LUDOVICO I di Borbone, re d'Etruria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUDOVICO I di Borbone, re d'Etruria

Alba Mora

Nacque a Colorno, presso Parma, il 5 luglio 1773, primogenito maschio del duca di Parma e Piacenza Ferdinando I e di Maria Amalia d'Asburgo Lorena. La sua vita fu segnata dall'epilessia, che pare lo avesse colpito a seguito di un evento accidentale traumatico, in età infantile, proprio a Colorno, secondo l'informazione fornita da A. Pezzana nel 1833, accolta dai biografi successivi e confermata dall'autopsia.

La nascita di L. fu salutata da imponenti festeggiamenti, celebrati secondo l'elaborata etichetta spagnola della corte, strettamente legata alle monarchie borboniche di Spagna e Francia, rette da Carlo III e Luigi XV, rispettivamente zio e nonno del duca Ferdinando. Carlo III inviò un corriere straordinario per conferire al nipote il Toson d'oro; il re di Francia preziosissimi doni; l'ava materna, l'imperatrice Maria Teresa, riprese i contatti con la puerpera, interrotti da circa due anni. Dal castello di Parma furono sparate tre salve reali di ventuno colpi ciascuna, in cattedrale si celebrò il Te Deum di ringraziamento, si indissero tre giorni solenni di gala e venne promulgata un'amnistia.

La sua educazione fu assai curata. Il padre, desideroso di farne "un principe dotto e cristiano, perché initium sapientiae timor domini" (Stanislao da Campagnola, p. 144), scelse nell'aprile 1776 come suo precettore il cappuccino Adeodato Turchi, predicatore di corte e vescovo di Parma dal 1788. La pedagogia del Turchi, mirante a formare un uomo alla società e al Vangelo, pur apparentemente semplice, poggiava su una solida conoscenza di autori come F. Fénelon, J.B. Bossuet, J.J. Duguet, e su una fitta rete di relazioni, di ausilio e confronto, con dotti del Ducato o di fuori, come il teatino Paolo Maria Paciaudi, direttore della locale biblioteca, e l'economista veneziano Giammaria Ortes. La scelta del padre e il metodo del precettore - di "modi soavissimi" - ebbero successo. In età adulta, infatti, L. riconobbe in entrambi le sue prime guide spirituali e ne assorbì gli atteggiamenti religiosi e gli orientamenti politici. Si verificò, insomma, una sorta di paradosso, o almeno "une singularité bien remarquable", come osservò nel 1801 il rappresentante di Napoleone a Parma, M. Moreau de Saint-Méry: mentre l'illustre É. Bonnot de Condillac, chiamato a fare del giovane Ferdinando un sovrano illuminato, "n'a fait qu'un bigôt [(], un capucin a fait un Prince dont les qualités donnent les plus belles espérances" (Stanislao da Campagnola, pp. 458 e 146).

I tempi e i modi del rigido cerimoniale spagnolo scandirono la crescita del principe. Il 29 nov. 1779 passò dalla cura delle donne, di cui era stata responsabile la contessa Aurelia Ariani Canossa, a quella degli uomini. L'aio prescelto fu il marchese Prospero Manara, fine letterato e appassionato d'arte, affiancato dal cavalier J.H. de Pujol, giunto appositamente dalla Francia. Divenuto ministro di Stato, Manara fu sostituito nel 1781 da un altro esponente della corte, il cavalier G.A. Capece della Somaglia. Con il "passaggio agli uomini" L. ebbe diritto a un suo appartamento, edificato per l'occasione a ridosso del palazzo ducale, dovette mangiare in pubblico certi giorni della settimana e gli fu proibito di uscire senza guardie del corpo.

Frattanto la sua educazione procedeva con piena soddisfazione del precettore. Prima ancora dei quattro anni sembra che già sapesse leggere bene e mostrasse attitudine allo studio della geografia e della geometria. In seguito imparò con facilità le lingue straniere e il greco, palesò interesse per le "arti belle" e rivelò una passione per le scienze esatte e gli studi naturalistici che lo accompagnò per tutta la vita, come mostrano i carteggi con il ministro C. Ventura, S. Sanvitale e F. Linati, dotti aristocratici parmigiani. Turchi si avvalse dell'amicizia del fisico e naturalista Felice Fontana e della collaborazione di G.B. Guatteri, docente universitario e fondatore dell'orto botanico di Parma, per coltivare questa inclinazione nell'allievo, che in breve fece progressi tali da realizzare un ricco gabinetto di storia naturale e "alcuni giardinetti" per lo studio della botanica a Colorno. Questo impegno scientifico suscitò l'approvazione di scienziati prestigiosi, come L. Spallanzani, che apprezzò i suoi esperimenti sul volo dei pipistrelli, condotti sotto la guida di P. Cossali. Alle passioni per la chimica, la botanica, la mineralogia e l'ornitologia L. unì quella per la musica e il canto, praticati con discreto successo. Insomma, pareva che il giovane Borbone si apprestasse a divenire un prince philosophe e a fare della corte il centro propulsore delle scienze e delle arti nel suo Stato.

