LUCIO II

Enciclopedia dei Papi (2000)

Lucio II

Giuliano Milani

Gerardo nacque con ogni probabilità a Bologna attorno alla fine del sec. XI. Alcune fonti coeve, tra cui Bosone, lo definiscono, oltre che bolognese, "figlio di Orso"; autori più tardi, come Martino Polono, lo qualificano "figlio di Alberto".

Sulla base di queste scarne attestazioni ha avuto origine la fortunata tradizione secondo cui Gerardo sarebbe nato nella famiglia degli Orsi-Caccianemici. Tuttavia, data la diffusione di questi antroponimi nella società bolognese del periodo, tali evidenze non sono sufficienti per collocare il personaggio all'interno della famiglia "de Urso", attestata a Bologna in quell'epoca (N. Wandruszka). Ancora meno giustificate appaiono poi la tradizionale attribuzione a Gerardo del cognome "Caccianemici", che caratterizza effettivamente un ramo dei "de Urso", ma solo a partire dall'inizio del sec. XIII, e dunque l'ipotesi, anch'essa tradizionalmente accettata, di una discendenza di Gerardo da un'eventuale linea femminile della stessa famiglia. Si tratta con ogni probabilità di errori dovuti a interpolazioni successive, forse attribuibili all'erudito Ludovico Savioli che alla fine del sec. XVIII incluse L. tra i suoi antenati, manipolando e in alcuni casi falsificando la documentazione medievale (L. Sighinolfi).

Allo stato attuale delle ricerche, l'assenza di documentazione bolognese relativa a questo personaggio non consente nemmeno di verificare se Gerardo fu effettivamente canonico regolare di S. Maria di Reno presso Bologna, come sostenne il Segni, autore di un necrologio della chiesa (peraltro poco affidabile secondo il giudizio di J. Fried, che ne verificò l'inattendibilità in merito ad altre notizie). Una base documentaria più solida sembra avere l'ipotesi di una sua appartenenza alla canonica di S. Frediano di Lucca. In un diploma di Lotario II diretto a questa chiesa inviato nel 1126, Gerardo, all'epoca legato papale in Germania, sottoscrisse infatti come "eiusdem [S. Frediani] ecclesie canonicus". La prima notizia certa è che nel 1123 Gerardo fu ordinato cardinale prete di S. Croce in Gerusalemme da Callisto II. La chiesa già dall'epoca di Alessandro II era stata dotata di una Congregazione di Canonici Regolari. Come attestato da Bosone e da Giovanni Diacono - secondo il quale prima della nomina Gerardo avrebbe vissuto come canonico lateranense - egli provvide a restaurare completamente S. Croce, a dotarla di un chiostro e di nuovi possessi.

La contiguità di Gerardo con gli ambienti dei canonici regolari ha spinto F.-J. Schmale a conferire alla sua ordinazione un particolare valore nel contesto delle nomine cardinalizie effettuate da Callisto II. A giudizio dello studioso, nel corso dei precedenti due pontificati, quello di Urbano II e quello di Pasquale II, erano entrati nel Collegio soprattutto ecclesiastici romani e provenienti dall'Italia meridionale. Questi territori, a causa dell'influenza normanna, erano ritenuti i più affidabili per il reclutamento di una Curia che proprio allora andava assumendo importanza nell'esercizio del potere pontificio. Le nomine di Callisto, al contrario, avrebbero riguardato soprattutto individui provenienti dall'Italia settentrionale e dalla Francia, appartenenti a generazioni più giovani, maggiormente aperti a nuove correnti teologiche e legati a circoli riformatori di canonici regolari. Da questo punto di vista Gerardo avrebbe rappresentato un personaggio tipico di quell'ambiente dei cardinali "innovatori" che nello scisma del 1130 avrebbe costituito il fulcro del partito favorevole a Innocenzo II contro Anacleto II, della famiglia Pierleoni. Riesaminando tali conclusioni, W. Maleczek ha criticato il valore centrale dato da F.-J. Schmale al legame tra Innocenzo II, cardinali "innovatori" e canonici regolari, e ha individuato l'elemento unificatore del partito innocenziano nella figura del cancelliere Aimerico di Borgogna. L'importanza di Gerardo di S. Croce - in ogni caso unico, nella cerchia dei cardinali "innovatori", attestato come canonico regolare - non risulta diminuita da questa nuova interpretazione, dal momento che egli fu strettamente legato al cancelliere e condusse alcune delle trattative più delicate per conto del partito che sosteneva Innocenzo II. Tra i primi compiti che Gerardo esercitò per conto di Innocenzo durante lo scisma vi fu l'ambasceria presso l'arcivescovo di Ravenna al fine di assicurarne l'obbedienza. Nel 1130 Gerardo, inoltre, risulta presente all'elezione del vescovo di Bologna a S. Giovanni in Persiceto. Sempre secondo W. Maleczek, tali incarichi vanno letti nel contesto di una campagna per rafforzare l'obbedienza a Innocenzo piuttosto che per la diffusione di un "programma riformatore", così come le missioni che Gerardo compì in Germania e in Italia meridionale nel corso degli anni Trenta del XII secolo.

