FIUMICELLI, Ludovico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FIUMICELLI, Ludovico

Stefano Coltellacci

Non si conoscono con esattezza gli estremi anagrafici di questo pittore, figlio di un Bernardino, nato a Vicenza verso il 1500 (per le notizie riportate all'interno della voce, se non altrimenti indicato, si fa riferimento al manoscritto di L. Bampo e a Fossaluzza, 1982). Non si sa da quali maestri abbia appreso i rudimenti della pittura e tanto meno l'epoca in cui lasciò la natia Vicenza; tuttavia, quando nel terzo decennio del Cinquecento si trasferì nella Marca trevigiana, doveva avere circa vent'anni ed essersi già avviato con profitto alla carriera artistica.

Singolare figura di artista che alla carriera di pittore affiancò quella di archibugiere e forse anche di architetto militare, il F. fa parte di quella fitta schiera di maestri di provincia attivi nell'entroterra veneto di cui sono rimaste solo poche opere certe. Molto stimato dagli eruditi del Sette e dell'Ottocento (Orlandi, 1753, lo definì "gran disegnatore" e Lanzi, 1808, il più degno e memorato tra gli imitatori di Tiziano), anche in tempi moderni non è mancato chi ha visto in F. "il più libero, stravagante, anticonformista e genialoide fra i pittori trevigiani" (Lucco, 1984).

Tra le sue prime prove va ricordato l'affresco sulla facciata esterna di casa Gaiotti a Serravalle (Vittorio Veneto), che gli è stato attribuito sulla base della corretta interpretazione della dedica latina (scomparsa), con la firina "Ludovicus" e la data 1522, che il Cavalcaselle fece in tempo a trascrivere nel 1866 (Fossaluzza, 1981).

Della ricca decorazione oggi si distingue quasi soltanto un gruppo di figure a mezzo busto, ritratte dietro a un davanzale intente ad un concerto e rese con uno stile saldo, memore delle opere di Tiziano del secondo decennio e del Pordenone. Svolgendo un tema come il "concerto" il F. dimostra di essere a conoscenza della produzione "di genere" allora in voga, che prediligeva temi amorosi e idilli pastorali, soggetti che caratterizzarono anche i contemporanei esordi di Bernardino Licinio e Paris Bordon. D'altra parte, del trevigiano Bordon il F. fu amico, forse parente e per un certo tempo anche socio.

Nonostante manchino prove documentarie, sembra ormai certo che verso il 1524 il F. abbia decorato la facciata del Monte di pietà di Conegliano, oggi albergo Canon d'Oro, opera tradizionalmente ascritta al Pordenone per novità e audacia compositiva, ma che gli è stata restituita sulla base di confronti stilistici. L'attribuzione risulta plausibile anche alla luce dei primi documenti rinvenuti che, sebbene di poco posteriori, testimoniano la presenza del F. a Conegliano negli anni in cui veniva edificato il Monte di pietà. Il 7 genn. 1527 il F., che si era nel frattempo trasferito stabilmente in città nel borgo delle Cerche, presentò, infatti, una petizione al podestà per ottenere il pagamento per una pala raffigurante un S. Sebastiano, commissionatagli in esecuzione del legato disposto dalla defunta Lucia Doioni dal procuratore e dal padre guardiano del monastero di S. Maria delle Grazie. La protesta del F. era motivata dal fatto che, sebbene avesse già pressoché terminato "in assai buoni termini" il quadro, costoro intendevano trasferire la commissione ad altri. A quanto sappiamo la petizione non ebbe successo e della pala non è rimasta alcuna traccia. Forse furono le difficoltà degli esordi a spingere il F. ad intraprendere, accanto a quella artistica, la carriera militare: la sua attività di "bombarderio" è testimoniata dalla delibera del Consiglio di Conegliano che nel 1529 confermò al F. l'incarico di capitano degli archibugieri della fortezza cittadina. Ma, per quanto sia oggi difficile stabilire quale fosse la sua principale occupazione, va notato che solo due tra i documenti rinvenuti qualificano il F. come militare: in tutti gli altri egli si definisce e viene definito unicamente "pittore".

