CALINI, Ludovico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALINI (Calino), Ludovico

Giuseppe Pignatelli

Nacque nel feudo paterno di Calino, ora frazione di Cazzago San Martino (Brescia), il 9 genn. 1696 dal conte Vincenzo e da Teodora Gonzaga Martinengo. Il padre, che era stato intimo del granduca di Toscana, acquistò per mezzo della moglie il feudo di Pavone del Mella ed ebbe altri tre figli: Muzio, Rutilio e Teofilo. Il C. fu avviato alla carriera ecclesiastica: ancora diacono, divenne nel 1717 canonico della cattedrale di Brescia e il 17 dic. 1718 venne ordinato sacerdote. Proseguì gli studi in patria (dei suoi successi nell'oratoria è testimonianza l'Oratio pro Francisco Barbadico, ad cardinalatum evecto, Brixiae 1720), allargando la sua cultura con alcuni viaggi: nel 1721 si recò, ad esempio, a Roma, ove strinse amicizia con il noto erudito Domenico Giorgi, con cui mantenne una corrispondenza epistolare centrata su questioni storico-erudite (come si può vedere dalla comunicazione del Giorgi al C. pubblicata da Paolo Gagliardi nelle Memorie istorico critiche intorno all'antico stato de' Cenomani, Brescia 1756, p. 339). Laureatosi in utroque iure il5 giugno 1725, il C., dopo l'elevazione di A. M. Querini al vescovado bresciano (1727), fu da questo nominato esaminatore sinodale e sopraintendente della fabbrica del nuovo duomo. Finalmente Clemente XII lo elesse l'11 sett. 1730 al vescovado di Crema (la consacrazione gli venne amministrata a Roma il 21 settembre dal cardinal Querini).

Il governo pastorale del C. lasciò una indiscutibile impronta nella diocesi cremasca: animato da profondo zelo egli indisse nel 1737 il sinodo diocesano (il precedente si era tenuto nel 1609 per iniziativa di mons. Giovanni Giacomo Diedo), le cui disposizioni rimasero in vigore per oltre un secolo (Synodus diocesana Cremensis habita ab ill.mo et r.mo L.C. … in Cathedrali Cremae die 29 Aprilis et duobus sequentibus anno 1737, Brixiae 1737). Alla fine dello stesso anno il C. rimase coinvolto negli aspri contrasti in materia rituale che rimasero noti come "controversia di Crema" e che agitarono a lungo il mondo ecclesiastico italiano.

Come è noto essi furono determinati da alcuni scritti di Giuseppe Guerreri, un pio sacerdote crema co: questi, avendo molto seguito tra i fedeli, usava trattenere i suoi numerosi penitenti fino all'ora della sua messa per comunicarli con particole da lui consacrate; e poiché altri sacerdoti protestavano in quanto egli occupava troppo a lungo l'altare dedicato alla Vergine, ove anchessi dovevano celebrare le messe in debito di più legati, il Guerreri sostenne che i fedeli avevano il diritto di essere comunicati con particole consacrate nella messa cui avevano assistito. Il C. intervenne nella questione il 15 genn. 1738inviando al Guerreri una lettera con l'intimazione di non scrivere più sull'argomento, riprovando il suo scritto come contenente "quasdam novitates doctrinae graviter suspectae", e revocandogli la facoltà di confessare. Il Guerreri insistette nel suo atteggiamento e nel 1740indirizzò al C. una lettera in cui contestava i provvedimenti presi contro di lui, ma ottenne soltanto che l'anno successivo gli fosse tolta dal vescovo anche la licenza di predicare, e fu costretto a trasferirsi da Crema a Piacenza. Sollecitato a intervenire dal Guerreri, lo stesso pontefice deputò il vescovo di Piacenza a interporre la sua mediazione, ma questa non dette risultati. Si fronteggiavano infatti due concezioni diametralmente opposte: da un lato il Guerreri e i suoi sostenitori postulavano la piena partecipazione del fedele al sacrificio della messa e alla celebrazione liturgica in generale, dall'altro il C., legato a una rigida mentalità controriformistica, tendeva a porre del tutto in secondo piano la presenza della massa dei fedeli. Dopoché un decreto della Congregazione dei riti del 2 sett. 1741, nel trattare un'altra questione, affermò il maggior valore della comunione fatta con particole consacrate nella medesima messa, Benedetto XIV fu costretto a intervenire direttamente con l'enciclica Certiores del 13 nov. 1742ai vescovi d'Italia, in cui, pur riconoscendo il diritto dei fedeli di chiedere la comunione durante la messa, rimetteva la materia alla disciplina vescovile che avrebbe anche potuto in alcuni casi giudicare inopportuno che il celebrante comunicasse tutti gli astanti. Era una chiara vittoria del C., ma la polemica proseguì furiosa fin quasi alla fine del secolo.

