LUDOVICO II, re d'Italia, imperatore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUDOVICO II, re d'Italia, imperatore

François Bougard

Nato tra l'822 e l'825, il figlio primogenito di Lotario I e di Ermengarda non ha lasciato tracce di sé prima della sua ascesa al trono del Regno d'Italia, avvenuta nell'840, quando Lotario succedette al padre, l'imperatore Ludovico I il Pio, morto il 20 giugno di quell'anno. È verosimile che, come sostenne più tardi L., il Regno italico gli fu assegnato proprio da Ludovico il Pio; forse la decisione fu presa nella primavera dell'836, nel pieno del conflitto che opponeva Ludovico a Lotario, ma la designazione fu effettiva solo in occasione dell'ultima discussione in materia di successione, che si tenne a Worms nel giugno 839, subito dopo la riconciliazione di Ludovico il Pio con il figlio.

In alcuni atti notarili dell'Italia settentrionale sono inclusi nella datazione gli anni di regno di L. intorno agli anni 839-840, ossia in occasione dell'ultima presenza in Italia di Lotario, nell'estate 840.

I primi dieci anni del regno di L. si svolsero nel quadro di una regalità di secondo piano, una potestà limitata e privata della possibilità di emanare diplomi e battere moneta a proprio nome. L. disponeva al più di un primo nucleo di cappella nella persona del diacono Benedetto, futuro vescovo di Cremona e membro di un placito presieduto nell'842 da un missus di Lotario. Fino all'850 i diplomi in favore di destinatari italiani furono, di conseguenza, emanati in seguito a istanze presentate Oltralpe presso Lotario, come quelle che affluirono nell'843 in occasione delle negoziazioni per il trattato di Verdun.

L. era allora strumento di una diplomazia che non padroneggiava, tanto che nell'estate 842 l'alleanza siglata a Treviri tra Franchi e Bizantini contro gli Arabi fu suggellata dal suo fidanzamento con la figlia del basileus Teofilo.

Nell'844 gli avvenimenti romani dettero a L. l'occasione di assumere un peso maggiore. Alla morte di papa Gregorio IV l'aristocrazia aveva scelto come successore l'arciprete Sergio, ma la designazione avvenne in un'atmosfera turbata dalla concorrente candidatura del diacono romano Giovanni, sostenuto dal popolo che lo insediò con le armi in Laterano. In tale frangente nessuno informò l'imperatore né dello scisma, né della consacrazione di Sergio II (25 gennaio), che dunque avvenne in assenza dei rappresentanti imperiali, contrariamente alla procedura stabilita dalla Constitutio Romana dell'824. Lotario inviò allora L., sotto la vigile custodia di Drogone, suo prozio e arcivescovo di Metz, insieme con truppe e rappresentanti laici ed ecclesiastici dell'Italia settentrionale, per indagare sulle modalità dell'elezione. Dopo un'entrata solenne a Roma e in S. Pietro (8 giugno), fu riunito un sinodo che finì per riconoscere Sergio II, ma al pontefice e ai Romani fu richiesto un giuramento di fedeltà all'imperatore. La fine di questi attriti fu sanzionata, in S. Pietro, dalla consacrazione di L. e dalla sua incoronazione come "rex Langobardorum" (15 giugno); Sergio II lo cinse di una spada regale, nel solco della tradizionale consegna del cingulum militiae.

Da quel momento, pur rimanendo ancora nel quadro della sua limitata potestà, L. beneficiò di una maggiore libertà d'iniziativa. Benché non avesse l'autorità di emanare diplomi, L. presiedeva da solo le assemblee giudiziarie o le faceva presiedere in suo nome dai missi e aveva probabilmente la possibilità di promulgare capitolari in modo autonomo; alcuni signori, inoltre, si riconobbero vassalli diretti di L. e non dell'imperatore.