Fatto non raro a quei tempi, per portare a termine commissioni di un certo impegno, il F. strinse società con il pittore coneglianese Francesco Beccaruzzi. Il 16 ag. 1531, anche a nome del socio assente, il F. stipulò a Conegliano un contratto con cui si impegnava a consegnare entro la Pasqua dell'anno seguente una pala destinata all'altar maggiore della chiesa di Biancade. Alla fine del mese di agosto il F. riscosse un anticipo di 60 lire in frumento per intraprendere il lavoro, ma l'analisi stilistica del dipinto ha sempre portato la critica a ritenere che la commissione fosse stata poi ceduta a Paris Bordon, tesi confermata dal restauro che ha riportato alla luce la firma dell'artista trevigiano sul quadro. È questa, comunque, la prima e più importante prova non solo di quella sorta di patto associativo che legò il F. a Bordon, ma anche della collaborazione del F. con Beccaruzzi, collaborazione che durò oltre un decennio, anche se incrinata da frequenti litigi che non ebbero termine nemmeno con il contenzioso portato di fronte ai magistrati nel 1543 e risolto, a favore del F., dall'arbitrato di Paris Bordon. Verso il 1531 il F. si trasferì a Treviso, stabilendosi nella contrada di S. Tommaso. La sua bottega doveva essere ormai ben avviata, come si arguisce dall'atto notarile del novembre 1532 con cui si impegnava a prendere per garzone Silvestro, figlio undicenne di una certa Bortola di Isola di Piave. Nel frattempo la collaborazione con Beccaruzzi procedeva. I nomi dei due soci, definiti entrambi pittori ed abitanti a Treviso, compaiono in qualità di testimoni in calce ad un contratto datato 13 dic. 1532 e stipulato nel refettorio del convento di S. Francesco.

Il 14 maggio dell'anno successivo i due si impegnarono poi a realizzare per le monache di S. Maria Nuova di Treviso una pala raffigurante la Vergine col Bambino tra i ss. Caterina, Lucia, Bernardo, Benedetto e la Natività di Maria sulla predella. La chiesa a cui era destinata è oggi distrutta e la pala risulta smarrita già dal 1629, ma gli sviluppi di questa commissione permettono di intuire i motivi dei frequenti contrasti del F. con il socio Beccaruzzi. A meno di una settimana di distanza dal contratto, il 19 maggio, un certo Bernardino di Collalto, "marangon", cioè carpentiere, ordinò che sotto la propria responsabilità si assegnasse l'incarico dell'esecuzione della pala per intero al F., sollevando Beccaruzzi da ogni obbligo (Bampo, s. v. Beccaruzzi). A chiarire le ragioni di questo atto, un mese dopo, il 20 giugno 1533, vennero le nozze del F. con Angela, vedova di un pittore di nome Giacomo, da cui aveva avuto due bambini, e figlia di quel Bernardino "marangon", il quale aveva evidentemente voluto sfruttare una qualche sua influenza sulle monache per far assegnare al futuro genero la commissione della pala per intero. La fama del F. si andava ormai consolidando, tanto che il 26 giugno 1536 venne incaricato di stimare i lavori eseguiti da Paris Bordon in una cappella della parrocchiale di Lovadina, oggi perduti, e qualche mese dopo giunse la prima importante commissione pubblica. Pellegrino Nasello, priore del convento degli eremitani di Padova, il 25 sett. 1536 gli affidò l'esecuzione di una pala da consegnare entro la Pasqua dell'anno seguente.

La tela, destinata ad ornare l'altare della cappella di S. Marina ed oggi sistemata nella sacrestia, raffigura la Vergine Maria in trono, "cum ornamentum angelorum", fiancheggiata da un lato dai Ss. Giacomo e Filippo, e dall'altro Agostino e Marina con accanto il doge Andrea Gritti. Nel dipinto il F. si richiamò esplicitamente al prototipo tizianesco della pala Pesaro con la Madonna seduta di tre quarti su un alto trono fiancheggiato da imponenti colonne; ma il quadro, che pur non manca di una certa monumentalità, presenta personaggi irrigiditi nei movimenti e definiti da ombre nette e fortemente incise.