Egli non ebbe vita facile negli anni successivi e in seguito ad aspri contrasti con la famiglia Griffani, una delle più potenti di Crema, fu costretto a lasciare la sua sede e a trasferirsi a Roma, ove il 27 genn. 1751 dette le dimissioni dal vescovado di Crema e il 1º febbraio fu eletto patriarca di Antiochia. Ebbe allora le cariche di presidente della dottrina cristiana, deputato dei monasteri di monache ed esaminatore nei sacri canoni. Con l'elevazione al soglio pontificio di Clemente XIII (durante la cui consacrazione egli ebbe una parte di rilievo nel cerimoniale), il C. godette di grande considerazione: nominato commendatore dell'arciospedale di S. Spirito inSassia il 28 sett. 1759, fu consigliere ascoltato del papa e ne condivise il benevolo atteggiamento nei confronti dei gesuiti. Perciò fu oggetto di roventi accuse da parte degli oppositori della Compagnia: nel libello I lupi smascherati… (Ortignano 1760) gli si rimprovera di diffondere "scritti infami" e "satire sanguinose" dei gesuiti Faure Noceti e altri e di difendere Francesco Asquasciati, suo direttore spirituale, dall'accusa di divulgare le opere proibite del Berruyer.

Elevato alla porpora il 26 sett. 1766, il C. ebbe il titolo presbiteriale di S. Anastasia il 1º dicembre, divenendo membro delle Congregazioni deivescovi e regolari, immunità ecclesiastica, fabbrica di S. Pietro e visita apostolica; nel 1767 fu nominato prefetto delle indulgenze e sacre reliquie. Nel conclave del 1769 il C., classificato tra i cardinali "cattivi" nelle istruzioni della corte di Madrid ai suoi rappresentanti a Roma, fu uno dei più autorevoli membri del "partito" deTirresoluto Rezzonico, avverso alle corti borboniche: egli, dopo aver sostenuto invano la candidatura dello "zelante" Pozzobonelli, annunciò il 18 maggio la disponibilità propria e degli altri due colleghi veneti, Priuli e Molino, a votare per Ganganelli e fu proprio lui il giorno dopo, come ultimo scrutatore, a proclamare l'elezione di quest'ultimo. Sotto il nuovo pontificato il C., che mutò il 4 marzo 1771 il proprio titolo con quello di S. Stefano al Monte Celio, non recitò una parte rilevante; soltanto dopo Pelezione di Pio VI, benché in età avanzata, tornò a godere dell'antica considerazione e, divenuto membro anche della Congregazione dei riti, pronunciò nella Congregazione generale del 20 genn. 1777 un voto nella causa di beatificazione del Palafox (Boero, pp. 261-263) che fece scalpore e contribuì non poco ad affossare definitivamente il processo che tanto stava a cuore alla corte di Madrid: il C. nell'analizzare soprattutto la famosa lettera del Palafox a Innocenzo X contro la Compagnia di Gesù poneva in dubbio la santità del vescovo di Angelopoli che non aveva avuto ritegno a scagliare infami calunnie contro i gesuiti.

Nell'aprile 1780 il C. si ritirò definitivamente a Brescia, cui era rimasto molto legato; ma prima di lasciare Roma in un colloquio con il papa gli raccomandò la Compagnia di Gesù "ingiustamente distrutta per una combriccola di quattro o cinque ministri", sostenendo la tesi della pazzia di Clemente XIV che aveva deciso la sua soppressione; egli chiese il ristabilimento dell'Ordine o almeno che non fossero presi provvedimenti contro la riorganizzazione dei gesuiti residenti in Russia, come chiedevano le corti borboniche, ricevendo da Pio VI l'assicurazione che sarebbe stato fatto tutto il possibile (Boero, pp. 254-260: Relazione autentica del colloquio tenuto dal Cardinal Calino col S. Padre Pio VI il dì 1º aprile 1780).

Il C. morì a Brescia il 9 dic. 1782 e fu sepolto nella chiesa di S. Faustino Maggiore.

Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 8263, f. 212; Notizie di Roma per l'anno 1752, p. 231; Notizie di Roma per l'anno 1767, pp. 109, 122; Notizie di Roma per l'anno 1782, pp. 95 s.; I lupi smascherati nella confutazione, e traduzione del libro intitolato: Monita secreta Societatis Iesu in virtù de quali giunsero i gesuiti all'orrido, ed esegrabile assassinio di Sua Sagra reale maestà fedelissima Don Giuseppe I re di Portogallo, Ortignano 1760, pp. XXXVII, LI-LV; L. Berra, Ildiario del conclave di Clemente XIV del card. Filippo Maria Pirelli, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LXXXV-LXXXVI (1962-63), pp. 46-316 passim;V.Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1818, p. 220; A Theiner, Histoire du pontificat de Clément XIV, I, Paris 1852, pp. 199, 225; G. Boero, Osservazioni sopra l'istoria del pontificato di Clemente XIV scritta dal p. A. Theiner prete dell'Oratorio, II, Monza 1854, pp.207, 254-763; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XII, Venezia 1857, pp. 259 s.;F. Sforza Benvenuti, Storia di Crema, II, Milano 1860, pp. 35-37, 292; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomatique des conclaves, IV, Bruxelles 1866, pp. 193 ss.;F. Cristofori, Storia dei cardinali di Santa Romana Chiesa, Roma 1888, p. 98; P. Guerrini, Cardinali e vescovi bresciani, Brescia 1915, p. 8; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1933, pp. 975, 993, 1027; XVI, 2, ibid. 1933, pp. 59, 459; XVI, 3, ibid. 1934, p. 266; A. Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, p.505; G. Moroni, Diz. dierudiz. stor.-eccles., VI, p.110 e ad Indicem;V.Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Appendice, I, p. 472; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VI, Patavii 1958, pp. 24, 87, 186.

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