Quando, nell'846, a Roma i Saraceni devastarono le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuori le Mura L. si diresse contro di loro alla testa di un suo esercito, ma fu sconfitto. Davanti alla gravità della situazione si tenne allora, nella prima metà dell'847, in Francia, un incontro con Lotario, dove furono prese iniziative in favore della Chiesa romana, retta allora da Leone IV. Un capitolare prevedeva la costruzione di mura intorno a S. Pietro, finanziata con una raccolta in tutto l'Impero; fu decisa inoltre una spedizione militare contro gli Arabi: L. doveva trovarsi a Pavia il 25 genn. 848 con il suo esercito più consistente per l'arrivo di contingenti transalpini; a metà di marzo il re e le sue truppe avrebbero dovuto raggiungere il Ducato di Benevento per poi dirigersi contro il nemico.

Nel frattempo si doveva predisporre il terreno pacificando Siconolfo e Radelchi, che si contendevano il dominio di Benevento dopo la morte del principe Sicardo (839). Nella primavera dell'848 L. assediò Benevento; in seguito fu compiuto, sotto la sua egida e in sua presenza, il previsto piano di pace, con la ripartizione del Ducato tra Salerno, affidata a Siconolfo, e Benevento, nelle mani di Radelchi.

L'accresciuta legittimità nell'Italia meridionale fornì a L. la possibilità di un maggiore margine d'autonomia. Tra l'849 e l'850 fu riunita a Pavia un'assemblea che annunciò la totale assunzione del Regno nelle sue mani, nel quadro di un'associazione al potere imperiale che lo poneva sullo stesso piano di Lotario e che fu sanzionata agli inizi d'aprile 850, quando L. II fu unto e incoronato imperatore in S. Pietro da Leone IV.

Alla cerimonia seguì la conferma dei patti stabiliti con la Chiesa romana, cosa che permise la riaffermazione delle prerogative imperiali in materia d'elezione pontificia. L. II riunì in seguito un conventus generale a Pavia, contrassegnato da una parte dalla promulgazione di capitula episcopali a lui indirizzati, dall'altra dall'emanazione di un capitolare relativo alle res seculares rivolto all'insieme dei fedeli, in primo luogo ai responsabili della cosa pubblica; il tutto assumeva un chiaro valore di programma per il governo imperiale che si apriva.

L'ascesa alla guida dell'Impero implicava la regolarizzazione della situazione familiare di L. II, che tra l'851 e l'853 prese in sposa Engelberga. L'unione, non ancora del tutto legittima, fu regolarizzata solo nell'860, ma si può ritenere che la nascita della primogenita, Gisla (852-853), fu il motivo che spinse L. II a rompere definitivamente il suo fidanzamento con la figlia del basileus Teofilo (853), con grande disappunto dei Greci.

Engelberga, figlia del conte di Parma Adalgiso, apparteneva alla famiglia franca dei Supponidi, presente in Italia dai primi anni del IX secolo e con la quale era stata anche imparentata Cunigunda, moglie di re Bernardo. Tale alleanza era giustificata dal fatto che questa famiglia, per il suo patrimonio e per i suoi honores, era la più in vista del Regno. Non è improbabile inoltre che gli stessi Supponidi, fortemente radicati in Brescia, dovessero parte del loro prestigio al legame un tempo instaurato con i sovrani longobardi, il che potrebbe giustificare il nome di derivazione longobarda del padre di Engelberga, Adalgiso. L'importanza del monastero di S. Salvatore per la regina e il suo entourage femminile non fu nemmeno questa volta smentita. L'abbazia era stata affidata a Giuditta, moglie di Ludovico il Pio, e successivamente a Ermengarda, moglie di Lotario. Dopo la morte di quest'ultima, nel marzo 851, fu retta da Gisla, sorella di Lotario.

Gli anni Cinquanta del IX secolo e i primi del decennio successivo sono quelli che meglio permettono di studiare l'esercizio del potere carolingio in Italia. L. II soggiornò ogni anno a Pavia, dove furono regolarmente convocate assemblee, la maggior parte delle quali approvarono capitolari (negli anni 855, 856 e 865).

