DELLA TORRE, Ludovico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA TORRE, Ludovico

Carla Casagrande

Nacque a Verona da Domenico e da una Paola nella prima metà del sec. XV.

L'ambiente familiare pare presentarsi propizio alla futura vocazione del D.: la madre, rimasta vedova, si fece clarissa, un fratello, Francesco, era sopraintendente alla fabbrica della chiesa e del convento dei minori di Verona, un altro fratello, Sigismondo, si fece francescano nel 1442. Se venisse confermata, ma nulla lo consente, l'identificazione tra Sigismondo e Ludovico, proposta dal Litta, cui si devono tutte le notizie sulla famiglia dei Torriani di Valsassina si potrebbe fissare a questa data l'ingresso del D. nell'Ordine francescano. Il Cenci (p. 115) propone un'altra ipotesi suggerendo di identificare con il D. un "frater Ludovicus" che, in un manoscritto padovano, dichiara di essere nato nel 1441, di essersi fatto francescano nel 1457 e di aver preso gli ordini sacerdotali nel 1466.

Qualunque sia la data del suo ingresso nell'Ordine, è a partire dalla fine degli anni Cinquanta che abbiamo notizie certe sul D., notizie che rimandano sempre a un Lodovico partecipe delle attività apostoliche, delle dispute dottrinali e delle lotte istituzionali in cui sono impegnati i francescani della seconda metà del sec. XV; la sua biografia, da questo momento, si coniuga e si identifica con la storia dell'Osservanza italiana di quegli anni.

I primi dati testimoniano dell'attività culturale del D.: il Cenci (pp. 115 s.) dà notizia di alcuni codici scritti dal D. o donati a lui tra gli anni 1456-57 e il 1470. Se non si conoscono i tempi e i luoghi della sua preparazione culturale, questa costituisce però uno dei tratti distintivi della sua figura, elencato dalle cronache tra i "viri illustres" dell'Osservanza, se ne sottolinea il sottile ingegno e lo si definisce "in Philosophia, Theologia, sacra Scriptura et jure canonico non vulgariter eruditus" (Wadding, XIV, p. 266). Al 1480 risale il primo lavoro impegnativo del D. di cui si abbia notizia: la revisione dei Moralia super-totam Bibliam di Nicola de Lira, cui aggiunse una tavola alfabetica degli argomentì; la edizione (Mantova, Paul Butz-bach, 1481: cfr. Indice gen. d. incunab. d. Bibl. d'Italia [indi: I. G. I.], IV, n. 68 17), è preceduta da una Epistola pro operis emendatione et pro ipsius Tabula miro artificio ordinata, datata 1480, che il D. indirizzò al vicario della provincia veneta dell'Osseranza, Francesco Raimondo, dal convento di S. Apollonio fuori Brescia. Nel.giugno 1481 fu inviato nella provincia marchigiana come lettore di filosofia, teologia e logica; nel luglio dello stesso anno ebbe il permesso di recarsi alla Porziuncola per ricevere l'indulgenza (Regestum..., pp. 302, 321). Nel 1485 fu chiamato a Mantova da Bernardino da Feltre per partecipare a una disputa pubblica contro un domenicano a favore del Monte di pietà, promosso l'anno precedente in quella città dallo stesso Bernardino (Meneghin, pp. 69 s.).

Nel 1486 fu edito a Brescia, presso Bonino Bonini, il De immaculata conceptione Virginis Mariae Tractatus sive Compendium Virginei Honoris (I. G. I., V, n. 9895; ed. successiva in P. Alva y Astorga, Radii solis zeli seraphici coeli veritatis, Lovanii 1666), polemica risposta al testo macolista del domenicano Vincenzo Bandeli, Libellus recollectorius auctoritatum de veritate conceptionis Beatae Virginis Mariae (Mediolani, Christoph Valdarfer, 1475: I.G.I., I, n.1172). Nell'edizione, il testo del De imm. concept. è preceduto, nell'ordine, da un carme dell'autore dedicato Ad veros Virginis devotos et sue benedictissimae conceptionis amatores, una lettera al cardinale Gabriele da Verona, in cui il D. invoca l'approvazione per la sua opera, un carme rivolto allo stesso cardinale, una lettera di Gabriele da Verona che raccomanda il testo al vicario generale dell'Osservanza cismontana Angelo da Chivasso, una lettera di quest'ultimo che approva il testo e ne ordina la stampa, un prologo dell'autore chiuso da un carme rivolto Ad condevotos Virginis.