In due occasioni Gerardo compare come legato in Germania già sotto Onorio II: nel 1125, quando sostenne l'elezione di Lotario II al trono imperiale, e nel 1126-1127, quando portò al nuovo imperatore il riconoscimento papale. Negli anni immediatamente successivi non sono attestati viaggi Oltralpe, probabilmente a causa dell'impegno di Gerardo nella carica di rettore di Benevento (1128) conferitagli dallo stesso Onorio II dopo che il precedente rettore, Guglielmo, era stato assassinato in quel medesimo anno. Nonostante la potenziale ostilità dell'ambiente cittadino, a differenza del suo predecessore, Gerardo riuscì a ricoprire l'ufficio senza incontrare opposizione. Dopo lo scisma del 1130, quando si schierò dalla parte di Innocenzo II contro i cardinali anacletiani, Gerardo si volse nuovamente alla Germania. In qualità di legato nel 1130 cercò di consolidare l'appoggio dell'imperatore e dell'episcopato tedesco a Innocenzo. La maggior parte dei signori laici ed ecclesiastici di quest'area aveva già espresso il suo parere favorevole: in particolare Corrado, arcivescovo di Salisburgo, e Norberto di Xanten, eletto alla cattedra di Magdeburgo pochi anni prima, anche grazie all'appoggio dello stesso Gerardo. La missione del 1130 servì dunque per convincere i pochi signori ancora indecisi tra i due pontefici a schierarsi con Innocenzo nel sinodo di Würzburg (ottobre 1130) e per ottenere dall'imperatore un'analoga presa di posizione. Nel tardo autunno di quell'anno Gerardo portò le decisioni del sinodo tedesco a Clermont per ritornare poi nuovamente in Germania. Nel Natale 1130 era presso l'imperatore al fine di organizzare un incontro tra questi e Innocenzo. Nuovamente attestato in Germania tra l'ottobre 1133 e il luglio 1134, egli avrebbe tentato di convincere Lotario a intervenire in Italia, dal momento che Innocenzo e la sua Curia erano stati costretti ad abbandonare Roma per ritirarsi in Toscana. Nel corso delle sue missioni Gerardo aveva incontrato i più importanti rappresentanti dell'episcopato tedesco. I numerosi viaggi compiuti da Gerardo in Germania (oltre a quelli già indicati ve ne sono tracce anche per il 1131 e per il 1135-1136) attestano il suo importante ruolo diplomatico all'interno della Curia innocenziana. Gerhoch di Reichers-berg, che lo conobbe personalmente e gli dedicò il suo Libellus de ordine donorum Sancti Spiritus, lo definì come "uomo degno dell'ufficio sacerdotale in virtù della sua mansuetudine e umiltà", oltre che "colonna della Chiesa romana", e ne esaltò la "proeminentia discretionis ac sapientiae". Secondo un'ipotesi di A. Frugoni, nel 1144 si sarebbe svolta a Roma, alla presenza di Gerardo divenuto nel frattempo papa, una disputa tra lo stesso Gerhoch di Reichersberg e Arnaldo da Brescia.

Un altro ambito di azione diplomatica nel periodo precedente all'ascesa al soglio pontificio fu costituito dall'Italia meridionale che, a differenza della Germania, vedeva i propri signori schierati per lo più a favore dell'antipapa Anacleto II. Nel 1137 Gerardo si recò a Montecassino per sostenere - nell'ambito di una legazione di cui facevano parte anche il cancelliere Aimerico, Guido de Castello e Balduino di S. Maria in Trastevere - le ragioni del papa nella disputa sulla legittimità dell'elezione dell'abate Rainaldo e sulle relazioni dell'abbazia con il papato e l'Impero. Come ha osservato W. Maleczek, nel corso della disputa, riportata da Pietro Diacono, egli dette prova di una fine conoscenza del diritto canonico citando canoni che all'epoca erano scarsamente noti. Tali evidenze, come anche gli argomenti teologici e storici utilizzati dal cardinale in quella stessa occasione, indicano che Gerardo aveva ricevuto una formazione superiore. Nello stesso 1137, sempre assieme ad Aimerico, nonché a Bernardo di Chiaravalle, fu inviato a Salerno al fine di trattare con Ruggero II il superamento dello scisma.