Nei dintorni della capitale furono oggetto di visita alcuni palatia rurali, a due o tre giorni di cammino: Corteleona, Marengo, Auriola, Sospiro, Senna, Orba. Verso Est, Mantova svolgeva la funzione di palazzo d'inverno, sede per ricorrenti soggiorni che si trasformavano in occasioni d'incontro con la locale aristocrazia. Se i dignitari del tempo di Lotario non scomparvero, L. II insediò a poco a poco i suoi uomini ai posti di comando. Una dozzina di vescovi e d'abati entrarono così in carica intorno alla metà del secolo dopo essere passati a corte, sia negli uffici della Cancelleria, sia nella cappella regia. L. II creò anche un personale notarile e giudiziario direttamente legato al Palazzo e itinerante al seguito dei missi imperiali e/o del sovrano; questo gruppo, di recente formazione, contribuì alla diffusione di una comune cultura giuridica, propria dell'ambito pavese. L. II pose così le basi di un governo di consiglio, attribuendo il titolo di consiliarius ad alcune selezionate personalità.

L'associazione al trono imperiale permise a L. II non solamente di aver piena autorità, ma anche di intraprendere iniziative militari. Sembra perciò che, all'inizio dell'852, alla richiesta dei grandi dell'Italia meridionale (primates patriae), egli abbia invano tentato di espellere i Saraceni da Bari. Nonostante l'insuccesso, l'iniziativa fu di buon auspicio per rafforzare le relazioni con il pontefice, fra i primi a richiedere un intervento armato. Il 27 giugno 852 Leone IV inaugurò le mura della Civitas Leoniana, costruita grazie ai sussidi prelevati in ogni angolo dell'Impero. Nel maggio seguente il papa e l'imperatore si incontrarono a Ravenna; in quell'occasione Leone IV ottenne che L. II ordinasse ad Anastasio Bibliotecario, cardinale prete di S. Marcello, di recarsi a Roma, dove era già stato convocato diverse volte a partire dall'848, per giustificare l'abbandono delle sue funzioni; due missi dell'imperatore furono incaricati di condurre il recalcitrante cardinale davanti al pontefice e nel dicembre di quell'anno quattro rappresentanti imperiali parteciparono al sinodo romano che rinnovò l'anatema contro Anastasio.

Ciononostante, la città di Roma non era del tutto guadagnata all'Impero. Lo si vide nella primavera dell'855, quando un dignitario romano, il magister militiarum Daniele, si recò presso L. II per denunciare il progetto di un certo Graziano, superista del patriarcato lateranense, che cercava di far tornare Roma nell'alveo dell'obbedienza greca. La reazione fu immediata: nel maggio-giugno, trascurando gli abituali scambi diplomatici preliminari a questo genere di visite, L. II si presentò a Roma. Nel corso di un'udienza presieduta in comune da L. II e dal pontefice, Daniele fu comunque riconosciuto colpevole di falsa accusa e dovette la sua salvezza solo alla clemenza del papa, al quale L. II aveva affidato il compito di decidere della sua sorte.

Al di là delle peripezie tipiche dell'ambiente romano, la rapidità della reazione di L. II è significativa di quanto rilevante fosse per lui il controllo di Roma e dei suoi organi di governo. Fu questo uno dei motivi per i quali L. II, alla morte di Leone IV (17 luglio 855), tentò di imporre il suo candidato nella persona di Anastasio che, nonostante la condanna dell'853, si era nel frattempo riavvicinato all'imperatore, in circostanze rimaste ignote. Ma il progetto fallì. Il marchese di Toscana Adalberto e il conte di Verona Bernardo, ai quali era stato affidato l'incarico di eseguire il piano di L. II, dovettero accettare l'elezione di Benedetto III, consacrato il 29 settembre alla loro presenza. L'8 dicembre, nel corso del concilio, Anastasio, pur se riammesso alla comunione dei laici, fu spogliato dei suoi ornamenti sacerdotali.