L'opera si compone di tre articoli principali: il primo affronta la questione del peccato originale di cui si definisce la quidditas, ilmodo in cui viene contratto e il modo in cui viene cancellato; il secondo espone la posizione immacolista che dichiara l'Immacolata Concezione possibile, conveniente e realizzata; il terzo risponde alle tesi avversarie. Prima delle conclusioni, viene riprodotta la bolla Grave nimis, dì Sisto IV, nella versione del 1483, con cui il Papato si schierava dalla parte degli immacolistì condannando coloro che affermavano essere peccato mortale il credere all'Immacolata Concezione. L'opera ha, nello stesso tempo, un carattere dottrinale e politico: difesa del privilegio mariano, ma anche sostegno dell'Ordine dei minori, che nelle posizioni immacoliste si era identificato. La presa di posizione dei D. si presenta come quella dell'intero Ordine: lo testimonia l'apparato di lettere che precede l'opera nell'edizione, in cui sono coinvolte due figure di rilievo dell'Osservanza italiana, un cardinale, Gabriele da Verona, e un vicario generale, Angelo da Chivasso. Scritto in nome dell'Ordine, il De imm. concept. è anche scritto per l'Ordine: ripetuta più volte, nei carmi e nel prologo, è la dedica dell'opera ai devoti della Vergine, cioè principalmente a quei francescani che il Bandelli aveva attaccato, definendoli "vento plenos", "scalciatos et sapientiae vacuos". A costoro il D. offre un compendio delle posizioni dottrinali sull'Immacolata Concezione di tutta la scuola francescana, privilegiando però le argomentazioni di Duns Scoto; nel prologo il D. dichiara di voler comporre il suo testo "alla maniera di Scoto, che mi propongo di avere sempre come auriga in questa materia". L'adesione alle tesi e alla metodologia scotista è però sempre assunta in funzione della sua diffusione e volgarizzazione presso i confratelli: ai passaggi, più propriamente filosofico dottrinali, si affiancano racconti di miracoli che colpiscono, punendoli o facendoli ravvedere, quanti non hanno riconosciuto l'Immacolata Concezione. Inoltre, le dimostrazioni sul piano dottrinale servono per giustificare e promuovere la pratica dell'Ordine a favore della devozione immacolista, là dove si sostiene che è lecito e lodevole disputare, predicare, insegnare sul privilegio mariano e celebrarne la festa (cf. art. II).

Nominato commissario al capitolo generale di Assisi nel 1487 (Regestum..., p.556), il D. visitò l'anno seguente le province di Ungheria, Polonia, Boemia e Austria (Komorowo, pp. 257 s.), e redasse le costituzioni degli osservanti polacchi (ed. K. Kantak, in Collectanea theologica, XI[1934], pp. 449-93), approvate, dopo qualche contrasto, al capitolo provinciale di Cracovia nel 1488 e confermate al capitolo generale. di Urbino nel 1490. Il D. aveva ormai acquisito prestigio e autorità; le notizie su di lui si succedono e riguardano alternativamente le cariche che va occupando, in progressione gerarchica, all'interno dell'Ordine e la sua attività letteraria e dottrinale. Pur ignorandone la data, si sa che fu vicario della provincia di Brescia (Ferrari, p. 453); nel 1489 fu nominato definitore generale (Wadding, XIV, p. 532), nel 1492 il confratello Ludovico Brognolo gli dedicò l'edizione dei Sermones quadragesimales di Antonio da Vercelli (Venezia, G. e G. de Gregori, 1492; cfr. I.G.I., I, n. 717) premettendo alla stampa una lettera, datata Venezia 1491, nella quale si rivolge al D. pieno di deferenza, chiamandolo "pater venerandus, predicator apostolicus, sacrarum litterarum. cultor".

Sempre nel 1492, il D. tornò sul tema dei Monti di pietà scrivendo l'Apologia pro Monte Pietatis contra cuiusdam libellum, opera poi stampata a Venezia, nel 1498, presso Pietro Quarengi, insieme ad altri scritti di argomento simile di Fortunato Coppoli e Filippo da Rodigo (I.G.I., II, n.4049).

Anche in questo caso si tratta della risposta allo scritto di un avversario, su un tema che coinvolgeva la strategia dell'intero Ordine francescano. Oggetto della disputa è la liceità del prestito ad interesse praticato dai Monti di pietà, sostenuta dagli osservanti, in particolare da Bernardino da Feltre. Va ricordato che il D. fu tra coloro che, nel capitolo generale di Firenze del 1493, appoggiando la tesi bernardiniana, la fecero propria di tutto l'Ordine (Wadding, XV, p. 47). L'avversario di turno è il domenicano Domenico da Gargnano, autore di un libello, andato perduto, in cui prendeva di mira in particolare il Monte di Mantova, città in cui esercitava l'ufficio di inquisitore (Meneghin, pp. 91-100). Il testo dell'Apol. proMonte Piet. è preceduto da una lettera, datata Venezia, 8 febbraio 1492, in cui il D. domanda al vescovo di Padova, Pietro Barozzi, sostenitore degli osservanti nella lotta a favore dei Monti, di approvare la sua opera. Seguono la risposta positiva del vescovo, datata 10 febbr. 1492, e un'altra lettera del D. ai governatori del Monte di Mantova ai quali l'opera è dedicata.

