. Dal Nigrino e dal Pescatore si suole dedurre che sui venticinque anni egli s'innamorasse della filosofia, e per questa abbandonasse la retorica. Altri hanno voluto, anche meno verosimilmente, fissare una tale crisi spirituale di L. verso i quarant'anni. Il Bis accusatus invece attesta soltanto un nuovo indirizzo letterario consistente nell'adottare la forma dialogica; ma il dialogo stesso, personificato, protesta che L. gli toglie la dignità donatagli dai filosofi per mescolarlo con la commedia; e di ciò L. stesso si vanta come d'una novità introdotta nella letteratura del tempo. È lecito congetturare che ormai, sui quarant'anni, egli sa di poter contare sopra un pubblico, non solo di uditori nelle sale di declamazione, ma di lettori in tutto il mondo greco-romano. Benché manchino le prove che gli antichi editori compensassero gli autori di cui pubblicavano le opere, è logico supporre che L. non desse gratuitamente i suoi manoscritti da divulgare per mezzo di copie venali. Le lodi dell'editore Attico nell'Adversus indoctum (2,24) e la conoscenza che in quello scritto rivela del commercio librario contemporaneo fanno supporre che L. non trascurasse affatto quella cospicua fonte di lucro. Parecchi suoi scritti che sembrano poco adatti per una recitazione in pubblico, si prestavano invece per la lettura; e specialmente ciò vale per gli scritti di carattere aggressivo e polemico, per i quali non senza ragione è adottata la forma esteriore dell'epistola. Tuttavia, né i successi delle recitazioni né i guadagni per le opere messe in vendita possono essere stati sufficienti per la vita dispendiosa di un uomo di gusto raffinato, quale era L., che viveva anche in relazione con ricchi personaggi. Qua e là, specie nei primi tempi delle sue peregrinazioni in cerca di fortuna e di rinomanza, gli deve essere stata offerta l'opportunità di dare lezioni di retorica, cioè anche di bello stile. Alcuni degli scritti a noi giunti (p. es. Phalaris, Tyrannicida, forse Patriae laudatio) devono considerarsi come saggi di composizione. Quando L. prese a trattare il dialogo e il mimo, avrà trovato naturale offrire anche ai suoi scolari certi saggi di dialoghi e di mimi. Tra i dialoghi degli dei e tra i dialoghi marini, sono alcuni che si direbbero fatti solo per offrire modelli di stile e di lingua forbita, e fanno pensare alle schedografie bizantine. A un'attività scolastica si riportano gli scritti d'argomento grammaticale o linguistico (Iudicium vocalium, Lexiphanes), escluso naturalmente il caso in cui una questione di vocabolario dà luogo a un'opera polemica (Pseudologista).

Presso il gran pubblico L. contava sulle bizzarre invenzioni da lui introdotte nella letteratura. Oltre al dialogo satirico e comico, egli stesso nota con una certa soddisfazione l'uso promiscuo della prosa e del verso, che allaccia l'opera sua alla satira menippea. Ma anche in questo caso, egli non si sente troppo vincolato dal suo modello: fa un uso assai parco di quella composizione ibrida e conquide piuttosto il lettore con i voli sbrigliati della fantasia e con la vena inesauribile del suo spirito faceto e mordace. Per tali doti egli ha conquistato, attraverso i Bizantini, e il Rinascimento italiano, un influsso durevole su tutte le letterature moderne. Fu tradotto in italiano da Luigi Settembrini nel carcere borbonico, ma prima era stato in modo mirabile imitato da Giacomo Leopardi, e alcuni secoli avanti, da più d'uno degli scrittori italiani del Cinquecento, in particolar modo da Antonfrancesco Doni.

Scritti. - Gli scritti si possono utilmente aggruppare per una certa affinità intrinseca, coincidente quasi sempre con un'affinità formale.