La determinazione con la quale L. II aveva tentato di imporsi a Roma trova una giustificazione anche nel fatto che l'Impero, in quel momento, passava di mano. Nel settembre 855 Lotario, già malato da alcuni mesi, rinunciò al trono e, dopo aver regolato la successione, si ritirò nel monastero di Prüm, dove morì il 29 di quel mese. Pur rimanendo l'unico detentore del titolo imperiale, e tenendosi naturalmente l'Italia, L. II vide ridursi le proprie pretese territoriali, poiché Lotario aveva suddiviso i suoi territori transalpini tra gli altri due figli, Carlo, che ottenne la Provenza e una parte della Borgogna, e Lotario II, che ebbe i territori della Francia tra il Reno e la Mosa. L. II, intitolato a partire da questa data imperator Italiae dagli annalisti di St-Bertin, non cessò da quel momento di far valere i suoi diritti, che riteneva lesi, sia nei riguardi dei fratelli sia nei confronti degli zii paterni: poter contare sul sostegno e l'alleanza del pontefice non avrebbe potuto che rafforzare la sua posizione. Dall'856 egli fece sapere a Ludovico il Germanico e a Carlo il Calvo che intendeva avere la sua parte di Francia, poiché, essendogli stata assegnata l'Italia già da Ludovico il Pio, suo padre Lotario non poteva disporne un'altra volta in suo favore. Alla fine dell'estate a Orbe, nel Vallese, alla presenza di Benedetto III, ebbe luogo un incontro tempestoso tra L. II, Carlo e Lotario II; finalmente, grazie alla mediazione pontificia, la suddivisione fu mantenuta nei termini voluti dal padre. L. II adottò allora una strategia di accerchiamento, cercando di riavvicinarsi più a Ludovico il Germanico che a Carlo il Calvo, e a suo fratello Lotario più che al fratello minore Carlo di Provenza. Nel corso dell'estate dell'857 L. II incontrò Ludovico il Germanico a Trento, dove fu suggellata un'alleanza; nel febbraio 858 i suoi missi si recarono a Ulm presso Lotario II, mentre L. II, nel mese di marzo, andò a Roma dal papa, senz'altro per perorare la sua causa. Fu in quell'occasione che L. II poté infine assicurarsi dell'elezione del pontefice: aveva appena lasciato Roma, infatti, quando Benedetto III morì, il 7 apr. 858; L. II tornò indietro in tutta fretta e influì in modo determinante sulla scelta di Niccolò I, consacrato in S. Pietro in sua presenza. La fermezza immediatamente dimostrata dal nuovo pontefice in merito al divorzio di Lotario II da Teutperga condusse lo stesso Lotario a trovare un accordo con il fratello maggiore: nell'autunno 859 incontrò in Italia L. II e gli cedette i territori posti a oriente del Giura svizzero. Lo stesso L. II, del resto, non aveva ancora legittimato la sua unione con Engelberga, il che lo metteva in una posizione delicata nei confronti delle prescrizioni papali in materia di disciplina matrimoniale.

Gli anni Sessanta rappresentarono un momento di svolta nel regno di Ludovico. Un segno premonitore fu, proprio agli inizi del decennio, la ribellione dei due conti che avevano in mano il Ducato di Spoleto, Lamberto, un Guidonide di stanza proprio a Spoleto, e Ildeberto, cui era stata affidata la Marca di Camerino, i quali probabilmente non vedevano di buon occhio la progressiva erosione della loro autonomia da parte di un'autorità imperiale ormai saldamente radicata.

L. II si diresse dunque verso Meridione per ristabilirvi l'ordine; a marzo Ildeberto fu sottoposto a giudizio in un burrascoso processo, ma fuggì subito dopo, in compagnia dello stesso Lamberto, alla volta del Ducato di Benevento, dove entrambi ottennero il sostegno del principe Adelchi. L. II dovette così assediare Isernia, Alife, e poi Sant'Agata dei Goti prima di riuscire a imporre di nuovo la sua autorità. Nel corso dell'estate, Adelchi si sottomise ottenendo dall'imperatore il perdono per sé e per i due fuggitivi.

Tutto rientrò nella normalità, pur rimanendo viva l'allerta. Si può ritenere che anche questi avvenimenti contribuirono, in occasione di un incontro con i grandi del Regno tenutosi dopo il suo ritorno a Nord, all'ufficializzazione della sua unione con Engelberga, per mezzo di un dotalicium (5 ott. 860).

La datazione del documento fu in seguito anticipata all'anno 851, in modo che fosse precedente alle nascite di Gisla ed Ermengarda, la loro secondogenita: l'esistenza di un libellum dotis faceva passare queste ultime dalla condizione di figlie naturali al rango di legittime, condizione necessaria, fra l'altro, per far sì che Gisla succedesse alla sua omonima zia (deceduta nell'858-859) alla guida del monastero bresciano di S. Salvatore.