L'Apol. proMonte Piet. è distinta in tre articoli. Nel primo si espone l'opinione dei sostenitori del Monte e del prestito a interesse, nella quale si afferma che il contratto previsto dal Monte è lecito e pio e che è esente da ogni tipo di usura. Il secondo articolo controbatte agli argomenti del libello avversario che negavano la prima conclusione dichiarando l'istituzione del Monte illecita e perversa. Il terzo articolo difende la seconda conclusione respingendo l'accusa di usura rivolta al Monte. Il problema che questo testo, come altri dello stesso tipo, affronta, non è tanto di legittimare il Monte di pietà, istituzione che molti approvavano, o almeno tolleravano, come effettivo aiuto per i poveri e sicuro strumento contro gli ebrei, quanto di giustificare il mutuo a interesse che i Monti praticavano. Questo è reso possibile da un'argomentazione, tipica della posizioni bernardiniane, che il D. fa propria e che sta a fondamento di tutte le affermazioni dell'Apol. proMonte Piet.: ilMonte in realtà prevede tra chi presta e chi riceve e poi restituisce il denaro, non uno, ma due contratti, tra loro distinti; il primo ha per oggetto il denaro, che viene prestato e restituito nella stessa misura, il secondo riguarda il lavoro di quanti operano nel Monte, che esige di essere pagato da coloro che ne ricevono un servizio. Se si restituisce al Monte una somma maggiore a quella avuta in prestito, ciò avviene in base al secondo contratto e non al primo. Non si tratta cioè di usura, ma di lecito compenso per le prestazioni ricevute.

Nel 1494 il D. fu vicario della provincia veneta; nel 1498 il capitolo generale di Milano lo nominò vicario generale della famiglia cismontana dell'Osservanza (Wadding, XV, pp. 76, 175), carica che il D. mantenne fino al 1501; nel 1500 fu chiamato a Roma dal papa Alessandro VI che lo nominò commissario apostolico per il territorio italiano in occasione del giubileo, affidandogli inoltre il compito di occuparsi della promozione della crociata contro i Turchi (ibid., p.231). Anche a Roma il D. continuò a seguire da vicino le vicende dell'Ordine, in particolare dei contrasti tra osservanti e conventuali.

Risale infatti proprio a quegli anni la sua ultima opera, l'Apologia et defensorium fratrum minorum de Observantia, stampata a Roma, presso E. Silber, tra il 1500 e il 1503 (I.G.I., V, p. 238; ed. succ. in Firmamentum Trium Ordinum, III, Venetiis 1513, ff. 228rb-245va), accanita difesa dell'Osservanza e delle disposizioni del papa Eugenio IV, in particolare la bolla del 1446, che sancivano la divisione tra conventuali e osservanti, concedendo a questi ultimi il diritto a un'autonoma e distinta gerarchia.

L'opera, preceduta da una lettera dell'autore ai vicari provinciali dell'Osservanza che ne avevano sollecitato la stesura e dal testo dei sette articoli della bolla eugeniana che saranno commentati, è divisa in tre parti. Nella prima vengono commentati gli articoli prima citati; nella seconda si enunciano dodici verità che provano la liceità, l'onestà, la necessità della separazione degli osservanti dai conventuali; nella terza si risponde alle obiezioni dei nemici. L'opera si chiude con l'elenco dei dottori in diritto civile e canonico che hanno approvato la bolla eugeniana e con un breve riepilogo in cui il D. ripercorre le tappe che, dal concilio di Costanza (1415) fino, al pontificato di Alessandro VI, portarono all'autonomia degli osservanti dai conventuali.

L'ultima testimonianza del D. risale al 1° febbr. 1502, data di una lettera inviata da Roma al confratello Francesco Zorzi, guardiano del convento di S. Francesco della Vigna a Venezia (Vicentini, pp. 161 s.), nella quale il D., oberato dagli impegni, conferisce a Francesco tutti i suoi poteri di commissario apostolico nell'ambito del territorio veneto.

La lettera fu scritta dal convento francescano dell'Aracoeli di Roma dove, il 3 aprile dello stesso anno, il D. morì e fu sepolto (Wadding, XV, pp. 294, 370)

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