Tuttavia l'educazione ricevuta, rigorosamente impostata su un sistema di controllo gerarchico al cui vertice stava il duca Ferdinando, finì con l'opprimere L., che il 20 sett. 1793 se ne lamentò con Turchi: "al mio solito sono stuffo, arcistuffo del modo in cui vivo; spero che terminerà presto, ma intanto almeno desidererei [(] di poter scrivere con libertà a chi volessi, mentre egli è una grande seccatura quando voglio qualche cosa da qualche persona di dovergli far scrivere. [(] E poi finalmente sono nei 21 anni e non è più età di stare in collegio e non credo che la mia condotta possa dar luogo a mio padre di non fidarsi di me. Insomma scrivetemi: 1( come credete che potrei fare per ottenere questa libertà; 2( quando credete che la finirò, maritandomi" (Colombi, p. 129).

L'idea del matrimonio come occasione di maggiore libertà non era ingiustificata: fervevano infatti in quei mesi trattative con le corti europee per trovare una sposa che garantisse al piccolo Stato, oltre alla continuità dinastica, i necessari vantaggi politici. Il processo di riavvicinamento all'Austria, che aveva registrato due momenti significativi nel 1760 e nel 1769 con i matrimoni rispettivamente di Isabella con l'arciduca Giuseppe (poi imperatore) e di Ferdinando con l'arciduchessa Maria Amalia, era in una fase di stasi. Si decise quindi di ricalcare il solco dell'alleanza tradizionale di Parma, rafforzando i legami già stretti con i Borbone di Spagna. Il 24 apr. 1794 L. partì alla volta di Madrid per scegliersi una sposa, accompagnato da Cesare Ventura, da Capece della Somaglia, da dignitari di corte e, non a caso (date la cattiva salute di L.), dal medico G.A. Righi e dal farmacista G. Ulrici. Tra le cugine in età da marito, Maria Amalia e Maria Luisa, figlie di Carlo IV, L. preferì la seconda, appena dodicenne (era nata il 6 luglio 1782). Bruna, piccola di statura, senza istruzione, ma vivace e determinata, Maria Luisa venne, dopo laboriose trattative, unita in matrimonio a L. il 25 ag. 1795, giorno in cui lo sposo fu anche creato infante di Spagna. I due giovani vissero presso la corte spagnola per otto anni, che la figlia di Carlo IV avrebbe poi descritto nelle sue memorie come anni felici, durante i quali nacque il primogenito Carlo Ludovico (22 dic. 1799). In questo periodo, che in larga parte coincise con le difficoltà incontrate a Parma da Ferdinando I nel fronteggiare l'invasione dei Francesi, L. cercò di adattarsi alla nuova situazione, per molti aspetti asfittica quanto la precedente e almeno altrettanto complicata. La consuetudine di non affidare alla scrittura pensieri e sentimenti fa dei suoi carteggi - evidentemente soggetti a controlli - un elenco di elogi e attestati di affetto per i sovrani spagnoli, il fatuo Carlo IV e la intraprendente zia paterna Maria Luisa, e per il favorito di quest'ultima, il potente ministro Manuel Godoy. Soltanto quando, a tratti, L. fa uso del linguaggio cifrato, esprime pareri critici, come in una lettera a Ventura del 15 giugno 1798 da Aranjuez, in cui riporta la voce che Godoy stava per ritirarsi in Andalusia: "ma io non lo credo, forse perché lo desidero moltissimo, come pure tutta la nazione che lo odia a morte" (Parma, Arch. dell'Ordine Costantiniano, Archivio Borbonico, b. 87/4).

Vita di corte, ricevimenti, balli, cacce, giochi di società, qualche viaggio occuparono gran parte del tempo di L., ma non tanto da fargli trascurare gli studi e le ricerche di storia naturale. A Madrid frequentò i noti botanici C. Gómez Ortega e A. José Cavanilles, che gli fornirono materiali per l'Orto botanico di Parma; si procurò numerose casse di minerali, uccelli e pesci imbalsamati per il Museo di storia naturale e si interessò alla realizzazione di una sorta di inventario iconografico dei regni animale, vegetale e minerale del Ducato, affidato prima della partenza all'amico Sanvitale. Tradusse dallo spagnolo una conferenza tenuta da V. de Cervantes in Messico il 2 luglio 1794 sulla Resina elastica e l'inviò al Linati perché la divulgasse se gli fosse parsa interessante, ma proibendo di rivelare il suo nome.