La legittimità ottenuta dette a Engelberga lo status di sovrana a pieno titolo nel suo regno e fuori (al più tardi nell'863, la coppia imperiale fu solennemente accolta a Venezia, dove L. II fece da padrino a uno dei figli del doge) e la possibilità d'occupare uno spazio politico che fino a quel momento le era stato negato. Engelberga si impose in particolare come mediatrice nel corso dei diversi momenti di tensione che si accumulavano, in particolare nei confronti del Papato.

Questi attriti furono evidenti in occasione del conflitto tra l'arcivescovo di Ravenna, Giovanni (VII), e Niccolò I. Il 24 febbr. 861 il presule ravennate era stato scomunicato, ufficialmente per non essersi presentato a rispondere di un'accusa di eresia che gli era stata mossa, ma in realtà per sanzionare la politica contraria agli interessi della Chiesa di Roma che egli conduceva nell'Esarcato. Facendo leva sulle buone relazioni che aveva con L. II, Giovanni si recò a Pavia e ottenne dall'imperatore, tramite i buoni uffici di Engelberga, che due missi imperiali lo accompagnassero a Roma. La dimostrazione di forza fu senza effetto, come non ebbe successo, nell'autunno di quell'anno, un secondo viaggio a Roma dell'arcivescovo, sempre in compagnia di rappresentanti imperiali: nel mese di novembre Giovanni dovette alla fine sottomettersi. Ma l'intera vicenda, stando il Libellus de imperatoria potestate, avrebbe suscitato tra il papa e L. II una "gravis inimicitia", perché le mire dell'imperatore coincidevano con quelle dell'arcivescovo, in un attacco congiunto agli interessi fondiari di Roma: L. II avrebbe di conseguenza proceduto alla confisca di rilevanti beni del Patrimonio nella Pentapoli e nella Campania, destinati a essere in seguito distribuiti ai suoi fedeli, mentre esigeva puntuali servitia da parte dei monasteri.

Agli inizi dell'863, con la morte di Carlo di Provenza (24 gennaio), L. II ottenne la sua principale acquisizione territoriale al di là delle Alpi: l'imperatore si recò subito sul posto, ma ottenne solo la sottomissione di una parte dei dignitari e dovette alla fine accordarsi, dopo la mediazione delle due parti, a dividere i domini di Carlo con Lotario II, lungo un tratto delineato dal corso del fiume Rodano.

Poco dopo si presentò un altro motivo di attrito con Niccolò I, dovuto al divorzio di Lotario II. Nel giugno 863 si era svolto a Metz un concilio in presenza di legati romani e di un rappresentante di L. II, il vescovo di Bergamo Aganone, per far luce sul nuovo matrimonio di Lotario II re della Lotaringia con Gualdrada (Waldrada) e sulle accuse precedentemente mosse a Teutberga, che avevano giustificato l'annullamento dell'unione. Gli atti del concilio, favorevoli alle argomentazioni di Lotario II, furono apportati in novembre a Roma dall'arcivescovo di Colonia, Teutgaudo, e da quello di Treviri, Gunter, ma vennero cassati, mentre i due presuli furono deposti e scomunicati al pari di Aganone. Mentre riprendevano la via del ritorno, i prelati trovarono un solido sostegno in L. II che, accompagnato da Engelberga, fece la sua comparsa sotto le mura di Roma nel gennaio 864. Il papa si rifugiò allora dal Laterano in S. Pietro, dove restò due giorni a digiunare, mentre L. II era immobilizzato dalla febbre. La crisi fu risolta grazie alla mediazione di Engelberga, che recò un salvacondotto al pontefice affinché potesse rientrare in Laterano, mentre l'imperatore, non avendo ottenuto che il papa ritornasse sulle sue decisioni, rinviò a casa i prelati.