I. Prodotti dell'attività del retore e del maestro di stile. -1. Saggi di abilità personale, con particolari autobiografici:

a) Imagines, Apologia pro imaginibus. Il primo di questi scritti (composto intorno al 163) contiene uno sperticato elogio di Panthea, la favorita di Vero. L'Apologia è in parte la critica dell'autore stesso sull'ampollosità (si direbbe, bizantina o secentesca) del primo scritto. Ma la critica stessa, messa abilmente in bocca a Panthea, conferisce a questa il pregio della saggezza e della modestia in aggiunta a tutte le altre virtù e all'incantevole grazia e bellezza.

b) Somnium, Prometheus es in verbis, Bis accusatus, Pro lapsu inter salutandum. L'ultimo di questi scritti appartiene alla tarda età; è diretto a un Asclepio, forse alto funzionario da cui dipendeva Luciano. Lo sbaglio di cui si vuole scusare è di avere usato vale nella salutatio matutina invece di salve; e potrebbe anche essere uno sbaglio immaginario per aver occasione di dimostrare che, a conti fatti, vale sarebbe preferibile a salve.

2. Prolaliai, preamboli oratorî, a volte prefazioni di scritti maggiori:

a) Bacchus, Hercules, Scytha, Harmonides. Di questi l'Ercole (7) accenna a una ripresa della vita sofistica in età avanzata. È pura ipotesi che l'Ercole e il Bacco possano aver servito da preambolo alla recitazione della Vera historia. Meno improbabile è che lo Scytha sia stato pubblicato insieme con l'Anacharsis e il Toxaris. Comunque, Scytha e Harmonides sono in stretta relazione tra loro, e lo Scytha si chiude con l'elogio dei suoi mecenati macedoni (di Filippopoli, cfr. i Fugitivi).

b) Affini ai precedenti, De dipsadibus (uno speciale complimento a un uditorio, a cui L. si era presentato più volte), Herodotus (contiene tra l'altro la descrizione del quadro di Aezione Le nozze di Alessandro e Rossane, descrizione a cui s'ispirò il Sodoma nell'affresco della Farnesina), Zeuxis (espone l'ideale artistico di L.: non sa che farsi dell'elogio di originalità, se non si accompagna con quello della finezza nell'arte).

3. Modelli di arte oratoria: a) Laudationes: Patriae encomium, De domo, Hippias. A questo genere si riporta, come scherzo, Muscae encomium (in cui appare già il procedimento pseudodialettico che poi trova larga applicazione nel De parasito).

b) Controversie e difese giudiziarie: Phalaris prior, Phalaris posterior, Tyrannicida.

4. Scherzi e polemiche grammaticali: Vocaliun. iudicium, Solœcista.

II. Produzione semifilosofica. - 1. Con tendenza morale e istruttiva: Calumniae non temere credendum (di autenticità dubbia per i moderni, ma di celebrità assai grande dagli umanisti in poi), De luctu, De sacrificiis (voce di un cinico contro l'assurdità di certe pratiche religiose, fornisce senza che L. lo sappia, materiali utili agli apologeti cristiani).

2. Ritratti di pensatori e uomini saggi ammirati da L.: Demonax e Nigrinus. Il primo sul tipo dei "Detti e fatti memorabili" vuol ricordare la figura di un cinico temperato, e più che filosofo, pensatore di buon senso e spiritoso osservatore. Il Nigrinus celebra, con accento troppo enfatico perché possa essere creduto sincero, l'affascinante eloquenza di un platonico vivente a Roma in quel tempo, afflitto dalla nostalgia di Atene; uomo ritirato dal mondo e chiuso in casa tra i libri, e nondimeno informato della vita della capitale quanto basta per ritrarne, con colori degni di Giovenale, la vita tumultuosa e vana. Lo scritto di L. si direbbe oggi un'intervista, ma è chiusa in un dialogo, preceduto da una dedica allo stesso Nigrino. L. vorrebbe far credere che le parole del filosofo lo abbiano indotto a lasciare le vanità del mondo per dedicarsi alla filosofia.