La sua fitta rete di relazioni e di iniziative scientifiche continuò ad avere come punto di riferimento Parma, dove si erano formati i suoi interessi culturali, ma anche i gusti materiali e le abitudini sociali. Inviò incessanti richieste a Ventura (che dopo pochi mesi era stato richiamato nel Ducato) di spedirgli salumi, formaggi, composte di frutta, abiti, carte da gioco, libri e moltissima musica: opere del giovane F. Pàer, concerti per corno da caccia e soprattutto altri di A. Rolla, eccellente violista e violinista, direttore dell'orchestra ducale e dal 1802, per un trentennio, della Scala di Milano.

Nel frattempo, sulla testa dei due sposi, i sovrani spagnoli si accordarono con la Francia per garantire loro una "sistemazione" prestigiosa. A tale fine non esitarono a barattare uno sterminato territorio in America con una regione in Italia, la Toscana. Con il trattato di Sant'Ildefonso (1( ott. 1800), infatti, la Spagna promise di cedere alla Francia il Ducato di Parma, la Luisiana e sei vascelli da guerra in cambio delle Legazioni o della Toscana, innalzata a Regno. Il trattato di Lunéville (9 febbr. 1801) formalizzò l'allontanamento di Ferdinando III d'Asburgo Lorena dal Granducato, a favore di Ferdinando di Borbone Parma. A fronte del rifiuto di quest'ultimo a lasciare il suo "piccol nido", il trattato di Aranjuez (21 marzo 1801), sottoscritto da Godoy e da Luciano Bonaparte, plenipotenziario francese a Madrid, sancì la rinuncia perpetua di Ferdinando agli Stati parmensi in favore della Repubblica francese, attribuendo in compenso la Toscana, ora Regno d'Etruria, e il titolo regio al principe ereditario.

L., tenuto sistematicamente all'oscuro delle questioni politiche, apprese con viva sorpresa da Godoy di essere stato nominato re d'Etruria. Non era al corrente della determinazione con la quale il padre aveva rifiutato di lasciare i suoi legittimi Stati, "unico patrimonio certo" della famiglia, e fu ben lontano dal percepire quanto l'effimero Regno d'Etruria corrispondesse piuttosto alla vanità della regina di Spagna, desiderosa di realizzare un antico sogno dinastico, oltretutto a immediato vantaggio della figlia. Né poté cogliere nell'offerta, apparentemente generosa, un "laccio" teso dalla Francia alla Spagna per garantirsi, con la creazione di uno Stato fantoccio, il controllo del porto di Livorno, utilizzato dagli Inglesi per conservare la supremazia commerciale in Italia. Eppure un sinistro presagio era venuto da Godoy, che si lasciò sfuggire, secondo la testimonianza della giovane Maria Luisa, che la strada verso la Toscana doveva passare per Parigi, dal momento che il primo console desiderava vedere l'effetto della presenza di esponenti di casa Borbone nella Francia repubblicana. "Il mio sposo ed io imbrividimmo a questo discorso" - scrisse - "poiché sembrava che premesse ben poco il mettere la nostra vita in pericolo esponendoci in un paese, ove era di già stato fatto un atroce massacro della nostra famiglia" (Avventure della regina di Etruria etc., cit. in Sforza, p. 90).

Il 21 apr. 1801 L. partì insieme con la moglie per la Toscana sotto il nome di conte di Livorno. Gli splendidi festeggiamenti ricevuti a Parigi valsero più a evidenziare la sua inadeguatezza al nuovo ruolo che a rincuorarlo. Non a caso nella capitale francese i sovrani d'Etruria si ammalarono entrambi, e da allora Maria Luisa percepì il rapido declino del marito, le cui crisi epilettiche si intensificarono, fino a renderlo l'ombra di se stesso. Era un giovane dalla figura attraente, L., quando giunse a Parigi nella primavera del 1801: nel celebre La famiglia di Carlo IV, ora al Prado, F. Goya l'aveva rappresentato come secondo da destra, accanto alla moglie che teneva fra le braccia il piccolo Carlo Ludovico. A Napoleone, tuttavia, il timido Borbone non piacque affatto, e lo giudicò buono solo "à coqueter avec de vieilles femmes" (Lanzoni, 1936, p. 121).