La preparazione accurata e l'esperienza politica accumulata nel corso degli anni gli permisero di subentrare nella carica di cancelliere pontificio e di bibliotecario della Corte papale alla morte di Aimerico, avvenuta nel 1144. Il 12 marzo di quello stesso anno, pochi giorni dopo la morte di Celestino II, fu eletto al soglio pontificio con il nome di Lucio II. L. nominò cancelliere l'inglese Robert Pulleyn e investì della dignità cardinalizia alcuni personaggi legati ad ambienti innovatori come il certosino francese Giordano divenuto cardinale prete di S. Susanna.

Tra i privilegi confermati o conferiti da L. nel breve periodo del suo pontificato a episcopi e monasteri italiani, francesi, tedeschi e della Terrasanta, spiccano quelli in favore degli enti religiosi maggiormente frequentati da L. negli anni precedenti all'elezione, sia nell'Italia centro-settentrionale (tra di essi, l'episcopio di Ravenna e quello di Bologna, S. Frediano di Lucca, S. Maria di Reno, i canonici regolari lateranensi), sia in Germania. L. appare inoltre in relazioni epistolari con grandi personaggi del suo tempo come Pietro il Venerabile, abate di Cluny, e Bernardo di Chiaravalle.

Dal punto di vista politico-diplomatico L. seguì in parte la via tracciata dai suoi predecessori. Egli sostenne, come già Celestino II, le pretese al trono inglese dell'imperatrice Matilde, figlia di Enrico I e moglie di Enrico V, contro Stefano di Blois. Riuscì a far sì che Alfonso di Portogallo confermasse i rapporti di vassallaggio con la Santa Sede, già stretti dal sovrano con Innocenzo II. Ma soprattutto si trovò implicato in una difficile disputa con il "popolo" di Roma che coinvolse indirettamente le sue relazioni con la Corona normanna e l'Impero. Non appena eletto, L. dovette scontrarsi con l'ostilità di una parte della cittadinanza di Roma che avrebbe trovato in Giordano Pierleoni, fratello di Anacleto II, il suo punto di riferimento. Già nel 1143 a Roma aveva avuto luogo una sollevazione antipapale il cui esito era stato la creazione di un Comune cittadino, sotto le forme di una "rinascita" del Senato romano. Secondo Bosone, L. sarebbe riuscito tuttavia a fronteggiare le spinte autonomistiche dei "ribelli", ottenendo addirittura una "abiuratio senatus". Un altro fronte di attacco al pontefice fu costituito dai Normanni. Come attesta Romualdo Salernitano, il loro re si era in realtà rallegrato della scelta del nuovo pontefice, e aveva invitato i legati papali inviati a Palermo da Celestino II a rientrare a Roma per concordare un suo incontro con il pontefice. Anche L. era intenzionato a ristabilire la politica di intesa con i Normanni già intrapresa da Innocenzo II. Il 4 giugno del 1144 L. incontrò a Ceprano Ruggero II a cui chiese, senza peraltro ottenerla, la restituzione dei territori conquistati ai danni della Chiesa di Roma nel Principato di Capua.

L'incontro non ebbe successo, anche a causa dell'opposizione di una parte dei cardinali, e i figli di Ruggero avanzarono fino a Rieti minacciando la stessa Roma con alcune azioni militari (conquista di Terracina, assedio di Veroli). In un periodo compreso tra il luglio e l'ottobre del 1144, il timore scatenato da questi attacchi spinse L. a concludere un patto valido per i successivi sette anni, secondo cui Ruggero sarebbe rimasto in possesso delle conquiste ottenute, ma avrebbe riconosciuto altri possessi papali, tra cui Benevento, e avrebbe appoggiato il pontefice contro i Romani. L'accordo appare comprensibile soprattutto considerando il bisogno del pontefice di garantirsi un appoggio militare contro il "partito senatorio" che proprio nel 1144 precisò i suoi obiettivi politici: revoca di tutti i diritti di sovranità del pontefice sulla città, con l'eccezione delle decime e delle donazioni volontarie. Il conflitto riprese, e l'attacco mosso da L. al Campidoglio, forse con l'ausilio di truppe normanne e inviate da signori laziali, non ebbe successo. Verso la fine dell'anno, come riporta Ottone di Frisinga, L. scrisse a Corrado III, ma prima che questi potesse rispondere, il 15 febbraio 1145 il papa morì a Roma presso la Chiesa di S. Gregorio "in Clivio Scauri". Le fonti più antiche menzionano una malattia e fanno cenno al netto isolamento rispetto alla popolazione romana, testimoniato anche da una lettera scritta da L. a Pietro di Cluny, citata da Romualdo Salernitano. Goffredo da Viterbo colloca invece la morte di L. nel quadro di una battaglia con i sostenitori del Senato: il papa sarebbe stato ucciso da una pietra che lo avrebbe colpito mentre stava combattendo in prima fila. Ma la storiografia recente appare scettica rispetto all'episodio. L. fu sepolto in Laterano; Giovanni Diacono attesta che il suo sepolcro si trovava nel transetto della chiesa accanto a quello di Onorio II.

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