3. Presa di posizione di fronte alla filosofia: Hermotimus, dal nome, vero o finto, di un fanatico della filosofia stoica, già sulla sessantina e non ancora, ai proprî occhi, maturo nella sua dottrina. L. gli dimostra l'infondatezza e l'assurdità di qualsiasi filosofia.

4. Scritti di filosofia pratica: De mercede conductis, in forma di lettera diretta a un giovine filosofo, Timocle, tratta la misera condizione dei Greci impiegati come precettori nelle case dei nobili romani. Per farsene un'idea bisogna pensare al De miseriis curialium e al Giorno; non vi manca neppure l'episodio della cagnetta, che con qualche variazione ammiriamo nel Parini e nella Nomina del cappellan del Porta. Questo scritto era già celebre, quando L. divenne un impiegato e parve con ciò rinnegare i suoi principî di libertà e indipendenza. Allora scrisse l'Apologia pro mercede conductis, sostenendo che servire l'imperatore è ben altro che servire un privato. Si può far rientrare in questo gruppo il De saltatione, in cui il ballo e la pantomima sono difesi come innocenti passatempi e raccomandati come elementi di cultura di fronte agli scrupoli dei moralisti, e i Saturnalia, scritto in vecchiaia, con animo di conciliare il mecenatismo dei rìcchi e le esigenze degli artisti e letterati poveri; l'opera risulta di un gruppo di lettere immaginarie con imitazione, o parodia, di documenti ufficiali (v. N. Festa, Cronosolon. Umanità e galateo in uno scritto senile di L., in Atti dell'Arcadia, 1931).

III. Parodie e satire. - 1. Nel campo letterario: Quomodo historia conscribenda (vivace censura degli storici contemporanei, e tentativo di fissare le doti di un buon storico e le regole della storiografia). Vera historia (in due libri, parodia dei racconti di viaggiatori pieni di mirabilia fantastiche, prototipo dei Viaggi di Gulliver e delle Avventure del Barone di Münchhausen).

2. Nel campo morale: De parasito (un dialogo in cui la caricatura del metodo scolastico è applicata alla dimostrazione che il parassitismo è un'arte), Rhetorum praeceptor (in forma d'istruzione, data da un ignoto - in cui è facile riconoscere, come già videro gli scoliasti, Polluce - a un giovine desideroso di far carriera nella sofistica, mostra la via più spiccia: ignoranza e faccia tosta), Convivium seu Lapithae (relazione, inserita in un dialogo, di un banchetto di nozze, in cui filosofi di tutte le scuole hanno dato un triste spettacolo d'ingordigia e d'impudenza).

IV. Invettive e libelli. - 1. Di carattere personale: Adversus indoctum e Pseudologista.

2. Canzonatura: Eunuchus, storia di una cattedra di filosofia.

3. Monografie su famosi impostori: Alexander (scritto per invito di Celso, autore di un'opera contro i Magi, rappresenta in tutta la sua attività il falso profeta Alessandro d'Abonuteichos), De morte Peregrini (in forma di epistola a Cronio; è in fondo, un libello contro Teagene e quei cinici che volevano considerare come un nuovo Ercole quel Peregrino Proteo che nel 176 si fece bruciare vivo in Olimpia. Lo scritto è malfamato per le irriverenti allusioni alla persona di Gesù, ma i cristiani vi sono rappresentati specialmente come vittime dell'impostura di Proteo).

V. Dialoghi e mimi. - 1. Dialoghetti socratici: Cynicus (giustificazione del cinismo; l'autenticità è a torto messa in dubbio da Helm, nonostante che il dialogo finisca in un monologo), Iuppiter confutatus (in cui Giove non riesce a dare una risposta soddisfacente alla domanda: Chi governa il mondo? tu o il fato?).

2. Mimi in prosa: a) dal mondo e dalla commedia, Dialogi meretricii; b) dalla mitologia e dalla poesia: Dearum iudicium, Dialogi marini, Dialogi deorum.