Da Parigi la coppia si diresse verso la Toscana; dopo una sosta di tre settimane a Parma, il 12 agosto fece l'ingresso solenne a Firenze, ricevuta dal generale in capo delle armate francesi in Italia G. Murat. L'intima contraddizione di una dinastia borbonica impiantata dai repubblicani francesi imbarazzava gli stessi sovrani e lasciava sconcertati un po' tutti: i democratici non si riconobbero nel nuovo corso per la presenza dei Borbone, e i conservatori per la presenza dei Francesi. L. e Maria Luisa trovarono ad accoglierli un clima teso, uno Stato sull'orlo della bancarotta e un palazzo inospitale, così spoglio da dover ricorrere alla nobiltà locale per candelieri, vasellame e altri oggetti di prima necessità. Nell'aristocrazia fiorentina, molti restavano legati al passato granducale e stentavano ad accettare i nuovi sovrani; ben 13 dame rifiutarono di prendersi cura del principino. Tuttavia L. si sforzò di attuare una politica di pacificazione, conservando gran parte dell'impianto precedente e scegliendo di preferenza collaboratori toscani. Nella prima fase del suo regno si ebbero provvedimenti a favore della pubblica beneficenza e dell'istruzione, e fu incorporato lo Stato dei Presidi. Decisa e continua si mantenne la protesta contro il permanere delle guarnigioni francesi di stanza in Toscana: dai 5 ai 6 mila uomini, secondo le stime del segretario di Stato G. Mozzi, che costavano all'Erario 160.000 franchi al mese. Tuttavia a corte furono introdotti il cerimoniale spagnolo e uno sfarzo che fece rimpiangere a molti la sobrietà degli Asburgo.

Il peggiorare delle condizioni fisiche del sovrano indebolì la resistenza alle crescenti pressioni esterne. Francia, Spagna e S. Sede cercarono di trarre profitto dalla situazione, e fu quest'ultima a ottenere i maggiori risultati. Attorniato da "una corte cialtrona di personaggi anche equivoci, che mescolavano religione e superstizione" (Coppini, p. 44), L. cadde nella sottile rete del nunzio E. De Gregorio e il 17 apr. 1802, il sabato santo, emanò la legge detta "Sabatina", che abrogava le leggi leopoldine in materia giurisdizionale. L'atto non solo gli attirò il biasimo delle corti straniere, ma sancì anche il definitivo distacco della popolazione toscana dalla dinastia, tanto la legislazione leopoldina in materia ecclesiastica si era profondamente radicata.

Il colpo di grazia allo stremato sovrano venne da un viaggio in Spagna impostogli dai suoceri in occasione di un doppio matrimonio tra i Borbone di Spagna e quelli di Napoli. Partito con la moglie da Livorno il 28 sett. 1802, L. rientrò a Firenze il 13 genn. 1803, con la seconda figlia, Luisa Carlotta, nata in mare il 2 ottobre. Durante il soggiorno in Spagna era venuto a conoscenza dell'improvvisa morte del padre, "l'amico, il consigliere, la guida" (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato 1765-1808, pezzo 1088, Orazione funebre per la morte di sua maestà Lodovico Primo(, p. XXIV). Gravemente infermo, oppresso da ripetute convulsioni e febbre terzana, poco prima di spegnersi chiese a Ventura di mandargli a Firenze le sue raccolte scientifiche ancora giacenti in Parma.