Nell'autunno 864 L. II fu gravemente ferito da un cervo in occasione di una battuta di caccia. L'incidente lo avvertì forse della necessità di sistemare in tempo le questioni relative al Regno e di adempiere agli impegni legati al suo ruolo: nei mesi successivi fu messo in opera un programma di cui sarebbe stato ben difficile intravedere poco tempo prima le premesse. Nel febbraio 865 fu convocata presso Pavia un'assemblea nel corso della quale fu promulgato un capitolare che riaffermava le esortazioni alla moralizzazione della vita pubblica, già espresse nell'850. Messi imperiali furono inviati ovunque cosicché L. II, dopo essersi rassicurato sul buon andamento delle cose nel suo Regno e tranquillizzato anche sul piano internazionale (Lotario II si era riconciliato con Teutberga nel corso dell'estate e i due fratelli si incontrarono, forse a Orbe, nel mese di settembre), fra l'865 e l'866 convocò l'esercito per una spedizione in Italia meridionale.

L. II rispondeva ufficialmente alla richiesta di aiuto dei principi dell'Italia meridionale contro i Saraceni, saldamente presenti a Bari; a questo motivo si può aggiungere il suo desiderio di stabilizzare la sua autorità nel Beneventano.

Nei quattro anni che seguirono L. II si dedicò interamente alla questione saracena; prima però fu necessario imporsi sui principi meridionali. Agli inizi dell'estate si insediò per qualche tempo a Capua, dove entrò usando la forza. Dopo aver soggiornato a Salerno, Amalfi, Napoli, nel corso dell'inverno la corte fu a Benevento, da dove cominciarono le operazioni militari in direzione di Bari, destinate a tagliare i legami intrattenuti dalla città pugliese con gli altri avamposti saraceni nel Meridione (furono prese Matera, Canosa, Oria).

L'accerchiamento di Bari non era però sufficiente; dall'autunno 867 l'esercito si allineò sulle posizioni acquisite, mentre prendeva il sopravvento l'azione diplomatica, che passava per Bisanzio, la sola in grado di fornire un appoggio per ostacolare qualsiasi tentativo di fuga via mare. Ma ci vollero molti mesi prima di pervenire a un risultato concreto. Le relazioni tra L. II e Michele III erano state riallacciate in occasione del concilio di Costantinopoli nell'estate 867, nel corso del quale il patriarca Fozio aveva contemporaneamente dichiarato deposto Niccolò I e acclamato L. II ed Engelberga, sperando così di averli dalla sua parte. Ma la manovra fu senza risultato a causa del rapido avvicendamento dei protagonisti: Michele III fu assassinato il 24 settembre e Basilio I, che gli succedette, come sua prima iniziativa esautorò Fozio; Niccolò I morì il 13 novembre e fu eletto Adriano II.

I contatti ripresero allora su queste nuove basi. Tra la fine dell'868 e l'inizio dell'anno seguente fu concordato un attacco congiunto contro Bari. L'accordo fu suggellato da una promessa di matrimonio tra Ermengarda, figlia minore di L. II, e il figlio di Basilio, Costantino. Alla fine dell'estate 869 il patrizio greco Niceta si presentò davanti Bari con 400 navi da guerra, ma l'attacco fu rinviato a causa dell'inferiorità numerica delle truppe franche reclutate per l'assalto via terra. Una nuova ambasciata fu allora inviata a Costantinopoli. I legati di L. II arrivarono in tempo per partecipare all'ultima sessione del concilio ecumenico (28 febbr. 870), che vide la fine dello scisma di Fozio, ma nessuna apertura ci fu tra L. II e Basilio. Il principale ostacolo proveniva senza dubbio dal fatto che Basilio esigeva preamboli protocollari in merito alla gerarchia dei titoli dei due sovrani, mentre L. II aveva interrotto le trattative matrimoniali. La situazione rimase così per tutto l'anno, poi Bisanzio finì per inviare una nuova flotta, accresciuta dalla presenza di imbarcazioni slave e L. II poté finalmente impadronirsi di Bari il 2-3 febbr. 871. L'emiro Swadan fu fatto prigioniero ma gli fu risparmiata la vita, come richiesto dal principe di Benevento Adelchi. Mentre alcuni contingenti franchi vennero inviati più a sud, verso Taranto e la Calabria, L. II tornò a Benevento, dove trascorse i mesi seguenti, intervallati solo da un pellegrinaggio al santuario di S. Michele Arcangelo sul monte Gargano. Forte del suo successo, poté finalmente regolare i suoi rapporti con Bisanzio, con una lettera inviata a Basilio, in risposta a una missiva (persa) di quest'ultimo.