I pagamenti della pala si protrassero fino al 18 maggio 1537 e il mese seguente il F. partecipò al concorso per un "palione" con i santi protettori di Padova da sistemare nella loggia del Consiglio, in gara con Giulio Campagnola. Il 14 dello stesso mese venne proclamato vincitore Giulio Campagnola e il dipinto del F. - raffigurante la Madonna con il Bambino in trono trai ss. Prosdocirno, Giustina, Antonio da Padova, Daniele e tre angioletti musicanti - venne collocato nella sala del podestà: passato poi a vari istituti religiosi cittadini, nel 1877 pervenne al Museo civico con l'attribuzione a Stefano dell'Arzere o allo stesso Campagnola.

Fraintendendo, infatti, una fonte settecentesca, si riteneva che l'opera del F. fosse andata perduta e che il Campagnola avesse sostituito una prima versione con quella definitiva, di maggiori dimensioni. Rispetto alla pala degli eremitani, terminata solo pochi mesi prima, il F. dimostra qui una maggiore scioltezza nell'esecuzione, al punto che alcuni hanno voluto riconoscervi un intervento diretto di Paris Bordon, giunto in soccorso dell'amico in difficoltà; ma le figure dei santi, disposte in uno spazio piatto e senza prospettiva, mostrano ancora un evidente impaccio negli atteggiamenti, che risulta ancora più evidente se confrontato con lo stile fluente e fortemente retorico del Campagnola.

Dopo l'insuccesso nella competizione padovana il F. fece ritorno a Treviso, dove sembra essere rimasto fino alla fine della sua vita. Il 4 ag. 1538 presenziò come testimone alla stipula di un contratto nel convento degli eremitani di S. Margherita e l'anno successivo prese in affitto una casa in piazza dell'Ospedale dei battuti. Il 16 sett. 1539 gli eredi del nobile trevigiano Pier Francesco Barisan gli commissionarono una pala con i Ss. Margherita, Agostino e Giovanni Battista, oggi perduta, per la cappella maggiore della chiesa di S. Margherita. Due mesi dopo gli venne affidata la decorazione ad affresco della cosiddetta cappella del Battistero, nella chiesa di S. Maria Maggiore di Treviso, impresa a cui è legata gran parte della sua fama.

La cappella a pianta semicircolare, che si apre nella navata sinistra della chiesa dietro l'altare su cui è posta la miracolosa immagine della Madonna, era stata commissionata dal nobile Francesco Greco, o di Cipro, quale cappella funeraria personale e della famiglia, come testimonia l'accordo stipulato con il priore dell'annesso convento il 17 marzo 1540. Sulla parete circolare della cappella sono illustrate Scene dell'infanzia e della passione di Cristo, ai lati dell'altare i Profeti e le Sibille sormontati dalle lunette con la Resurrezione, l'Angelo e la Vergine annunciata; sui pennacchi compaiono i Quattro Evangelisti e sulla cupola la Colomba circondata da cherubini. Dal testamento di Francesco Greco sappiamo inoltre che sull'altare era stata posta una pala raffigurante la Pietà, oggi perduta, probabilmente eseguita dallo stesso Fiumicelli. Per portare a termine una impresa così impegnativa il F. si avvalse dell'aiuto di G.P. Meloni, un mediocre pittore cremonese, nipote del più celebre Altobello, il quale arricchì di reminiscenze lombarde il bagaglio figurativo del F. improntato al vigore formale del Pordenone. In base all'entità dei compensi si è dedotto che l'intervento del F. nell'esecuzione degli affreschi sia stato più rilevante di quello di Meloni. Manzato (1982) gli ha infatti attribuito la cupola, i pennacchi con gli Evangelisti, le volte e le lunette, assegnando invece al Meloni i Profeti; mentre Fossaluzza (1982, p. 136) ha ritenuto difficile distinguere in maniera netta l'apporto dei due artisti, giudicando senza dubbio il ciclo, "nonostante si raggiungano risultati qualitativi complessivamente di modesta portata", un interessante e innovativo momento di passaggio per la cultura trevigiana tra quarto e quinto decennio del Cinquecento, "con risultati che appaiono già di un "protomanierismo provinciale"".