3. Composizioni menippee: Menippus seu Necyomantia a cui si collegano i Dialogi mortuorum.

VI. Composizioni maggiori. - Cataplus seu Tyrannus (viaggio all'altro mondo, di un tiranno che non ci vuole andare e deve esserci tirato per forza; imbarco delle anime nel legno di Caronte, descrizione del tragitto e dell'approdo; le anime giudicate da Radamanto; dibattito per la sentenza sull'opera del tiranno, che poi viene condannato a non bere acqua di Lete, sicché la memoria delle sue colpe non lo lasci in eterno), Icaromenippus (grande parodia contro la religione, in forma di viaggio di Menippo alla Luna e quindi fino alla presenza di Giove, che convoca tutti gli dei e fa una requisitoria contro i filosofi), Gallus seu Somnium (con motivi che poi rivivono nel Diable boiteux), Deorum concilium e Iuppiter tragoedus (composizioni comiche sull'olimpo pagano), Fugitivi, Vitarum auctio, Piscator seu reviviscentes (satire, o piuttosto farse, contro i filosofi, specialmente contro gl'impostori in veste di filosofi), Philopseudes, comica raccolta di racconti strani, tra la paradossografia naturale e lo spiritismo), Toxaris seu de amicitia (in cui due serie di novelle servono a confrontare il cameratismo scita - ritratto qua e là con colori degni di Gogol - e l'amicizia greca). Per affinità di argomento, forse anche cronologica, va nominato qui il dialogo Anacharsis seu de gymnasiis (un dialogo tra Solone e Anacarsi, in cui le istituzioni greche sono paragonate con quelle degli Sciti). In fine, Navigium seu vota è una piccola commedia in cui quattro amici, trovatisi al Pireo per visitare una nave fenicia, tornando poi insieme ad Atene, lungo la strada fanno a turno ciascuno il suo sogno di felicità, ma Lucino (è il nome che L. assume in varî scritti, ma non è, come si è creduto, un contrassegno di un dato periodo) rinunzia a fare un sogno qualsiasi, trovando abbastanza allegra la realtà così com'è. Una vera commedia aristofanesca in prosa è il Timone a cui s'ispirarono il Boiardo e Shakespeare.

N. Festa ritiene che tra gli scritti spurî sia da collocare anche il Charon seu Contemplantes (Caronte e Mercurio, costruita una specola ad altezza fantastica, contemplano gli spettacoli ridicoli e tristi offerti dai miseri e vani abitatori della terra).

Ediz.: Editio princeps, Firenze 1494-96, a cura di Giano Lascaris; Veneta Aldina 1503; Amsterdam 1743-46, a cura di T. Hemsterhuys e J.F. Reitz, con traduzione latina dello stesso Hemsterhuys e di J. M. Gesner e con notae variorum: Lipsia 1822-31, in 9 voll., a cura di J. Th. Lehmann, con versione latina e con gli scolî antichi; Lipsia 1836-41, in 4 voll., a cura di C. Jacobitz, con gli scolî e un index verborum; Rostock 1860-82, incompleta, in 3 voll., a cura di F. Fritzsche; Berlino 1886-99, in 3 voll., a cura di J. Sommerbrodt. L'ediz. più comunemente usata è l'Editio minor del Jacobitz (Lipsia 1871-74). Una nuova edizione fu iniziata da F. Nils Nilén nella Bibliotheca Teubneriana. Degli scolî si ha una buona edizione a cura di H. Rabe, Lipsia 1906.

Bibl.: Helm in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, coll. 1725-1777 e i parr. 693-704 della Geschichte der griech. Litteratur di W. v. Christ nel rifacimento di W. Schmid, 6ª ed., Monaco 1924. Raccomandabile, quantunque in parte invecchiato: M. Croiset, Essai sur la vie et les œuvres de Lucien, Parigi 1882; lo studio più recente è C. Gallavotti, Luciano nella sua evoluzione artistica e spirituale, Lanciano 1932. Sul Charon cfr. N. Festa, in Atti della XXI Riunione (1932) della Società ital. per il progresso delle scienze.

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