Il testo, di cui fu autore Anastasio Bibliotecario, è un tassello importante per la definizione delle relazioni tra l'Occidente latino e l'Oriente bizantino e la concezione del potere imperiale. In risposta ai rimproveri di Basilio, L. II ridiscuteva sul mancato coordinamento degli eserciti in occasione della presa di Bari. Ma l'essenziale del suo ragionamento verte poi nella giustificazione del suo titolo imperiale: in primis con motivazioni di ordine storico e "filologico", poi - e soprattutto - per il fatto che deteneva il potere su Roma (Romani principatus imperium), direttamente dal papa che lo aveva unto e consacrato. Al di là delle sue relazioni con il basileus, una tale formulazione era gravida di conseguenze in merito alla gerarchia dei poteri fra Papato e Impero.

L. II ebbe poco tempo per assaporare la vittoria. Il 13 ag. 871 i Beneventani, guidati da Adelchi e sostenuti da alcuni alti dignitari, gli si rivoltarono contro.

Diverse motivazioni possono essere addotte per spiegare questa ribellione: la prolungata presenza della corte imperiale e delle truppe franche a Benevento; i rancori suscitati per il crescente ruolo assunto da Engelberga, che dall'866 si fregiava del titolo di consors Imperii, a scapito dei grandi; le manovre bizantine compiute sottobanco, senza tralasciare quelle dell'emiro Swadan ancora prigioniero (il Rhythmus de captivitate Ludovici imperatoris giunge a rappresentare l'emiro alla guida di un processo contro L. II, parodiando in tal modo la Passione di Cristo).

La coppia imperiale fu rinchiusa per tutto un mese e liberata una volta promesso di non cercare di vendicarsi e soprattutto di non ricomparire più con le sue schiere nel territorio di Benevento.

Il colpo di mano contro l'imperatore non ebbe conseguenze politiche all'interno del Regnum, il che dimostra la solidità dell'opera compiuta da L. II nel corso dei decenni precedenti. Ciononostante ebbe una considerevole ripercussione. Corse la voce che lo stesso L. II fosse morto; Carlo il Calvo ne fu immediatamente avvertito e si diresse subito verso Sud, ma tornò indietro quando giunse la smentita. Da parte sua Ludovico il Germanico inviò suo figlio Carlomanno verso le Alpi per tagliare la strada a Carlo. Queste reazioni mettono impietosamente in luce la fragilità della situazione di L. II, costretto a cancellare nello stesso momento l'umiliazione subita per la cattività e a ristabilire la propria legittimità sul piano internazionale nonché a pensare al futuro del Regno che, in mancanza di eredi, era oggetto di appetiti da parte degli altri sovrani, quegli stessi che, in seguito al trattato di Meersen (8 ag. 870) al quale L. II non era stato invitato, si erano spartiti i territori appartenuti a Lotario II.

Appena liberato, L. II si diresse rapidamente verso Spoleto all'inseguimento del duca Lamberto, anch'egli coinvolto nella congiura contro di lui. Nel contempo, pregò il papa di venirgli incontro affinché lo sciogliesse, insieme con i suoi, dal giuramento che Adelchi gli aveva estorto. Mutò i suoi piani, dirigendosi inutilmente verso Sud, quando venne a sapere che Lamberto, in compagnia del conte di Camerino, si era rifugiato a Benevento. Ripartito di nuovo verso il Nord, soggiornò per qualche tempo nel Ducato di Spoleto.

In quel momento fu decisa la fondazione del monastero della Ss. Trinità (in seguito dedicato a S. Clemente) a Casauria sul fiume Pescara. Il tormentato contesto nel quale fu presa questa decisione mette in rilievo la vocazione propiziatoria della futura abbazia, che si ergeva come un segno tangibile della presenza imperiale ai confini dell'Italia meridionale longobarda.