L. morì a Firenze il 27 maggio 1803.

Fonti e Bibl.: Sulla nascita, l'educazione e il matrimonio: Arch. di Stato di Parma, Casa e Corte Borbonica, s. 1, b. 2; s. 4, bb. 27-28, 32-33. Per l'interesse di L. per le scienze naturali: Archivio Sanvitale, bb. 897, 909/A. Sul lungo soggiorno in Spagna (1794-1801) e poi a Firenze, come sovrano d'Etruria (1801-03), sono fondamentali le sue lettere a C. Ventura, conservate in Parma presso l'Archivio dell'Ordine Costantiniano di S. Giorgio (Archivio Borbonico, bb. 74, 76, 84, 87, 89). Sul Regno d'Etruria, la malattia e la morte: Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero degli Esteri, filza 2368, f. 1802: Carteggio ordinario con s.e. Ventura; filza 2375: Carteggio col cav. Azara a Parigi; Segreteria di Stato 1765-1808, pezzo 1088: Protocollo contenente il Compendio di quanto è accaduto durante la malattia di sua maestà Lodovico( fino alle solenni esequie eseguite nella reale basilica di S. Lorenzo della città di Firenze, a firma Segretario [G.B.] Nuti. Si conservano in copia anche note dal titolo Avventure della regina di Etruria Maria Luisa di Borbone figlia di Carlo IV re di Spagna (Segreteria di Gabinetto, filza 160, inserto 18). M. Moreau de Saint-Méry, Historique. États de Parme, 1749-1808, a cura di C. Corradi Martini, Parma 2003, ad ind.; P. Finzi, Il Regno di Lodovico I d'Etruria in un carteggio diplomatico inedito, Roma 1911; A. Creuzé de Lesser, Voyage en Italie et en Sicile, Paris 1806, p. 31; Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e continuate da Angelo Pezzana, VII, Parma 1833, pp. 576-582; G. Andrès, Vita del duca di Parma don Ferdinando I di Borbone, Parma 1849, p. 37; A. Zobi, Storia civile della Toscana, Firenze 1852, III, passim; C. Fano, I primi Borboni a Parma, Parma 1890, pp. 104, 133 s., 185 s., 189; G. Sforza, La regina d'Etruria, in Nuova Antologia, 1( genn. 1893, pp. 83-102; P. Covoni, Il Regno d'Etruria, Firenze 1894; P. Marmottan, Le Royaume d'Étrurie, Paris 1896, passim; W. De Villa Urrutia, La reina de Etruria, Madrid 1923; H. Bédarida, Les premiers Bourbons de Parme et l'Espagne (1731-1802), Paris 1928, ad ind.; S. de Bourbon, La reine d'Étrurie 1782-1824, Paris 1928, pp. 2-28; I. Stanga, Maria Amalia di Borbone duchessa di Parma (1746-1804), Cremona 1932, pp. 80 ss.; G. Drei, Il Regno d'Etruria (1801-1807), con una appendice di documenti inediti, Modena 1935; C. Cantimori, Un Borbone di Parma sul trono d'Etruria, in Crisopoli, III (1935), pp. 561-566; F. Lanzoni, I duchi di Parma e le scienze naturali. Il periodo farnesiano e borbonico, in Aurea Parma, XIX (1935), pp. 11-13; Id., Lodovico di B. e Lazzaro Spallanzani in un celebre dibattito, ibid., XX (1936), pp. 115-126; E. Colombi, Impazienze di un principe tenuto a stecchetto, in Parma per l'arte, VI (1956), pp. 129-132; G. Bini, La breve vita del re d'Etruria, ibid., X (1960), pp. 137-147; Stanislao da Campagnola, Adeodato Turchi. Uomo-oratore-vescovo (1724-1803), Roma 1961, ad ind.; G. Bini, Relazione sulla morte del re d'Etruria, in Parma per l'arte, XII (1962), pp. 112-120; R. Moscati, I Borboni in Italia, Napoli 1970, pp. 72 s.; G. Ventura, L'ultimo ministro dei primi Borbone di Parma, Parma 1971, pp. 34-46, 94-110; H. Bédarida, Parma e la Francia (1748-1789), a cura di A. Calzolari - A. Marchi, I-II, Parma 1986, ad ind.; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli "anni francesi" all'Unità, in Storia d'Italia (UTET), diretta da G. Galasso, XIII, 3, Torino 1993, ad ind.; J. Balansó, I Borbone Parma e l'Europa. Storia intima e pubblica di una grande dinastia, Parma 1995, pp. 61-67; Galleria nazionale di Parma, Catalogo delle opere. Il Settecento, a cura e con un saggio di L. Fornari Schianchi, fotografie di L. Galloni - G. Medioli, Milano 2000, pp. 202-204; G. Olmi, Museums on paper in Emilia-Romagna from the sixteenth to the nineteenth centuries: from Aldrovandi to count Sanvitale, in Archives of natural history, XXVIII (2001), pp. 168-173; S. Bertelli, Palazzo Pitti dai Medici ai Savoia, in La corte di Toscana dai Medici ai Lorena, a cura di A. Bellinazzi - A. Contini, Roma 2002, pp. 57-61; G. Olmi, Lo studio della natura a Parma nel tramonto dell'antico regime, in Un Borbone tra Parma e l'Europa. Don Ferdinando e il suo tempo (1751-1802), a cura di A. Mora, Reggio Emilia 2005, pp. 167-203; G.B. Janelli, Diz. biogr. dei parmigiani illustri(, Genova 1877, pp. 462 s.; Bibliografia generale delle antiche province parmensi, a cura di Felice da Mareto, II, Soggetti, Parma 1974, pp. 154 s.; R. Lasagni, Diz. biogr. dei parmigiani, Parma 1999, I, pp. 638-641.

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