Dopo questa, che rimane la sua impresa più significativa, la scarsità di notizie documentarie rende estremamente difficile seguire l'attività del Fiumicelli. La Moltiplicazione dei pani e dei pesci, da lui affrescata nel catino absidale della cappella dei rettori del Monte di pietà di Treviso e in seguito pesantemente ridipinta, deve essere pressoché contemporanea agli affreschi di S. Maria Maggiore, così come quella Processióne del ss. Sacramento rubata nel secolo scorso dalla cattedrale di Treviso. Stando alle fonti, nel 1541 il F. appose firma e data su una pala con S. Urbano, già a Bavaria di Nervesa, distrutta durante la prima guerra mondiale; disperse sono anche le ante d'organo che il F. dipinse insieme con Meloni per la chiesa di S. Paolo di Treviso. Nel 1545 portò probabilmente a termine il S. Giorgio destinato a Farra di Soligo e ora conservato nel Museo diocesano di Vittorio Veneto; sempre nel quinto decennio del Cinquecento il F. si dedicò anche alla decorazione delle facciate esterne di case e palazzi trevigiani.

Sulla base di confronti stilistici gli sono stati infatti attribuiti vari affreschi a monocromo in cui le scene mitologiche sono trattate con "un raffinato e compiaciuto ritmo linearistico" (Fossaluzza, 1981), che fa del F. un protagonista di quello stile intriso di elementi "romanisti" che caratterizzò la decorazione esterna trevigiana del secondo Cinquecento.

Sull'attività di architetto militare non ci sono notizie sicure. Bailo e Biscaro (1900) affermano infatti che non il F. ma il figliastro di nome Giacomo si recò in qualità di ingegnere nell'isola di Corfú, dove avrebbe collaborato alla riedificazione della fortezza danneggiata nelle guerre turche e dove sarebbe morto nel 1590. A seguire le orme paterne fu invece il figlio Matteo, mediocre pittore, a cui vengono attribuiti alcuni dipinti nelle chiese di Treviso. L'ultima notizia documentata risale al luglio 1581, quando Matteo intentò con successo causa al padre, insieme con i fratellastri Giacometto e Maddalena, per avere la legittima parte dell'eredità della madre Angela che, nel testamento redatto undici anni prima, aveva lasciato tutto al marito.

Fonti e Bibl.: Treviso, Bibl. civica, ms. 1410: L. Bampo, I pittori fioriti a Treviso e nel territorio: documenti ined. dal sec. XIII al XVII dall'Archivio notarile di Treviso (ad voces Francesco Beccaruzzi e L. F.); P. Orlandi, L'abbecedario pittorico, Venezia 1753, p. 203; A. Rigamonti, Descriz. delle pitture più celebri che si vedono esposte nelle chiese, ed altri luoghi pubblici di Treviso, Treviso 1767, pp. 10, 25; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 78; S. Ticozzi, Diz. dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800, Milano 1818, I, p. 279; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, p. 78; L. Bailo - G. Biscaro, Della vita e delle opere di Paris Bordon, Treviso 1900, pp. 19, 22 s., 26, 28, 47, 64 s., 90-93; A. Vital, Piccola guida storico-artistica di Conegliano, Treviso 1906, p. 84; V. Botteon, Della vita e delle opere di Francesco Beccaruzzi, pittore coneglianese, in Nuovo Arch. veneto, XXVI (1913), pp. 486 s., 491-493, 503-504; L. Coletti, Catal. delle cose d'arte e antichità di Treviso, Roma 1935, pp. 330-334; S. Bettini - L. Puppi, La chiesa degli Eremitani, Venezia 1970, pp. 101 s.; M. Lucco, in Cento opere restaurate dal Museo civico di Padova (catal.), Padova 1981, pp. 115-122; G. Fossaluzza, Cavalcaselle a Treviso e nel tenitorio: appunti e disegni da facciate dipinte del Cinquecento, in Facciate affrescate trevigliane: restauri (catal.), Treviso 1981, pp. 24, 32 s.; Id., Profilo di Francesco Beccanizzi, in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 72, 74-76, 81 s.; Id., Per L. F., Giovan Pietro Meloni e Girolamo Denti, ibid., XXXVI (1982), pp. 131-144; M. Lucco, I pittori trevigliani e "l'effetto Malchiostro", in Il Pordenone. Atti del Convegno internazionale di studio, Pordenone 1984, pp. 144-148; E. Manzato, Treviso città d'arte, Treviso 1982, pp. 108, 120; M. Lucco, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Venezia 1987, pp. 183, 715; E. Saccomani, in Da Bellini a Tintoretto. Dipinti dei Musei Civici di Padova dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento (catal., Padova), Milano-Roma 1991, pp. 147-150; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, pp. 60 s.

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