L'incontro con il pontefice ebbe finalmente luogo a Roma, dove L. II fu incoronato imperatore a S. Pietro da papa Adriano II il 18 maggio 872, nel corso di una cerimonia che, riconfermandone l'autorità, aveva il valore di annullare l'umiliazione subita per la recente deposizione. Nel corso dell'assemblea che seguì, L. II fu sciolto dal giuramento che gli aveva imposto Adelchi, mentre il Senato romano dichiarava quest'ultimo tiranno e nemico della Res publica. Il papa fu ancora una volta coinvolto nel terzo punto di questo "piano di restaurazione": nel corso di quello stesso mese i suoi legati assistettero a un breve incontro svoltosi a Trento tra Ludovico il Germanico ed Engelberga, dove fu suggellata un'alleanza contro Carlo il Calvo. In quell'occasione fu restituito in modo non ufficiale quanto spettava a L. II del Regno di Lotario e, probabilmente, regolata la successione al Regno d'Italia in favore di Carlomanno, cosa che non escludeva però la preferenza espressa, altrettanto in segreto, da Adriano II per una soluzione dinastica in favore di Carlo il Calvo.

Successivamente L. II poté ripartire verso il Sud, per vendicarsi di Lamberto e di Adelchi, nonché per combattere di nuovo contro i Saraceni. Nell'estate 872, Guaiferio (I) di Salerno si sottomise nuovamente alla sua autorità, ciononostante L. II non riuscì a imporsi nel Beneventano. In occasione di un tentativo di riconquista avvenuto alla fine dell'estate 873, Adelchi ottenne addirittura l'aiuto delle truppe greche. L. II sollecitò allora il nuovo pontefice Giovanni VIII affinché giungesse in Campania per favorire una riconciliazione con il principe di Benevento, ma non si arrivò a un accordo e L. II finì per rinunciare. Nell'autunno 873, dopo sette anni di assenza, proprio mentre imperversava una carestia che deve aver non poco accelerato la partenza, egli ritornò nell'Italia settentrionale dove giunse nella primavera 874. La documentazione del suo ultimo anno di regno è ripartita quasi del tutto fra i diplomi in favore di Casauria e quelli in favore di Engelberga. Oltre al futuro dell'abbazia dovuta alla sua iniziativa e di quella che sua moglie intendeva fondare a Piacenza (S. Sisto), L. II si occupò di regolare i dettagli della sua successione. Sempre in primavera, insieme con Giovanni VIII, incontrò a Verona Ludovico il Germanico; del colloquio si sa soltanto che aveva senz'altro lo scopo di ottenere dal papa l'assenso alla scelta "orientale" compiuta da L. II in merito alla sua successione. I due sovrani posero Engelberga sotto la protezione del pontefice: una volta scomparso L. II, la posizione di Engelberga si sarebbe fortemente indebolita.

Il 12 ag. 875, quando si trovava nel territorio di Brescia, L. II morì. Ebbe ancora il tempo di disporre del suo Regno in favore di Carlomanno, come quest'ultimo non tralasciò di far valere più tardi.

Il vescovo di Brescia, Antonio, fece traslare le spoglie nella sua città, e la cosa determinò un conflitto di giurisdizione, in quanto l'arcivescovo di Milano, Ansperto, già "depositario" in S. Ambrogio dei corpi dei re Pipino e Bernardo, reclamò anche quello di Ludovico II. La logica istituzionale e dinastica ebbe la meglio sull'idea di inumarlo a Brescia, scelta che si può ritenere sostenuta da Engelberga, titolare di una rendita vitalizia dal locale monastero di S. Salvatore. L'arcivescovo prese personalmente possesso delle spoglie di L. II e, cinque giorni dopo la morte, il corpo fu imbalsamato e condotto solennemente da Brescia a Milano con una processione durata due giorni alla quale parteciparono i vescovi e il clero di Bergamo e Cremona, le due diocesi poste lungo il percorso.

L'epitaffio, noto da una copia del XV secolo che, in S. Ambrogio, celebra L. II come uomo di pace e nel contempo in lotta contro i Saraceni, illustra molto bene i due aspetti del suo governo, quello, riuscito, proprio di un sovrano carolingio operante negli spazi del Regnum, lodato da Erchemperto e da Reginone di Prüm, e quello del combattente per la difesa della Cristianità.

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